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Autore: ryuzaki eru    29/09/2011    6 recensioni
(Nel cap. 1 scheda in stile "Death Note 13 How to read")
Un lento crescere di strani ed apparentemente trascurabili eventi. Una ragazza comune, preda di una situazione incomprensibile. L’apparente iniziale assenza di tutto ciò che riguarda il mondo di Death Note, così come voi lo conoscete. Ma tutto quell’incredibile mondo c’è! Kira, Tokyo, il quaderno. Ed Elle arriverà… Perché volevo continuare a vederlo parlare, muoversi, ragionare.
Elle era in piedi sul marciapiede e con gli occhi spenti la osservava, mentre strusciava svogliatamente il dorso del piede su un polpaccio...
«Ciao, Ryuzaki…» tentennò Emma «Allora…sai dove vivo… Ed io non te l’ho mai detto! Quindi…»
«Quindi?» le chiese lui vagamente irriverente.
«Quindi immagino tu sappia altro... Il punto è da quanto tempo sai!»
Elle smise di grattarsi il polpaccio e portò il piede a terra «No. Il punto è che da ora la smetterai di giocare da sola a questa partita.» la gelò.
La voce le arrivò dritta alla testa, come una tagliola affilata.
Il suo sguardo impassibile e freddo la trapassò.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Another world'
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Eccolo… Dire che sono terrorizzata è dire poco…
 
Alcuni dei personaggi che appariranno non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 6. Butter cookies
 

(Dal capitolo precedente)
Piano piano che procedeva, l’alto fusto di uno degli alberi stava scoprendo la figura di una persona di spalle, seduta sul tronco riverso sul prato…
Un’immagine familiare…
Le bastò un attimo…

 
Non era esattamente seduta…
Era un mucchietto bianco appollaiato…
Una testa corvina…
Santo cielo… Non può essere… Oddio…
Continuò mentalmente a sbigottire con altre esclamazioni di questo genere ed a camminare in modo meccanico, per inerzia, con il cuore martellarle letteralmente in gola.
Si avvicinava sempre di più, scendendo il sentiero…
…Una schiena longilinea, asciutta e curva, rannicchiata alle gambe in una comoda maglietta bianca…
Dal sentiero passò a camminare sul prato alla sua destra… Le gambe molli si muovevano da sole…
E non si trattava di essere senza parole, senza pensieri, senza voce! Adesso era veramente fuori di sé…
E ora che faccio?! Mi avvicino? Continuo a guardarlo da lontano? No…
Rallentò appena l’andatura…
L’angolazione lentamente cambiò, mano a mano che procedeva. Ora ne scorgeva un po’ il profilo…
Le estremità delle dita della mano destra sostenevano il bordo in alto di un libro aperto e sospeso davanti al volto.
La sinistra morbidamente poggiata sul ginocchio…
E poi…? Oddio! E poi?
Il lungo collo proteso in avanti, dritto… Le spalle chiuse, incurvate verso il petto. I capelli nerissimi, lisci, tanti, disordinati. Il volto pallido, quasi candido. 
Era vicinissima adesso. Sotto l’ombra degli alberi, quasi all’estremità del tronco…
Le scarpe bianche e logore erano per terra, ai piedi del tronco, sotto di lui. Le pieghe dei morbidi jeans dietro le ginocchia. La molle curva di due scure e profonde occhiaie, le labbra lattee, il profilo lievemente prominente delle ossa dello sterno e della clavicola sinistra, visibili sotto la pelle chiara, all’attaccatura del collo, lì dove il girocollo della maglietta non arrivava…
C’era qualcosa di vagamente sensuale… 
Adesso Emma era all’estremità del tronco.
E i battiti del suo cuore le ovattavano i timpani.
Non poteva più guardare… Ci saranno stati massimo due metri tra di loro!
Lui però non si mosse.
Emma si voltò, si tolse lo zaino e lo posò alla sua destra insieme alla giacca. Poi si sedette sull’erba, con le gambe incrociate. Appoggiò la schiena agli anelli circolari concentrici del fusto tagliato. Fece un sospiro grande, ma controllò l’aria che usciva, per non fare rumore.
Lui era alle sue spalle! Proprio “Lui”!!!!! Reale, in carne ed ossa, ma incredibilmente lui…
Come poteva una persona vera essere così identica ad un fumetto? O anche ad un cartone animato? I colori, le sfumature, la definizione dei lineamenti… Come può un disegno essere uguale ad una foto? La pelle, i capelli, le pieghe dei tessuti… In effetti tutto ciò era molto più definito e particolareggiato, ma non stonava niente, tutto ciò che poteva esserci in più era esattamente, perfettamente ed armoniosamente al suo posto… era lui, identico.
Ed era fantastico…
Emma sentì il rumore di una pagina che veniva voltata, poi di nuovo il silenzio.
Si morse il labbro inferiore.
Niente paranoie, niente ansie, niente ragionamenti.
Era incredula, scossa, emozionatissima.
Non aveva ancora metabolizzato la scoperta del giorno prima ed ora…
Ma che diavolo, sempre un attimo prima di mangiare?! Mi strozzerò il pranzo pure oggi!
Le venne da ridere, sdrammatizzando quasi istintivamente…
Che doveva fare?
Insomma, c’erano quelle che avrebbero subito attaccato bottone, quelle che davanti al loro “idolo” si sarebbero sbracciate pur di farsi notare…
Aprì lo zaino e tirò fuori il pranzo. Cercò di fare silenziosamente, mentre col cuore ancora in gola pensava a cosa fare…
Per il momento non era il caso di farsi notare. Il livello di lucidità era sotto zero!
Tolse il coperchio del contenitore ed infilzò svogliatamente un po’ di pasta con la forchetta, tanto per. Le si era chiuso lo stomaco un’altra volta… Ma qualcosa doveva pur fare per ingannare quei momenti assurdi…
Un’altra pagina che girava…
Già un’altra?! Be’, è indubbiamente lui…
Continuò a mangiare.
Un’altra pagina.
Le venne un po’ di freddo, posò il contenitore sul prato, sciolse la felpa dalla vita e la indossò. Era di parecchie taglie in più, i polsi consunti delle maniche arrivavano a coprirle quasi tutte le mani, era comodissima.
Lui sempre immobile. 
Un’altra pagina.
Richiuse il contenitore della pasta e lo rimise nello zaino ancora mezzo pieno…
Non si riusciva a calmare, non ce la faceva a saperlo lì, a sentirlo dietro di sè…
Prese una mela, la addentò con disinteresse ed un bel pezzo si staccò nettamente, mentre continuava a guardare davanti a sé, assorta.
Lui distolse lo sguardo dal libro e girò la testa lievemente, puntando gli occhi spenti nella direzione da cui era provenuto quello schiocco.
Ora aveva notato la presenza di Emma.
Guardò per qualche istante: zaino, mela verde, bandana in testa…
Poi riprese a leggere.
Lei però non si accorse di niente.
Un’altra pagina.
Emma accese una sigaretta.
Un’altra pagina.
E il tempo continuava a scorrere velocemente e lei non sapeva che cosa fare…
Tempo prezioso passato di spalle!
Ma che sono scema!

Prese i biscotti.
Li guardò attraverso la bustina trasparente e le scappò un sorrisetto. Si erano sbriciolati… come sempre… però così le sembravano di più e duravano di più. Aprì il sacchetto, ne fece scivolare uno quasi intero sul palmo della mano ed iniziò a sgranocchiarlo.
Lo finì.
Ne prese un altro pezzo.
«Sono butter cookies vero?»
Cavolo! Lingua italiana perfetta, e poi che voce…particolare, bassa, molto morbida…
Be’, ti pareva! Ovvio che come minimo parlasse una dozzina di lingue alla perfezione!
Allora? Forza e coraggio!!!

Ancora col boccone in bocca Emma chiuse gli occhi, serrò le labbra, ispirò una grossa quantità di aria col naso, la ributtò fuori, allentò la tensione del viso e si voltò.
Lui la stava guardando ora. Nella stessa posizione, mostrandole il corpo rannicchiato di profilo, ma col viso rivolto verso di lei. Gli occhi grandi e nerissimi.
«Uhm, uhm» Mugugnò Emma, annuendo con la bocca ancora piena. Poi ingoiò. Questi pochi istanti le diedero il tempo di riacquistare la sua naturale tranquillità con le persone…«Ne vuoi uno? Anzi, vuoi un po’ di briciole?» Disse Emma sollevando il sacchetto per metterne in mostra il contenuto malamente ridotto.
Lui posò il libro e si avvicinò gattonando leggero sul tronco fino all’estremità dove si trovava lei.
Poi agilmente si rimise nella stessa posizione rannicchiata, con entrambe le affusolate mani sulle ginocchia, ma questa volta interamente rivolto verso Emma.
Lei si girò completamente e si rimise a gambe incrociate, di fronte a lui. Si ritrovò quegli occhi neri e profondi piantati nei suoi…
Emma non si soffermò sulla sua posizione, non lo squadrò dal basso in alto come fosse stato un alieno, non gli osservò i piedi nudi, né i capelli assurdamente disordinati o le sue occhiaie inquietanti. Gli porse semplicemente il sacchetto, guardandolo dal basso, senza esitare e senza apparire minimamente turbata da quella presenza singolare. Il punto era che Emma “veramente” non era turbata dalla sua presenza singolare… Al massimo avrebbe potuto esserlo ai primi capitoli del manga…Ma ora ci era abituata…anzi, ora le piaceva tantissimo…
L’eventuale bruttezza, la deformità, la stravaganza o anche la bellezza catturano sguardi fastidiosi ed indiscreti soltanto le prime volte. Poi gli occhi si abituano…
Lui allungò una mano per prendere il sacchetto che Emma gli stava porgendo «Grazie. I pezzettini piccoli mi piacciono, sembrano di più e durano di più.»
Stava per infilare le dita dentro, ma si fermò.
Emma lo guardò per pochi istanti e capì.
«Non ti preoccupare, per quanto mi riguarda potresti buttarli per terra e rimetterli nel sacchetto e li mangerei lo stesso. Non sono schifiltosa. Se a te invece dà fastidio che io ci possa aver messo le dita dentro fino a poco fa, non ti preoccupare ugualmente, non mi offendo se non li vuoi mangiare. Comunque prima di mangiare mi sono lavata le mani e le dita non me le sono ancora leccate.» Sorrise Emma, mostrandogli le bricioline sulla mano. «Ehi, sto scherzando! Non ce le ho proprio messe le dita dentro!» Aggiunse alla fine sorridendo.
Stava parlando con lui… ed era incredibilmente a suo agio…
Lui la guardò ancora per qualche breve istante negli occhi, poi distolse lo sguardo dirottandolo verso la bustina e vi infilò la mano dentro, tirò fuori un brandello di biscotto, tenendolo tra il pollice e l’indice e guardandolo. Sollevò la mano all’altezza del naso, come fosse stata un ninnolo pesante sospeso al polso, inclinò un po’ la testa all’indietro, socchiuse le labbra e lasciò cadere il biscotto nella bocca.
Poi, masticando con calma, rimise la mano nella busta e ne prese ancora.
Un pezzetto per volta.
Stessa scena. Per altre due volte.
Grandioso…
Emma aveva sempre adorato quando mangiava…
«Buoni. Li hai fatti tu?» Disse, mentre guardava l’ennesimo pezzetto tirato fuori, prima di ficcarselo in bocca.
Le porse il sacchetto, Emma fece uscire una manciata di biscotti tritati, sempre senza infilare le dita dentro, e glielo restituì.
«Be’, la ricetta è di mia madre, ma c’è anche del mio… Li abbiamo fatti insieme.» Disse Emma mentre lo osservava masticare e prenderne nuovamente.
Le venne da ridere. Era proprio lui. In tutto…
«Li puoi finire. Io non ne mangio più.» Gli disse Emma raggruppando con le dita i frantumi di biscotti che aveva nel palmo dell’altra mano e portandoseli alla bocca.
Lui allora tornò a guardarla, smettendo per un attimo di rimirare i biscotti.
«Veramente non ne vuoi più?» Le chiese, appena stupito, con una faccetta buffa, candida e sperduta…
Eh già… Lui  era anche così…
«Uhm. Uhm» Annuì di nuovo lei con la bocca piena e mille altre immagini di lui nella testa…«Tanto ne ho altri a casa e comunque mi bastano quelli che ho preso. Non mi vanno più. Tieniteli pure.»
Effettivamente non ne voleva più, ma Emma si voleva anche godere la scena il più a lungo possibile. Più biscotti c’erano, più sarebbe durata…
«Grazie. Io non sarei stato così generoso al tuo posto.»
Ad Emma venne in mente la scena in cui lui aveva offerto la “sua” fetta di torta a Light. Quella era stata una grande concessione in effetti…
«Non sono così magnanima. Se si fosse trattato di pizzette o patatine, per me, avresti anche potuto morire di fame. Ma forse quelle non me le avresti chieste.»
Le sfuggì così, senza controllo…
Improvvisamente gli occhi neri e profondi di lui cambiarono impercettibilmente ed Emma se ne accorse… se ne accorse anche se apparentemente la guardava allo stesso modo di prima, ma le occhiaie erano ora come più evidenti…Fosse questo o meno, c’era comunque qualcosa di diverso in quelle pupille lavagna…
«Non ti ho chiesto neanche i biscotti.» Via il candore. Ecco la inevitabile e gentile freddezza.
Eh già… Come contraddirlo…
«Hai ragione. Diciamo che ti sei interessato a loro comunque.» Non si poteva negare neanche questo, a dire il vero…
«Sì.» ammise lapidario. Poi aggiunse «Ed in effetti non mi sarei mai interessato a pizzette o patatine.»
Continuò a guardarla negli occhi, serio.
«Visto? Mi sarebbe andata bene!» Sorrise Emma, riuscendo incredibilmente a sostenere quello sguardo, inquietante per chiunque, ma non per lei…

Sapeva di aver espresso liberamente quello che pensava di lui… anzi, quello che sapeva di lui… Non c’è nulla di male nell’essere schietti e trasparenti. In quel caso il problema era che lei, in una situazione normale,  non avrebbe dovuto sapere assolutamente nulla di lui…
Inoltre, in una situazione normale, e per normale intendo legata al vostro mondo ed a quello di Emma, un tipo strano che si avvicina per dei biscotti e poi punta gli occhi nei vostri sarebbe da allontanare, anche abbastanza rapidamente.


Emma ci pensò un attimo. Le venne quasi da ridere perché lei, invece, ovviamente, si sentiva sicurissima affianco a lui. In verità non si era sentita più sicura in tutta la sua vita!
Quindi, continuando a sostenere il suo sguardo, inclinò un po’ la testa di lato e gli disse tranquillamente «Devo darmela a gambe? Non hai uno sguardo molto rassicurante, sai?»
«Mhm.» Replicò secco lui, continuando a scrutarla.
Dopo qualche istante smise di fissarla e riprese a sbocconcellare i dolcetti.
Poi, con lo stesso tono di voce di prima, con noncuranza e continuando a rimirare i pezzi di biscotto che prendeva, aggiunse «Fai ciò che vuoi. In verità, finora, ho ritenuto la tua tranquillità degna di nota. Infatti, anche il significato delle parole che hai appena pronunciato contraddice l’atteggiamento: non mi sembri affatto preoccupata o a disagio.»
E continuò a ingoiare biscotti.
«Infatti non lo sono per niente.» Ammise Emma serenamente essenziale.
Mentre lui finiva le ultime briciole, Emma pensava e nel frattempo tirava fuori dallo zaino il termos del caffé
Accidenti, avrò detto sì e no quattro parole ed ha già colto nel segno! Che non sono preoccupata lo so da me, ma in effetti avrei potuto essere almeno un po’ a disagio, roba da ansia da prestazione… E invece non lo sono…
Chissà quanto peso ha dato all’infelice uscita sulla possibilità che non amasse patatine e pizzette… è stato evidente che l’ha notata, ho visto qualcosa di diverso nei suoi occhi… Magari ha pensato che ho tirato ad indovinare… Sì, come no! Va be’, ma mica sospetterà di chiunque a priori, no?! Oddio… è incredibile, io posso vedere i suoi occhi e mi ritrovo a notare le loro differenze e ad interpretare cosa gli passi per la testa come se si trattasse di una persona che conosco da una vita!!!! Ma figuriamoci se posso capire cosa gli passa per quella testa…
Però mi viene così naturale essere tranquilla e comportarmi come se lo conoscessi bene…
E che male c’è? Io sono fatta così! In fondo, fra poco, dovrò salutarlo e non potrò mai più rivederlo.

Lui stava passando ora alla fase della pulizia: stava accuratamente e rumorosamente leccando dalla punta del dito pollice e dell’indice ogni residuo di biscotto rimasto.
Emma si guardò un attimo le mani e le gambe, poi disse, ridendo:
«Fantastico! Sei riuscito a sporcarti, poco, solo il pollice e l’indice! Io ho mangiato molti meno biscotti di te, ma ho entrambe le mani unte di burro praticamente fino al gomito e mi ritroverò le briciole pure nelle tasche dei pantaloni! Però mi sa che ti aiuta anche la posizione…» Concluse Emma piacevolmente pensierosa.
Era la prima volta che ci rifletteva. Quella postura impediva anche che qualunque cosa stesse ingurgitando gli cadesse addosso…
«Mi dà fastidio sporcarmi. La posizione mi favorisce in molti modi.»
«Già. Non la adotteresti altrimenti.» Si mangiò la lingua ed evitò domande strane o indiscrete, del tipo “In cos’altro ti favorisce?”. Qualunque persona con un briciolo di curiosità glielo avrebbe chiesto, dopo quella risposta… Per Emma fu dura tenersi, ma non per la curiosità… Avrebbe dato qualunque cosa per sentirsi dire, dal vero, “Aumenta le mie capacità intellettive del 40%”!!!
Ma me lo direbbe poi? No… Probabilmente no. Non lo va mica a dire alla prima capitata. O forse sì… In fondo mi ha detto che la posizione lo favorisce in molti modi… mi ha praticamente dato il “la”…
Avrebbe dato qualunque cosa, ma fu discreta e glissò la questione…
Quindi disse soltanto «Potrei offrirti un po’ di caffé. È un espresso fatto con la moca di casa, ma non è molto zuccherato… »
«Quanto poco zuccherato?»
«Due cucchiaini per una quantità di caffé pari a tre tazzine… Non riesco proprio a berlo se è tanto dolce e non avevo in programma di offrirlo a nessuno, altrimenti avrei portato altro zucchero.» …Sì, magari un pacco di zucchero da un kilo!
«Io non lo bevo amaro.»
Lo so… «Allora me lo berrò tutto io! La mossa gentile la dovevo fare!» Concluse Emma attaccandosi all’imboccatura del termos e sorseggiando un po’ di caffè.
«Perché hai specificato che era espresso e che c’era poco zucchero?»
Ma cos’ è questo terzo grado?! Nella realtà è poco piacevole… «Be’ mi è venuto spontaneo, però probabilmente a pensarci bene avevo delle motivazioni. L’espresso perché, nonostante il perfetto italiano, mi sembri straniero e quindi forse ti aspettavi un caffé diverso. Lo zucchero perché io, ad esempio, avrei la nausea nel bere un caffé con un quintale di zollette e perciò avrei voluto sapere, al tuo posto. In generale perché i gusti e le abitudini delle persone sono illimitati ed io non posso certo conoscere quelli di tutta la gente che incontro per strada!»
Anche questa era una mezza verità. Ma non era una menzogna.
«Uhm.» Fu la sua risposta impenetrabile.
Emma non si scompose per niente. Si potrebbe quasi dire che c’era abituata.
Poi si distrasse un attimo, notando qualcosa alle spalle di lui…
«Ma che diavolo… Scusami un secondo!» Emma si alzò e cominciò rapidamente a camminare sul prato. Poi si voltò un attimo «Lascio le mie cose qui, tanto torno subito! Grazie!» E si girò di nuovo.
Lui la seguì con lo sguardo.
Emma raggiunse un tizio che si era fermato sul sentiero poco lontano.
Si chinò e raccolse da terra una lattina che lui si era lasciato alle spalle.
Poi gli si rivolse in un inglese perfetto con una pronuncia invidiabile «Ehi. Credo che le sia caduta questa. Guardi, c’è un secchio poco più avanti.» E gli sorrise.
Ovviamente non gli era caduta. Ce l’aveva proprio buttata ed Emma se n’era accorta!
Quello rimase un attimo stupito. La guardò per bene da capo a piedi, senza fiatare. Poi prese la lattina ed annuì.
«Buona passeggiata!» Concluse Emma.
«Grazie…» Farfugliò il tizio girandosi, lanciando un’ultima occhiata interrogativa alla sua testa fasciata di rosso, alla felpa informe, alle sue scarpe infangate e probabilmente allo strano tizio raggomitolato sul tronco poco dietro di loro.
Emma quindi ritornò in dietro e si sedette di nuovo a terra di fronte a lui che aveva continuato a guardarla. «Ci sei riuscita con le buone maniere…» Osservò, ma rivolgendolesi in inglese questa volta.
Emma scartò lievemente il capo, guardandolo di sottecchi con un sorrisetto strano, come compiaciuto del fatto di sentirlo parlare nella sua lingua madre… E naturalmente subito dopo raccolse l’input, rispondendogli allo stesso modo e modificando da quel momento in poi la lingua della loro conversazione.
«Sì. Ma i sorrisini e le buone maniere non sono sempre sufficienti.»
«Sono d’accordo» Ribattè lui.
I rintocchi delle campane le ricordarono che aveva ancora solo un quarto d’ora prima di ritornare dalla pausa pranzo e doveva anche passare in bagno, che era dall’altra parte dell’area archeologica ed avrebbe trovato sicuramente la fila. Quindi cominciò a rimettere le cose nello zaino, cercando di farci entrare anche la giacca. Il tutto con lui sempre placidamente appollaiato sul tronco che la guardava armeggiare.
«Vai via?» Le chiese candidamente.
«Sì. Devo andare.» Rispose lei senza alzare gli occhi.
«In quale scavo stai lavorando?»
Cavolo!
Emma alzò lo sguardo e lo fissò senza dire nulla, con una lieve ma evidente ombra di stupore negli occhi. Le venne spontaneo, anche se avrebbe dovuto aspettarselo.
E lui, con una calma ed una impassibilità evidenti cominciò «Scarpe da lavoro infangate, abiti comodi e non curati, terra sui pantaloni, pranzo al sacco organizzato, in un orario da cantiere edile. Siamo in un’area archeologica e difficilmente puoi essere un operaio. Certamente sei un’archeologa e stai lavorando, perché se fossi stata ancora una studentessa non saresti stata sola e forse il tuo abbigliamento sarebbe stato molto meno usurato e probabilmente un minimo più ricercato e grazioso, ma su questo non sarei sicuro… E comunque, soprattutto, non ho visto gruppi di studenti nelle aree transennate. Evidentemente questo non è periodo di scavi archeologici universitari. Allora, dove stai lavorando?»
Emma rimase ancora un istante in silenzio. Poi si guardò i polsi logori della vecchia ed enorme felpa.
«Sulla terrazza a nord ovest, è solo un microsondaggio superficiale. Comunque grazie della spiegazione. Il punto interrogativo sulla mia faccia doveva essere davvero enorme.
In realtà sul cantiere vestivo così anche quando facevo l’università… forse anche peggio… La tua affermazione forse è un po’ legata ad un modello convenzionale di studentessa.» 
«Meno enorme di quanto pensi (il punto interrogativo intendo). Per quanto riguarda la studentessa, non mi riferivo ad un modello ideale convenzionale, ma ad una tipologia di gran lunga prevalente. E comunque, infatti, ho aggiunto “forse”, ventilando la possibilità che tu potessi far parte di un’altra tipologia di persone.»
Emma inclinò la testa da un lato, dubbiosa.
«Ah, quindi è un fatto di quantità, di tipologia maggioritaria o minoritaria… Non mi sento tanto “tipologia” però… Comunque non importa.» E sorrise, continuando a cercare di far entrare la giacca e tutto il resto nello zaino già pieno zeppo.
Lui rimase un po’ in silenzio, rimuginando qualcosa e appoggiò il pollice sul labbro superiore.
«Noto che non ti offendi. Ripensandoci avresti potuto.»
Emma alzò di nuovo lo sguardo su di lui.
…No…Si sta mordendo il dito…
«Di cosa avrei dovuto offendermi? Non c’era nulla di offensivo nelle tue parole. Hai semplicemente descritto ciò che hai osservato. Se avessi detto qualcosa di inesatto te lo avrei fatto notare. Ma non è stato così e comunque non mi sarei offesa. Non lo faccio mai. Anzi. In verità, tra le tue varie argomentazioni, non hai minimamente accennato al fatto che non potrei essere una studentessa perché sono grande, di età intendo. Immagino che se lo avessi pensato me lo avresti detto senza farti troppi problemi, anzi, senza farti alcun problema. Mi va benissimo!»
«Questo sarebbe stato impossibile. Hai l’aspetto di un ragazzino adolescente.» Disse lui lapidario, sempre con lo stesso tono di voce disinteressato.
Emma scoppiò a ridere.
«Ecco appunto. A proposito del non farsi problemi. Comunque mettiti in fila, sei il terzo questa settimana ad avermelo detto!»
Poi guardò l’ora.
«Perché adesso non c’entra più niente qui dentro?!» Vociò davanti allo zaino aperto. Lo prese e ne rivoltò tutto il contenuto sull’erba. Una tavoletta per i disegni, un astuccio, un quaderno stropicciato, una risma di fogli da lucido in una bustina di plastica, una cazzuola impolverata, un decametro per prendere le misure, una lavagnetta, una macchinetta fotografica, il primo numero di He… Lui lo guardò. «Ti piace He? »
Emma osservò un attimo il fumetto. Poi ricominciò a mettere ordinatamente le cose nello zaino, cercando di ottimizzare gli spazi e rispose, sempre a testa bassa, mordendosi il labbro inferiore, con un tono di voce meno squillante.
«Bella domanda… Una di riserva non ce l’hai? Sì, sono sicura del fatto che mi piaccia e che rispecchi i miei gusti in fatto di manga… Ho tutti i volumi a casa… Tuttavia devo ancora cominciare a leggerlo. Pensavo di iniziare oggi in pausa pranzo. A te piace?»
«Sì.»
Pare che io me lo debba proprio leggere questo He
Poi lui si voltò e ricominciò a gattonare sul tronco verso il punto in cui aveva lasciato il suo libro. Lo prese e lo riaprì. Emma vide ora di cosa si trattava. Era una delle pubblicazioni accademiche archeologiche sul Palatino, una delle più recenti e di maggiore importanza. Era un testo molto tecnico per addetti ai lavori.
Girò le pagine lentamente, tenendo il libro sospeso e toccandone solo l’angolo in alto. Poi lo voltò verso Emma, mostrandole una mappa dell’area archeologica. Portò il braccio in alto e davanti al libro e, con la consueta mano “appesa” al polso, sfiorò col dito indice un punto della stessa e disse.
«Sei qui?»
«Sì, ma tutta quella zona è chiusa al pubblico.»
«Peccato. Non ho mai visto lavorare un archeologo. Potrebbe essere interessante.»
«Non in questo cantiere. E comunque ho la sensazione che se leggerai qualche testo di metodologia di scavo diventerai anche più capace del luminare che ha scritto quel libro… Sai, scavare significa ricostruire il passato e le sue fasi attraverso la dettagliata osservazione e documentazione di quel poco che resta… Ogni microscopico elemento può fornire un passaggio fondamentale di quella ricostruzione e della catena di eventi… E’ un po’ come il lavoro della scientifica sulle scene del crimine. E studiare i dati di scavo è un po’ come rimettere insieme il puzzle, come fanno i detective…»
Ma Emma non gli chiese se amava i romanzi o i film gialli… Diede per scontato che lui avrebbe capito la sua affermazione, che non avrebbe dovuto aggiungere altro.
«Per questo ho detto che sarebbe stato interessante osservare uno scavo in atto.» Commentò lui, senza spiegare altro.
Eh… E potresti darmi un grande aiuto in questo senso in effetti… Mamma mia… Se solo lui se ne interessasse potremmo raggiungere risultati altissimi nel nostro campo… Va be’, meglio che si occupi dei criminali, è molto più utile lì…
«Io però devo scappare, è tardissimo e devo pure arrivare al bagno.» Concluse Emma senza vergogna.
«Ok, ciao. E grazie dei biscotti.» Disse lui, porgendole il sacchetto vuoto che si era tenuto in mano fino a quel momento e rimettendosi a leggere come niente fosse.
Ma… Perché non se lo butta da solo?! Va be’… Tanto non fa niente da solo…
«Figurati. Ciao… »
A presto… No…
Emma si voltò e si allontanò velocemente. Poi, dopo un po’, si girò di nuovo nella sua direzione. Adesso era nuovamente un mucchietto bianco appollaiato su un tronco, come quando l’aveva visto per la prima volta, da lontano, solo un’ora prima.
Elle. Non lo rivedrò mai più…
 
Uhm... Nella sua testa non lo ha nominato neanche una volta durante tutto il tempo che gli è stata affianco. Non lo ha nominato mai fino ad ora... Ovviamente non gli ha chiesto come si chiama, né si è presentata, come avrebbe voluto la consuetudine o la buona educazione. Ma del resto, non lo ha fatto neppure lui… Sembra quasi si siano tacitamente accordati…
 
Il tempo era trascorso così rapidamente. Lui era stato buffo e stimolante.
Come Emma aveva sempre pensato, non era affatto timido. Anzi.
La timidezza è spesso espressione della poca sicurezza in se stessi. Indiscutibilmente questo non era il caso di Elle. Emma lo aveva ammirato come personaggio anche per la sacrosanta consapevolezza che aveva delle sue innegabili, smisurate e superiori capacità. Caratteristica, questa, che lo aveva portato ad essere odioso agli occhi di alcuni lettori, almeno all’inizio.
La timidezza può essere però anche espressione del timore di essere giudicati diversi, nonostante la consapevolezza della propria intelligenza. Spesso la diversità, la stranezza, il non essere come gli altri, portano alla timidezza. O portano all’omologazione attraverso un difficoltoso, alienante e non sempre fortunato processo.
La peculiarità e l’acutezza della mente di Elle lo avevano reso unico e quindi molto “più diverso” dagli altri. “Più diverso” perché la diversità è la normalità: ogni essere umano è unico, quindi diverso da chiunque altro, tuttavia le somiglianze o le pari capacità intellettive portano gli individui a trovare amici, colleghi, compagni di vita.
Elle era unico, ma raro, anzi rarissimo. La stravaganza della sua persona, la totale noncuranza dei clichès, delle formalità, degli schemi, in sintesi la forzata inesperienza del vivere sociale, lo avevano reso solo, ma esageratamente libero.
Libero dalla paura di sbagliare comportamento, dal timore di urtare le suscettibilità o il comune senso di compostezza. Libero dalla preoccupazione di non essere accettato o di subire un giudizio negativo o una critica. In sintesi libero dagli altri.
La completa libertà e la piena sicurezza in se stessi plasmano una personalità nient’affatto timida. Forse difficile, indecifrabile, incompatibile con molti, sola, ma non incapace di intavolare una qualunque discussione.
Se a ciò si aggiungono un aspetto controverso, ma assolutamente affascinante, la comicità di alcuni gesti peculiari o il candore di alcuni buffi vizi, si ottiene un “personaggio”. È difficile scovare nella realtà un “personaggio”…
Le risultava quasi ridicolo pensare tutte queste cose di lui. Era un paradosso accanirsi sulla personalità del protagonista di un fumetto.
Ma ormai lui non era più tale. Ma ormai era inutile. Ma ormai non lo avrebbe mai più rivisto. Perché se anche in qualche modo fosse successo, Emma sapeva che sarebbe stato ucciso.
Si ritrovò a considerare questa cosa in modo molto più intenso rispetto a prima. Si ritrovò a detestare fortemente quella scelta dei mangaka, che a sua tempo l’aveva fatta rimanere a bocca asciutta, ma che tuttavia aveva apprezzato: quella scelta coraggiosa ed inaspettata aveva reso Light ormai imperdonabile agli occhi di chi ne attendeva una redenzione ed aveva reso Elle immortale.
Ma ora era diverso. Ora sapeva che era una persona vera, per quanto questo sembrasse surreale. Ora l’aveva visto. Ora ci aveva parlato. Ora le cose erano cambiate. Ora le spiaceva in modo troppo diverso.
Il tempo era trascorso così rapidamente. E lei si era divertita.
Si era sentita a suo agio sempre. E questo l’aveva portata a dire quasi tutto quello che pensava. Ciò accade quando si è in compagnia di chi si conosce da molto. Emma sapeva tante cose di lui. Certamente più di quante potessero tutti gli altri, perlomeno in quel mondo.
In fondo l’aveva osservato da vicino, molto da vicino, come era accaduto a tutti coloro che avevano letto Death Note. In alcuni casi aveva “letto” anche i suoi pensieri. Questa era una condizione eccezionale, perché nessuno può “ascoltare” i pensieri degli altri.
La questione però era un’altra. Infatti, nonostante questo, la personalità complessa ed articolata di Elle era rimasta impenetrabile per tutti i lettori. Si era potuto intuire un insieme eterogeneo di aspetti, questo sì. Ma solo intuire, per l’appunto.
Il sentirsi a proprio agio quindi non poteva essere legato solo alla conoscenza. Quello era dipeso da lei e da lui.
Il tempo era trascorso così rapidamente. Emma era stata bene.
L’aveva osservato tutto il tempo divertita, entusiasta, curiosa. L’aveva osservato con attenzione, intenta a carpire nuove espressioni, nuovi aneddoti, esattamente come avrebbe fatto se fosse uscito in edicola un one-shot su di lui, oppure un romanzo o un anime. Con la incredibile e basilare differenza che lei aveva interagito.
Ora le sembrava di aver sprecato tanto tempo a dire sciocchezze. Pensava che avrebbe potuto dire tanto altro. Pensava che avrebbe potuto rimanere lì ancora e al diavolo il lavoro… Pensava che si viveva una volta sola. Che aveva avuto un’occasione irripetibile, anche e soprattutto perché unica e surreale era la situazione fantascientifica in cui era stata catapultata. E invece ora non lo avrebbe più rivisto e poi lui sarebbe morto…
Ma forse… magari…
Si insinuò in quel momento un’idea confusa… Vaga e praticamente irrealizzabile…
Emma accese una sigaretta.
Se quello che le era capitato era assurdo, dalle prime rivelazioni fino all’incontro con Elle, non poteva che pensare assurdità. Tuttavia la circostanza surreale la liberava da ogni freno e giustificava ogni sua scelta.
Cosa ho da perdere? La mia razionalità o la mia vita? Le ho già perse entrambe, dal momento in cui tutta questa storia è iniziata. 
Emma aveva deciso. Non sarebbe tornata indietro. Ora doveva riflettere e definire dettagliatamente quella vaga idea.
Il tempo era trascorso così rapidamente. E lei adesso aveva un progetto davanti a sé.
Doveva averne sempre uno. Quello però era il più incredibile che avesse mai concepito; perché nasceva dall’infanzia profonda che regnava in lei; perché nasceva in quel mondo e quel mondo, in fondo, era quello di un fumetto, era una favola…
…E nelle favole può accadere qualunque cosa e tutto è permesso…
 
 


Allora… Adesso potete sparare a zero…
Il capitolo è più lungo del solito, ma non potevo proprio spezzarlo questa volta!
L'ho riletto molte volte e non riesco assolutamente più ad essere obiettiva su niente… A volte mi piace (poche volte), a volte lo trovo orrendo e penso di aver distrutto il mio amato Elle (e ora sono in quest'ultima fase)…
Quindi posso solo aggiungere poche parole: ovviamente non mi sono avventurata nella mente di Ryuzaki! Ma spero che qualcosa si sia intuito, soprattutto sulla base dei comportamenti di Emma e della sua singolare tranquillità nei suoi confronti… In futuro comunque si comprenderà se e cosa Elle abbia pensato di questo primo incontro… Sempre che vogliate ancora leggere questa storia dopo questo capitolo, che mi fa veramente paura…
Attenderò a braccia aperte ogni critica, perché la mia lucidità è azzerata e non sono in grado di capire e quindi imparare dai miei errori da sola…
 
Grazie, come sempre, a chi ha inserito questa storia tra le preferite ed a chi ha letto fin qui!!
 

Eru

 

   
 
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