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Autore: VeganWanderingWolf    07/10/2011    0 recensioni
canto di chi ricorda, anche se non c'è più
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Nonsenses'
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.regno in nessun dove.

 

 

così do un'altra spinta con le dita

e il mondo ruota vorticando su un'asse instabile

in un'altro mattino mi risveglio solo

strizzando le lacrime rimaste impigliate nei rovi

sono solito arroventare il ghiaccio

guardando il clangore delle catene

clangore di fuoco negli occhi di nemici

ed è solito scoppiare il ruggito nel bel mezzo del canto

quando lei mi dice 'qui è tutto ok, il sovrano è morto per sempre'

e socchiudendo le labbra mi passa da lingua a lingua la chiave

che dischiude i confini senza serratura (spezzata) di un luogo altrove

e raccogliendo gli scarponi mi raccomando di mormorare tra me e me:

andarsene così triste, andarsene così triste...

 

E iniziano a squillarmi nelle orecchie le trombe spiegate dei regni che giungono

gladiatori romani perduti arrivano, così eleganti nei loro drappeggi dipinti

e invidiando i colori della foresta quaggiù col sole che bacia i tetti di paglia

alzano le spade e impennano i cavalli impiumati scatenando l'inferno

Pur bruciando della tua mancanza non oso chiamarti, non qui

non qui dove scorrerà il sangue di troppi di noi

non qui dove sorgeranno i pianti infiniti di tanti morti caduti

E quando tutto è perduto, ritrovandoci incatenati tra di noi a fissare i  loro lucenti elmi

ai loro ampollosi richiami al principio della civiltà suprema e moderna e avanzata

rivolgo loro un sorriso che non so spiegarmi, e rido, e rido

rido pazzo di dolore, rido, ma rido di loro, che mi dichiarano folle

E infine mi congiungono agli altri col ferro e la prigionia

alfine chiudendoci su navi che solcheranno le onde delle nostre lacrime ingoiate

quando chi di noi arriverà vivo e sfilerà con le piume colorate degli uccelli ammazzati

tra i loro coriandoli di festa, sulle loro strade puzzolenti

tra la fanfara delle genti riunite per gridare al trionfo dell'incontro cordiale

tra diverse popolazioni, stabilendo con ragionevolezza qual'è la superiore

e io rido, rido e rido, rido folle di dolore, rido della loro pazzia

io che... senza più nessun dove

 

e per questo, senza un'altra parola

allungo la mano e rifaccio girare il mondo

dichiarato imperfettamente tondo dopotutto

ma io mi accendo il mio falò nelle notti fredde, per richiamarti da me

ascolta il mio SOS... e non venire mai

 

Non venire mai a vederci lucidare i pavimenti di saloni a piedi nudi

non venire mai a vederci con collarini nuovi a spolverare le preziose porcellane

non venire mai a vederci servire diecimila portate a questi ingozzati signori

che ci porgono le mance con sorrisi agghiaccianti e si complimentano

quanto siamo carini, noi, di specie in purtroppo estinzione

col rumore delle catene che si perde, coperto dall'orchestra deliziosa

E non venire mai a vederci nelle mani di missionari caritatevoli

loro che rappresentano il lato umanitario della civilizzazione

giacché non si possa recriminare mai, che tra i buoni non vi furono i cattivi

che tra i cattivi non vi furono i buoni, e che forse, povere creature, lo eravamo noi

mentre loro ci insegnano, come perdonare e come implorare

mentre loro ci insegnano, come al bravo cittadino recitare

mentre loro ci insegnano, come infilarci dritti dritti nella loro idea di resurrezione

E allora, gridando e piangendo, scaravoltando il banco e sbagliando le vocali

pronuncio insurrezione, e rido e rido, e non so spiegare perché, davvero

loro mi riportano nello sgabuzzino, dichiarato 'caso perso'

e con camicie eleganti e leganti mi chiudono dicendo anche 'stia calmo, per favore'

io rido e rido, pazzo di dolore, e rido di loro, folli per davvero... per davvero, amore

 

Ma sento dalla gabbia squillare, i campanelli di una rivolta che arriva

e guardo alzarsi le fiamme dalle case, imbizzariti cavalli scaravoltare le carrozze

credo che morirò lì dove sono, perché non mi importa più di me stesso

ma quando riapro gli occhi ci sono angeli di ferro che solcano il cielo

serpentoni di fumo che spazzano il mondo, e in questo apocalisse

vengono, vengono ad aprire la mia cella e conducendomi per mano dicono, dicono

oggi tutto è cambiato, non sono più pazzo, solo che mi esprimo diversamente

E mentre loro mi trascinano nella loro alba di ragione, giudizio e comprensione

rido e rido, e grido e piango, chiedendo di rinchiudermi ancora, perché

non voglio vedere il mondo a cui non appartengo sorgere fino al cielo

conquistare il loro stesso inesistente dio in una parabola d'allucinazione

sbrodolando e delirando parole di autocritica e autocelebrazione

e poi crollando e crollando, ma dicendo che è il modo migliore e schiantandoci tutti

in un infinito caos ordinato di raziocinio puro ed inarrivabile follia

impreco e prego, prego e impreco, chiudetemi ancora, là in silenzio e buio

starò in pace infine, aspettando la mia tomba, da scavare con le mie mani, almeno

Pur se rimane il desiderio, quello sempre, rivederti ancora

per qualche ragione sorrido loro in un modo che non so spiegare

e quando si distraggono scappo a perdifiato, non so dove, suppongo in nessun dove

 

e sono re, di regno in nessun dove

sovrano solo di me stesso

e ribelle contro me stesso

e amico e nemico di me stesso

in questo regno in nessun dove

le cose sono molto diverse

non c'è fil di ferro a ferirti

sguardo e cuore, polmoni e strada

e le spine si succhiano via dalla pelle

in questo regno in nessun dove

in cui ancora un grido erompe in gola

mandando in frantumi i primi anelli

di ogni nuova possibile catena

e ogni respiro che si articola

si inanella in parole mie e di altri

e ogni movimento si congiunge

col mio e con quello di altri

cosicché alfine non ho parole

per spiegare ciò che si vive attraverso

corona né di spine né di gemme

nessuna corona tranne quella

del profilo della collina

dove trovo casa, culla, ritrovo, dimora

e arrivandoci di lontano ancora

ancora sento quelle voci

no, non solo gli alberi e le erbe a parlare

le loro voci danzano

c'è una festa in corso, sempre una festa

in cui piangere e ridere, combattere e rialzarsi

precipitare e riprendersi

da soli o in mezzo alle braccia di altri

cosicché alfine ritrovo che è

il mio regno, il mio regno in nessun dove

e tu, tu e loro che chiamano, chiamano il mio nome

portandomi molto più lontano dei regni lasciati indietro

tendendo le mie braccia a chi non è più cieco di sbarre

danziamo fino a nuovo mattino, penso

e perbacco, si fa davvero

e la cosa più bella rimane

con te, con te e loro, a tempo pieno

  
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