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Autore: SAranel    18/09/2011    3 recensioni
Raccolta di piccoli racconti su vari personaggi della meravigliosa Saga di Harry Potter, che amo profondamente, ispirate ai fiori e al loro "linguaggio" segreto.
Buona Lettura!
In continuo aggiornamento:
~ Cap.1 Remus Lupin
~ Cap.2 Lily Potter/Evans
~ Cap.3 Harry Potter
~ Cap.4 Ron Weasley
~ Cap.5 Neville Paciock
~ Cap.6 Sirius Black
~ Cap.7 Fred e George Weasley
~ Cap.8 Draco Malfoy
~ Cap.9 Merope Gaunt/Riddle
~ Cap.10 Luna Lovegood
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Girasole

 

Simboleggia allegria e gioia

 

 

 

Luna era seduta sul prato, spensierata come sempre mentre giocava con i fili d’erba e una bambola di pezza, fingendo allegramente che fosse una delle strane e meravigliose creature di cui suo padre scriveva sul Cavillo.
Aveva nove anni la piccola Luna e amava la vita, in ogni sua piccola sfumatura. Non le importava che i bambini del paese la trovassero strana, non aveva alcuna importanza che gli adulti credessero fosse bizzarra e un po’ matta come dicevano di suo padre: lei era felice lo stesso, e lo era sempre, sempre allegra, sempre con il sorriso sulle labbra. Non si faceva abbattere da nulla la piccola Luna, ne dalla più piccola difficoltà ne dalla più enorme avversità.
Il vento si alzò all’improvviso quella mattina d’agosto e i fili d’erba arsi dal sole ancora ardente volarono via in elaborati mulinelli, intrecciandosi nei capelli biondi della bambina che rideva allegramente accarezzata dalla brezza calda.
Amava il suo giardino e il piccolo laghetto poco lontano. Amava perdersi nell’immensità del cielo, sdraiata alle pendici dell’albero, ancora meglio se con suo padre e sua madre accanto a lei.
Rimanevano li per ore a volte, dal pomeriggio fino alla sera; giocavano a scorgere figure tra le sagome indistinte nelle nuvole candide e Luna rideva e adorava quando sua madre imbrogliava sussurrando incantesimi e modificandole a suo piacimento. Restavano li fino alla sera, fino a quando la notte calava e le stelle spuntavano piccole e luminose, bagnate dalla luce della Luna.

“La Luna è la madre delle stelle, piccola mia” le aveva detto una notte sua madre “e per così tanti figli e figlie ha bisogno di un cuore grande, grandissimo. E soprattutto di un amore sconfinato” le aveva sorriso e Luna si era sentita sollevare, si era sentita serena, amata, la bambina più fortunata che esistesse. “Perciò ti chiami come lei. Perché sin dalla tua nascita sapevamo che saresti stata la bambina più dolce e piena d’amore che fosse mai esistita

 La bambina amava stare ad ascoltare la madre mentre le raccontava mille storie, mille ricordi e mille bellissimi aneddoti sui suoi studi, sulla sua vita, sul lavoro che svolgeva con tanto amore; le sembrava di condividere un pezzo della sua vita, le sembrava di vivere quasi in simbiosi con lei, in quella donna talmente simile, quasi uguale a lei e a cui Luna sperava con tutto il cuore di assomigliare, da adulta. Era sempre li per lei, anche se a chilometri di distanza, anche se oberata di lavoro, c’era sempre per la sua Luna. C’era sempre per il suo capolavoro, bello e luminoso come un fiore bagnato dai raggi estivi.
Luna aveva perso quasi la cognizione del tempo mentre intrecciava ghirlande di erba e fiori per la sua bambola, mentre pensava alle mille altre avventure che avrebbe intrapreso quel pomeriggio: un’arrampicata sulla quercia, una corsa fino alla vecchia casa abbandonata, un bagno nel fresco laghetto per lenire l’arsura, oppure avrebbe potuto raccogliere un mazzo di girasoli nel campo poco lontano.
Sorrise, all’idea. Sua madre adorava i girasoli. Diceva che erano i fiori più belli che esistessero, fiori che vivevano per il sole, fiori che si abbeveravano di luce e calore.
Fiori felici, li chiamava.
Senza perdere tempo corse al campo di girasoli vicino al lago, corse a perdifiato, impaziente di cogliere i più belli, impaziente di vedere la reazione di sua madre di fronte a quel regalo che veniva dal cuore. Andò tanto veloce da perdere il fiato, fin quasi a tuffarsi  tra quei fiori alti quasi quanto lei, come piccoli bambini l’uno accanto all’altro, con la testa rivolta al sole del mattino.
Ne raccolse molti, più di quanto avesse mai fatto; voleva sorprenderla, voleva vedere il sorriso luminoso di sua madre solo e solamente per lei, voleva renderla felice e distrarla un po’ dal lavoro che in quella settimana l’aveva tenuta più occupata di ogni altra volta.
Stringendo gli spessi steli al petto, soddisfatta del suo lavoro, imboccò il sentiero dalla quale era venuta e veloce e allegra tornò nuovamente al giardino di casa, fermandosi solo un secondo per riprendere fiato.
Mentre sedeva sulla staccionata in pietra accanto all’ingresso, un rumore forte, assordante, fece rimbalzare il cuore di luna fino in gola. Un’esplosione fortissima, improvvisa che aveva squarciato il silenzio del cortile come una lama invisibile. Fumo nero e bianco usciva copioso dalla finestra del laboratorio di sua madre mentre pezzi di intonaco e mattoni cadevano come pioggia sull’erba verde dove Luna poco prima giocava. La bambina non riusciva a muoversi, a pensare, a reagire. Vide suo padre sbattere violentemente la porta del suo studio, precipitandosi su per le scale con una foga e un’espressione atterrita sul volto che lei non aveva mai visto sul suo viso. Stringendo ancora i fiori tra le mani seguì i passi dell’uomo col cuore pesante, con le lacrime che rigavano le sue guance senza che lei neanche se ne accorgesse, come se già sapessero.
“Papà!” gridò Luna, disperata, spaventata, con la mente confusa che si rifiutava di credere che stesse accadendo, come se non volesse nemmeno concepire che una cosa simile potesse essere successa a lei. “Papà, dove sei?”
Arrivò davanti al Laboratorio di sua madre e quello che vide la sconvolse completamente, costringendola a reggersi allo stipite della porta per non crollare a terra.
Era tutto completamente distrutto. Tutte le attrezzature di lavoro di sua madre, i vecchi libri, le stampe appese ai muri, il vecchio pendolo, erano ormai ridotti in cenere. Uno squarcio enorme deturpava la parete di pietra e la luce del sole che vi penetrava era malsana, irreale, crudele. Come a voler illuminare, definire, rendere più chiaro il dolore e la devastazione che albergavano in quella stanza.
In terra, poi, vide una scena che non avrebbe mai e poi mai dimenticato. Una scena che sarebbe rimasta marchiata a fuoco nel suo cuore e nella sua mente, indelebile, impossibile da cancellare.
Suo padre era in terra, con la donna che amava tra le braccia, morente, ferita e bianca come un cencio. Era viva ma Luna poteva quasi vedere la vita che l’abbandonava pian piano, poteva quasi percepire la sua energia che si affievoliva, scomparendo, come polvere nel vento.
“Mamma” sussurrò Luna, piangendo, avvicinandosi piano a loro, senza pensare a nulla, accecata dalle lacrime e dal fumo, la nausea che le stringeva le viscere, il dolore che le ottenebrava completamente i pensieri. “Mamma” ripeté ancora.
Gli occhi di sua madre erano socchiusi, e Luna poté solo percepire quel flebile azzurro così uguale al suo, e un nodo in gola le impedì di parlare ancora. Pianse e strinse la mano di sua madre, fredda, glaciale. Suo padre la attirò a se mentre guardava sua moglie tentare in tutti i modi di muoversi, e Luna non riusciva ancora a capire, a comprendere, a credere.
“Luna” sussurrò sua madre piano, pianissimo. Luna strabuzzò gli occhi, incredula che potesse ancora parlare, ritrovando la speranza, ritrovando uno spiraglio di luce in quel buio che la stava travolgendo.
“Si mamma, sono qui” sussurrò Luna, con voce rotta dal pianto. Con la mano debole, tremante, la donna sfiorò i petali di uno dei girasoli che Luna aveva tra le braccia. La bambina glielo porse e la donna lo portò debolmente al petto, stringendolo al cuore.
Le accarezzò il viso piano, lasciando una scia fredda sulle guance bagnate di lacrime della bambina. Xenophilius gemette piano, asciugandosi le sue, inutilmente.
“Ti amo” sussurrò poi la donna, guardandolo. Lui la strinse ancora, impotente, sentendo la sua vita scivolare via. Luna incrociò le dita con le sue più forte, come se non volesse lasciarla andare mai e poi mai.
“Mamma…” gemette “ti prego…”
Lo sguardo della donna si posò di nuovo su sua figlia e le sorrise ancora con enorme sforzo, debolmente, incapace di tenere gli occhi aperti ancora per molto.
“Ti voglio bene, Luna” sfiorò i suoi capelli “sii il mio piccolo girasole, sempre, ogni giorno della tua vita. Sii il mio bellissimo girasole”
Luna non comprese ma non rispose, non parlò. Rimase in silenzio mentre sentiva la presa della mano di sua madre indebolirsi fino a lasciarla completamente. I suoi occhi si chiusero, lentamente e si lasciò andare tra le braccia di Luna e Xeno, tra le macerie di quelle stanza, tra la polvere e la pietra, tra le lacrime e i piccoli frammenti dei cuori dei suoi amori.
Xeno portò via la donna dalla stanza, tenendola in braccio con attenzione, come fosse il più prezioso dei tesori, il più inestimabile. Mormorò qualcosa e baciò teneramente Luna sulla fronte, piangendo, con lo sguardo perso. Era tutto così irreale, ancora, terribilmente.
Luna non riusciva a credere, Luna non concepiva ancora tutto quanto. Le sembrava di vivere un incubo, un sogno orribile da cui però non poteva svegliarsi.
Pianse, pianse come non aveva mai fatto in nove anni di vita.
Pianse per se stessa, per suo padre, per lei che aveva perduto ormai per sempre.

 §

 Qualche giorno dopo, Luna trovò il coraggio di entrare nuovamente nel Laboratorio di sua madre. Era stato ripulito completamente, lo squarcio era stato chiuso ma tutto era inevitabilmente, dolorosamente diverso. Era un’enorme stanza vuota, ora. Uno spazio vasto, freddo, senza significato. Aveva perso ogni segno di lei.
Luna sfiorò piano la superficie dell’unico superstite dell’esplosione, un vecchio mobile di legno scampato chissà come al fuoco e all’onda d’urto. Aveva tante piccole ante, cassetti e ripiani e sua madre lo aveva sempre adorato, per quella caratteristica unica; era uno scrigno per tanti tesori, un custode fidato e silenzioso. Vi riponeva gli ingredienti per le sue pozioni, le formule per i suoi incantesimi, le annotazioni di anni e anni di studi.
Luna aprì il più grande dei cassetti e sbirciò dentro trovandovi nient’altro che brandelli di carta anneriti. Quella vista fu come un colpo al cuore. Un brusco ritorno all’inevitabile realtà.
Non aveva smesso un secondo di pensare a sua madre in quei giorni per quanto avesse egoisticamente cercato di dimenticare, ma sapendo che sarebbe stato impossibile, sapendo che sarebbe stato come cancellare una parte di se stessa.
E quello che più le faceva male era il ricordo delle sue ultime parole, quando le aveva chiesto di essere il suo piccolo girasole, quando l’aveva implorata di esserlo sempre, per tutta la vita. Luna non riusciva a trovare una spiegazione.
Sfiorò quei pezzi di carta e si accorse che provenivano da un vecchio libro, dove erano annotate diverse caratteristiche di piante e ingredienti per filtri e incantesimi.
Uno solo però catturò la sua attenzione tanto da spingerla a prenderlo e vedere di cosa trattasse. Era un foglio candido, integro, per nulla scalfito dal fuoco e dalla polvere. Sembrava essere stato appena strappato via da un qualche libro, ma non presentava altri difetti. Nessuno.
Lo girò e quando vide l’illustrazione in alto alla pagina il suo cuore mancò un battito.
Un girasole.
Luna lesse, lesse avidamente ogni parola annotata sotto quel disegno, lesse ogni parola senza parlare, senza quasi respirare; il cuore batteva forte, rimbombandole nel petto e nella testa.
Quando finì, si guardò intorno con occhi sbarrati, increduli, come se cercasse qualcuno con lo sguardo. Il suo petto di alzava e si abbassava velocemente, frenetico mentre le sua labbra si piegavano nuovamente in un sorriso, il primo dopo giorni e giorni di lacrime, il primo dopo quella che le sembrava un’eternità.
“Te lo prometto, mamma” sussurrò “te lo prometto, per sempre”
Sorrise ancora e rise, rise con gioia, allegria e dolcezza, rise per lei , che amava sentirla ridere, che amava la sua bambina incondizionatamente.
Stringendo il foglio tra le mani, chiuse la porta dietro di se.

 

“Girasole

Pianta dalle forti proprietà magiche, di origine antica. La civiltà Inca la considerava il simbolo della sovranità, la personificazione terrena del Sole divino. I sacerdoti Incas gli attribuivano poteri magici e sorprendenti capacità curative, e in Cina esso è considerato il simbolò dell’Immortalità.
E’ un fiore eliotropico in quanto la sua corolla è sempre rivolta verso il sole.
Il suo significato nel linguaggio dei fiori è quello dell’allegria e della gioia”

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

  
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