-Tieni-.
Connie squadra con sospetto il contenitore di plastica,
svitandolo attenta.
-Che ci devo fare?- chiede poi, massaggiandosi
infastidita la fronte nel vano tentativo di ridurre quel fastidiosissimo
cerchio alla testa.
-Ti sto sottoponendo a dei test antidroga, Constance. Secondo te?- le domanda indispettito Chester,
accennandole con il capo alla porticina bianca del bagno.
La sorella sbuffa, saltando giù dal tavolo del
laboratorio dove si era seduta.
-Non ti basta l’esame del sangue e l’analisi dei
capelli?- lo interroga speranzosa, mentre Erick, di
guardia all’ingresso, le lancia una bottiglietta d’acqua.
Chaz si abbassa sul microscopio, analizzando nuovamente
il capello. –Qui non c’è traccia di stupefacenti, ma in compenso la
concentrazione di quella strana molecola è molto elevata-
borbotta, mettendo meglio a fuoco. –Forse nelle tue urine potrei trovare
qualcosa di più utile- conclude.
-Non hai invece un’aspirina da darmi? Ho la testa
che mi scoppia- si lamenta, iniziando a bere
avidamente.
-Ben ti sta- la rimprovera David, comodamente
seduto su un alto sgabello del laboratorio. –Mi hai fatto morire- le rinfaccia per la centesima volta.
Connie storce la bocca, dispiaciuta.
-Oh, piantatela voi due!-
sbotta Erick, controllando che nessuno degli agenti
sottoposti cui Chester ha dato il pomeriggio libero facciano ritorno. –Non
credete sia abbastanza stressata, senza i vostri rimproveri da donnine
isteriche?- ridacchia, ammonendo con lo sguardo Chaz
e Dave.
-Oh, fai presto a parlare tu- lo aggredisce David,
alzandosi in piedi. –Non l’hai certo trovata priva di sensi vicino a un pub
dalla dubbia moralità!- gli ricorda, brandendo l’agenda della ragazza come un’arma
da scagliare.
-No, ma non è stato comunque lui a perderla di
vista- interviene Chester, muovendo agitato i baffi da una parte all’altra,
fremente di rabbia.
-Oh, quindi adesso è colpa mia, Protettore delle Cuvette?-
lo sfotte di rimando David.
-Io vado in bagno…- li informa laconica Connie, strizzando gli occhi per il dolore alle tempie.
-Ok, siamo tutti molto
agitati ragazzi, va bene? Ma non dobbiamo metterci
l’uno contro l’altro, forza! Peace and love!- propone allegro Erick,
beccandosi l’occhiata ammonitrice di entrambi gli altri colleghi.
Chester, con un ringhio, torna ad analizzare i
capelli della sorella, trafficando con varie sostanze per isolare le molecole,
mentre David torna seduto al suo posto, sfogliando di malavoglia l’agenda.
-Non ricordi proprio niente?- urla poco dopo, verso
il bagno.
-Solo che ti sei allontanato per chiamare e io ho iniziato a pedinare la punk- urla come risposta Constance, la voce attutita dalla porta chiusa.
–Nient’altro-.
David si porta una sigaretta alle labbra,
pensieroso.
–Vuoi farci saltare tutti in aria?- gli domanda indispettito Chester, mentre Erick
gli indica il cartello del “vietato fumare”. Dave
rimette con stizza la sigaretta in tasca, riprendendo a leggere.
-Non possono averle dato del valium?- chiede
interessato Erick, controllando il lungo corridoio.
–O del tavor? Causano amnesia- insiste.
-Sono entrambe benzodiazepine-
spiega Chaz, cambiando
provetta. –Ne avrei trovato tracce almeno nel sangue-.
-Punk scompare.
Cabina del telefono. Non funziona. Percy Weasley, circa vent’anni, un metro e
settanta, capelli rossi. Queste
cose non ti dicono niente?- alza la voce David, scorrendo le note della
collega.
-Niente!- mugugna frustrata Constance.
-Assistente
del primo Ministro- continua a leggere. - Ascensore mascherato da cabina telefonica non funzionante. Ingegnoso! Auror?- borbotta, interrotto da un fischio di
ammirazione di Erick. –Babbano…-
commenta poi, osservando lo sguardo perplesso dell’amico.
-Oh, piantala di dire
quella parola!- si lamenta Chester, alzando gli occhi verso il soffitto.
-Se non sappiamo cosa vuol dire, posso darle il
significato che voglio, no?- si difende, movendo qualche passo verso il centro
del laboratorio.
-Connie, qui c’è scritto che nel sottosuolo ci saranno
state circa cinquanta persone armate di… bacchetta?-
domanda sinceramente stupito David, avvicinando l’agenda agli occhi per leggere
correttamente la calligrafia veloce della ragazza.
-Vuoto totale- commenta un attimo dopo la ragazza.
-E poi hai scritto Ministero della Magia!!!- continua,
incuriosito. –Che cosa volevi dire?- domanda, rigirandosi fra le dita quel
curioso biglietto identificativo.
-Dave, come posso farti capire che non me lo ricordo?-
sbotta la ragazza profondamente infastidita dall’interrogatorio.
-Questa storia si fa sempre più babbana …- commenta Erick, facendo tremare di
disappunto i baffi di Chester.
-Constance, quanto ci metti ancora?- chiede con una punta di isterismo nella voce il tecnico di laboratorio.
-Un attimo! Non è facile con
voi tre che continuate a interrompermi!- si lamenta, sbuffando sonoramente.
-Cosa diavolo ti è venuto in mente di portarla qui?-
domanda Chester a David che, intanto, ha chiuso l’agenda
perplesso.
-E dove potevo portarla? All’ospedale avranno
sicuramente il suo nominativo- risponde ovvio Dave,
alzandosi in piedi al suono dell’apertura della porta del
bagno.
-E portarla al New Scotland Yard
ti è sembrata invece una buona idea?- lo rimprovera Chaz,
afferrando il contenitore che la ragazza gli porgeva ed etichettandolo con
attenzione.
-Avanti, druido
del Mortaio- interviene Erick. –Cosa voi che
succeda? Il Commissario Scott non esce mai dal suo ufficio! E’ stata proprio
un’idea babbana
da parte tua, Dave!- scherza, abbracciando Connie all’altezza delle spalle e ridendo del rossore di
Chester.
-Ripeti ancora una volta la parola babbano,
Erick, e, ti prometto, sarà l’ultima- lo minaccia Chaz, inserendo il contenitore in una specie di enorme
freezer.
-Constance?-
David si immobilizza di
colpo mentre Chester, pallido, si volta verso la porta d’ingresso del
laboratorio.
Eugene Scott, con il solito doppiopetto e la faccia
rubiconda, sorride agli agenti.
Erick si mette d’istinto di fronte alla ragazza che,
terrorizzata, fa qualche passo indietro.
Silenzio.
-Constance!- ripete il Commissario, giulivo, muovendo qualche
passo verso di lei. –Oh, sono così felice di rivederti!- esulta, scostando Erick con poca grazia e abbracciando la ragazza con sincero
affetto.
Connie rimane prima sulla difensiva, per poi sciogliersi
e abbracciare a sua volta il vecchio amico del padre.
Dannazione, quel traditore le è veramente mancato.
-Eugene, io…- pigola, zittita da
una carezza gentile dell’uomo. –Stai bene?- si informa
prontamente, accarezzandole la fronte.
-I-io…-
-Ti ricordi di me, vero?- la interroga, con ansia.
Constance aggrotta la fronte, sorpresa, per poi cercare con
gli occhi lo sguardo amico di Chester che, con un cenno del capo, la invita a
rispondere.
-Certo che mi ricordo di te, Eugene-
lo rassicura, sorridente.
-E di tuo padre? Ti… ti ricordi anche di lui,
vero?- insiste l’uomo, sinceramente preoccupato.
-Come potrei dimenticare lui o mamma, scusa?-
ridacchia Connie, profondamente turbata dalla
stranezza di quelle domande.
Il Commissario Capo Scott sorride stringendole
forte un braccio, felice di rivederla. –Già ma sai, con quella gente lì… non si
sa mai… le loro stranezze… non mi fido molto…- mugugna, facendo scambiare uno
sguardo eloquente a David, Erick e Chaz.
-Eugene, cosa…- tenta di chiedere Connie,
immediatamente interrotta.
-Oh, lascia stare. Riflessioni da vecchi, forse un
giorno capirai- svicola, continuando ad abbracciarla e
voltandosi poi verso gli altri tre agenti.
-Sapevo di trovarti qui con Chester-
ammette, squadrando con aria di rimprovero il figlioccio che, in ansia, inizia
a muovere agitato i baffi. –Così come sapevo che l’agente Canter
aveva mantenuto i contatti con te- continua, causando un ulteriore
irrigidimento di David. –E che tutti gli straordinari fatti dall’agente Miller
fossero solo per fare ricerche non autorizzate-.
-Capo, lei è troppo bab…- inizia Erick,
immediatamente zittito da una gomitata provvidenziale di Chaz.
Fortunatamente Scott sembra non averlo sentito.
-Fortuna che nessuno di voi si è cacciato nei guai.
Non si scherza con gente come quella, non si sa che cosa potrebbero fare- conclude, sibillino.
-Che gente, Capo?- interviene di nuovo Erick, ostentando la miglior faccia innocente che conosca.
-Nulla Miller, nulla-
sminuisce Eugene, abbracciando ulteriormente Connie
e, ormai vicino, assestando una forte pacca sulla spalla a Chester.
-E, dimmi Constance…- inizia,
meditabondo. –Cosa sai dirmi invece di Black?- domanda, con aria attenta.
Connie apre la bocca, guardando la testa di David fargli
un leggero cenno di diniego.
-Black… chi?-
domanda quindi.
-E’ un ricercato Constance,
nessuno di importante- interviene David, alzando le
spalle con aria indifferente. –Perché le interessa,
Capo?-
Eugene ride deliziato lasciando la presa dei
ragazzi e fissandoli soddisfatto.
-Molto bene ragazzi, sono fiero di voi. Mi avete
fatto preoccupare, non lo nego, ma vedo che tutto si è risolto per il meglio.
Non me lo sarei mai perdonato se vi fosse accaduto qualcosa- constata,
gonfiando il petto ed espirando come se si togliesse un grosso peso dallo
stomaco.
-Agente White, sei immediatamente reintegrata nel
tuo incarico- annuncia, solenne, facendo sorridere la ragazza e consegnandole
la pistola d’ordinanza.
-Il distintivo credo sia già in tuo possesso, dico
bene Miller?- ridacchia l’uomo, squadrando con sguardo ammonitore Erick che, impacciato, inizia a fischiettare indifferente.
Dopo gli ultimi saluti di rito, Eugene si fa
invitare da Chester alla cena della domenica seguente, con la promessa che
saranno presenti anche la piccola Elizabeth e la cara Mercy
per sparire poi su per le scale, rasserenato.
-Babbano…- commenta con gli occhi vacui Erick
e beccandosi una gomitata di vendetta di Chester.
-Ma cosa…- domanda perplessa Constance,
stringendosi al braccio di Dave.
-Devono avergli detto che ti hanno cancellato la
memoria- conclude David, stringendo a sua volta la
ragazza. –Crede però che lo abbiano fatto dall’inizio, dall’esplosione di Tooley Street
Probabilmente era questo che dovevano fare sia gli agenti che sono venuti a
interrogarti a casa dopo
-Ma, invece, ti hanno fatto dimenticare solo gli
ultimi minuti, quelli in cui hai trovato il loro covo- continua Chester,
tornando al proprio microscopio mentre, il portatile di Erick
inizia a trillare.
-Ragazzi, Shacklebolt è
ricomparso. Si sta muovendo- li informa, facendo notare a tutti il puntino
arancione muoversi lentamente sulla cartina informatica.
-Inizia il pedinamento- conclude
per lui Dave, ritrovando finalmente la speranza di
svelare quel mistero.
Tornare al lavoro era stato bello. Spolverare la scrivania stracolma di carte, riassaporare le
ciambelle al gusto di cartone, informarsi sui pettegolezzi dell’ultimo anno e
mezzo.
Anche tornare alla propria vita, come poter uscire di casa senza travestimenti, andare a trovare sua madre una
volta alla settimana senza il timore di essere seguita, dormire nel proprio
appartamento.
Le novità di quegli ultimi mesi, però, l’avevano
profondamente cambiata.
Ormai, nella sua testa, il caso Black
era l’unico effettivamente meritevole di attenzione e anche l’unico che, i
quattro, si ostinavano a seguire con crescente
eccitazione.
A turno, quando non erano al lavoro, annotavano gli
spostamenti di Shacklebolt, scoprendo che poteva sparire da una zona di Londra
all’improvviso per poi ricomparire, neanche mezzo secondo dopo, dall’altra
parte. Spesso si incontrava con quella punk dai
capelli rosa, si fermavano un paio d’ore a parlare e poi si dividevano, senza
incontrarsi anche per lunghi periodi.
A fatica Erick era riuscito a piazzare una cimice anche a lei,
fingendosi un rapper poco convincente e tentando di abbordarla per strada per
attaccare la piccola microspia alla cintura dei pantaloni della ragazza. Al
puntino arancione della cartina si era quindi aggiunto, con somma esaltazione
di tutti e quattro, anche un puntino rosa.
A giugno, inoltre, puntuale come un orologio
svizzero, il piccolo puntino verde di Piton era
magicamente riapparso a Spinner’s End.
Ma si spostava più spesso. Qualche volta scompariva
dalla cartina, rimaneva assente diverse ore, e poi ricompariva, placido, a
casa.
La sorpresa maggiore però,
la riservò la metà del mese.
Quasi ogni settimana, senza una chiara frequenta,
tutti e tre i tre puntini si dirigevano in un quartiere periferico di Londra,
facendo ben attenzione a non incontrarsi mai, per poi sparire.
Erick aveva cercato in tutti gli archivi e le
biblioteche del Regno Unito, senza trovare una spiegazione logica. Dagli uffici
amministrativi, la risposta alle incalzanti domande dei quattro era una sola:
errore di numerazione.
Nessuno sembrava sapere nulla di Grimmaul Place numero dodici.