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Autore: Nackros    04/10/2011    3 recensioni
Marte, quella era la meta, la sua nuova casa.
Era quel pianeta che osservava quando ancora la sera si poteva sedere tra le tegole ed il comignolo e che pensava fosse così irraggiungibile.
Era stato reso vivibile “apposta per tutti noi esseri umani”, avevano detto.
Avevano costruito sul suolo rosso di quel corpo celeste, lavorato per rendere l'atmosfera vivibile, ma non erano riusciti a salvare la Terra.
Per questo si trovava lì, sul retro di una navicella spaziale, a guardare la Terra allontanarsi sempre di più da lei, troppo immersa nei suoi pensieri per accorgersi della presenza alle sue spalle di un ragazzo che la scrutava meravigliato.

[...]
In un futuro forse neanche troppo lontano la Terra non è più abitabile e gli esseri umani si preparano a compiere la più grande migrazione mai avvenuta.
Ed è proprio sul retro di una navicella in rotta per Marte che due ragazzi, dopo tanto tempo, si rincontrano.
Dal capitolo 5:
Lentamente tutto stava tornando come prima, o almeno per quanto ciò fosse possibile.
Ma come in ogni cambiamento c'era sempre qualcuno che rimaneva indietro; Gwen si sentiva esattamente così, in ritardo, come fosse troppo tardi per poter recuperare.
Lì in piedi, in attesa di rientrare a casa, si rese conto di essere l'unico punto fermo in un mondo che continuava a scorrere, a mutare. Era una sensazione strana, un po' come quando ci si siede sulla panchina di una stazione e si vedono tutti partire, mentre tu rimani fermo ad osservare il mondo che va avanti senza aspettarti. Come se la sua presenza non avesse importanza in mezzo a tutto quel via e vai di vite.
Nessuno si sarebbe fermata ad attenderla. Tanto valeva rimanere ferma ad aspettare. Ad aspettare cosa, poi?
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tempo scorre velocemente...
Un pensiero stupido, delle parole dette e sentite migliaia di volte, eppure allo stesso tempo una frase così vera.
Era questo il pensiero che continuava a risuonare nella testa di Gwen, come un'eco continuo, mentre riponeva quei suoi pochi affetti personali in un borsone consunto.
..Troppo velocemente.
Continuava a ripeterselo quasi come fosse una colpa.
Era passato circa un mese e mezzo da quando si era risvegliata tra le braccia di Trent e da quel momento le lancette avevano iniziato a scorrere con rapidità.
I giorni erano passati come attimi tra baci, carezze e frasi dolci sussurrate a bassa voce.
Ogni cosa intorno a lei aveva preso colore, acquisendo una vividezza mai avuta.
Le sensazioni che provava erano finalmente reali, concrete.
Le attraversavano la spina dorsale, fin sotto la pelle, infiltrandosi tra le vene e le ramificazioni dei capillari facendola sentire viva.
Il cuore aveva ripreso a pomparle caldo nel petto.
Prese un'ultima maglia rimasta sistemandola insieme alle altre all'interno del borsone, per poi afferrare la cerniera e chiuderla con lentezza, osservando i lembi del tessuto ricongiungersi tra di loro.
Sarebbe stata in grado anche lei di rimarginare le sue ferite in quel modo?
La sua mente cercava già ad abituarsi al dolore che da lì a poco avrebbe dovuto sentire.
Sentiva tutta la felicità accumulata in quell'ultimo mese scivolargli tra le dita, piano, lentamente, soffrendo ad ogni minimo granello caduto.
Si alzò in piedi con il pesante borsone a tracolla, avvicinandosi alla porta e buttandolo in un angolo lì vicino.
Poi si richinò, fino ad arrivare ad afferrare un foglio accartocciato a terra.
Lo prese per i lembi, iniziando a stirare le pieghe della carta tra le dita.
Non sapeva esattamente spiegare perché lo stesse facendo. Che senso aveva rileggere quelle parole, ormai tristemente conosciute a memoria, un'altra volta?
"Gentile signorina Bla, bla, bla... Siamo lieti di annunciarLe che il viaggio è quasi giunto al termine con successo grazie all'ottimo lavoro svolto dal nostro equipaggio, Bla, bla, bla... Al momento dell'atterraggio è quindi gentilmente pregata di presentarsi allo sbarco numero 16 in attesa del Suo successivo trasferimento Bla, bla, bla..."
Parole, soltanto stupide parole, stampate su un foglio con un inchiostro ormai sbavato dalle lacrime.
Ed ecco ora un'altra goccia caderle silenziosa dalle ciglia, incontrando l'ostacolo della carta ed andando in frantumi.
Gwen vide il numero sedici, prima scritto con un carattere dai contorni netti, trasformarsi soltanto in un'altra brutta sbavatura al contatto con la sua lacrima.
Chissà quante altre lettere come la sua erano state scritte e recapitate.
Tutte uguali; stessi finti saluti e pavoneggiamenti sull'ottimo lavoro svolto, contornati da una sfilza di “cordiale”, “gentilissima” e“cortesemente”.
Tutte identiche fino alla nausea, se non per una piccola differenza: il destinatario ed il numero dello sbarco.
Questo era ciò che rendeva diversa la sua lettera da quella di Trent.
Il numero, in particolare.
Il sedici per Gwen, il diciassette per Trent.
La banale distanza di una cifra che li avrebbe resi terribilmente distanti uno dall'altra.
Li avrebbero divisi.
Si accasciò sul pavimento freddo, scivolando con la schiena lungo la parete metallica.
La carta si accartocciò tra le sue mani, soffocata dalle dita strette in un pugno.
Con tutta la rabbia che aveva in corpo gettò la lettera in un angolo della stanza, osservandola con gli occhi pieni di astio, quasi potesse prendere fuoco e diventare all'istante cenere, cedendo q uello sguardo ricolmo di odio.
Se la stava prendendo con un pezzo di carta... Eppure, non riusciva a trovare un'altra cosa sulla quale esprime tutto il suo disprezzo.
Era tutto tremendamente ingiusto, non potevano separarli, non ora, non adesso che si erano appena ritrovati.
C'era un modo per poter cambiare la situazione? No, si rispose mentalmente, con gli occhi velati dalle lacrime.
Ci avevano provato, ma i loro sforzi erano stati totalmente inutili.
Trent aveva quasi assalito un addetto all'ordine per poter parlare con uno dei responsabili di quel trasferimento, nel tentativo di risolvere il problema.
Gwen non l'aveva mai visto comportarsi così, e sapeva che se l'aveva fatto l'unico vero motivo era che anche lui aveva capito che non c'era più niente da fare.
All'improvviso sentì bussare alla porta. Si alzò lentamente ed andò ad aprire.
«Oh...» sussurrò sorpresa, alla vista di Trent, «E' già ora?»
Lui le rispose con un movimento del capo.
Sentì un forte senso d'ansia salirgli dal petto, facendole venire la nausea.
«Aspettami qui...» riuscì a malapena a mormorare, «Vado un attimo in bagno».
Si diresse verso la piccola stanza in fondo alla camera, richiudendo la porta dietro di sé.
Iniziò a respirare lentamente, sciacquandosi la fronte imperlata di sudore con dell'acqua.
Sentiva le gambe molli, la punta delle dita tremargli leggermente e una forte sensazione di freddo invadergli il corpo.
Rimase per un po' immobile, le mani salde al lavandino, prima di dirigersi nuovamente verso Trent.
Anche lui sembrava provare le sue stesse sensazioni, con il viso più pallido del solito.
Quando la ragazza si chinò per prendere il bagaglio si sentì schiacciare sotto quel peso.
«Tranquilla, faccio io» la rassicurò Trent, sfilandole la presa dal borsone.
Con la mano libera strinse forte quella gelida di Gwen, uscendo per l'ultima volta dalle pareti di quella camera, testimoni del loro tempo passato ad amarsi.
Chiudendo quella porta avevano avuto l'impressione di lasciarsi dietro un pezzo della loro storia.
Fuori nei corridoi, tanta gente vagava alla ricerca della propria sala di sbarco.
Quando arrivarono al bivio che separava il numero sedici dal diciassette i loro passi rallentarono, fino a fermarsi.
Trent porse il bagaglio alla ragazza, poggiandolo ai suoi piedi.
Gwen gli sfiorò le mani, fissandolo intensamente.
«Trent, io non voglio...» mormorò con voce rotta.
Lui la strinse in un abbraccio, affondando la testa nei suoi capelli.
«Non è giusto, non dovevano farlo...» continuò, «mi avevi promesso che non te ne saresti andato».
A quelle parole il cuore del ragazzo sembrò spezzarsi.
«Ho fatto il possibile, veramente, te lo giuro...»
«Non è giusto» ripeteva Gwen, «se ne vanno sempre via tutti... Non è giusto...»
Trent sciolse cautamente l'abbraccio, poi, con delicatezza, prese il viso della ragazza tra le sua mani, osservandola negli occhi neri e umidi.
«Gwen» scandì bene il suo nome, mantenendo il tono di voce il più più fermo possibile, «ti avevo promesso che non ti avrei mai lasciata, è vero. Ma solo perché quelli adesso ci dividono non vuol dire che la mia promessa non sia più valida. Ti penserò sempre, e sono sicuro che ci rincontreremo. Risolveremo tutto, troverò un modo. Veramente, farò di tutto per fare sì che ciò accada... Credi che potrei mai arrendermi adesso?»
Seguì un attimo di silenzio in cui Gwen si perse nella sincerità che traspariva dagli occhi del compagno.
«Mi mancherai» si limitò a rispondergli, avvicinandosi al suo viso.
«Anche te» sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra, per poi unirle in un bacio.
Incuranti degli sguardi dei passanti, continuarono quell'effusione a lungo, con le lacrime che lentamente andavano a morire nel punto in cui le loro bocche si incontravano.
Una voce che fuoriusciva dagli altoparlanti invitava la gente ad affrettarsi a raggiungere la propria sala di sbarco, riportandoli alla realtà.
«Dobbiamo andare adesso» sentenziò lui, come fosse una condanna.
La mano di Gwen era ancora poggiata sulla guancia del ragazzo.
«Tieni» aggiunse il Trent, porgendogli un foglio di carta tutto stropicciato.
Lei riconobbe la lettera che poco prima aveva gettato con rabbia in un angolo della sua stanza.
Probabilmente l'aveva raccolta mentre era andata in bagno.
«Non la voglio» rispose decisa, ancora segnata dall'odio che provava per le parole tracciate su quella carta.
«Prendila comunque, è tua. Non si poteva lasciare immondizia nella camera, e poi, magari, te la chiedono allo sbarco...»
Gwen decise di mettersela in tasca, un po' stranita da quella richiesta.
«Non fare niente che possa metterti nei guai» continuò, «E ricordati che non possono impedirci di rincontrarci... Perché lo faremo».
Le loro mani continuavano a sfiorarsi, le guance erano ancora segnate da solchi umidi.
Trent le asciugò una lacrima che si stava facendo strada sulle labbra della ragazza.
Le loro bocche si unirono ancora, in un altro bacio.
«Non sarà l'ultimo, vedrai...» le bisbigliò nell'orecchio.
Un sorriso si disegno sul volto di Gwen.
La sicurezza con cui quelle parole erano state pronunciate le fecero accendere la speranza che ciò fosse veramente vero.
«Ti credo» affermò con un'innata positività, «mi fido ti te».
Rimasero avidamente stretti uno tra le braccia all'altro.
I corridoi iniziavano a svuotarsi, una guardia sembrava scrutarli severamente.
«Adesso vai, Gwen»
Lei esitò, fissandolo negli occhi, poi prese il bagaglio e si avviò di corsa verso la sala di sbarco, mentre Trent si muoveva nella direzione opposta.
In quel momento si voltò, incontrando lo sguardo di Trent, anch'esso voltato nella sua direzione.
Alla vista di quello sguardo, le lacrime le appannarono nuovamente gli occhi.
Cercò di reprimerle, così come cercò di ignorare la sensazione atroce che non provava oramai da più di un mese; la solitudine.
Nel grande atrio dove si era dovuta recare si sentì, infatti, terribilmente sola.
Non sarebbe bastata la moltitudine di gente che affollava il posto a fargli svanire lo spiacevole senso di vuoto che provava nel petto.
Solo una persona era in grado di colmarlo, ed in quel momento si stava allontanando sempre di più da lei.
La claustrofobia che aveva imparato a controllare negli anni passati sembrò voler di nuovo tornare a opprimerla, premendole sulle costole.
Respirando lentamente si avvicinò ad un angolo della sala, sedendosi sul pavimento.
Il forte rumore dei motori della navicella, probabilmente già intenta in qualche manovra di atterraggio, si aggiunse al vociare della gente.
Gwen si sentì soffocare.
Appoggiò la testa al muro, portandosi le mani sulle gambe.
Con i polpastrelli sentì nella tasca la carta porosa della lettera che tanto odiava.
La prese in mano, iniziando ad aprirla, prestando attenzione nello stirare con cura le pieghe, nel tentativo di concentrarsi su qualcosa che non fosse l'opprimente sensazione che gli pesava sullo stomaco.
In quel momento le lacrime, che con molta fatica era prima riuscita a reprimere, sgorgarono sul suo viso.
In un angolo della lettera, segnate con una scrittura inconfondibile, erano state scritte due parole;
«Ti amo».


   
 
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