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Autore: Norberta_    02/10/2011    6 recensioni
Rubeus Hagrid?!? E chi è costui? Mah! Solo il custode delle Chiavi e dei Luoghi a Hogwarts, solo colui che ha portato un Harry in fasce lontano dalle macerie quel 31 ottobre 1981, colui al quale Silente affiderebbe la sua stessa vita o, semplicemente, il mezzogigante più gentile, generoso e imbranato del mondo. E allora perchè EFP non lo considera nemmeno?? Spero di rendergli un minimo di dignità con questa mia raccolta :)
P.S. Dovrebbero essere drabble, ma ammetto che alcune sono più lunghe di 110 parole, vabbè..
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Siamo arrivati alla fine, ma prima che leggiate devo fare un paio di avvertimenti. Vedrete subito che quest’ultimo capitolo è molto diverso dagli altri. Innanzitutto, è molto più lungo. Inoltre ho lavorato molto più di fantasia rispetto ai precedenti. Ora vi lascio alla storia. Buona lettura.

La fine (o l’inizio?)

Diciannove anni dopo

In quel primo di settembre il cielo era terso e il sole luminoso. Il prato di Hogwarts risplendeva sotto i suoi raggi e i fili d’erba, mossi dalla leggera brezza mattutina, sembravano ballare al ritmo di una musica silenziosa. Il castello troneggiava sulla vasta distesa verdeggiante e il profondo Lago Nero scintillava immobile. Del fumo saliva a spirali dal camino della capanna di legno, al limitare della Foresta Proibita.
Da tempo, la storica dimora del guardiacaccia era stata allargata per ospitare la nuova famigliola, ma, agli occhi di tutti, non era molto cambiata. Sul retro si potevano ancora ammirare le enormi zucche che Hagrid coltivava in previsione della festa di Halloween e, una volta entrati, non si poteva fare a meno di notare gli innumerevoli crini di Unicorno che pendevano dalle travi del soffitto.
Ora, però, la capanna era molto più rumorosa. Ogni giorno risuonavano dal suo interno delle risate argentine e altre più roche e profonde, ma non meno felici e, a volte, si poteva scorgere il guardiacaccia intento a intagliare pezzi di legno: le mensole della sala erano ingombre di miniature di Schiopodi Sparacoda, Snasi, Ippogrifi e Acromantule.
Una donna, dall’altezza fuori dal comune e con un enorme grembiule a pallini ad avvolgerle il pancione di sette mesi, si affaccendava davanti ai fornelli, dai quali proveniva un profumo invitante. Ogni tanto gettava un’occhiata di disgusto all’enorme barile nell’angolo opposto della cucina: quelle che sembravano gigantesche lumache viola senza guscio scivolavano le une sulle altre, lasciando scie di bava argentea.
Quando ormai cominciava a preoccuparsi, sentì delle voci provenire dal retro. Guardò attraverso la finestra appannata e il suo viso s’illuminò: suo marito avanzava velocemente attraverso l’orto, la balestra a tracolla e un’enorme cassa contenente Asticelli tra le mani. Un bambino di non più di sette anni, anche se sicuramente più alto dei suoi coetanei, gli trotterellava dietro, trascinando un piccolo arco di legno. Aveva grandi occhi scuri e una chioma di ricci capelli neri che gli incorniciava il volto olivastro.
I due, dopo aver lasciato gli Asticelli in un angolo, entrarono rumorosamente in casa. Il bambino stava supplicando il padre: - Dai papà, ti prego. Posso venire con te stasera?
- No, no, no e ancora no. Sei troppo piccolo, perdinci. E se ti perdo? Tua madre non mi fa più entrare in casa, ecco. – Hagrid aveva un’espressione tra il divertito e l’esasperato. Mentre suo figlio borbottava per l’ennesima volta, si avvicinò dolcemente alla moglie per ricevere un suo bacio, ma Olympe puntò lo sguardo sui loro stivali sporchissimi che stavano lasciando impronte fangose sul pavimento.
- Toglieteveli immèdiatement! – tuonò.
Dopo pochi minuti, padre e figlio si erano messi a sedere attorno all’enorme tavolo di legno, pregustando l’ottimo pranzo. La padrona di casa appoggiò davanti a loro un delizioso pollo arrosto e i due si fiondarono immediatamente sul cibo.
Quando il pendolo in sala suonò due rintocchi, la famigliola era giunta al momento del dolce.
- Rufus, prendi pure una di queste. – Hagrid, incoraggiante, allungò al figlio la scatola delle sue famose caramelle Mou. Questi, per tutta risposta, le squadrò con aria disgustata e fissò la madre che sorrideva divertita, prima di rivolgersi al padre.
- Fossi matto! Non voglio cementarmi i denti.
Hagrid lo guardò confuso e ferito.
- Rufus Wulfric Hagrid, come ti permetti? Io ti dire… Ti dite… Io ti…
- Ti diseredo, papà. – lo aiutò Rufus, ridendo. Anche Olympe non riuscì a trattenere una risatina.
- Ecco, quello. E comunque Harry, Ron e Hermione non le hanno mai rifiutate, mai. – asserì con vigore. – Anche se poi c’era sempre della roba appiccicosa sotto il tavolo e nella cuccia del vecchio Thor… – aggiunse, pensieroso.
Rufus aveva le lacrime agli occhi dal ridere e Olympe, vedendo il marito piuttosto abbattuto, gli scoccò un bacio sulle labbra. Il bambino offrì loro lo stesso sguardo che aveva rivolto alle caramelle del padre e corse fuori in cortile.
- Sai, ponso che dovresti portarlo con te oggi, a Hogsmeade. Ormai ha sette anni e quando sarà gronde forse vorrà seguìr le tue impronte, no?
Hagrid osservò a lungo suo figlio impegnato a insegnare a uno Snaso a dare la zampa (lo aveva ricevuto come regalo per il suo compleanno). Rivide se stesso, alla sua stessa età, e ripensò a come era stata diversa la sua vita. Si era sempre sentito solo, abbandonato, diverso. Non avrebbe mai permesso che suo figlio potesse sentirsi anche solo per un istante allo stesso modo. Hagrid adorava quel bambino: era la cosa più bella che gli fosse mai capitata. E adorava anche sua moglie, Olympe, la donna più forte e coraggiosa che avesse mai conosciuto. La guardò dolcemente negli occhi, i suoi enormi occhi scuri. Si ricordò di come erano luminosi la notte in cui le aveva chiesto di sposarlo, dieci anni prima.
- Hai ragione, come sempre. – Hagrid le sorrise. Poi le si avvicinò e le posò la mano sul grembo. – Spero che Olivia sarà bella e intelligente come te.
- Invece io vorrei che diventasse generosa e jiontìl come te, amore mio.
 
                                                                                                                    *****************************
 
Il sole stava calando dietro l’immensa sagoma del castello di Hogwarts. Un senso di attesa aleggiava nell’aria. Nelle cucine, probabilmente, un centinaio di elfi domestici era indaffarato a preparare il lussuoso banchetto di inizio anno.
La locomotiva scarlatta sputava nuvole di fumo e sferragliava, mentre avanzava verso la stazione di Hogsmeade. Rufus saltellava allegro, gli occhi che sprizzavano di felicità, attendendo insieme a suo padre sulla banchina.
Il treno si fermò con un sonoro cigolio e i primi studenti iniziarono a scendere, tutti avvolti dalla coltre nebbiosa. Hagrid strinse più forte la mano del figlio, temendo di poterlo perdere in quel trambusto.
- Ahia papà! – Rufus lo guardò arrabbiato.
- Ops! Scusa, scusa. – Hagrid sollevò la lanterna e strinse gli occhi. Una figura familiare si stava avvicinando di corsa. – Ciao James! – salutò allegramente in direzione del ragazzo che lo aveva appena raggiunto. Era alto e slanciato e aveva una massa di capelli castani tutti spettinati sulla testa.
- Ciao Hagrid. Ciao piccolo Rufus. Mamma e papà mi hanno detto di salutarvi. E anche zio Ron e zia Hermione. Non la smettevano più di abbracciarmi e baciarmi alla stazione di King’s Cross. A mio fratello Albus queste tenerezze faranno anche piacere; è così mollaccione. Ma io sono grande ormai. – disse James Sirius Potter con aria fiera. E si passò una mano tra i capelli, in un gesto molto teatrale, assomigliando ancora di più al suo nonno paterno.
Hagrid e Rufus risero.
- Chissà com’è emozionato Albus. – rifletté Rufus sognante, riuscendo solo immaginare come si potesse sentire uno studente del primo anno in attesa di essere smistato. – Non vedo l’ora di ricevere la mia lettera.
- Devi aspettare ancora qualche anno – gli fece il padre, comprensivo, e aggiunse – quest’anno ci sarà anche la piccola Rosie. Scommetto quello che volete che finirà a Corvonero. Da quello che so, assomiglia moltissimo alla mamma.
- Sì, certo. – rispose James - È una piccola saccente, ecco cos’è. Sa sempre tutto lei. – continuò imbronciato.
Gli altri due risero ancora.
- Devo andare adesso. I Thestral mi aspettano. – disse il ragazzo, con l’aria di chi la sa lunga, e raggiunse dei compagni verso le carrozze che li avrebbero condotti al castello.
Hagrid lo osservò allontanarsi e di nuovo fu sopraffatto dai ricordi; ricordi di una vita passata, lontana, diversa. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da qualcuno che incominciò a tirargli l’orlo del suo cappotto di pelliccia di talpa.
- Ehi papà, ci sei? – Rufus lo stava fissando confuso.
Hagrid finalmente si riscosse, alzò la lanterna di ferro e cominciò a gridare: - Primo anno! Primo anno! Da questa parte.
Un gruppetto di ragazzi gli si avvicinò titubante e Hagrid fu subito colpito da due occhi verde smeraldo molto familiari e da una massa di capelli rossicci e crespi. Sorrise dolcemente nella direzione di Albus Severus Potter e di Rose Weasley, poi con un gesto della mano condusse i nuovi studenti verso le barche attraccate alla riva del Lago Nero.
 
                                                                                                                       ***************************
 
Hagrid e suo figlio Rufus avanzavano a passo di marcia attraverso il parco di Hogwarts.
- Forza Rufus, lo smistamento deve essere finito, ormai.
- Ma papà, voglio venire anche io al banchetto.
- Quante volte te l’ho detto, eh? Io sono un professore e posso, tu no. Quando ci avrai undici anni, verrai anche tu. – Hagrid accelerò il passo e suo figlio dovette correre per riuscire a restare al suo fianco. – Avanti. Tua madre sarà già preoccupata.
Camminarono ancora per qualche minuto. La lanterna che il guardiacaccia teneva in mano ciondolava rumorosamente. Finalmente arrivarono allo stretto sentiero tortuoso che conduceva alla capanna di legno. Una fioca luce proveniva dalla piccola finestra della cucina; Olympe stava fischiettando un veloce motivetto e il canto dei grilli le faceva da accompagnamento. Questa immagine fece sorridere Hagrid.
- Papà, posso chiederti una cosa? – Rufus aveva un’espressione dalla quale Hagrid capì che desiderava rivolgergli quella domanda da molto tempo, ma non aveva mai trovato il momento giusto.
- Certo piccolo. Chiedi.
- La mia sorellina… Sì, insomma… - Rufus era titubante: evidentemente non sapeva come formulare il suo quesito. Hagrid lo guardò e lo incoraggiò a proseguire con un gesto della mano. – Come ha fatto Olivia a finire nella pancia della mamma?
Hagrid fissò sorpreso il figlio: Rufus pendeva letteralmente dalle sue labbra. Aprì e chiuse la bocca, non sapendo cosa dire, poi divenne tutto rosso e fissò ostentatamente lo sguardo verso la capanna.
- Sì, ecco, cioè… - incominciò con voce roca, per poi deglutire sonoramente - È meglio se ce lo chiedi alla mamma. Sì.


Direi che è arrivato il momento di salutarci (almeno per quanto riguarda questa raccolta). Ringrazio ancora tutti coloro che mi hanno appoggiato e mi hanno spinto a continuare. Spero di non aver deluso le vostre aspettative (fatemi sapere cosa ne pensate). Ammetto che mi sento un po’ triste a dover mettere la parola fine a questa raccolta, ma sono anche piuttosto soddisfatta. Grazie ancora a tutti, per essere giunti fino a qui!

P.S. Ho trovato difficile scrivere le poche battute di Madame Maxime, dato che volevo rendere il suo marcato accento francese. I nomi dei figli sono di mia invenzione. So che non sono un granché, ma abbiate pazienza.

Fine
  
  
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