Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: chiupetta    17/10/2011    6 recensioni
-Che vuoi ragazzo?- dissi con aria superficiale.
-Ciao baby, li vedi quei due ragazzi nascosti dietro l'albero?- mi girai per vedere.
-Si li vedo, quindi?- con aria quasi scioccata, continuò indisturbato.
-Ho fatto una scommessa con loro: vogliono che sia tu a chiedermi il numero di telefono.-
-Ma questo io non lo farò, quindi vai via.-
-Lo so, io sono un gentiluomo, quindi ora farai finta di darmi un biglietto e poi me ne andrò.-
-Ma perché proprio io?! Ci sono altre cinquanta ragazze qui al parco!-
-Perchè i tuoi occhi sono speciali, hanno qualcosa da raccont...raccont.. si insomma ci stai o no?-
-D'accordo, basta che poi sparisci!-
Mi guardò come pietrificato e poi alzò il sopracciglio sinistro.
Feci quello che mi aveva chiesto, infine si alzò e mi fece l'occhiolino.
Ci guardammo fino a quando arrivò dai suoi amici, poi mi girai e ripresi da dove mi aveva interrotto.
Che strano... anche i suoi occhi, gli occhi color miele, avevano tanto da raccontare, persino più dei miei.
Genere: Drammatico, Poesia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ringraziamenti speciali *vi voglio bene*: ciao a tutti lettori -iniziando con un'introduzione pessima- siamo arrivati alla fine di questa -si spera- meravigliosa avventura. 
Ringrazio di cuore le (ormai) 2.000 visualizzazioni per il primo capitolo, e le altre per quelli seguenti.
Ringrazio chi ha recensito: è stato un tesoro! veramente mille grazie, ve lo dico con il ♥.
Spero che vi piaccia quest'ultimo capitolo, spero anche che recensirete in tanti per l'ultima volta.

Vi voglio un mondo di bene e ringrazio anche efp per aver permesso al mio sogno di scrittrice in erba, di realizzarsi. Buona lettura e alla prossima! -chiupetta.


I'm proud of him



Sarah's chapter(s).

-Vedrai che te la caverai, come sempre.- mi disse sfiorandomi con i pollici la guancia sinistra.
Era tutto confuso: gli occhi appannati e ricurvi in un immenso dolore, le labbra schiuse pronte a straziarsi.
-Mi ero ripromessa di non piangere Bieber.- un filo di ironia mi attraversò la voce.
Mi guardò per istanti infiniti, istanti preziosi e unici.
La gente intorno a noi teneva stretti i cellulari, mentre i flash ci immortalavano in tutto quel dolore.


 

Cosa è per me l'amore?
L'amore è uno stato, un modo di essere, è benessere.
Justin mi aveva insegnato il significato di amare sin dal primo istante.
Come se i nostri occhi fossero stati progettati per inabissarsi gli uni negli altri, come se le nostre labbra fossero state inventate per assemblarsi giorno dopo giorno con più facilità, come se i nostri sospiri fossero stati brevettati per combaciare perfettamente.
Se era gioia, se era dolore o impazienza, condividerla con lui era il regalo più grande.
Un regalo per cui avrei combattuto sino all'ultimo soffio.
Ed io, Sarah Hill, ero pronta per abbandonare la mia droga? La ragione per la quale continuavo a contare i battiti, ad ascoltare i respiri ed assaporare le lacrime?
No, non lo ero.
Ma la vita era sua e non potevo farne parte anch'io almeno fino a quel momento.
I suoi occhi mi parlavano e mi pregavano di non lasciarlo.
Mi supplicavano di immobilizzarmi per l'eternità, cosicché potessero immergersi nei miei, per un'ultima e dilaniante volta.
Erano i loro riflessi dorati e ambrati a portare avanti le mie monotone giornate.
Era il suo sorriso perfetto ad illuminare il cielo spento.
Erano i suoi baci a trasportarmi nella realtà, la quale era anche meglio dei sogni.
Il cuore gridava e scalciava dentro il mio debole petto, anch'esso in mille piccoli pezzi.
Sentivo un penetrante buio avvolgermi pian piano e intrappolarmi agevolmente.
Come se una mesta presenza mi stesse chiudendo sotto una grande campana di vetro, da dove, molto probabilmente, non sarei riuscita a fuggire.
Nelle mie orecchie non penetrava più alcun rumore.
L' oscurità faceva ormai il suo ruolo da protagonista e io ero la vittima, tormentata e afflitta da quella crudele sofferenza.
Si creò un'atroce voragine che mi avvolse lo stomaco, facendolo fendere e squarciare dal dolore.
Mi piegai in due accasciandomi quasi a terra, stringendomi debolmente al petto di Justin.
-Sarah non ti abbandonerò mai hai capito? Pensami, pensami e sarò con te!- lo intravidi piegare all'indietro il capo, lasciando scivolare lacrime roventi.
L'ambiente circostante si andò frantumando poco per volta, sino a quando riuscì a distinguere solo le fioche luci dell'aeroporto.
Sentì il suo respiro affannato sulla guancia.
-Ti prego non farmi questo. I-io ti amo non devi scordarlo. Mai.- gemette singhiozzando.
Le mie gambe cedevano e pian piano si abbattevano al pavimento, insieme ai miei sogni, che poco tempo prima avevo progettato con lui.
Le mie braccia, avvolte al suo collo, erano ormai inermi e fredde come il ghiaccio.
Ero in un stato tristemente catatonico.
-Non lasciarmi Justin, non lasciarmi, non lasciarmi.- ripetevo annientata.
Ad ogni parola, ad ogni lacrima e ad ogni sussulto, mi stringeva a lui, sempre più forte.
Mi accarezzava i capelli, sbuffando pesantemente contro la mia fronte.
Sembrava quasi stesse tremando.
Non eravamo più in grado di vederci l'un l'altra in quello stato di assoluta disperazione.

Poi, di colpo, separò il mio viso tormentato dalle lacrime e dai singhiozzi, circondandolo con le sue grandi e calde mani.
-Devo andare piccola.- si torturò il labbro quasi sanguinante, infine posò le sue labbra sulle mie.
Assaporai quel bacio con passione. Volevo ricordarlo e volevo farlo mio.
Avrei cliccato il tasto “rewind” troppe volte purché potessi rimanere con lui.
Ma ciò non accadde e poco dopo ci ritrovammo distanti, a guardare la sagoma dell'altro rimpicciolirsi sempre più.
Era davvero tutto finito?
-Il volo Stratford - Los Angeles attende i passeggeri.- riecheggiò nell'aeroporto una voce meccanica.
E' il suo lavoro, è la sua vita. Il My world tour va continuato, ora.
Pensai ancora tra le lacrime.
-Fai vedere chi sei...ti amo.- pronunciai guardando Justin allontanarsi.
Lesse con un'imprevista maestria le mie labbra.
-Non è un addio.- accennò un sorriso angosciato, poi ammiccò, voltandosi per l'ultima volta.
Voltandosi e sparendo, forse per sempre.


 


 


«7 years later »


 


-Justin?-
-Mhhh.- rispose alzando gli occhi al cielo e roteando il capo, ammirando la penombra che innalzavano i pini.
Il suo passo, il nostro passo, era calmo e regolare.
Regolare, per la prima volta, come i nostri battiti.
Il venticello di primavera ci scompigliava leggermente i capelli, trasportando con se una leggera aroma di resina.
Il cielo era chiaro e limpido, le nuvole spumeggianti vagavano tranquille senza una meta.
Si potevano udire solo le fievoli risatine dei bambini, impegnati a saltare la corda o dondolarsi sull'altalena.
Nel parco solo noi. Quei due ragazzi sconosciuti di all'ora, tutt'ora diversi e appartenenti a due mondi del tutto opposti.
Troppo insolito per crederci.
Il sentiero continuava, insinuandosi tra la vasta vegetazione, facendosi sempre più luminoso. Potevamo, quasi, intravedere la strada.
Camminavamo di fianco, vicini, così vicini da sfiorarci la pelle.
E sorridevamo beati senza alcuna ragione.
Lui si bagnava ripetutamente le labbra, accompagnando il gesto con una risatina.
Poi scuoteva i capelli, creando dei riflessi persino invidiati dagli angeli.
Color oro, da mozzare il fiato.
Di lì a poco mi era mancata Stratford: vedere i postini sbottanti in bici, i ragazzi allegri giocare a basket, e i vecchini con il bastone per strada.
Mi era mancato, mi era mancata.
La mia piccola grande città.
Non faceva più parte della mia vita già da troppo tempo.
Ritornarci con la persona che amavo, quella a cui avrei donato la mia anima se necessario, era un'emozione nuova se non unica.
Ma, ehi, ero con lui, aspettavo questo momento da tutta una vita.
Dovevo parlare, dovevo dirglielo, doveva sapere a cosa saremmo andati in contro.
-Ricordi quando mi portasti in Indonesia?- pronunciai lentamente, così da incidere ogni attimo nel mio cuore.
-Come no, Bali.- rispose trotterellando.
-Già.- feci una pausa, ero nel panico. Non riuscivo più ad immagazzinare i concetti.
-Ricordo anche quanto eri sexy....oh si maledettamente sexy.- disse con naturalezza, socchiudendo gli occhi e leccandosi le labbra, come per riportare quel ricordo al presente.
-Ero?-
-Si! Volevo dire no, cioè non proprio...tu...insomma tu sei sempre bellissima...però io...io non volevo... che...-
-Adoro farti questo effetto.- soffocai una risata, non volevo rovinare il momento.
Lui scrollò le spalle, assumendo un'aria tranquilla, era abituato a questo genere di figure, soprattutto con la sottoscritta.
-Allora- continuai -ricordi quando visitammo insieme Denpasar.-
-Il Pokemon.- gli fiorì un'espressione da abete sul volto, sempre magnifico.
-Non è questo il punto!- scossi la testa violentemente, fermando il passo e bloccandomi.
-Ti ascolto.- sospirò.
-Il punto è...è...-
-Di qualunque cosa si tratti l'affronteremo insieme, Sarah, come abbiamo sempre fatto.-
dichiarò fermandosi subito dopo, accarezzandomi una guancia.
-Quel giorno camminavamo mano nella mano per le vie della città, fantasticavamo sul nostro futuro, su come sarebbero diventate le nostre vite, su come saremmo diventati noi.-
-Si.- disse incupendosi.
-Mi dicesti, anche, che se avessi avuto una figlia l'avresti chiamata Lilly.-
Feci due o tre passi, posizionandomi proprio davanti al suo corpo immobile.
La luce del sole ci accarezzava dolcemente la pelle, riscaldandola.
Il suo viso era illuminato dal brillante bagliore, che filtrava impetuosamente dalle piccole foglie degli alberi.
Un dio o niente di più perfetto, sempre che, quest'ultimo, lo sia.
Conoscevo Justin oramai da otto anni, sapevo bene quanto forti erano le sue emozioni, e di come era suo solito amplificarle.
Non avrei mai commesso un errore, uno solo, nei suoi confronti.
Non l'avrei mai fatto soffrire, mai.
Ma la realtà era quella, lo sapevamo bene, e dovevamo aprire gli occhi e cominciare ad immaginare una vita migliore, insieme.
D'un tratto gli uscì una lacrima, limpida e giuliva, scendendo silenziosa lungo la guancia; sino ad arrivare al mento e smaterializzarsi sul prato.
Curvando le labbra, roteò gli occhi, come per fermare o rallentare il pianto.
Aveva già capito.
Il mio sguardo, solo quello, parlò al posto mio.
Non vi era tristezza, non vi era delusione in quel momento.
Solo amore: amore incondizionato.
Eppure trovai la forza di aprire bocca, sillabando, forse, le parole più dolci di tutta la mia intera esistenza.
-Ciao, Lilly.- dissi fiera, prendendo con dolcezza la mano di Justin e appoggiandola sul mio ventre.
Sarebbe stato l'inizio di una vita, di un amore senza fine, di una felicità sfrenata.
-Ci apparteniamo.- sussurrai, in attesa del futuro.




 


 


 




 


 

   
 
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