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Autore: Luna_R    07/06/2006    0 recensioni
Sono le sette e trenta di mattina, il suono di una sveglia, irrompe nel silenzio di un appartamento assopito.
Una ragazza si sveglia, poggia rumorosamente la sua mano sulla sveglia, e maledicendo il giorno già alle porte, si dirige in bagno.
E intanto non sa, che non sarà, un giorno come tutti gli altri..
*********
-“E tu, chi sei?!”-
-“Nel mio paese, colui che salva una vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la mia vita ti appartiene.”-
Non so chi fosse, non so perché evadeva sempre dalle mie domande, ma provai un tale senso di protezione nei suoi confronti, che non potei far altro che portarlo via con me.
“Ricordati di me”, solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della mente invecchiata o distratta.
Ma pur sempre una storia d’amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

 

aawaa L’UOMO CHE VIENE DA LONTANO aawaa

                                            (Parte1)

 

Chap n.2

 

 

-“Buongiorno Sibilla!”-.

 

Sibilla, ho sempre amato il mio nome.

Forse, l’unica cosa buona che i miei genitori hanno fatto per me.

Chissà forse mio padre fra una sbronza e un’altra e mia madre tra un anti- depressivo e l’altro, avevano comunque deciso di lasciarmi qualcosa di bello.

Sì, un nome.

 

-“Buongiorno Lucia!”-.

 

Lucia è la mia collega d’ufficio, condividiamo la stessa stanza, in questo ufficio stampa di un quotidiano minore della mia città.

Abbiamo un buon rapporto, mi piace la sua testa matta, concilia un po’ con la mia, costantemente su di giri.

 

-“Novità?!”-. Le passo accanto, prendendo posto alla scrivania.

-“Ti ha chiamato Bruschi, vuole sapere se accetterai l’offerta per la pubblicazione del libro. Gli ho detto che lo avresti richiamato.”-.

-“Libro?!”-. Accendo il computer distrattamente, riflettendo sulle parole della mia collega “Oh accidenti! Quel libro! Me ne ero proprio dimenticata!”-.

-“Ehi, ma dove hai la testa?! Fossi in te lo annoterei a caratteri cubitali sulla mia agenda!”-.

-“Sì, figurati… dove la trovo io un’idea per un romanzo?! D’amore poi?!”-.

-“Scrivi di te! Ti sei sposata con il tuo migliore amico, dopo anni di convivenza! La gente impazzisce per le storie come la tua!”-.

-“Ah- ah, brillante idea! E ce lo scrivo che sono a un passo per ritrovarmi gli avvocati in casa?!”-.

-“Siete già a questo punto?!”-. Si alza in piedi, porgendomi una tazza di caffè.

-“Non proprio. Diciamo che l’uno aspetta la mossa falsa dell’altro per colpire.”-.

-“Mi dispiace Lila. Ma trovala un’idea per quel libro; nessuno ti paga per un’idea al giorno d’oggi! Ed anche profumatamente!”-.

-“Non so, vedremo…”-.

 

La vedo alzare le spalle, girare la sua poltrona e tornare  china a lavoro sul suo pc.

Io apro la mia posta, do una veloce occhiata alle e-mail, prima d’essere attratta da uno strano brusio; mi volto, c’è della gente riversata in strada, sul marciapiede dell’edificio di fronte al nostro, intenta ad inveire contro al cielo.

Mi basta alzare un po’ più lo sguardo per trovare una spiegazione a quelle urla; c’è un uomo, sospeso nell’aria, in piedi sul cornicione.

Istintivamente mi porto una mano alla bocca, sfilandomi gli occhiali da vista.

 

-“O Dio, ma che fa…”-.

 

Lucia mi guarda, girandosi anch’ella verso la strada alle nostre spalle.

 

-“Sembra voglia buttarsi… buahhh un altro genio che spera d’ottenere qualcosa con queste scenette! Che poi, li stanno licenziando in massa veramente, in quell’ufficio?!”-.

-“Ma che ne so io! So solo che non può buttarsi!”-. D’improvviso mi alzo dalla sedia, facendola scivolare contro la scrivania.

-“Sì che può! Guarda come si sporge!”-.

-“No! No! No! C’è parcheggiata la mia macchina là sotto!”-.

 

Non le do il tempo di controbattere, corro verso l’appendiabiti e vi sfilo la giacca che mi appartiene.

Mi vesto di fretta, saltando qualche bottone, agitatamente e nervosamente con la mano libera apro la porta che da sui corridoi dell’ufficio.

 

-“Lila! Lila dove vai?!”-. La voce di Lucia mi richiama, dal fondo.

-“A salvare la mia auto da quel pazzo e dalle ventiquattro rate che ancora mi mancano per finire di pagarla!”-.

 

Rido, pensando di essere così maledettamente venale anche in un momento critico.

Simone mi rimprovera spesso di essere attaccata ai beni materiali, ma lui proviene da una famiglia benestante, non sa cosa significhi accontentarsi del poco che si ha.

E la mia auto, per me è tutto.

Rido di nuovo, Simone è ancora nei miei pensieri.

 

Le porte automatiche dell’edificio in cui lavoro, si aprono non appena la mia corsa affannosa vi si scontra al limite della soglia; così, finisco direttamente in strada, senza che me ne sia resa conto.

Alzo gli occhi, il pazzo è ancora lì.

Da lontano, infondo alla strada sento delle sirene spiegate avanzare.

Non ho tempo, se la polizia arriva prima di me, potrò dire addio alla mia bella macchina.

Mentre cerco di farmi venire un’idea, scorgo la scala anti- incendio al lato del palazzo; con una corsa forsennata mi ci porto su, salendo gradino per gradino a perdi fiato.

Arrivo in cima alla terrazza che sono stremata.

Annaspo, piegata in due sulle ginocchia.

“Non ho più l’età”, penso mentre mi porto affianco all’uomo del cornicione; mi avvicino cauta, non voglio spaventarlo e tanto meno provocargli una caduta accidentale.

Non voglio andare a fare compagnia a mio padre, in carcere.

E voglio la mia auto ancora intera.

Ma il tipo mi sente, percepisce i miei passi, la mia paura forse, perché ho voluto fare l’eroina ma adesso ho davvero una fottutissima paura.

 

-“Brava Sibilla, sei veramente brava! Adesso cosa gli dirai per farlo scendere?! E’ una macchina è solo una stupida macchina, potevi farti gli affari tuoi!”-.

 

Si è girato, mi sta scrutando, allora mi fermo, non so come possa reagire; è un uomo stravolto, ha il viso pallido e scarno, i capelli arruffati ma le labbra dischiuse in un mezzo sorriso. Sembra mi stia leggendo dentro, sembra possa udire i miei pensieri.

Ho paura. Il cuore mi batte all’impazzata.

Restiamo a guardarci, non posso staccare gli occhi da quella figura così enigmatica; avrà si e no cinquanta anni, ha delle belle spalle larghe e l’aspetto impettito come gli ufficiali di polizia che andavano e venivano da casa mia quando ero piccola.

 

-“Ah… finalmente è arrivato qualcuno!”-.

 

Il suo intervento mi lascia spiazzata. Strabuzzo gli occhi, scuoto un po’ la testa, forse non ho sentito bene.

 

-“Sa, io non ricordo perché sono qui. Sono felice di vederla qua, signorina. Lei sa perché sono qui?!”-.

 

Proprio come temevo, si tratta di uno squilibrato di prima categoria; sorrido, falsa, penso, penso a cosa posso dire ad un uomo appeso su un cornicione che non ricorda come vi è arrivato.

“I pazzi vanno sempre assecondati!”-. Questo, mi ripeteva sempre mia madre.

Per questo quando mio padre la convinse che era pazza davvero, si fece rinchiudere in manicomio.

 

-“Sicuramente ha sbagliato strada, magari voleva scendere e non ha fatto caso alle scale dietro le mie spalle.”-. Non so se regge, ma lui ci pensa, mi sorride.

-“Ci sono delle scale?!”-. Risponde sbalordito.

-“Sì, guardi…”-. Gli indico la rampa –“proprio lì, alle mi spalle! Se vuole, l’aiuto a scendere e ci andiamo insieme.”-.

-“Ah, vecchio rincoglionito! Ha ragione Betty quando dice che ho una pessima concentrazione!”-.

 

Gli sorrido, non so chi sia questa Betty, sinceramente sto entrando così nella parte che Betty potrei essere anche io.

Per un attimo sembra essere tornato serio, si guarda incerto le mani, poi alza il volto e mi sorride.

 

-“Sarebbe così gentile da dirmi che ore sono?!”-. Lo guardo, non posso replicare, devo essere accondiscendente.

-“Sono le dieci e mezza.”-.

-“C’è una chiesa qui vicino?!”-.

-“Più di una.”-.

-“Lei ha tempo per me?!”-.

-“Sono qui apposta. Prego, mi dia la mano, la faccio scendere e andiamo in chiesa insieme.”-.

 

Tentenna un attimo, poi allunga il braccio verso il mio.

Mi avvicino in un baleno, pochi attimi e potrebbe deconcentrarsi; lo aiuto a scavalcare, poi di peso lo tiro verso me.

Mi finisce fra le braccia, si alza immediatamente arrossendo un po’, poi si sistema i vestiti.

Lo tengo per mano, ci voltiamo verso le scale, trovando un mucchio di persone ad aspettarci.

Lui mi stringe la mano, poi si nasconde dietro le mie spalle; anche lui non ama la polizia.

 

-“Piacere signora, sono Luisa Miller, psicologa”-. Una donna mi stringe la mano, venendomi incontro –“complimenti è riuscita a destarlo, io stessa non avrei saputo fare di meglio!”-.Le sorrido falsamente, sorpassandola.

 

-“Signora deve lasciare una deposizione!”-. Un uomo in divisa mi blocca il passaggio. Come vorrei essere pazza anche io in questo momento!

-“Senta non ho nulla da depositare, questo è mio nonno, sa ha qualche problemino mentale, lo avevo affidato alla badante ma lo sa come sono queste straniere, sono delle sfruttatrici e basta! Si è distratta e lo ha lasciato solo. Fortunatamente sono arrivata in tempo.”-.

-“Si ma…”-.

-“Senta stiamo tutte e due bene, nessuno si è fatto male per cui non vorrei farle perdere del tempo prezioso. Questa città è piena di banditi!”-. Gli sorrido, se convinco anche lui, cambio mestiere all’istante!

-“La lascio andare stavolta, ma badi che non succeda più. E la straniera, vuole denunciarla?!”-.

-“Non si preoccupi starò più attenta. E per la denuncia lasciamo perdere. Arrivederci!”-.

 

Lo supero trascinandomi il “nonnetto” con me.

Questo mi sorride, sollevato, più sereno di prima; in un attimo, siamo sul fondo della strada.

La gente ci fissa, qualcuno batte le mani, qualcun altro prega; ma dura poco, dopo un po’ tutto torna alla normalità.

Siamo sotto al mio ufficio, dall’altro lato della strada; lo esorto ad entrare con me, ma lui resiste.

 

-“Eludere la legge è un reato grave. Se io vengo su con lei, quelli mi vengono a cercare.”-.

-“Ah! Ma io l’ho salvata! Dovrebbe essere riconoscente!”-. Adesso sono semplicemente me stessa, Sibilla.

-“Io non sopporto i luoghi chiusi. L’aspetto qua.”-.

-“Allora mi aspetti qui, ci metto pochissimo.”-.

 

Annuisce, solo allora mi decido a lasciarlo per rientrare in ufficio.

Una volta entrata, Lucia mi assale di domande.

 

-“Senti ti spiego tutto domani, adesso devo andare! Me lo firmi tu il permesso?!”-.

-“Lila sicura che è tutto a posto?!”-.

-“Sì, non ti preoccupare.”-.

-“Senti stai attenta, ok?! E va tranquilla, il permesso te lo firmo io.”-.

-“Ok, grazie! A domani Lù.”-.

 

Quando esco, sono stranamente felice, contenta.

Sembra non vedo l’ora di stare con un pazzo; infondo è così, non so cosa mi abbia fatto, ma voglio aiutarlo, capirlo.

E sono curiosa, e per un attimo le mie preoccupazioni non esistono più.

 

Ma giro l’angolo e di quell’ uomo, non c’è più traccia. Svanito.

Mi volto prima a destra, poi a sinistra; lo cerco, fra il vuoto, fra il niente.

Ma lui se n’è andato.

E una folata di vento alza polvere nel cielo e la deposita proprio lì, infondo al mio cuore, lasciandovi una tristezza che non avrei mai saputo spiegare. Mai.

 

 

 

 

  
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