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RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
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L’UOMO
CHE VIENE DA LONTANO aawaa
(Parte1)
Chap
n.2
-“Buongiorno
Sibilla!”-.
Sibilla,
ho sempre amato il mio nome.
Forse,
l’unica cosa buona che i miei genitori hanno fatto per me.
Chissà
forse mio padre fra una sbronza e un’altra e mia madre tra un anti-
depressivo e l’altro, avevano comunque deciso di lasciarmi qualcosa di
bello.
Sì,
un nome.
-“Buongiorno
Lucia!”-.
Lucia
è la mia collega d’ufficio, condividiamo la stessa stanza, in
questo ufficio stampa di un quotidiano minore della mia città.
Abbiamo
un buon rapporto, mi piace la sua testa matta, concilia un po’ con la
mia, costantemente su di giri.
-“Novità?!”-.
Le passo accanto, prendendo posto alla scrivania.
-“Ti
ha chiamato Bruschi, vuole sapere se accetterai l’offerta per la
pubblicazione del libro. Gli ho detto che lo avresti richiamato.”-.
-“Libro?!”-.
Accendo il computer distrattamente, riflettendo sulle parole della mia collega
“Oh accidenti! Quel libro! Me ne ero proprio dimenticata!”-.
-“Ehi,
ma dove hai la testa?! Fossi in te lo annoterei a caratteri cubitali sulla mia
agenda!”-.
-“Sì,
figurati… dove la trovo io un’idea per un romanzo?! D’amore
poi?!”-.
-“Scrivi
di te! Ti sei sposata con il tuo migliore amico, dopo anni di convivenza! La
gente impazzisce per le storie come la tua!”-.
-“Ah-
ah, brillante idea! E ce lo scrivo che sono a un passo per ritrovarmi gli
avvocati in casa?!”-.
-“Siete
già a questo punto?!”-. Si alza in piedi, porgendomi una tazza di
caffè.
-“Non
proprio. Diciamo che l’uno aspetta la mossa falsa dell’altro per
colpire.”-.
-“Mi
dispiace Lila. Ma trovala un’idea per quel libro; nessuno ti paga per
un’idea al giorno d’oggi! Ed anche profumatamente!”-.
-“Non
so, vedremo…”-.
La
vedo alzare le spalle, girare la sua poltrona e tornare china a lavoro sul suo pc.
Io
apro la mia posta, do una veloce occhiata alle e-mail, prima d’essere
attratta da uno strano brusio; mi volto, c’è della gente riversata
in strada, sul marciapiede dell’edificio di fronte al nostro, intenta ad
inveire contro al cielo.
Mi
basta alzare un po’ più lo sguardo per trovare una spiegazione a
quelle urla; c’è un uomo, sospeso nell’aria, in piedi sul
cornicione.
Istintivamente
mi porto una mano alla bocca, sfilandomi gli occhiali da vista.
-“O
Dio, ma che fa…”-.
Lucia
mi guarda, girandosi anch’ella verso la strada alle nostre spalle.
-“Sembra
voglia buttarsi… buahhh un altro genio che spera d’ottenere
qualcosa con queste scenette! Che poi, li stanno licenziando in massa
veramente, in quell’ufficio?!”-.
-“Ma
che ne so io! So solo che non può buttarsi!”-. D’improvviso
mi alzo dalla sedia, facendola scivolare contro la scrivania.
-“Sì
che può! Guarda come si sporge!”-.
-“No!
No! No! C’è parcheggiata la mia macchina là sotto!”-.
Non
le do il tempo di controbattere, corro verso l’appendiabiti e vi sfilo la
giacca che mi appartiene.
Mi
vesto di fretta, saltando qualche bottone, agitatamente e nervosamente con la
mano libera apro la porta che da sui corridoi dell’ufficio.
-“Lila!
Lila dove vai?!”-. La voce di Lucia mi richiama, dal fondo.
-“A
salvare la mia auto da quel pazzo e dalle ventiquattro rate che ancora mi
mancano per finire di pagarla!”-.
Rido,
pensando di essere così maledettamente venale anche in un momento
critico.
Simone
mi rimprovera spesso di essere attaccata ai beni materiali, ma lui proviene da
una famiglia benestante, non sa cosa significhi accontentarsi del poco che si
ha.
E
la mia auto, per me è tutto.
Rido
di nuovo, Simone è ancora nei miei pensieri.
Le
porte automatiche dell’edificio in cui lavoro, si aprono non appena la
mia corsa affannosa vi si scontra al limite della soglia; così, finisco
direttamente in strada, senza che me ne sia resa conto.
Alzo
gli occhi, il pazzo è ancora lì.
Da
lontano, infondo alla strada sento delle sirene spiegate avanzare.
Non
ho tempo, se la polizia arriva prima di me, potrò dire addio alla mia
bella macchina.
Mentre
cerco di farmi venire un’idea, scorgo la scala anti- incendio al lato del
palazzo; con una corsa forsennata mi ci porto su, salendo gradino per gradino a
perdi fiato.
Arrivo
in cima alla terrazza che sono stremata.
Annaspo,
piegata in due sulle ginocchia.
“Non ho più
l’età”, penso
mentre mi porto affianco all’uomo del cornicione; mi avvicino cauta, non voglio
spaventarlo e tanto meno provocargli una caduta accidentale.
Non
voglio andare a fare compagnia a mio padre, in carcere.
E
voglio la mia auto ancora intera.
Ma
il tipo mi sente, percepisce i miei passi, la mia paura forse, perché ho
voluto fare l’eroina ma adesso ho davvero una fottutissima paura.
-“Brava Sibilla, sei veramente brava! Adesso
cosa gli dirai per farlo scendere?! E’ una macchina è solo una
stupida macchina, potevi farti gli affari tuoi!”-.
Si
è girato, mi sta scrutando, allora mi fermo, non so come possa reagire;
è un uomo stravolto, ha il viso pallido e scarno, i capelli arruffati ma
le labbra dischiuse in un mezzo sorriso. Sembra mi stia leggendo dentro, sembra
possa udire i miei pensieri.
Ho
paura. Il cuore mi batte all’impazzata.
Restiamo
a guardarci, non posso staccare gli occhi da quella figura così
enigmatica; avrà si e no cinquanta anni, ha delle belle spalle larghe e
l’aspetto impettito come gli ufficiali di polizia che andavano e venivano
da casa mia quando ero piccola.
-“Ah…
finalmente è arrivato qualcuno!”-.
Il
suo intervento mi lascia spiazzata. Strabuzzo gli occhi, scuoto un po’ la
testa, forse non ho sentito bene.
-“Sa,
io non ricordo perché sono qui. Sono felice di vederla qua, signorina.
Lei sa perché sono qui?!”-.
Proprio
come temevo, si tratta di uno squilibrato di prima categoria; sorrido, falsa,
penso, penso a cosa posso dire ad un uomo appeso su un cornicione che non
ricorda come vi è arrivato.
“I
pazzi vanno sempre assecondati!”-. Questo, mi ripeteva sempre mia madre.
Per
questo quando mio padre la convinse che era pazza davvero, si fece rinchiudere
in manicomio.
-“Sicuramente
ha sbagliato strada, magari voleva scendere e non ha fatto caso alle scale
dietro le mie spalle.”-. Non so se regge, ma lui ci pensa, mi sorride.
-“Ci
sono delle scale?!”-. Risponde sbalordito.
-“Sì,
guardi…”-. Gli indico la rampa –“proprio lì,
alle mi spalle! Se vuole, l’aiuto a scendere e ci andiamo
insieme.”-.
-“Ah,
vecchio rincoglionito! Ha ragione Betty quando dice che ho una pessima
concentrazione!”-.
Gli
sorrido, non so chi sia questa Betty, sinceramente sto entrando così
nella parte che Betty potrei essere anche io.
Per
un attimo sembra essere tornato serio, si guarda incerto le mani, poi alza il
volto e mi sorride.
-“Sarebbe
così gentile da dirmi che ore sono?!”-. Lo guardo, non posso
replicare, devo essere accondiscendente.
-“Sono
le dieci e mezza.”-.
-“C’è
una chiesa qui vicino?!”-.
-“Più
di una.”-.
-“Lei
ha tempo per me?!”-.
-“Sono
qui apposta. Prego, mi dia la mano, la faccio scendere e andiamo in chiesa
insieme.”-.
Tentenna
un attimo, poi allunga il braccio verso il mio.
Mi
avvicino in un baleno, pochi attimi e potrebbe deconcentrarsi; lo aiuto a
scavalcare, poi di peso lo tiro verso me.
Mi
finisce fra le braccia, si alza immediatamente arrossendo un po’, poi si
sistema i vestiti.
Lo
tengo per mano, ci voltiamo verso le scale, trovando un mucchio di persone ad
aspettarci.
Lui
mi stringe la mano, poi si nasconde dietro le mie spalle; anche lui non ama la
polizia.
-“Piacere
signora, sono Luisa Miller, psicologa”-. Una donna mi stringe la mano,
venendomi incontro –“complimenti è riuscita a destarlo, io
stessa non avrei saputo fare di meglio!”-.Le sorrido falsamente,
sorpassandola.
-“Signora
deve lasciare una deposizione!”-. Un uomo in divisa mi blocca il
passaggio. Come vorrei essere pazza anche io in questo momento!
-“Senta
non ho nulla da depositare, questo è mio nonno, sa ha qualche problemino
mentale, lo avevo affidato alla badante ma lo sa come sono queste straniere,
sono delle sfruttatrici e basta! Si è distratta e lo ha lasciato solo.
Fortunatamente sono arrivata in tempo.”-.
-“Si
ma…”-.
-“Senta
stiamo tutte e due bene, nessuno si è fatto male per cui non vorrei
farle perdere del tempo prezioso. Questa città è piena di banditi!”-.
Gli sorrido, se convinco anche lui, cambio mestiere all’istante!
-“La
lascio andare stavolta, ma badi che non succeda più. E la straniera,
vuole denunciarla?!”-.
-“Non
si preoccupi starò più attenta. E per la denuncia lasciamo
perdere. Arrivederci!”-.
Lo
supero trascinandomi il “nonnetto” con me.
Questo
mi sorride, sollevato, più sereno di prima; in un attimo, siamo sul
fondo della strada.
La
gente ci fissa, qualcuno batte le mani, qualcun altro prega; ma dura poco, dopo
un po’ tutto torna alla normalità.
Siamo
sotto al mio ufficio, dall’altro lato della strada; lo esorto ad entrare
con me, ma lui resiste.
-“Eludere
la legge è un reato grave. Se io vengo su con lei, quelli mi vengono a
cercare.”-.
-“Ah!
Ma io l’ho salvata! Dovrebbe essere riconoscente!”-. Adesso sono
semplicemente me stessa, Sibilla.
-“Io
non sopporto i luoghi chiusi. L’aspetto qua.”-.
-“Allora
mi aspetti qui, ci metto pochissimo.”-.
Annuisce,
solo allora mi decido a lasciarlo per rientrare in ufficio.
Una
volta entrata, Lucia mi assale di domande.
-“Senti
ti spiego tutto domani, adesso devo andare! Me lo firmi tu il
permesso?!”-.
-“Lila
sicura che è tutto a posto?!”-.
-“Sì,
non ti preoccupare.”-.
-“Senti
stai attenta, ok?! E va tranquilla, il permesso te lo firmo io.”-.
-“Ok,
grazie! A domani Lù.”-.
Quando
esco, sono stranamente felice, contenta.
Sembra
non vedo l’ora di stare con un pazzo; infondo è così, non
so cosa mi abbia fatto, ma voglio aiutarlo, capirlo.
E
sono curiosa, e per un attimo le mie preoccupazioni non esistono più.
Ma
giro l’angolo e di quell’ uomo, non c’è più
traccia. Svanito.
Mi
volto prima a destra, poi a sinistra; lo cerco, fra il vuoto, fra il niente.
Ma
lui se n’è andato.
E
una folata di vento alza polvere nel cielo e la deposita proprio lì,
infondo al mio cuore, lasciandovi una tristezza che non avrei mai saputo
spiegare. Mai.