Essere un jonin
comportava diverse e non poche responsabilità.
Essere un jonin donna comportava diverse e molte responsabilità.
Si sa, una donna,
oltre al lavoro, deve pensare alla casa, alla famiglia, al marito e ai
figli.
Per questo a Konoha
le kunoichi decidevano di mettere su famiglia abbastanza presto, quando erano
ancora giovani e nel pieno delle loro forze.
Tenten, in tutta la
sua vita, non aveva conosciuto donne che avessero avuto più di due figli: lei
era figlia unica, Lee anche, Neji pure. Poi c’erano Hinata e Hanabi, Kiba e
Hana, e c’erano stati i fratelli Uchiha. Aveva conosciuto kunoichi che non si
erano mai legate a qualcuno, come Tsunade-sama, e lei era arrivata in alto, era
diventata prima uno dei tre ninja leggendari, poi Hokage.
Fin da piccola,
Tenten aveva avuto grandi sogni di gloria, si era sempre immaginata come una
ragazza forte e combattiva, che mai e poi mai avrebbe perso la testa per un
ragazzo. Non perché non credesse nell’amore, ma semplicemente perché non le
interessava.
Questo era il suo
pensiero, finché Neji non l’aveva baciata per la prima
volta.
Hurricane
No matter how many days I die, I will never
forget
No matter how many lies I live, I
will never regret
There’s a fire inside of this heart in a riot
about
to explode into flames
1 di
2
A detta di Ino,
Neji il più delle volte era inquietante, più di Shikamaru.
Sorrideva poco e
non dava molta confidenza alle persone, ma Tenten sapeva perfettamente che non
lo faceva di proposito. Era soltanto il suo modo di essere, perché non si poteva
certo dare tutta la colpa a Hiashi Hyuuga.
Però lei sapeva che
Neji, quando voleva, sapeva anche essere passionale. Non dolce o romantico, ci
mancherebbe, ma ogni tanto si lasciava sopraffare dai suoi sentimenti e
diventava quasi umano, un uomo che oltre a difendere il proprio villaggio,
provava anche amore. Verso di lei.
E ogni volta che
formulava quel pensiero, Tenten provava sempre un brivido dietro la schiena,
perché non riusciva a capire come mai un ragazzo fantastico come Neji avesse
potuto innamorarsi di una come lei.
Si amavano, di
questo non avevano mai fatto mistero. Lui glielo aveva detto chiaro e tondo la
prima volta che erano usciti ufficialmente per un
appuntamento.
Neji era un tipo
diretto, che non si lasciava condizionare da quello che era il protocollo di
comportamento comune.
Solitamente un
ragazzo, prima di dichiararsi, corteggiava per un po’ la ragazza che gli
interessava; la portava fuori a cena, le faceva regali, cercava di passare ogni
momento libero con lei. Poi, se era sicuro che i suoi sentimenti fossero
ricambiati, si confessava.
Più o meno era
quello che aveva fatto Naruto, anche se ci aveva messo anni per far cadere
Sakura ai suoi piedi. Questo era quello che stava facendo Shikamaru con Ino,
anche se lui non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, neanche sotto
tortura.
Neji aveva saltato
tutto quello ed era arrivato dritto al punto, senza nemmeno lasciarle il tempo
di abituarsi all’idea.
Ma in fondo, a
Tenten Neji piaceva anche per quello.
Neji le si era
avvicinato, porgendole un braccio per aiutarla negli
spostamenti.
Il giorno dopo la
fine della guerra, Tenten si era ritrovata in infermeria con una gamba
ingessata, confinata a letto da Sakura che in quei giorni sembrava un
robot.
Ma c’erano troppe
cose da fare, come aiutare a ricostruire Konoha, aiutare i feriti, contare i
morti. Poi doveva ritrovare la sua famiglia in tutto quel macello, e restare
ferma a letto era certamente l’ultima cosa che voleva.
Per questo Neji,
senza rimproverarle nulla, aveva deciso di aiutarla quando l’aveva vista
scendere dalla brandina dell’infermeria.
«Se Sakura dovesse
chiederti qualcosa, tu non hai visto nulla» gli aveva intimato, mentre si
aggrappava a lui per camminare.
Neji aveva risposto
con uno dei suoi soliti mugugni, come segno d’assenso. O semplicemente non
gliene importava granché.
L’accompagnò fino
alla tenda delle Registrazioni, dove venivano denunciati i ninja disperarsi e si
organizzavano le squadre di ricerca.
Tenten ebbe un
attimo di esitazione nel vedere Iruka-sensei riferire a una giovane donna che il
proprio marito era stato ritrovato morto. Ebbe un attimo la visione di lei che
chiedeva notizie dei suoi genitori e Iruka che le diceva che erano morti anche
loro.
Sarebbe stato un
duro colpo.
Neji si accorse di
quel suo turbamento e di come il suo corpo avesse cominciato leggermente a
tremare. La fece sedere lentamente sull’erba, ben attento a non forzarle la
gamba ingessata.
«Stai bene?» le
chiese apprensivo, guardandola negli occhi.
«Certo… devo solo
calmarmi un attimo. I miei stanno bene, lo so, me lo sento» rispose Tenten con
un filo di voce. Stava cercando di auto convincersi che tutto sarebbe andato
bene. Avrebbe ritrovato la sua famiglia, suo padre era un buon jonin e sua madre
se la sapeva cavare: non doveva temere niente.
«Certo che stanno
bene» fece Neji, fermo nel tono di voce. Tenten lo guardò perplessa, non capendo
se la stesse rincuorando o meno.
«L’ho chiesto a
Iruka, questa mattina. Immaginavo che fossi preoccupata. E’ meglio ricevere una
brutta notizia da qualcuno che sia tuo amico, no?».
Tenten rimase in
silenzio e nella sua testa tutta la frustrazione e le paure di quelle settimane
di guerra si sciolsero come cera, portandola a piangere come una
bambina.
«Grazie» gli
mormorò appena, tentando invano di nascondersi gli
occhi.
Neji si fece
sfuggire un sorriso, aiutandola a tirarsi in piedi, ma prima che Tenten se ne
potesse rendere conto, lui le aveva appena sfiorato le labbra con le sue, in un
gesto del tutto innocente.
Si guardarono per
pochi secondi, lei confusa e lui impassibile. Poi Neji se ne andò, lasciandola
da sola.
Erano ormai due
anni da quando avevano deciso di fare coppia fissa.
Avevano diciassette
anni quando era finita la guerra e lui le aveva regalato il primo bacio, senza
poi pretendere niente in cambio. Non era neanche mai tornato su quell’episodio,
si comportava come se il tutto fosse stato solo una mera illusione della sua
mente.
Avevano vent’anni
quando lei si era presa un appartamento tutto suo e lui le aveva riferito, come
se niente fosse, che usciva con un’altra ragazza.
Avevano ventidue
anni quando erano usciti la prima volta assieme e lui le aveva confessato di
amarla.
Adesso, due anni
dopo, Tenten guardava perplessa la sua figura allo specchio. Si soffermò in
particolare sui capelli in disordine, le guance scavate e gli occhi
lucidi.
Si mise di profilo,
adocchiando il seno che nelle ultime settimane si era gonfiato, scendendo giù
fino all’addome piatto e con ancora gli addominali
accennati.
Forse si stava
sbagliando, forse il suo ritardo non era dovuto a una gravidanza, ma solo al
troppo lavoro.
Insegnare
all’Accademia e allo stesso tempo svolgere le missioni era dura, ma era anche
necessario.
Un colpo di tosse
richiamò la sua attenzione e Sakura le sorrise dallo specchio; indossava il
camice bianco e in mano teneva una cartellina di plastica, con dentro i moduli
per la visita. Aveva i capelli raccolti in un codino piccolo e strampalato e la
sua espressione era calma e serena: stava bene, a differenza
sua.
«Mi hai fatto
preoccupare al telefono, sembrava una questione di vita o di morte!» Sakura si
chiuse la porta alle spalle.
Scrutò per qualche
istante Tenten, cercando di capire cosa potesse turbare l’amica. A parte la
faccia sbattuta e il colorito perlaceo, le sembrava in
forma.
Le fece cenno di
mettersi a sedere sul lettino, ma lei si mosse in direzione della sua borsa,
pescandone fuori una scatolina sottile e rettangolare, abbastanza lunga da
contenere un test di gravidanza.
Sakura spalancò gli
occhi quando Tenten glielo porse, imbarazzata.
Era
positivo.
«Tenten…».
«Può sbagliare,
vero?».
«Sì, ma è una
percentuale molto bassa e…».
«Può sbagliare,
vero?» ripeté ancora Tenten, quasi sul punto di mettersi a piangere, «Insomma,
quando lo fece Ino sbagliò, no?».
«Questo perché Ino
non sa leggere le istruzioni: fa tutto di fretta senza
pensare!».
Sakura lesse negli
occhi dell’amica lo sconforto e quel briciolo di speranza che ancora persisteva
dentro di lei.
La fece sdraiare
sul lettino e le alzò la maglia quel tanto che bastava per scoprirle il ventre.
Accese la macchina per l’ecografia e spalmò una generosa quantità di gel con la
sonda, aspettando di vedere qualcosa sul monitor.
Tenten si voltò
nella direzione opposta, timorosa di ricevere una conferma ai suoi
timori.
Sentì Sakura
sospirare.
«Tenten… sono quasi
dodici settimane».
«Ne sei
sicura?».
«Tenten, almeno
guarda…».
«No».
Sakura rimase in
silenzio, osservando sullo schermo il bambino della sua amica. Era piccolo e
sfocato, ma aveva riconosciuto i lineamenti della testa, del naso, delle
mani.
Spense tutto e
porse a Tenten un pezzo di carta per pulirsi la pancia.
Si mise a sedere
sulla sedia della scrivania, aspettando che l’amica si ricomponesse.
Tenten aveva
cominciato a tirare su col naso e cercava di bloccare le lacrime, perché non le
piaceva farsi vedere debole e vulnerabile, neanche dagli
amici.
«Ti va di
parlarne?» le chiese Sakura, con delicatezza.
«Non c’è niente da
dire».
«Io credo di sì.
Perché questa non è una reazione normale a una notizia del
genere!».
Tenten si appoggiò
al lettino, puntando lo sguardo sui suoi piedi.
«Per caso… tu e
Neji avete litigato?».
La ragazza rimase
in silenzio e Sakura lo interpretò come una negazione.
Cercò nella sua
testa se il motivo potesse essere un altro, ricordando le ultime conversazioni e
gli ultimi pettegolezzi che si erano scambiate lei e Ino, alla ricerca di
qualcosa che l’aiutasse a fare chiarezza.
«Lui… non vuole
avere figli» sussurrò Tenten, sospirando rassegnata.
Sakura fu sorpresa
da quella rivelazione, ma rimase in silenzio, aspettando
chiarimenti.
«Mi ama, ma… non li
vuole, tutto qui».
«Non voglio avere
figli».
Tenten si bloccò,
con le mani insaponate e un piatto tra le mani, che per poco non era cascato nel
lavello, frantumandosi.
Neji era seduto al
piccolo tavolo della cucina, intento a sbucciarsi un
mandarino.
Per tutta la sera
avevano riso di come Ino, sbadata, si era convinta di essere rimasta incinta a
causa di un ritardo di pochi giorni. Era anche andata a comprare un test di
gravidanza, che era risultato positivo.
Solo che poi la
giovane Yamanaka si era accorta di aver letto male le istruzioni, che nessun
bambino stava arrivando, e ciò aveva portato un po’ di malinconia nel suo umore.
Nonché aveva
evitato una sincope al povero Shikamaru.
Avevano parlato
solo di Ino; Tenten non aveva fatto alcun accenno al suo desiderio, un giorno,
di diventare madre, ma aveva sperato che Neji entrasse in argomento e magari
manifestasse la stessa intenzione.
Ma adesso quella
confessione l’aveva del tutto spiazzata.
E un po’
impaurita.
«Non vuoi avere
figli in generale… o non vuoi averli con me?» si azzardò a dire, chiudendo il
rubinetto dell’acqua.
Neji la guardò con
tranquillità, come se stesse affrontando un argomento
qualsiasi.
«Sai che le cose
ora sono diverse nel mio clan… ma non voglio avere figli che passino quello che
ho passato io. So che Hinata, quando prenderà in mano l’eredità di Hiashi sama,
non mi chiederà mai nessun sacrificio. Ma è inevitabile che io ne compia alcuni,
è mio dovere proteggerla. Se è necessario, un giorno potrei anche arrivare a
sacrificare la felicità dei miei figli, se il clan lo ritenesse necessario.
Perciò non voglio averne. Mi capisci?».
Tenten annuì piano,
senza trovare la forza di dire altro, e tornò a lavare i
piatti.
Lo capiva e lo
amava ancora di più per quel pensiero.
Ma dentro aveva
cominciato ad avvertire come una specie di vuoto, come se le avessero tolto
qualcosa.
Ma non sapeva dire
con certezza cosa fosse.
Neji sonnecchiava
sul divano, le braccia aperte sullo schienale e la testa reclinata all’indietro.
Era appena tornato
da una missione e il mattino seguente sarebbe dovuto ripartire per due giorni.
Tenten gli aveva
detto che forse era il caso che restasse a villa Hyuuga per quella sera, che là
certamente si sarebbe riposato meglio; ma lui l’aveva bellamente ignorata e
durante la sera l’aveva raggiunta, come spesso faceva. Ormai neanche bussava
più, entrava direttamente con il doppione della chiave, come se quel piccolo
appartamento fosse stato anche suo.
Durante la cena,
aveva cercato in vari modi di dirgli di quel piccolo problema che aveva in pancia, ma tutte
le volte che prendeva coraggio, una vocina fastidiosa nel cervello continuava
ripeterle “e se decide di
lasciarti?”.
Non lo avrebbe
fatto.
Ne era quasi sicura.
Solo che quel
“quasi” l’aveva martellata per tutta la serata, finché Neji non si era
appisolato mentre guardavano la televisione e le sue opportunità erano
svanite.
Poggiò la testa
contro un braccio di Neji, osservandone il profilo del viso, del mento, giù fino
alla gola con il pomo d’Adamo.
S’immaginò il suo
bambino con quelle fattezze, con quei tratti delicati, con i suoi occhi bianchi
e l’espressione imbronciata. Magari avrebbe preso il naso di lei, più sottile e
più a punta, ma nel complesso sarebbe stato bellissimo. O
bellissima.
Sospirando, Tenten
spense la televisione e con delicatezza scrollò una gamba del ragazzo, cercando
di svegliarlo.
Neji aprì
lentamente gli occhi, rimanendo nella sua posizione, un po’ frastornato; a
Tenten veniva da ridere, lui faceva un’enorme fatica a svegliarsi e a mettere in
moto i sensi.
«Ti conviene andare
a letto o domattina sarai pieno di dolori…» lo ammonì, come una
madre.
Neji sbadigliò per
tutta risposta, stiracchiandosi la schiena e le braccia.
«Giuro che quando
torno mi prendo una vacanza».
Si alzò dal divano,
diretto verso il bagno.
«Tu non vieni?» le
chiese, vedendo che era rimasta a sedere.
«Tra poco» aggiunse
Tenten, sorridendogli.
Lo osservò, mentre
con passo strascicato entrava in bagno e iniziava a lavarsi i
denti.
Decise che gli
avrebbe parlato, ma solo quando sarebbe tornato dalla missione. In quel momento,
voleva solamente stargli accanto.
Quando finalmente
s’infilò sotto le coperte, pronta per dormire, Neji l’avvolse con le sue
braccia, immergendo il viso nei suoi capelli. Era un gesto talmente romantico,
che Tenten per un attimo pensò che in qualche modo lui avesse intuito
qualcosa.
Si dovette
ricredere quando senti una sua mano intrufolarsi sotto la
maglia.
«Ma tu non eri
stanco?» gli chiese, voltandosi nella sua direzione.
«Ero. Ora sono
sveglio».
Neji premette la
bocca contro quella di Tenten, dando subito inizio a quella danza notturna. La
sovrastò con il suo corpo, sfilandole subito la maglia, lasciando i seni in
balia del freddo.
Glieli baciò
famelico, toccandole i capezzoli che subito diventarono turgidi. Con la bocca
scese fino all’ombelico, baciando con delicatezza il suo addome; Tenten
s’irrigidì.
Chissà se poteva
sentirlo?
Ma quando Neji
passò oltre, arrivando all’elastico dei pantaloni, un singhiozzo le sfuggì dalle
labbra, un singhiozzo che avrebbe dovuto sopprimere.
«Ten, tutto bene?»
chiese subito lui, alzando la testa di scatto.
Tenten avvertì una
punta di panico nella voce di Neji. Avrebbe potuto scommettere che anche i suoi
occhi riflettevano quell’incrinatura, ma era troppo buio per poterli vedere con
chiarezza.
«Sì. Non ti
fermare, ti prego».
E lui non se lo
fece ripetere due volte.
Naruto © Masashi
Kishimoto
“Hurricane” – fan
fiction © Elpis Aldebaran
“Hurricane” – dall’album This is War, 2009 © 30 Seconds to Mars