Hurricane
No matter how many days I die, I will never
forget
No matter how many lies I live, I
will never regret
There’s a fire inside of this heart in a riot
about
to explode into flames
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Neji partì all’alba
con il massimo silenzio, come solo lui poteva fare.
Tenten lo aveva
sentito solo perché era sveglia e ben cosciente; lo aveva sentito quando era
andato al bagno, quando si era vestito e quando aveva preparato la sua sacca da
viaggio.
Lo aveva sentito
quando era montato sul letto per sbirciare il suo volto, sperando forse di
trovarla sveglia per un ultimo bacio prima della missione. Tenten avrebbe tanto
voluto darglielo, ma aveva paura di tradirsi e per questo era rimasta ferma e
immobile con gli occhi chiusi, aspettando che lui se ne
andasse.
Durante la notte
Tenten non aveva dormito affatto. Le era sembrato come se il bambino bruciasse
dentro il suo ventre, una sensazione talmente dolorosa che quasi pareva reale.
Si era chiesta quanto ancora sarebbe riuscita a mantenere il segreto: Neji con
il byakugan poteva vedere qualsiasi tipo di chackra e non dubitava che se lo
avesse usato in sua presenza, sicuramente si sarebbe accorto che nel suo corpo
ce n’era uno in più. Debole e poco fluido, ma c’era.
Anzi, adesso che ci
ragionava, era già un miracolo che non se ne fosse accorto lui in quei tre
mesi.
Tenten avrebbe
dovuto capirlo che qualcosa non andava già il primo mese che le era saltato il
ciclo; aveva pensato che si fosse trattato di un semplice cambio di stagione e
che il troppo lavoro l’aveva un po’ sballottata a livello fisico. Inoltre, aveva
appena smesso di prendere la pillola, quindi uno sbalzo di umori e
un’irregolarità del genere erano del tutto normali. Non aveva avuto neanche le
nausee.
Solo una settimana
prima si era resa conto che aveva saltato anche il secondo mese di ciclo e che
probabilmente avrebbe saltato anche il terzo.
Aveva tentennato
parecchio prima di trovare il coraggio necessario per entrare in farmacia e
comprare il test di gravidanza; aveva passato i giorni prima a rincuorarsi,
dicendosi che una cosa del genere non era possibile. Neji era attentissimo
quando si trattava di certe cose.
Ma quelle tre
lineette blu che erano apparse sul bastoncino le avevano confessato che forse il
suo ragazzo non era stato così scrupoloso come aveva
pensato.
Come un lampo a
ciel sereno, Tenten ricordò, stesa sul letto, la volta in cui poteva essere
successa la disgrazia.
Tre mesi prima
erano stati mandati in missione insieme a Lee, Shino e Hinata. L’ultima sera
prima di rientrare a Konoha, si erano accampati in una foresta appena fuori dal
confine con il Paese del Fuoco e Neji aveva cominciato a risentire di quei nove
giorni di totale astinenza. A notte fonda l’aveva trascinata fuori dalla tenda e
si erano appartati poco lontano, quanto bastava perché gli altri non
sentissero.
L’avevano fatto
sull’erba, tra le foglie secche degli alberi e tra i cespugli pieni di spine.
Prima che lui la penetrasse, in un momento di lucidità, Tenten gli aveva detto
di fare attenzione, perché non aveva più la protezione della pillola. Neji aveva
solo mugugnato, in segno di assenso forse, e l’aveva penetrata con una spinta,
spostando la sua attenzione in tutt’altra parte. Tenten era sicura che Neji non
si portasse i preservativi in missione, ma era quasi certa che quella volta
fosse venuto fuori.
Certezza che adesso
andava a frantumarsi in tanti piccoli pezzettini.
Si alzò dal letto
sfinita, chiedendosi come avrebbe potuto affrontare quella giornata in
Accademia, tra bambini piccoli che urlavano e quelli grandi che combinavano
danni provando i vari jutsu.
Cominciò a lavarsi
i denti (non aveva per niente voglia di fare colazione) quando sentì qualcosa di
bagnato correrle lungo la gamba. Abbassò lo sguardo e con orrore vide delle
gocce scure che le macchiavano la pelle all’altezza della
cosce.
Lasciò lo
spazzolino cadere nel lavandino e corse di nuovo nella camera da letto,
spostando le coperte con uno strattone.
Il lenzuolo era
macchiato di sangue.
Si toccò piano il
ventre e lo sentì ancora dolorante, come se stesse prendendo fuoco.
C’era decisamente
qualcosa che non andava e l’unica persona che potesse aiutarla era Sakura.
Prese il telefono e
con le dita tremanti compose il numero di casa dell’amica, sperando che non ci
fosse Naruto.
Sospirò di sollievo
quando realizzò che Naruto era in missione con Neji.
«Pronto?».
«Sono io, hai da
fare oggi?».
Tenten sentì Sakura
farfugliare qualcosa, disorientata. Forse si era appena
svegliata.
«In verità sì, ho
il turno in ospedale questa mattina…» rispose, senza pensarci.
Sakura gemette
appena quando focalizzò nella sua mente con chi stava parlando e la sua voce
risultò più chiara e decisa.
«Ten, stai bene? È
successo qualcosa?».
«Io… no, cioè sì,
ma non credo che sia nulla di grave. Oggi pomeriggio posso venire a farmi dare
una controllata?».
«Puoi venire anche
adesso, dammi dieci minuti per cambiarmi e ti raggiungo in
ospedale».
«No, devo andare
all’Accademia, ho una lezione importante da tenere…».
Tenten si morse il
labbro, mentre le fitte al ventre sembravano aumentare a ogni minuto che
passava. Avrebbe retto per qualche ora, aveva sopportato dolori
peggiori.
«Come vuoi, ti
aspetto questo pomeriggio. Chiamami se hai bisogno».
Tenten annuì e
riattaccò, buttando un occhio al letto disfatto.
Strappò il lenzuolo
dal materasso e appallottolandolo lo buttò nel cestino dell’immondizia.
Si tolse le mutande
macchiate di sangue e fece lo stesso, respirando a fatica, in preda al
panico.
«Quindi oggi
pomeriggio ti prendi i maschi, le femmine invece verranno con
me».
«No Ino, i maschi
li ho presi ieri».
«Non m’interessa.
Io con quei terremoti non la faccio lezione!».
Kiba incrociò le
braccia al petto, cercando di reprimere i suoi istinti omicidi verso Ino, che
gli stava davanti con un cipiglio seccato.
«Ino, devi fare
lezione con tutti. E le bambine, oltre a sapere riconoscere e catalogare le
piante curative, devono anche sapere combattere con gli animali. Alcune di loro,
una volta diventate chunin, vorranno imparare la Tecnica del Richiamo. E mi
spieghi cosa evocheranno? Un cactus carnivoro?».
«Se serve per
sbranarti, allora sì».
Tenten entrò nella
sala insegnanti proprio nel momento in cui Kiba mostrava a Ino il suo dito
medio, con tanto di linguaccia. La giovane Yamanaka lo ignorò: per lei la
discussione finiva lì, con tanto di vittoria.
Si avvicinò a
Tenten, che presa com’era dai suoi pensieri, non si era accorta di quel
battibecco. Teneva fra le mani dei documenti, ma i suoi occhi e la mente erano
da tutt’altra parte, immersi in chissà quali pensieri.
Ino la dovette
scuotere per un braccio per riuscire a catturare la sua
attenzione.
«Cerchiamo di
essere reattive: Neji è partito solo da due ore e tu non puoi già essere in
questo stato di depressione!».
Ino pensò di aver
fatto una gran bella battuta, perché rise di gusto battendo una pacca sulla
spalla dell’amica. Ma Tenten non rideva affatto, anzi, si mise a sedere a una
scrivania e poggiò la testa sul ripiano del tavolo, senza proferire
parola.
«Rettifico, abbiamo
già superato la depressione e siamo entrare nella
disperazione».
Ino si accomodò
accanto a Tenten, notando solo in quel momento il biancore cadaverico del suo
volto. Le prese il viso fra le mani e lo scrutò da vicino, mentre gli occhi
castani dell’amica non la guardavano nemmeno, anche se erano puntati su di
lei.
«Stai ferma qui,
non muoverti».
Ino raggiunse la
sua borsa, trafficando al suo interno e prendendo una piccola torcia, che da
fuori sembrava una comunissima penna.
Si rimise accanto a
Tenten e puntò la luce sulle sue pupille, poi passò alla
bocca.
«Non mi sembri
malata, rispondi agli stimoli…» sussurrò appena, aggrottando le sopracciglia
bionde.
Le mise una mano
sulla fronte: era imperlata di sudore freddo.
Tenten si lasciò
visitare senza dire nulla. Ino le prese anche il polso, contando i
battiti.
«Sudore freddo,
battiti accelerati. Se non ti conoscessi bene, direi che potresti anche avere un
attacco di panico, ma non riesco a vederne il motivo».
«E’ solo
stanchezza, questi bambini mi fanno dannare…».
«Oh, a chi lo dici!
Kiba non aiuta come suo solito, tutto noi donne dobbiamo
fare!».
Ino rimise la
torcia a posto, voltandosi di nuovo verso Tenten, appena in tempo per vederla
vomitare nel cestino della carta.
«Questa non è certo
stanchezza…» bofonchiò, correndole in aiuto.
Le tirò indietro i
capelli, mentre Tenten finiva di rimettere anche l’anima.
Ino la fece di
nuovo sedere, ma sembrava che ormai quella posizione le facesse ancora più male,
perché non appena toccò la sedia, un rantolo di dolore sfuggì dalla sua
bocca.
Ino si allontanò un
attimo, affacciandosi nel corridoio.
«Kiba! Per la
miseria, vieni subito qui!».
Tenten intanto
cominciò a credere che presto sarebbe morta.
Un dolore
lancinante le stava tagliando in due il ventre, era consapevole di star
continuando a perdere sangue e la sua mente era troppo concentrata nel
sopportare il dolore, tanto che le risultava anche difficile aprire la bocca e
chiedere aiuto o lamentarsi.
«Oh mio Dio, che
puzza!» fece Kiba, non appena entrò nella stanza.
«Non rompere e
renditi utile! Accompagnala in infermeria, io vengo
subito!».
Tenten si sentì
strapazzata da Ino, che cercava di farla camminare, ma le gambe non le
reggevano, continuava a inciampare nei suoi stessi piedi.
Kiba allora prese
in mano la situazione, mettendole un braccio intorno alle spalle e uno sotto le
ginocchia.
Quell’improvviso
sollevamento e il dolore che ne seguì fecero definitivamente perdere i sensi a
Tenten.
Quando Neji varcò i
cancelli di Konoha insieme a Shino e Naruto, capì subito che qualcosa non
andava.
Sakura li stava
aspettando e non sembrava per niente felice di rivederli.
Si avvicinò a
Naruto, baciandolo e chiedendogli se fosse andato tutto bene. Senza ricevere
risposta si voltò verso Neji, dedicandogli un sorriso
spento.
«Possiamo parlare?»
gli domandò solo per una questione di cortesia, perché dal suo tono Neji capì
che non aveva altre scelte.
Si avviarono per il
centro e con preoccupazione, Neji vide che non si stavano recando né a villa
Hyuuga, né all’appartamento di Tenten. Sakura lo stava portando
all’ospedale.
Fecero tutto il
viaggio in silenzio, cosa che urtò non poco i nervi di
Neji.
Quando arrivarono
nella sala d’attesa dell’ospedale, Sakura si fermò a
guardarlo.
«Meglio che ti
siedi».
«Sto bene in
piedi».
«Neji…».
«Ascoltami bene,
Sakura. Ti ho seguito senza dire niente, anche se la voglia di urlarti addosso e
chiederti che diavolo stesse succedendo era tanta e ho fatto fatica a
reprimerla. Perciò ti conviene dirmi perché siamo qui e
subito!».
Sakura, in
circostanze normali, gli avrebbe risposto a tono, perché di certo non aveva
paura a entrare nelle ire del giovane genio del clan
Hyuuga.
Ma quella non era
certo una circostanza normale.
«Tenten è stata
male negli ultimi due giorni» iniziò lentamente, senza sbilanciarsi.
Vide gli occhi di
Neji spalancarsi un attimo, ma il ragazzo non disse niente, aspettandosi
maggiori informazioni.
«Adesso sta bene,
anche se rimane un po’ debole» si fermò, mettendosi lei stessa a sedere.
All’inizio aveva
pensato che a dirgli quella brutta verità sarebbe dovuta essere Tenten, perché
era giusto in quel modo.
Ma Tenten, allo
stato attuale delle cose, non era psicologicamente pronta.
«Il giorno che sei
partito è venuta da me, per una visita. Ha scoperto di essere
incinta».
Sakura, fino a quel
momento, non aveva potuto capire in che stato di ansia e preoccupazione era
piombata Tenten dal momento in cui aveva saputo del suo
bambino.
Immaginava che le
motivazioni di Neji per non volere dei figli potessero essere serie, ma sperava
anche che il ragazzo, messo davanti al fatto ormai compiuto, potesse cambiare
idea.
Evidentemente si
sbagliava di grosso.
Neji rimase per
qualche secondo imbambolato nella sua posizione, incapace di dire o fare
qualcosa. Poi, con un gesto repentino, aveva lasciato la sacca da viaggio cadere
a terra, mettendosi a sedere accanto a Sakura, col volto fra le
mani.
Non la stava
prendendo affatto bene.
Sakura cercò di non
scomporsi, perché il pezzo brutto
della storia doveva ancora arrivare.
«Il giorno dopo ha
avuto delle perdite di sangue. Si è rotta la sacca uterina e lei ha avuto
un’emorragia interna. E’ svenuta che era all’Accademia, l’hanno portata qui Ino
e Kiba».
Piombò il silenzio
tra loro due, circondato solo dal rumore inutile del resto
dell’ospedale.
Sakura aspettava
soltanto il momento giusto per dargli il colpo di grazia, che per Neji ormai,
doveva essere alquanto ovvio.
«Il bambino non c’è
più, vero?» chiese infatti Neji, senza guardare Sakura, che si limitò soltanto a
scuotere la testa.
Il giovane Hyuuga
si alzò, cominciando a passeggiare avanti e indietro per la sala, cercando di
raccogliere le idee e di formulare un pensiero, uno qualsiasi, su quello che era
successo in sua assenza.
Tenten non gli
aveva mai nascosto nullo.
Era una ragazza
semplice e ingenua a volte, che non gli aveva mai dato motivo di essere geloso o
di essere preoccupato; gliel’avrebbe detto della gravidanza, se non fosse stata
spaventata.
Con orrore, Neji
arrivò alla conclusione che Tenten avesse avuto paura di
lui.
«Posso vederla?»
chiese a Sakura, con voce distrutta.
«Puoi anche
portarla a casa. Ino la sta aiutando a sistemare le sue
cose».
Neji dovette
aspettare solo cinque minuti prima di veder comparire la sua ragazza, spettinata
e stanca, accompagnata da Ino che teneva in mano i fogli per le
dimissioni.
Tenten guardò Neji,
consapevole di quello che il ragazzo sapeva, e dovette lottare con tutte le sue
forze per non scappare e andarsi a nascondere da qualsiasi parte, in modo che
lui non potesse trovarla.
Neji le si avvicinò
e in un gesto del tutto spontaneo, le mise le braccia intorno alle spalle,
premendosela lentamente contro il petto; Tenten ne fu così sorpresa, che solo in
quel momento si rese conto di quanto le fosse mancato in quei due giorni, di
quanto avesse avuto bisogno di lui. Scoppiò a piangere, aggrappandosi
disperatamente alla sua giacca da jonin.
«Ti porto a casa»
le sussurrò Neji.
Recuperò la sua
sacca e insieme a Tenten uscì dall’ospedale.
«E’ una gran brutta
faccenda» fece Ino, rivolta a Sakura.
E lei, per una
volta tanto, si trovò a concordare con l’amica.
Neji aprì la porta
dell’appartamento di Tenten e la fece entrare per prima.
Non si erano
scambiati una sola parola per tutto il tragitto, nonostante lui l’avesse tenuta
stretta a sé, come a proteggerla dal mondo esterno.
Tenten aveva atteso
con ansia e agitazione quel momento, in cui si sarebbero ritrovati da
soli.
Quello che l’aveva
veramente sconvolta, dopo l’operazione, non era stato il dolore insopportabile o
la vista nauseabonda delle flebo attaccate al suo braccio, ma il vuoto che le
era rimasto dentro.
Aveva sempre
pensato che quel bambino era sbagliato in quella relazione, perché non era stato
programmato e da una parte non era voluto. Averlo, avrebbe potuto anche
significare perdere Neji.
Ma Tenten aveva
constatato, con un fitta al cuore, che il dolore che aveva provato nel perdere
il bambino era maggiore a quello che aveva provato quando aveva scoperto di
essere incinta.
Quella gravidanza
era sbagliata, doveva essere evitata, ma lei la voleva. Neanche per un istante
aveva pensato all’aborto.
Nel momento in cui
si era risvegliata dall’anestesia e Sakura le aveva dato la brutta notizia,
Tenten aveva finalmente compreso cosa volesse finalmente dalla
vita.
«Credo che dovremo
discutere della cosa» azzardò Neji, posando le sue cose per terra, «ma adesso
non è il momento. Entrambi abbiamo bisogno di risposo».
Tenten annuì,
dirigendosi con passo pesante verso la sua stanza da letto. Ci si buttò a peso
morto, sentendo lo scroscio della doccia dal bagno.
Neji la raggiunse
poco dopo, con i capelli ancora umidi e si distese accanto a lei, prendendola
tra le braccia, addormentandosi in quella posizione, senza che altri pensieri e
preoccupazioni invadessero quel loro attimo di pace, quel momento che era solo
per loro.
Tenten chiuse gli
occhi, addormentandosi mentre ispirava il profumo del
sapone.
Quando si
risvegliò, erano da poco passate le otto di sera.
Neji era ancora
accanto a lei, con lo sguardo perso sul paesaggio che s’intravedeva fuori dalla
finestra.
«Sei arrabbiato?»
gli chiese Tenten, rimanendo nello stesso abbraccio in cui si era
addormentata.
«No. Sono… non lo
so, forse triste».
Anche lei lo era.
Forse avevano avuto lo stesso pensiero.
«Mi spiace di non
avertelo detto».
«Stai
bene?».
«No. Per
niente».
Neji sospirò,
cominciando a disegnarle dei cerchi sulla schiena, nella speranza di
tranquillizzarla, anche se era lui il primo a non essere
tranquillo.
«Avresti voluto
tenerlo?».
Tenten rimase in
silenzio, non sapendo che rispondere. In quel momento, qualsiasi risposta avesse
dato, le sembrava sbagliata.
Ma il problema non
era cosa volesse lei, ma quello che voleva Neji.
E quello che non voleva.
«Tu l’avresti
voluto, invece?».
Neji
esitò.
«No, non l’avrei
voluto».
Fu come ricevere
uno schiaffo in pieno viso, dritto sul labbro, dove fa più
male.
«Neji, devo
chiedertelo. In futuro, tra qualche anno, avrai intenzione di avere dei
figli?».
Tenten si alzò a
sedere, perché voleva vederlo dritto negli occhi quando avrebbe
risposto.
Neji, si voltò
verso di lei, incatenando insieme i loro occhi, affinché non ci fossero più
scappatoie o fraintendimenti.
«No».
«Io lo vorrei. Non
subito, non adesso, ma tra un po’ di anni. Mi piacerebbe avere un figlio, al
massimo due… e un marito. Voglio avere una famiglia tutta
mia».
Neji si alzò, in
modo da guardarla da pari a pari.
Tenten era una
ragazza che non piangeva. Avrebbe preferito darsi un colpo in testa che
piangere, eppure Neji poteva notare il rossore intorno ai suoi occhi, prova che
non aveva fatto altro in quei due giorni che erano stati
lontani.
Due giorni in cui
la sua ragazza aveva lottato da sola, contro un dolore più forte di lei, più
forte di qualsiasi altra arma affillata.
«Mi dispiace, ma
non sarò io il fortunato a darti tutto questo».
Neji non aveva più
il coraggio di mentire, neanche per rassicurarla, neanche in quel momento in cui
sapeva d’infliggerle altre pene. Prolungare quella relazione, anche se di
qualche giorno era impensabile, non in quelle condizioni, non con quei
presupposti.
Tenten deglutì a
fatica.
Osservò Neji che si
alzava e cominciava a recuperare le sue cose sparse per la stanza, infilandole
senza nessun ordine dentro la sacca.
«Ci stiamo
lasciando?» gli chiese, a mezza voce, ma Neji fece finta di non sentirla,
recuperando nel bagno il suo spazzolino da denti.
«NEJI! CI
STIAMO LASCIANDO?!» gridò ancora,
perché non le piaceva essere ignorata.
Lui si fermò sulla
porta del bagno, osservando la figura di lei ancora sul letto, circondata dalle
coperte disfatte. Cercò di memorizzarla in ogni suo
dettaglio.
«Sì, ci stiamo
lasciando».
Tenten cercò di
mantenere l’auto controllo mentre le veniva spiattellato in faccia quello che
ormai aveva immaginato da tempo, ma che mai aveva pensato potesse diventare così
reale.
«Non mi è possibile
darti una famiglia. Pensavo che lo stare insieme fosse l’unica cosa che ci
serviva, ma sono stato egoista a pensare che anche a te potesse andare bene un
rapporto così. Mi spiace solo di averti fatta soffrire».
Tenten gli voltò le
spalle e Neji era sicuro che avesse cominciato a piangere.
Finì di prendere le
sue cose, cercando le parole per dirle ancora qualcosa, una qualsiasi altra
cosa. Ma una volta arrivato alla porta dell’appartamento, pronto per uscire,
l’unica cosa che sentì fu uno dei singhiozzi di Tenten soffocati dal
cuscino.
Estrasse dalla
tasca dei pantaloni il doppione della chiavi e glielo poggiò sul tavolo della
cucina.
Poi uscì, sbattendo
la porta.
Sakura chiuse piano
la porta della camera da letto e in punta di piedi raggiunse la cucina, dove Ino
aveva appena finito di preparare del tè.
«E’ riuscita ad
addormentarsi, ma non so quanto durerà».
La faccia di Haruno
era stravolta, con i capelli disordinati e gli occhi gonfi per il mancato
sonno.
Versò nel tè una
generosa quantità di zucchero, mescolando energicamente; sperò che almeno la
teina l’aiutasse a riaccendere un po’ di neuroni.
«Quando Neji
tornerà supplicante da lei, giuro che lo riempio di botte! Non si tratta una
donna così, non si tratta Tenten così! Ma chi si crede di
essere?!».
Ino sembrava sul
punto di esplodere. Avrebbe voluto urlare ai quattro venti tutto il suo
disprezzo per il genio della casata Hyuuga, ma Tenten stava finalmente dormendo
e se l’avesse di nuovo svegliata Sakura l’avrebbe
uccisa.
Cercò d’ingoiare
quel boccone amaro, rimettendo a posto la teiera.
«Ti ha detto perché
si sono lasciati?», chiese ancora Ino, una volta ritrovata la
calma.
«Mi ha detto un
sacco di cose, tutte molto confuse. Ma credo sia a causa del
bambino…».
«Giuro che lo
uccido, giuro che…».
Sakura sorrise, nel
vedere tanta determinazione in Ino.
Lavò la tazza e si
rimise i sandali, prendendo poi il giacchetto da
jonin.
«Andiamo, torneremo
stasera a vedere come sta».
«Non possiamo
andarcene! E se torna Neji? Non è ancora pronta per-».
Ino fu bloccata da
una lunga occhiata di Sakura.
Era in piedi,
davanti alla porta d’ingresso e sorrideva. Non un sorriso felice, ma uno di
quelli rassegnati, di chi non può fare più nulla, di chi sa già il finale di una
storia troppo triste.
Ino capì solo
allora quella che Sakura aveva capito già da due
giorni.
Sospirò affranta,
mentre intravide con la coda dell’occhio la figura di Tenten, sveglia, che le
ascoltava in silenzio dalla camera da letto.
Lo aveva capito
anche lei.
Tenten aveva smesso
di aggrapparsi a un’inutile speranza.
«Ino, Neji non
tornerà».
Note:
E’ triste, lo
so.
E mi sento una
carogna a far soffrire Tennie in questo modo. Ma non vi preoccupate, forse ci sarà un qualcosa, un seguito
magari, chissà, dove le cose
potrebbero mettersi a posto. Forse.
Per adesso, finisce
in questo modo.
Ringrazio
Mileidi per il betaggio “Oh,
guardami se qui la trama fila, dimmi se le cose hanno un senso!”, e
Algedi per il betaggio “Controllami la grammatica, sto fusa e
potrei aver scritto delle castronerie uniche!”.
Un ringraziamento
bello grande va anche a chi ha recensito ed è stato così gentile da perdere un
po’ del suo tempo con la mia fic *smile*
Elpis
Naruto © Masashi Kishimoto
“Hurricane” – fan fiction © Elpis
“Hurricane” – dall’album This
is War, 2009 © 30 Seconds to Mars