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Autore: Elpis Aldebaran    03/10/2011    9 recensioni
Fin da piccola, Tenten aveva avuto grandi sogni di gloria, si era sempre immaginata come una ragazza forte e combattiva, che mai e poi mai avrebbe perso la testa per un ragazzo. Non perché non credesse nell’amore, ma semplicemente perché non le interessava.
Questo era il suo pensiero, finché Neji non l’aveva baciata per la prima volta.

[NejiTen]
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Neji Hyuuga, Sakura Haruno, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Hurricane

No matter how many days I die, I will never forget 
No matter how many lies I live, I will never regret 
There’s a fire inside of this heart in a riot 
about to explode into flames 

 

 

 

 

2 di 2

 

 

 

 

Neji partì all’alba con il massimo silenzio, come solo lui poteva fare.

Tenten lo aveva sentito solo perché era sveglia e ben cosciente; lo aveva sentito quando era andato al bagno, quando si era vestito e quando aveva preparato la sua sacca da viaggio.

Lo aveva sentito quando era montato sul letto per sbirciare il suo volto, sperando forse di trovarla sveglia per un ultimo bacio prima della missione. Tenten avrebbe tanto voluto darglielo, ma aveva paura di tradirsi e per questo era rimasta ferma e immobile con gli occhi chiusi, aspettando che lui se ne andasse.

Durante la notte Tenten non aveva dormito affatto. Le era sembrato come se il bambino bruciasse dentro il suo ventre, una sensazione talmente dolorosa che quasi pareva reale. Si era chiesta quanto ancora sarebbe riuscita a mantenere il segreto: Neji con il byakugan poteva vedere qualsiasi tipo di chackra e non dubitava che se lo avesse usato in sua presenza, sicuramente si sarebbe accorto che nel suo corpo ce n’era uno in più. Debole e poco fluido, ma c’era.

Anzi, adesso che ci ragionava, era già un miracolo che non se ne fosse accorto lui in quei tre mesi.

Tenten avrebbe dovuto capirlo che qualcosa non andava già il primo mese che le era saltato il ciclo; aveva pensato che si fosse trattato di un semplice cambio di stagione e che il troppo lavoro l’aveva un po’ sballottata a livello fisico. Inoltre, aveva appena smesso di prendere la pillola, quindi uno sbalzo di umori e un’irregolarità del genere erano del tutto normali. Non aveva avuto neanche le nausee.

Solo una settimana prima si era resa conto che aveva saltato anche il secondo mese di ciclo e che probabilmente avrebbe saltato anche il terzo.

Aveva tentennato parecchio prima di trovare il coraggio necessario per entrare in farmacia e comprare il test di gravidanza; aveva passato i giorni prima a rincuorarsi, dicendosi che una cosa del genere non era possibile. Neji era attentissimo quando si trattava di certe cose.

Ma quelle tre lineette blu che erano apparse sul bastoncino le avevano confessato che forse il suo ragazzo non era stato così scrupoloso come aveva pensato.

Come un lampo a ciel sereno, Tenten ricordò, stesa sul letto, la volta in cui poteva essere successa la disgrazia.

Tre mesi prima erano stati mandati in missione insieme a Lee, Shino e Hinata. L’ultima sera prima di rientrare a Konoha, si erano accampati in una foresta appena fuori dal confine con il Paese del Fuoco e Neji aveva cominciato a risentire di quei nove giorni di totale astinenza. A notte fonda l’aveva trascinata fuori dalla tenda e si erano appartati poco lontano, quanto bastava perché gli altri non sentissero.

L’avevano fatto sull’erba, tra le foglie secche degli alberi e tra i cespugli pieni di spine. Prima che lui la penetrasse, in un momento di lucidità, Tenten gli aveva detto di fare attenzione, perché non aveva più la protezione della pillola. Neji aveva solo mugugnato, in segno di assenso forse, e l’aveva penetrata con una spinta, spostando la sua attenzione in tutt’altra parte. Tenten era sicura che Neji non si portasse i preservativi in missione, ma era quasi certa che quella volta fosse venuto fuori.

Certezza che adesso andava a frantumarsi in tanti piccoli pezzettini.

Si alzò dal letto sfinita, chiedendosi come avrebbe potuto affrontare quella giornata in Accademia, tra bambini piccoli che urlavano e quelli grandi che combinavano danni provando i vari jutsu.

Cominciò a lavarsi i denti (non aveva per niente voglia di fare colazione) quando sentì qualcosa di bagnato correrle lungo la gamba. Abbassò lo sguardo e con orrore vide delle gocce scure che le macchiavano la pelle all’altezza della cosce.

Lasciò lo spazzolino cadere nel lavandino e corse di nuovo nella camera da letto, spostando le coperte con uno strattone.

Il lenzuolo era macchiato di sangue.

Si toccò piano il ventre e lo sentì ancora dolorante, come se stesse prendendo fuoco.

C’era decisamente qualcosa che non andava e l’unica persona che potesse aiutarla era Sakura.

Prese il telefono e con le dita tremanti compose il numero di casa dell’amica, sperando che non ci fosse Naruto.

Sospirò di sollievo quando realizzò che Naruto era in missione con Neji.

«Pronto?».

«Sono io, hai da fare oggi?».

Tenten sentì Sakura farfugliare qualcosa, disorientata. Forse si era appena svegliata.

«In verità sì, ho il turno in ospedale questa mattina…» rispose, senza pensarci.

Sakura gemette appena quando focalizzò nella sua mente con chi stava parlando e la sua voce risultò più chiara e decisa.

«Ten, stai bene? È successo qualcosa?».

«Io… no, cioè sì, ma non credo che sia nulla di grave. Oggi pomeriggio posso venire a farmi dare una controllata?».

«Puoi venire anche adesso, dammi dieci minuti per cambiarmi e ti raggiungo in ospedale».

«No, devo andare all’Accademia, ho una lezione importante da tenere…».

Tenten si morse il labbro, mentre le fitte al ventre sembravano aumentare a ogni minuto che passava. Avrebbe retto per qualche ora, aveva sopportato dolori peggiori.

«Come vuoi, ti aspetto questo pomeriggio. Chiamami se hai bisogno».

Tenten annuì e riattaccò, buttando un occhio al letto disfatto.

Strappò il lenzuolo dal materasso e appallottolandolo lo buttò nel cestino dell’immondizia.

Si tolse le mutande macchiate di sangue e fece lo stesso, respirando a fatica, in preda al panico.

 

 

«Quindi oggi pomeriggio ti prendi i maschi, le femmine invece verranno con me».

«No Ino, i maschi li ho presi ieri».

«Non m’interessa. Io con quei terremoti non la faccio lezione!».

Kiba incrociò le braccia al petto, cercando di reprimere i suoi istinti omicidi verso Ino, che gli stava davanti con un cipiglio seccato.

«Ino, devi fare lezione con tutti. E le bambine, oltre a sapere riconoscere e catalogare le piante curative, devono anche sapere combattere con gli animali. Alcune di loro, una volta diventate chunin, vorranno imparare la Tecnica del Richiamo. E mi spieghi cosa evocheranno? Un cactus carnivoro?».

«Se serve per sbranarti, allora sì».

Tenten entrò nella sala insegnanti proprio nel momento in cui Kiba mostrava a Ino il suo dito medio, con tanto di linguaccia. La giovane Yamanaka lo ignorò: per lei la discussione finiva lì, con tanto di vittoria.

Si avvicinò a Tenten, che presa com’era dai suoi pensieri, non si era accorta di quel battibecco. Teneva fra le mani dei documenti, ma i suoi occhi e la mente erano da tutt’altra parte, immersi in chissà quali pensieri.

Ino la dovette scuotere per un braccio per riuscire a catturare la sua attenzione.

«Cerchiamo di essere reattive: Neji è partito solo da due ore e tu non puoi già essere in questo stato di depressione!».

Ino pensò di aver fatto una gran bella battuta, perché rise di gusto battendo una pacca sulla spalla dell’amica. Ma Tenten non rideva affatto, anzi, si mise a sedere a una scrivania e poggiò la testa sul ripiano del tavolo, senza proferire parola.

«Rettifico, abbiamo già superato la depressione e siamo entrare nella disperazione».

Ino si accomodò accanto a Tenten, notando solo in quel momento il biancore cadaverico del suo volto. Le prese il viso fra le mani e lo scrutò da vicino, mentre gli occhi castani dell’amica non la guardavano nemmeno, anche se erano puntati su di lei.

«Stai ferma qui, non muoverti».

Ino raggiunse la sua borsa, trafficando al suo interno e prendendo una piccola torcia, che da fuori sembrava una comunissima penna.

Si rimise accanto a Tenten e puntò la luce sulle sue pupille, poi passò alla bocca.

«Non mi sembri malata, rispondi agli stimoli…» sussurrò appena, aggrottando le sopracciglia bionde.

Le mise una mano sulla fronte: era imperlata di sudore freddo.

Tenten si lasciò visitare senza dire nulla. Ino le prese anche il polso, contando i battiti.

«Sudore freddo, battiti accelerati. Se non ti conoscessi bene, direi che potresti anche avere un attacco di panico, ma non riesco a vederne il motivo».

«E’ solo stanchezza, questi bambini mi fanno dannare…».

«Oh, a chi lo dici! Kiba non aiuta come suo solito, tutto noi donne dobbiamo fare!».

Ino rimise la torcia a posto, voltandosi di nuovo verso Tenten, appena in tempo per vederla vomitare nel cestino della carta.

«Questa non è certo stanchezza…» bofonchiò, correndole in aiuto.

Le tirò indietro i capelli, mentre Tenten finiva di rimettere anche l’anima.

Ino la fece di nuovo sedere, ma sembrava che ormai quella posizione le facesse ancora più male, perché non appena toccò la sedia, un rantolo di dolore sfuggì dalla sua bocca.

Ino si allontanò un attimo, affacciandosi nel corridoio.

«Kiba! Per la miseria, vieni subito qui!».

Tenten intanto cominciò a credere che presto sarebbe morta.

Un dolore lancinante le stava tagliando in due il ventre, era consapevole di star continuando a perdere sangue e la sua mente era troppo concentrata nel sopportare il dolore, tanto che le risultava anche difficile aprire la bocca e chiedere aiuto o lamentarsi.

«Oh mio Dio, che puzza!» fece Kiba, non appena entrò nella stanza.

«Non rompere e renditi utile! Accompagnala in infermeria, io vengo subito!».

Tenten si sentì strapazzata da Ino, che cercava di farla camminare, ma le gambe non le reggevano, continuava a inciampare nei suoi stessi piedi.

Kiba allora prese in mano la situazione, mettendole un braccio intorno alle spalle e uno sotto le ginocchia.

Quell’improvviso sollevamento e il dolore che ne seguì fecero definitivamente perdere i sensi a Tenten.

 

 

Quando Neji varcò i cancelli di Konoha insieme a Shino e Naruto, capì subito che qualcosa non andava.

Sakura li stava aspettando e non sembrava per niente felice di rivederli.

Si avvicinò a Naruto, baciandolo e chiedendogli se fosse andato tutto bene. Senza ricevere risposta si voltò verso Neji, dedicandogli un sorriso spento.

«Possiamo parlare?» gli domandò solo per una questione di cortesia, perché dal suo tono Neji capì che non aveva altre scelte.

Si avviarono per il centro e con preoccupazione, Neji vide che non si stavano recando né a villa Hyuuga, né all’appartamento di Tenten. Sakura lo stava portando all’ospedale.

Fecero tutto il viaggio in silenzio, cosa che urtò non poco i nervi di Neji.

Quando arrivarono nella sala d’attesa dell’ospedale, Sakura si fermò a guardarlo.

«Meglio che ti siedi».

«Sto bene in piedi».

«Neji…».

«Ascoltami bene, Sakura. Ti ho seguito senza dire niente, anche se la voglia di urlarti addosso e chiederti che diavolo stesse succedendo era tanta e ho fatto fatica a reprimerla. Perciò ti conviene dirmi perché siamo qui e subito!».

Sakura, in circostanze normali, gli avrebbe risposto a tono, perché di certo non aveva paura a entrare nelle ire del giovane genio del clan Hyuuga.

Ma quella non era certo una circostanza normale.

«Tenten è stata male negli ultimi due giorni» iniziò lentamente, senza sbilanciarsi.

Vide gli occhi di Neji spalancarsi un attimo, ma il ragazzo non disse niente, aspettandosi maggiori informazioni.

«Adesso sta bene, anche se rimane un po’ debole» si fermò, mettendosi lei stessa a sedere.

All’inizio aveva pensato che a dirgli quella brutta verità sarebbe dovuta essere Tenten, perché era giusto in quel modo.

Ma Tenten, allo stato attuale delle cose, non era psicologicamente pronta.

«Il giorno che sei partito è venuta da me, per una visita. Ha scoperto di essere incinta».

Sakura, fino a quel momento, non aveva potuto capire in che stato di ansia e preoccupazione era piombata Tenten dal momento in cui aveva saputo del suo bambino.

Immaginava che le motivazioni di Neji per non volere dei figli potessero essere serie, ma sperava anche che il ragazzo, messo davanti al fatto ormai compiuto, potesse cambiare idea.

Evidentemente si sbagliava di grosso.

Neji rimase per qualche secondo imbambolato nella sua posizione, incapace di dire o fare qualcosa. Poi, con un gesto repentino, aveva lasciato la sacca da viaggio cadere a terra, mettendosi a sedere accanto a Sakura, col volto fra le mani.

Non la stava prendendo affatto bene.

Sakura cercò di non scomporsi, perché  il pezzo brutto della storia doveva ancora arrivare.

«Il giorno dopo ha avuto delle perdite di sangue. Si è rotta la sacca uterina e lei ha avuto un’emorragia interna. E’ svenuta che era all’Accademia, l’hanno portata qui Ino e Kiba».

Piombò il silenzio tra loro due, circondato solo dal rumore inutile del resto dell’ospedale.

Sakura aspettava soltanto il momento giusto per dargli il colpo di grazia, che per Neji ormai, doveva essere alquanto ovvio.

«Il bambino non c’è più, vero?» chiese infatti Neji, senza guardare Sakura, che si limitò soltanto a scuotere la testa.

Il giovane Hyuuga si alzò, cominciando a passeggiare avanti e indietro per la sala, cercando di raccogliere le idee e di formulare un pensiero, uno qualsiasi, su quello che era successo in sua assenza.

Tenten non gli aveva mai nascosto nullo.

Era una ragazza semplice e ingenua a volte, che non gli aveva mai dato motivo di essere geloso o di essere preoccupato; gliel’avrebbe detto della gravidanza, se non fosse stata spaventata.

Con orrore, Neji arrivò alla conclusione che Tenten avesse avuto paura di lui.

«Posso vederla?» chiese a Sakura, con voce distrutta.

«Puoi anche portarla a casa. Ino la sta aiutando a sistemare le sue cose».

Neji dovette aspettare solo cinque minuti prima di veder comparire la sua ragazza, spettinata e stanca, accompagnata da Ino che teneva in mano i fogli per le dimissioni.

Tenten guardò Neji, consapevole di quello che il ragazzo sapeva, e dovette lottare con tutte le sue forze per non scappare e andarsi a nascondere da qualsiasi parte, in modo che lui non potesse trovarla.

Neji le si avvicinò e in un gesto del tutto spontaneo, le mise le braccia intorno alle spalle, premendosela lentamente contro il petto; Tenten ne fu così sorpresa, che solo in quel momento si rese conto di quanto le fosse mancato in quei due giorni, di quanto avesse avuto bisogno di lui. Scoppiò a piangere, aggrappandosi disperatamente alla sua giacca da jonin.

«Ti porto a casa» le sussurrò Neji.

Recuperò la sua sacca e insieme a Tenten uscì dall’ospedale.

«E’ una gran brutta faccenda» fece Ino, rivolta a Sakura.

E lei, per una volta tanto, si trovò a concordare con l’amica.

 

 

Neji aprì la porta dell’appartamento di Tenten e la fece entrare per prima.

Non si erano scambiati una sola parola per tutto il tragitto, nonostante lui l’avesse tenuta stretta a sé, come a proteggerla dal mondo esterno.

Tenten aveva atteso con ansia e agitazione quel momento, in cui si sarebbero ritrovati da soli.

Quello che l’aveva veramente sconvolta, dopo l’operazione, non era stato il dolore insopportabile o la vista nauseabonda delle flebo attaccate al suo braccio, ma il vuoto che le era rimasto dentro.

Aveva sempre pensato che quel bambino era sbagliato in quella relazione, perché non era stato programmato e da una parte non era voluto. Averlo, avrebbe potuto anche significare perdere Neji.

Ma Tenten aveva constatato, con un fitta al cuore, che il dolore che aveva provato nel perdere il bambino era maggiore a quello che aveva provato quando aveva scoperto di essere incinta.

Quella gravidanza era sbagliata, doveva essere evitata, ma lei la voleva. Neanche per un istante aveva pensato all’aborto.

Nel momento in cui si era risvegliata dall’anestesia e Sakura le aveva dato la brutta notizia, Tenten aveva finalmente compreso cosa volesse finalmente dalla vita.

«Credo che dovremo discutere della cosa» azzardò Neji, posando le sue cose per terra, «ma adesso non è il momento. Entrambi abbiamo bisogno di risposo».

Tenten annuì, dirigendosi con passo pesante verso la sua stanza da letto. Ci si buttò a peso morto, sentendo lo scroscio della doccia dal bagno.

Neji la raggiunse poco dopo, con i capelli ancora umidi e si distese accanto a lei, prendendola tra le braccia, addormentandosi in quella posizione, senza che altri pensieri e preoccupazioni invadessero quel loro attimo di pace, quel momento che era solo per loro.

Tenten chiuse gli occhi, addormentandosi mentre ispirava il profumo del sapone.

Quando si risvegliò, erano da poco passate le otto di sera.

Neji era ancora accanto a lei, con lo sguardo perso sul paesaggio che s’intravedeva fuori dalla finestra.

«Sei arrabbiato?» gli chiese Tenten, rimanendo nello stesso abbraccio in cui si era addormentata.

«No. Sono… non lo so, forse triste».

Anche lei lo era. Forse avevano avuto lo stesso pensiero.

«Mi spiace di non avertelo detto».

«Stai bene?».

«No. Per niente».

Neji sospirò, cominciando a disegnarle dei cerchi sulla schiena, nella speranza di tranquillizzarla, anche se era lui il primo a non essere tranquillo.

«Avresti voluto tenerlo?».

Tenten rimase in silenzio, non sapendo che rispondere. In quel momento, qualsiasi risposta avesse dato, le sembrava sbagliata.

Ma il problema non era cosa volesse lei, ma quello che voleva Neji.

E quello che non voleva.

«Tu l’avresti voluto, invece?».

Neji esitò.

«No, non l’avrei voluto».

Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, dritto sul labbro, dove fa più male.

«Neji, devo chiedertelo. In futuro, tra qualche anno, avrai intenzione di avere dei figli?».

Tenten si alzò a sedere, perché voleva vederlo dritto negli occhi quando avrebbe risposto.

Neji, si voltò verso di lei, incatenando insieme i loro occhi, affinché non ci fossero più scappatoie o fraintendimenti.

«No».

«Io lo vorrei. Non subito, non adesso, ma tra un po’ di anni. Mi piacerebbe avere un figlio, al massimo due… e un marito. Voglio avere una famiglia tutta mia».

Neji si alzò, in modo da guardarla da pari a pari.

Tenten era una ragazza che non piangeva. Avrebbe preferito darsi un colpo in testa che piangere, eppure Neji poteva notare il rossore intorno ai suoi occhi, prova che non aveva fatto altro in quei due giorni che erano stati lontani.

Due giorni in cui la sua ragazza aveva lottato da sola, contro un dolore più forte di lei, più forte di qualsiasi altra arma affillata.

«Mi dispiace, ma non sarò io il fortunato a darti tutto questo».

Neji non aveva più il coraggio di mentire, neanche per rassicurarla, neanche in quel momento in cui sapeva d’infliggerle altre pene. Prolungare quella relazione, anche se di qualche giorno era impensabile, non in quelle condizioni, non con quei presupposti.

Tenten deglutì a fatica.

Osservò Neji che si alzava e cominciava a recuperare le sue cose sparse per la stanza, infilandole senza nessun ordine dentro la sacca.

«Ci stiamo lasciando?» gli chiese, a mezza voce, ma Neji fece finta di non sentirla, recuperando nel bagno il suo spazzolino da denti.

«NEJI! CI STIAMO LASCIANDO?!» gridò ancora, perché non le piaceva essere ignorata.

Lui si fermò sulla porta del bagno, osservando la figura di lei ancora sul letto, circondata dalle coperte disfatte. Cercò di memorizzarla in ogni suo dettaglio.

«Sì, ci stiamo lasciando».

Tenten cercò di mantenere l’auto controllo mentre le veniva spiattellato in faccia quello che ormai aveva immaginato da tempo, ma che mai aveva pensato potesse diventare così reale.

«Non mi è possibile darti una famiglia. Pensavo che lo stare insieme fosse l’unica cosa che ci serviva, ma sono stato egoista a pensare che anche a te potesse andare bene un rapporto così. Mi spiace solo di averti fatta soffrire».

Tenten gli voltò le spalle e Neji era sicuro che avesse cominciato a piangere.

Finì di prendere le sue cose, cercando le parole per dirle ancora qualcosa, una qualsiasi altra cosa. Ma una volta arrivato alla porta dell’appartamento, pronto per uscire, l’unica cosa che sentì fu uno dei singhiozzi di Tenten soffocati dal cuscino.

Estrasse dalla tasca dei pantaloni il doppione della chiavi e glielo poggiò sul tavolo della cucina.

Poi uscì, sbattendo la porta.

 

 

 

 

 

 

Sakura chiuse piano la porta della camera da letto e in punta di piedi raggiunse la cucina, dove Ino aveva appena finito di preparare del tè.

«E’ riuscita ad addormentarsi, ma non so quanto durerà».

La faccia di Haruno era stravolta, con i capelli disordinati e gli occhi gonfi per il mancato sonno.

Versò nel tè una generosa quantità di zucchero, mescolando energicamente; sperò che almeno la teina l’aiutasse a riaccendere un po’ di neuroni.

«Quando Neji tornerà supplicante da lei, giuro che lo riempio di botte! Non si tratta una donna così, non si tratta Tenten così! Ma chi si crede di essere?!».

Ino sembrava sul punto di esplodere. Avrebbe voluto urlare ai quattro venti tutto il suo disprezzo per il genio della casata Hyuuga, ma Tenten stava finalmente dormendo e se l’avesse di nuovo svegliata Sakura l’avrebbe uccisa.

Cercò d’ingoiare quel boccone amaro, rimettendo a posto la teiera.

«Ti ha detto perché si sono lasciati?», chiese ancora Ino, una volta ritrovata la calma.

«Mi ha detto un sacco di cose, tutte molto confuse. Ma credo sia a causa del bambino…».

«Giuro che lo uccido, giuro che…».

Sakura sorrise, nel vedere tanta determinazione in Ino.

Lavò la tazza e si rimise i sandali, prendendo poi il giacchetto da jonin.

«Andiamo, torneremo stasera a vedere come sta».

«Non possiamo andarcene! E se torna Neji? Non è ancora pronta per-».

Ino fu bloccata da una lunga occhiata di Sakura.

Era in piedi, davanti alla porta d’ingresso e sorrideva. Non un sorriso felice, ma uno di quelli rassegnati, di chi non può fare più nulla, di chi sa già il finale di una storia troppo triste.

Ino capì solo allora quella che Sakura aveva capito già da due giorni.

Sospirò affranta, mentre intravide con la coda dell’occhio la figura di Tenten, sveglia, che le ascoltava in silenzio dalla camera da letto.

Lo aveva capito anche lei.

Tenten aveva smesso di aggrapparsi a un’inutile speranza.

«Ino, Neji non tornerà».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

E’ triste, lo so.

E mi sento una carogna a far soffrire Tennie in questo modo. Ma non vi preoccupate, forse ci sarà un qualcosa, un seguito magari, chissà, dove le cose potrebbero mettersi a posto. Forse.

Per adesso, finisce in questo modo.

Ringrazio Mileidi per il betaggio “Oh, guardami se qui la trama fila, dimmi se le cose hanno un senso!”, e Algedi per il betaggio “Controllami la grammatica, sto fusa e potrei aver scritto delle castronerie uniche!”.

Un ringraziamento bello grande va anche a chi ha recensito ed è stato così gentile da perdere un po’ del suo tempo con la mia fic *smile*

 

Elpis

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

“Hurricane” – fan fiction © Elpis

“Hurricane” – dall’album This is War, 2009 © 30 Seconds to Mars

 

   
 
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