Girasole
Simboleggia allegria
e gioia
Luna
era seduta sul prato,
spensierata come sempre mentre giocava con i fili d’erba e
una bambola di
pezza, fingendo allegramente che fosse una delle strane e meravigliose
creature
di cui suo padre scriveva sul Cavillo.
Aveva nove anni la piccola
Luna e amava la vita, in ogni sua piccola sfumatura. Non le importava
che i
bambini del paese la trovassero strana, non aveva alcuna importanza che
gli
adulti credessero fosse bizzarra e un po’ matta come dicevano
di suo padre: lei
era felice lo stesso, e lo era sempre, sempre allegra, sempre con il
sorriso
sulle labbra. Non si faceva abbattere da nulla la piccola Luna, ne
dalla più
piccola difficoltà ne dalla più enorme
avversità.
Il vento si alzò all’improvviso quella mattina
d’agosto e i fili d’erba arsi
dal sole ancora ardente volarono via in elaborati mulinelli,
intrecciandosi nei
capelli biondi della bambina che rideva allegramente accarezzata dalla
brezza
calda.
Amava il suo giardino e il piccolo laghetto poco lontano. Amava
perdersi
nell’immensità del cielo, sdraiata alle pendici
dell’albero, ancora meglio se
con suo padre e sua madre accanto a lei.
Rimanevano li per ore a
volte, dal pomeriggio fino alla sera; giocavano a scorgere figure tra
le sagome
indistinte nelle nuvole candide e Luna rideva e adorava quando sua
madre
imbrogliava sussurrando incantesimi e modificandole a suo piacimento.
Restavano
li fino alla sera, fino a quando la notte calava e le stelle spuntavano
piccole
e luminose, bagnate dalla luce della Luna.
“La Luna è la madre delle
stelle, piccola
mia” le aveva detto una notte sua madre “e per
così tanti figli e figlie
ha bisogno di un cuore grande, grandissimo. E soprattutto di un amore
sconfinato” le aveva sorriso e Luna si era sentita sollevare,
si era sentita
serena, amata, la bambina più fortunata che esistesse.
“Perciò ti chiami come
lei. Perché sin dalla tua nascita sapevamo che saresti stata
la bambina più
dolce e piena d’amore che fosse mai esistita”
Luna aveva perso quasi la
cognizione del tempo mentre intrecciava ghirlande di erba e fiori per
la sua
bambola, mentre pensava alle mille altre avventure che avrebbe
intrapreso quel
pomeriggio: un’arrampicata sulla quercia, una corsa fino alla
vecchia casa
abbandonata, un bagno nel fresco laghetto per lenire
l’arsura, oppure avrebbe
potuto raccogliere un mazzo di girasoli nel campo poco lontano.
Sorrise, all’idea. Sua madre adorava i girasoli. Diceva che
erano i fiori più
belli che esistessero, fiori che vivevano per il sole, fiori che si
abbeveravano di luce e calore.
Fiori felici, li chiamava.
Senza perdere tempo corse
al campo di girasoli vicino al lago, corse a perdifiato, impaziente di
cogliere
i più belli, impaziente di vedere la reazione di sua madre
di fronte a quel
regalo che veniva dal cuore. Andò tanto veloce da perdere il
fiato, fin quasi a
tuffarsi tra quei
fiori alti quasi
quanto lei, come piccoli bambini l’uno accanto
all’altro, con la testa rivolta
al sole del mattino.
Ne raccolse molti, più di
quanto avesse mai fatto; voleva sorprenderla, voleva vedere il sorriso
luminoso
di sua madre solo e solamente per lei, voleva renderla felice e
distrarla un
po’ dal lavoro che in quella settimana l’aveva
tenuta più occupata di ogni
altra volta.
Stringendo gli spessi
steli al petto, soddisfatta del suo lavoro, imboccò il
sentiero dalla quale era
venuta e veloce e allegra tornò nuovamente al giardino di
casa, fermandosi solo
un secondo per riprendere fiato.
Mentre sedeva sulla staccionata in pietra accanto
all’ingresso, un rumore
forte, assordante, fece rimbalzare il cuore di luna fino in gola.
Un’esplosione
fortissima, improvvisa che aveva squarciato il silenzio del cortile
come una lama
invisibile. Fumo nero e bianco usciva copioso dalla finestra del
laboratorio di
sua madre mentre pezzi di intonaco e mattoni cadevano come pioggia
sull’erba
verde dove Luna poco prima giocava. La bambina non riusciva a muoversi,
a
pensare, a reagire. Vide suo padre sbattere violentemente la porta del
suo
studio, precipitandosi su per le scale con una foga e
un’espressione atterrita
sul volto che lei non aveva mai visto sul suo viso. Stringendo ancora i
fiori
tra le mani seguì i passi dell’uomo col cuore
pesante, con le lacrime che
rigavano le sue guance senza che lei neanche se ne accorgesse, come se
già sapessero.
“Papà!” gridò Luna,
disperata, spaventata, con la mente confusa che si rifiutava di credere
che
stesse accadendo, come se non volesse nemmeno concepire che una cosa
simile
potesse essere successa a lei. “Papà, dove
sei?”
Arrivò davanti al Laboratorio di sua madre e quello che vide
la sconvolse
completamente, costringendola a reggersi allo stipite della porta per
non
crollare a terra.
Era tutto completamente distrutto. Tutte le attrezzature di lavoro di
sua
madre, i vecchi libri, le stampe appese ai muri, il vecchio pendolo,
erano
ormai ridotti in cenere. Uno squarcio enorme deturpava la parete di
pietra e la
luce del sole che vi penetrava era malsana, irreale, crudele. Come a
voler
illuminare, definire, rendere più chiaro il dolore e la devastazione che albergavano in quella
stanza.
In terra, poi, vide una
scena che non avrebbe mai e poi mai dimenticato. Una scena che sarebbe
rimasta marchiata
a fuoco nel suo cuore e nella sua mente, indelebile, impossibile da
cancellare.
Suo padre era in terra, con la donna che amava tra le braccia, morente,
ferita
e bianca come un cencio. Era viva ma Luna poteva quasi vedere la vita
che
l’abbandonava pian piano, poteva quasi percepire la sua
energia che si
affievoliva, scomparendo, come polvere nel vento.
“Mamma” sussurrò Luna, piangendo,
avvicinandosi piano a loro, senza pensare a
nulla, accecata dalle lacrime e dal fumo, la nausea che le stringeva le
viscere, il dolore che le ottenebrava completamente i pensieri.
“Mamma” ripeté
ancora.
Gli occhi di sua madre erano socchiusi, e Luna poté solo
percepire quel flebile
azzurro così uguale al suo, e un nodo in gola le
impedì di parlare ancora.
Pianse e strinse la mano di sua madre, fredda, glaciale. Suo padre la
attirò a
se mentre guardava sua moglie tentare in tutti i modi di muoversi, e
Luna non
riusciva ancora a capire, a comprendere, a credere.
“Luna” sussurrò sua madre
piano, pianissimo. Luna strabuzzò gli occhi, incredula che
potesse ancora
parlare, ritrovando la speranza, ritrovando uno spiraglio di luce in
quel buio
che la stava travolgendo.
“Si mamma, sono qui” sussurrò Luna, con
voce rotta dal pianto. Con la mano
debole, tremante, la donna sfiorò i petali di uno dei
girasoli che Luna aveva
tra le braccia. La bambina glielo porse e la donna lo portò
debolmente al
petto, stringendolo al cuore.
Le accarezzò il viso piano, lasciando una scia fredda sulle
guance bagnate di
lacrime della bambina. Xenophilius gemette piano, asciugandosi le sue,
inutilmente.
“Ti amo” sussurrò poi la donna,
guardandolo. Lui la strinse ancora, impotente,
sentendo la sua vita scivolare via. Luna incrociò le dita
con le sue più forte,
come se non volesse lasciarla andare mai e poi mai.
“Mamma…” gemette “ti
prego…”
Lo sguardo della donna si posò di nuovo su sua figlia e le
sorrise ancora con
enorme sforzo, debolmente, incapace di tenere gli occhi aperti ancora
per
molto.
“Ti voglio bene, Luna” sfiorò i suoi
capelli “sii il mio piccolo girasole,
sempre, ogni giorno della tua vita. Sii il mio bellissimo
girasole”
Luna non comprese ma non
rispose, non parlò. Rimase in silenzio mentre sentiva la
presa della mano di
sua madre indebolirsi fino a lasciarla completamente. I suoi occhi si
chiusero,
lentamente e si lasciò andare tra le braccia di Luna e Xeno,
tra le macerie di
quelle stanza, tra la polvere e la pietra, tra le lacrime e i piccoli
frammenti
dei cuori dei suoi amori.
Xeno portò via la donna dalla stanza, tenendola in braccio
con attenzione, come
fosse il più prezioso dei tesori, il più
inestimabile. Mormorò qualcosa e baciò
teneramente Luna sulla fronte, piangendo, con lo sguardo perso. Era
tutto così
irreale, ancora, terribilmente.
Luna non riusciva a credere, Luna non concepiva ancora tutto quanto. Le
sembrava di vivere un incubo, un sogno orribile da cui però
non poteva
svegliarsi.
Pianse, pianse come non
aveva mai fatto in nove anni di vita.
Pianse per se stessa, per suo padre, per lei
che aveva perduto ormai per sempre.
Luna sfiorò piano la
superficie dell’unico superstite dell’esplosione,
un vecchio mobile di legno
scampato chissà come al fuoco e all’onda
d’urto. Aveva tante piccole ante,
cassetti e ripiani e sua madre lo aveva sempre adorato, per quella
caratteristica unica; era uno scrigno per tanti tesori, un custode
fidato e
silenzioso. Vi riponeva gli ingredienti per le sue pozioni, le formule
per i
suoi incantesimi, le annotazioni di anni e anni di studi.
Luna aprì il più grande dei cassetti e
sbirciò dentro trovandovi nient’altro
che brandelli di carta anneriti. Quella vista fu come un colpo al
cuore. Un
brusco ritorno all’inevitabile realtà.
Non aveva smesso un secondo di pensare a sua madre in quei giorni per
quanto
avesse egoisticamente cercato di dimenticare, ma sapendo che sarebbe
stato
impossibile, sapendo che sarebbe stato come cancellare una parte di se
stessa.
E quello che più le faceva male era il ricordo delle sue
ultime parole, quando
le aveva chiesto di essere il suo piccolo girasole, quando
l’aveva implorata di
esserlo sempre, per tutta la vita. Luna non riusciva a trovare una
spiegazione.
Sfiorò quei pezzi di carta
e si accorse che provenivano da un vecchio libro, dove erano annotate
diverse
caratteristiche di piante e ingredienti per filtri e incantesimi.
Uno solo però catturò la sua attenzione tanto da
spingerla a prenderlo e vedere
di cosa trattasse. Era un foglio candido, integro, per nulla scalfito
dal fuoco
e dalla polvere. Sembrava essere stato appena strappato via da un
qualche
libro, ma non presentava altri difetti. Nessuno.
Lo girò e quando vide
l’illustrazione in alto alla pagina il suo cuore
mancò un battito.
Un girasole.
Luna lesse, lesse
avidamente ogni parola annotata sotto quel disegno, lesse ogni parola
senza
parlare, senza quasi respirare; il cuore batteva forte, rimbombandole
nel petto
e nella testa.
Quando finì, si guardò
intorno con occhi sbarrati, increduli, come se cercasse qualcuno con lo
sguardo. Il suo petto di alzava e si abbassava velocemente, frenetico
mentre le
sua labbra si piegavano nuovamente in un sorriso, il primo dopo giorni
e giorni
di lacrime, il primo dopo quella che le sembrava
un’eternità.
“Te lo prometto, mamma” sussurrò
“te lo prometto, per sempre”
Sorrise ancora e rise, rise con gioia, allegria e dolcezza, rise per lei , che amava sentirla ridere, che
amava la sua bambina incondizionatamente.
Stringendo il foglio tra
le mani, chiuse la porta dietro di se.
“Girasole
Pianta dalle forti proprietà magiche,
di origine antica. La civiltà Inca la considerava il simbolo
della sovranità,
la personificazione terrena del Sole divino. I sacerdoti Incas gli
attribuivano
poteri magici e sorprendenti capacità curative, e in Cina
esso è considerato il
simbolò dell’Immortalità.
E’ un fiore eliotropico in quanto la
sua corolla è sempre rivolta verso il sole.
Il suo significato nel linguaggio dei fiori è quello
dell’allegria e della
gioia”
*