«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
Bene bene!
Un nuovo lettore nella
mia fiction!
Che piacere, Lukos averti fra i miei lettori!
Spero di non deludere le
tue aspettative, intanto ti ringrazio per aver lasciato un commento.
kiss
aawaa NUVOLE E
LENZUOLA aawaa
Chap n.6
Esco
dal parco piuttosto preoccupata per Victor; lasciarlo solo, abbandonato a se
stesso, mi fa sentire tremendamente in colpa.
Forse
c’è riuscito davvero, forse ha avuto ragione anche su questo; sto
cominciando a fare mia la sua vita, la sua storia, e questa mia preoccupazione
è il chiaro sintomo dell’attaccamento inspiegabile, che continuo
ad avere nei suoi confronti.
Ma
adesso forse, un motivo c’è.
Lui
è così simile a me, il suo passato è corso veloce su una
linea molto uguale alla mia.
Ed
io lo so cos’è quello sguardo sempre triste e vago che lo
caratterizza ed io so perché è così difficile fidarsi del
prossimo; sguardo di un bambino che ha visto i suoi genitori strappati dalla
sua vita, sguardo speranzoso di rivederli ancora una volta, sguardo di un uomo
che ha perso l’amore, diffidenza verso il prossimo per timore di essere
abbandonato nuovamente.
Ma
lui si è fidato di me, ed io certo non posso abbandonarlo.
Fra
un pensiero e l’altro, mi ritrovo sotto casa, senza accorgermene.
Esito
a salire, provo un innato senso di paura e vergogna; sono scappata, come faccio
sempre da una vita, con lui.
Anche
stavolta non ho avuto il coraggio di restare, affrontarlo e con Simone anche le
mie paure.
Le
parole di Victor balenano nella mia mente, quasi d’improvviso; prenditelo
l’amore che vuoi, mi ha detto.
E
così farò, salirò su, gli dirò di restare con me, e
che tutto passerà.
Simone
capirà, si infondo lui mi ama e per questo capirà.
Salgo
le scale del palazzo di fretta, piena di speranza, di fiducia.
E
d’amore, sì d’amore. Perché infondo io Simone lo amo
ancora tanto.
Apro
la porta piano, non voglio svegliarlo qualora dormisse, anche se nel cuore
prego sia sveglio.
Voglio
toccarlo, parlargli, guardarlo. Io lo voglio.
-“Sibilla,
sei tu?!”-. E’ steso sul divano, semi appisolato, con una vecchia
coperta a coprirgli le gambe e il telecomando abbandonato lungo un fianco
–“Oddio mi hai fatto preoccupare!”-. Si alza venendomi
incontro. Mi abbraccia. Resto immobile, tesa.
Mi
sciolgo solo quando le sue mani contornano il mio viso, e leggo nei suoi occhi
la paura per me.
Allora
sospiro, buttandogli le braccia al collo, saltandogli addosso con impeto
violento; lo bacio sul collo con avidità e passione, fra una lacrima
dolce-amara che cola sulla mia guancia e il respiro che si fa sempre più
affannoso e desideroso, come il folle pensiero di volerlo dentro me, tutta la
notte.
Lui
ricambia i baci, posso sentire la stessa passione sbattermi addosso, mi prende
il viso fra le mani, cerca di rubare la magia dai miei occhi, ma non riesce a
fare altro che farsi trasportare dalla passione.
E
mi ama, mi domina, mi prende, per tutta la notte. Come volevo, come ha voluto.
-“Sei
fantastica…”-. Mi dice, quando stremati e abbattuti
dall’amore, ci lasciamo andare.
-“Vedi
cosa ti perdi, quando sei lì a dare calci a un pallone?!”-. Rido,
tirando le lenzuola fin sopra al naso.
-“Ah,
brutta bimba cattiva…”-. Si gira e in mezzo secondo mi è
sopra di nuovo –“cosa sono queste sconcerie?!”-. Non mi da il
tempo di rispondere, coprendo le mie labbra con le sue. Morbide, sensuali,
languide. Poi continua a parlare.
-“Mi
dispiace, tanto. Non volevo trattarti male.”-.
-“Non
pensarci, quel che è stato è stato..”-.
-“Ma
lui, dov’è?!”-.
-“Chi,
Victor?!”-. Mi guarda, cela un sorriso malizioso scuotendo un po’
il capo –“diciamo che voleva lasciarci in intimità.
Chissà cosa intendeva…”-. Lo guardo maliziosa a mia volta,
sorridendo.
-“Già,
chissà…”-.
Coglie
la provocazione, facendomi sua nuovamente e ripetutamente.
La
notte vola così, fra le coperte bianche scomposte e i nostri corpi
aggrovigliati in un abbraccio intenso e coinvolgente.
****
-“Oh,
scusa ti ho svegliato…”-.
Apro
gli occhi, fuori è già mattino.
Il
sole sbatte contro le tapparelle semi abbassate, la stanza è inondata da
una calda luce dorata, nonostante quella palla gigante sia coperta da nuvole e
Simone, lui così pigro e dormiglione, già è in piedi.
-“Già
sveglio?!”-. Mi alzo, afferrando l’orologio sul comodino.
-“C’è
del caffè in cucina, pronto e in tazza.”-. Non risponde alla mia
domanda, biascica qualcosa di molto vago. Allora mi soffermo ad osservarlo;
sembra vada di corsa, la camicia è bianca sbottonata e una cravatta
appoggiata al collo resta in attesa d’essere annodata.
Alzo
le spalle, dirigendomi verso il mio caffè.
E’
alzandomi che noto quella valigia; ripiegata sul divano, con i vestiti
perfettamente piegati, tipico del suo ordine maniacale verso la perfezione.
Non
mi rendo subito conto della situazione, passo avanti ma non appena realizzato,
mi fermo.
Una
valigia, quella valigia. La valigia dei viaggi, delle partenze, delle…
delle fughe.
Sì,
sì, sì. Come ho fatto a non pensarci, Simone non si fa mai
spostare per i viaggi di lavoro, Simone è troppo pigro per partecipare a
delle conferenze.
Simone
sta scappando.
Il
cuore batta all’impazzata, credo d’essere diventata paonazza in
volto in un secondo.
-“Cos’
è quella?!”-. Corro verso la nostra stanza, lo trovo ancora
lì che traffica nel suo comodino; lo tiro per un braccio, attirando la
sua attenzione.
-“E’
una valigia.”-. Furbo, maledettamente furbo.
-“Simone
per piacere non cominciare! Dove stai andando?!”-.
-“Senti
Sibilla, mi dispiace forse dovevo dirtelo prima ma non abbiamo avuto modo di
parlare e… e….”-.
-“Cosa
stai blaterando?! Dove stai andando Simone?!”-.
-“Allora,
non è semplice io… io me ne sto andando. Vado da mia madre
sì, starò via per un po’, a casa sua.”-.
-“Perchè?!”-.
La voce mi muore in gola. Sto per piangere, lo sento.
-“Per
riflettere, per prendermi una pausa da tutto ciò. Ho bisogno
d’aria, ho bisogno di stare solo.”-.
Le
sue parole sono pallottole roventi che bruciano la mia pelle.
E
mi trapassano.
Se
ne sta andando, se ne sta andando. Il mio cervello non è capace di
pulsare altro.
-“Ma
come, dopo stanotte?! Io credevo…”-.
-“..che
si sarebbe sistemato tutto?! Dio Sibilla come puoi essere così…
così… ingenua?! Tu credi davvero che basti una notte d’amore
per risolvere tutto?! Io sono ancora infuriato con te, ci sono ancora troppe
cose che non riesco a capire e che non mi vanno giù!”-.
-“Ed
è scappando che le risolverai queste tue cose?!”-. Mando
giù il mio boccone di lacrime, non posso piangere, non posso permettere
al mio assassino altre lacrime.
La
sua calma e razionalità mi fa venire il volta stomaco, giro e rigiro su
me stessa, non riuscendo a capire se la mia freddezza sia altrettanto
vomitevole.
Come
se me lo aspettassi, come se questo momento dovesse essere già scritto
nel mio cuore.
-“Vuoi
parlare di fughe proprio tu?! Sibilla la verità è che nessuno dei
due ha più nulla da dirsi. Scappare è più semplice.”-.
-“Tu
hai fatto l’amore con me stanotte. Non ha significato nulla per
te?!”-.
-“E’
per questo che me ne vado; voglio risolvere i miei problemi personali per
ritornare pulito e nuovo da te, verso questa passione e amore che ancora
c’è, e che ho sentito ieri notte.”-.
-“Non
mi troverai Simone. Tu non mi troverai.”-.
-“E’
il rischio che devo correre. Adesso scusa, devo andare il taxi mi
aspetta.”-.
Si
allontana da me, come la fine dell’estate per uno studente che deve
ritornare a scuola.
Sono
vuota, inerme, spenta.
Continuo
a fissare il vuoto, e nemmeno il tonfo della porta desta dentro me qualcosa.
Nulla,
niente.
Riesco
solo ad alzare il telefono, parlare con Lucia prendendomi quelle famose ferie
arretrate ed abbandonarmi fra le lenzuola, che profumano ancora della sua
pelle.
No,
non posso piangere.
Riesco
a chiudere gli occhi per un po’, sogno forse.
Ho
visto l’ombra di un uomo, che mi tocca una guancia sorridendomi.
Vorrei
fosse Simone, cerco di trovare in quegli occhi i suoi, ma quest’uomo non
si scopre.
Sorride
ancora.
E
quel sorriso è familiare… .
Mi
alzo all’improvviso; ho sentito un fastidio allo stomaco, come un crampo
che percorre le viscere, tumultuandoti tutta.
Un
fastidio maledetto, poi guardo l’orologio, sono le undici passate.
Mi
porto una mano alla bocca… .
-“Victor!”-.
Esclamo, prima di lanciarmi sull’armadio per vestirmi.