Il
tempo scorre
velocemente...
Un
pensiero stupido, delle parole dette e sentite migliaia di volte,
eppure allo stesso tempo una frase così vera.
Era
questo il pensiero che continuava a risuonare nella testa di Gwen,
come un'eco continuo, mentre riponeva quei suoi pochi affetti
personali in un borsone consunto.
..Troppo velocemente.
Continuava
a ripeterselo quasi come fosse una colpa.
Era
passato circa un mese e mezzo da quando si era risvegliata tra le
braccia di Trent e da quel momento le lancette avevano iniziato a
scorrere con rapidità.
I
giorni erano passati come attimi tra baci, carezze e frasi dolci
sussurrate a bassa voce.
Ogni
cosa intorno a lei aveva preso colore, acquisendo una vividezza mai
avuta.
Le
sensazioni che provava erano finalmente reali, concrete.
Le
attraversavano la spina dorsale, fin sotto la pelle, infiltrandosi
tra le vene e le ramificazioni dei capillari facendola sentire viva.
Il
cuore aveva ripreso a pomparle caldo nel petto.
Prese
un'ultima maglia rimasta sistemandola insieme alle altre all'interno
del borsone, per poi afferrare la cerniera e chiuderla con lentezza,
osservando i lembi del tessuto ricongiungersi tra di loro.
Sarebbe
stata in grado anche lei di rimarginare le sue ferite in quel modo?
La sua
mente cercava già ad abituarsi al dolore che da
lì a poco avrebbe
dovuto sentire.
Sentiva
tutta la felicità accumulata in quell'ultimo mese
scivolargli tra le
dita, piano, lentamente, soffrendo ad ogni minimo granello caduto.
Si
alzò in piedi con il pesante borsone a tracolla,
avvicinandosi alla
porta e buttandolo in un angolo lì vicino.
Poi si
richinò, fino ad arrivare ad afferrare un foglio
accartocciato a
terra.
Lo
prese per i lembi, iniziando a stirare le pieghe della carta tra le
dita.
Non
sapeva esattamente spiegare perché lo stesse facendo. Che
senso
aveva rileggere quelle parole, ormai tristemente conosciute a
memoria, un'altra volta?
"Gentile
signorina Bla, bla, bla...
Siamo lieti di annunciarLe che il viaggio
è quasi giunto al termine con successo grazie all'ottimo
lavoro
svolto dal nostro equipaggio, Bla,
bla, bla... Al momento
dell'atterraggio è quindi gentilmente pregata di presentarsi
allo
sbarco numero 16 in attesa del Suo successivo trasferimento Bla, bla,
bla..."
Parole,
soltanto stupide parole,
stampate su un foglio con un inchiostro
ormai sbavato dalle lacrime.
Ed
ecco ora un'altra goccia caderle silenziosa dalle ciglia, incontrando
l'ostacolo della carta ed andando in frantumi.
Gwen
vide il numero sedici, prima scritto con un carattere dai contorni
netti,
trasformarsi soltanto in un'altra brutta sbavatura al contatto con la
sua lacrima.
Chissà
quante altre lettere come la sua erano state scritte e recapitate.
Tutte
uguali; stessi finti saluti e pavoneggiamenti sull'ottimo lavoro
svolto, contornati da una sfilza di “cordiale”,
“gentilissima”
e“cortesemente”.
Tutte
identiche fino alla nausea, se non per una piccola differenza: il
destinatario ed il numero dello sbarco.
Questo
era ciò che rendeva diversa la sua lettera da quella di
Trent.
Il
numero, in particolare.
Il
sedici per Gwen, il diciassette per Trent.
La
banale distanza di una cifra che li avrebbe resi terribilmente
distanti uno dall'altra.
Li
avrebbero divisi.
Si
accasciò sul pavimento freddo, scivolando con la schiena
lungo la
parete metallica.
La
carta si accartocciò tra le sue mani, soffocata dalle dita
strette
in un pugno.
Con
tutta la rabbia che aveva in corpo gettò la lettera in un
angolo
della stanza, osservandola con gli occhi pieni di astio, quasi
potesse prendere fuoco e diventare all'istante cenere, cedendo q
uello sguardo ricolmo di odio.
Se la
stava prendendo con un pezzo di carta... Eppure, non riusciva a
trovare un'altra cosa sulla quale esprime tutto il suo disprezzo.
Era
tutto tremendamente ingiusto, non potevano separarli, non ora, non
adesso che si erano appena ritrovati.
C'era
un modo per poter cambiare la situazione? No, si rispose mentalmente,
con gli occhi velati dalle lacrime.
Ci
avevano provato, ma i loro sforzi erano stati totalmente inutili.
Trent
aveva quasi assalito un addetto all'ordine per poter parlare con uno
dei responsabili di quel trasferimento, nel tentativo di risolvere il
problema.
Gwen
non l'aveva mai visto comportarsi così, e sapeva che se
l'aveva
fatto l'unico vero motivo era che anche lui aveva capito che non
c'era più niente da fare.
All'improvviso
sentì bussare alla porta. Si alzò lentamente ed
andò ad aprire.
«Oh...»
sussurrò sorpresa, alla vista di Trent, «E'
già ora?»
Lui
le rispose con un movimento del capo.
Sentì
un forte senso d'ansia salirgli dal petto, facendole venire la
nausea.
«Aspettami
qui...» riuscì a malapena a mormorare,
«Vado un attimo in bagno».
Si
diresse verso la piccola stanza in fondo alla camera, richiudendo la
porta dietro di sé.
Iniziò
a respirare lentamente, sciacquandosi la fronte imperlata di sudore
con dell'acqua.
Sentiva
le gambe molli, la punta delle dita tremargli leggermente e una forte
sensazione di freddo invadergli il corpo.
Rimase
per un po' immobile, le mani salde al lavandino, prima di dirigersi
nuovamente verso Trent.
Anche
lui sembrava provare le sue stesse sensazioni, con il viso
più
pallido del solito.
Quando
la ragazza si chinò per prendere il bagaglio si
sentì schiacciare
sotto quel peso.
«Tranquilla, faccio io» la
rassicurò Trent, sfilandole la presa dal borsone.
Con
la mano libera strinse forte quella gelida di Gwen, uscendo per
l'ultima volta dalle pareti di quella camera, testimoni del loro
tempo passato ad amarsi.
Chiudendo
quella porta avevano avuto l'impressione di lasciarsi dietro un pezzo
della loro storia.
Fuori
nei corridoi, tanta gente vagava alla ricerca della propria sala di
sbarco.
Quando
arrivarono al bivio che separava il numero sedici dal diciassette i
loro passi rallentarono, fino a fermarsi.
Trent
porse il bagaglio alla ragazza, poggiandolo ai suoi piedi.
Gwen
gli sfiorò le mani, fissandolo intensamente.
«Trent,
io non voglio...» mormorò con voce rotta.
Lui
la strinse in un abbraccio, affondando la testa nei suoi capelli.
«Non
è giusto, non dovevano farlo...»
continuò, «mi avevi promesso che
non te ne saresti andato».
A
quelle parole il cuore del ragazzo sembrò spezzarsi.
«Ho
fatto il possibile, veramente, te lo giuro...»
«Non
è giusto» ripeteva Gwen, «se ne vanno
sempre via tutti... Non è
giusto...»
Trent
sciolse cautamente l'abbraccio, poi, con delicatezza, prese il viso
della ragazza tra le sua mani, osservandola negli occhi neri e umidi.
«Gwen»
scandì bene il suo nome, mantenendo il tono di voce il
più più
fermo possibile, «ti avevo promesso che non ti avrei mai
lasciata, è
vero. Ma solo perché quelli adesso ci dividono non vuol dire
che la
mia promessa non sia più valida. Ti penserò
sempre, e sono sicuro
che ci rincontreremo. Risolveremo tutto, troverò un modo.
Veramente,
farò di tutto per fare sì che ciò
accada... Credi che potrei mai
arrendermi adesso?»
Seguì
un attimo di silenzio in cui Gwen si perse nella sincerità
che
traspariva dagli occhi del compagno.
«Mi
mancherai» si limitò a rispondergli, avvicinandosi
al suo viso.
«Anche
te» sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra,
per poi unirle in
un bacio.
Incuranti
degli sguardi dei passanti, continuarono quell'effusione a lungo, con
le lacrime che lentamente andavano a morire nel punto in cui le loro
bocche si incontravano.
Una
voce che fuoriusciva dagli altoparlanti invitava la gente ad
affrettarsi a raggiungere la propria sala di sbarco, riportandoli
alla realtà.
«Dobbiamo
andare adesso» sentenziò lui, come fosse una
condanna.
La
mano di Gwen era ancora poggiata sulla guancia del ragazzo.
«Tieni»
aggiunse il Trent, porgendogli un foglio di carta tutto stropicciato.
Lei
riconobbe la lettera che poco prima aveva gettato con rabbia in un
angolo della sua stanza.
Probabilmente
l'aveva raccolta mentre era andata in bagno.
«Non
la voglio» rispose decisa, ancora segnata dall'odio che
provava per
le parole tracciate su quella carta.
«Prendila
comunque, è tua. Non si poteva lasciare immondizia nella
camera, e
poi, magari, te la chiedono allo sbarco...»
Gwen
decise di mettersela in tasca, un po' stranita da quella richiesta.
«Non
fare niente che possa metterti nei guai» continuò,
«E ricordati
che non possono impedirci di rincontrarci... Perché lo
faremo».
Le
loro mani continuavano a sfiorarsi, le guance erano ancora segnate da
solchi umidi.
Trent
le asciugò una lacrima che si stava facendo strada sulle
labbra
della ragazza.
Le
loro bocche si unirono ancora, in un altro bacio.
«Non
sarà l'ultimo, vedrai...» le bisbigliò
nell'orecchio.
Un
sorriso si disegno sul volto di Gwen.
La
sicurezza con cui quelle parole erano state pronunciate le fecero
accendere la speranza che ciò fosse veramente vero.
«Ti
credo» affermò con un'innata
positività, «mi fido ti te».
Rimasero
avidamente stretti uno tra le braccia all'altro.
I
corridoi iniziavano a svuotarsi, una guardia sembrava scrutarli
severamente.
«Adesso
vai, Gwen»
Lei
esitò, fissandolo negli occhi, poi prese il bagaglio e si
avviò di
corsa verso la sala di sbarco, mentre Trent si muoveva nella
direzione opposta.
In
quel momento si voltò, incontrando lo sguardo di Trent,
anch'esso
voltato nella sua direzione.
Alla
vista di quello sguardo, le lacrime le appannarono nuovamente gli
occhi.
Cercò
di reprimerle, così come cercò di ignorare la
sensazione atroce che
non provava oramai da più di un mese; la solitudine.
Nel
grande atrio dove si era dovuta recare si sentì, infatti,
terribilmente sola.
Non
sarebbe bastata la moltitudine di gente che affollava il posto a
fargli svanire lo spiacevole senso di vuoto che provava nel petto.
Solo
una persona era in grado di colmarlo, ed in quel momento si stava
allontanando sempre di più da lei.
La
claustrofobia che aveva imparato a controllare negli anni passati
sembrò voler di nuovo tornare a opprimerla, premendole sulle
costole.
Respirando
lentamente si avvicinò ad un angolo della sala, sedendosi
sul
pavimento.
Il
forte rumore dei motori della navicella, probabilmente già
intenta
in qualche manovra di atterraggio, si aggiunse al vociare della
gente.
Gwen
si sentì soffocare.
Appoggiò
la testa al muro, portandosi le mani sulle gambe.
Con
i polpastrelli sentì nella tasca la carta porosa della
lettera che
tanto odiava.
La
prese in mano, iniziando ad aprirla, prestando attenzione nello
stirare con cura le pieghe, nel tentativo di concentrarsi su qualcosa
che non fosse l'opprimente sensazione che gli pesava sullo stomaco.
In
quel momento le lacrime, che con molta fatica era prima riuscita a
reprimere, sgorgarono sul suo viso.
In
un angolo della lettera, segnate con una scrittura inconfondibile,
erano state scritte due parole;
«Ti amo».