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Autore: darkronin    26/10/2011    6 recensioni
Abbiamo sempre solo immaginato cosa possa aver pensato il Re dei Goblin di tutta l'avventura che vede Sarah protagonista nel risolvere il labirinto.
Ho voluto tentare di rendere concrete tutte le sfacettature e allusioni che lui -e gli altri personaggi- mostrano di questo mondo all'interno della storia originale.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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2. Il re e la sfera


Desidero proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”

Erano le parole giuste. L'ordine era stato emesso.

Goblin, non gnomi come spesso veniva detto e che venivano, quindi, accusati ingiustamente. Erano i Goblin a rapire i bambini. Ma questo lei lo sapeva, non era mica così ignorante.

Confuso, lasciò che una folata di vento lo stordisse. Si trovò in seria difficoltà nel mantenere l'assetto. Aveva la testa leggera, i suoi occhi improvvisamente sembravano non vedere più nulla. Non fece in tempo a rendersene conto che già stava tornando al terrazzino che aveva appena lasciato.

I suoi avevano già agito, lo sentiva. Erano stati dei fulmini: Sarah aveva appena finito di parlare, aveva spento la luce e si era allontanata di pochi passi. Il bambino non c'era già più. Lei era entrata nuovamente in camera, aveva cercato di accendere la luce (ma un fulmine aveva fatto saltare il contatore) e si era appropinquata al lettino. Tramite i pensieri dei suoi Goblin la vedeva tendere il braccio, esitante, scostare le coperte e restare impietrita davanti al nulla. Il terrore l'aveva attanagliata. E la cosa divertiva non poco i piccoli mostriciattoli al suo servizio che giocavano a nascondino con le sue paure, deridendola.

Fu in quella circostanza che si ritrovò a sbattere contro il vetro delle finestre chiuse, cercando di stabilizzarsi. Ma il vento infuriava violento e non gli concedeva un attimo di tregua. Una, due, tre volte si ritrovò a picchiare contro la portafinestra, le ali che sbattevano in preda a una sorta di panico istintivo, scivolando sul vetro bagnato nel tentativo di far presa come fossero state dita umane.

Finalmente, all'ennesima ondata, il fermo cedette e lui ruzzolò dentro con poca grazia. Riuscì a effettuare una virata improvvisa e a planare a terra.

L'intera sequenza aveva allarmato ancora di più la ragazza che già si domandava se stesse vivendo un incubo o le sue preghiere fossero state esaudite. Al suo ingresso precipitoso, si era protetta istintivamente il volto con le braccia, i lunghi capelli che frustavano alle sue spalle come lunghi stendardi neri.

Passato il momento di depressurizzazione, il vento, all'interno della stanza ordinata e composta, si attenuò visivamente, lasciando solo uno strascico di bava leggera. E lui ne approfittò per mettersi in piedi e assumere le sue sembianze umane: ormai era notte e nel bene come nel male era vincolato alle caratteristiche del suo alter ego animale. Il buio favoriva le creature notturne come i barbagianni, gufi e civette, i sembianti dei maghi, che non tollerano la luce diretta del sole, a differenza dell'aquila che lo fissa senza abbassare lo sguardo.

La ragazza riuscì finalmente ad alzare gli occhi sulla finestra, pronta ad andarla a chiudere, quando si accorse della sagoma che svettava sul balconcino e che avanzava a passi misurati.

Terrore, sorpresa, sospetto, ammirazione le si alternarono, confondendosi, negli occhi.

Sei tu, vero? Tu sei il Re dei Goblin.” disse senza esitazioni, riconoscendolo.

Il suo aspetto forse le appariva bizzarro, con un taglio di capelli improbabile di un colore così chiaro da sembrare platino, abiti neri come la notte, apparentemente assurdi che ricordavano un'armatura in cuoio. Alle sue spalle un lungo mantello leggero dal bavero rigido e aguzzo, si lasciava gonfiare dall'aria fredda che entrava dall'esterno e giocava tra le lunghe gambe affusolate di quell'uomo dall'età indefinibile.

Ma chi altri poteva presentarlesi in casa, a quelle ore, in quel modo e con quella spavalderia?

Sorrise compiaciuto dell'acutezza di lei e del fatto che credesse realmente. E credendo, si guardava bene dal pronunciarne il nome.

Piantò le braccia guantate sui fianchi, in posa altera, degna del suo status di re: non voleva certo deludere le aspettative. Gli stava quasi scappando da ridere: riuscivano a interagire. Era tutto tremendamente senza senso e lui ne era così felice...

Rivoglio mio fratello, ti prego, se fa lo stesso...” cominciò lei piagnucolante. Era l'ultima cosa che avrebbe voluto sentirle dire. Si accigliò a quella richiesta che mandava all'aria tutti i suoi piani “Ciò che è detto è detto” la interruppe con profonda voce secca e flautata, incrociando le braccia al petto ma era divertito dalla situazione in cui si trovavano. Il patto era stipulato.

A ben pensarci, perché mai si trovava lì, in quel momento? Lui era il re. Perché diamine doveva scomodarsi lui? E poi i bambini si rapivano e basta, scomparendo nel nulla, lasciando gli umani alle conseguenze delle loro azioni. Non si dovevano offrire spiegazioni. Eppure lui lo stava facendo. Forse, il fatto che lei avesse invocato direttamente lui, prima di completare la formula magica, l'aveva attirato lì. Forse, stava semplicemente dando ascolto al proprio desiderio, a quel piano folle che solo cinque minuti prima gli era passato attraverso gli occhi in tutta la sua completezza.

Non credevo...non intendevo...”

No? Davvero?” chiese sarcasticamente, canzonandola perplesso. Eppure era determinatissima e credeva in loro. Sapeva che l'incoscienza della giovane età non la scusava. Ma qual era il problema? Forse, messa davanti alla realtà, aveva capito quanto fosse stato grave il suo desiderio? Lo stava deludendo e una smorfia di disapprovazione gli balenò sul bel viso

Ti prego...dov'è ora?”

Lo sai molto bene” scandì impietoso. Ma troppo vile per guardarla in quegli occhi verdi lucidi e pronti al pianto. Così rispose fingendo di doversi sistemare i guanti, in un gesto di noncuranza per l'interlocutrice.

Ti prego...ridammelo” Lo supplicò. Non era paura, la sua. O meglio. Non paura di lui: era seriamente spaventata solo per le sorti del bambino.

Lui le si avvicinò con passo felpato, piano, quasi danzando, come un felino che si avvicina cauto alla preda ancora fin troppo vigile “Sarah...” la chiamò dimostrando di conoscerla bene quanto lei conosceva lui. Non si era stupita, infatti, nel guardarlo dritto negli occhi. La prima cosa che facevano tutti gli umani con cui avesse avuto a che fare, fosse domandargli la natura di quella stranezza. I più intelligenti pensavano, comunque erroneamente, che si trattasse di volgare eterocromia. Sarah aveva fatto sfoggio inconsapevole della sua conoscenza. Sapeva che gli occhi spaiati del mago erano occhi magici. Oh, certo. Lo aveva anche identificato subito con il barbagianni che si trovava spesso attorno a osservarla con attenzione. E questa consapevolezza la inquietava.

Torna in camera tua” la sfidò. Voleva metterla alla prova, vedere quanto fosse forte la sua determinazione. Se avesse ceduto subito alle lusinghe, le avrebbe cancellato la memoria all'istante. E tenuto il bambino per sé. Doveva sapere, quando ella fosse degna di lui e della sua ammirazione. “Torna a giocare coi tuoi pupazzi e con i tuoi costumi...Dimentica il bambino” Metti a tacere la tua coscienza.

Era un modo contorto di avvicinarla a sé. Ma il Re dei Goblin non conosceva altro modo di interagire con gli umani, se non terrorizzandoli o tentandoli in modo subdolo. Quella era la loro natura e per quanto si sforzasse di capire il pensiero umano, questo rimaneva un mistero.

Lei sembrò pensarci su. La proposta era allettante. Aveva realmente eliminato una delle minacce alla sua serenità. Ma il senso del dovere, quel dovere di cui rimproverava l'assenza negli adulti, la spingeva a percorrere la strada più difficile.

Io ti ho portato un regalo...” la incoraggiò lui, facendo comparire dal nulla, tra le sue dita, una piccola sfera trasparente. Voleva proprio vedere se si beveva la storia dell'omaggio portato per il disturbo, per far pace o, addirittura, per omaggiarla.

Cos'è?” chiese lei affascinata e diffidente.

E' un cristallo...” rispose lui, mettendo in evidenza ciò che era scontato per chiunque. Ma eluse la domanda. Cos'era realmente quella piccola sfera di cristallo? Lei lo sapeva e per questo era indecisa. La sfera di per sé rappresentava la perfezione, il suo mondo, tutto ciò che lei potesse desiderare. Ma lo era in modo chiuso, circolare, un movimento eterno di inizio e fine. Sarebbe stata al sicuro, protetta da tutto ciò che desiderava. Quanto al cristallo, esso era la rivelazione. Il cristallo non mentiva. Era uno specchio puro che rimandava solo ciò che si nascondesse nell'animo del possessore. Se Sarah avesse voluto un mondo senza fratellastro e senza matrigna, lo avrebbe avuto. Se, invece, ne avesse voluto uno fantastico come quello evocato, avrebbe avuto anch'esso. Tutto dipendeva da lei.

Niente di più...” concluse omettendo tutti i dettagli che lei, sicuramente conosceva, in modo da confonderla e da enfatizzare solo gli aspetti positivi di quell'oggetto. E per confonderla, pur rivelandole ovvietà, lo agitò tra le mani con movimenti rapidi, ipnotici e suggestivi degni di un giocoliere. Ma se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti mostrerà i tuoi sogni” Aveva scelto con cura le parole. Non intrappolare ma mostrare, rivelare, rendere palese quasi lei non ne fosse cosciente. Così non appariva come qualcosa di pericoloso. Se mai restare imprigionato nei propri sogni potesse esserlo. E dentro i suoi sogni, poteva infilarsi anche lui.

Ma questo non è un dono per una ragazza comune che si preoccupa per un bambino frignante”. No davvero. E' il dono che normalmente si fa alle regine e alle promesse spose. Un dono che conferisce loro tutto quel potere. E lui, in quel momento, realizzò cosa voleva davvero da tutta quella conversazione. Trascinarla a Goblin City e costringerla a regnare con lui. Il regno ne aveva bisogno. Lui ne aveva bisogno. E l'avrebbe avuta, in un modo o nell'altro. Quindi, che accettasse o meno il cristallo, l'importante era che non si chiudesse a riccio e scacciasse via tutto dalla sua mente come un'allucinazione. Ma l'assenza del fratello era una prova tangibile e reale a cui non poteva voltare le spalle. In ogni caso. Lo vuoi?” tornò a offrirglielo in modo seducente e impositivo, sottintendendo che, lasciarselo scappare, sarebbe stata una pessima scelta. La fissò serio, dritto negli occhi con i suoi spaiati: uno dalla pupilla perennemente contratta e l'altro dalla pupilla perennemente dilatata.

Gli occhi erano il più grande strumento di potere per un mago che con essi confondeva o donava la facoltà di comprendere a chi gli stava di fronte. Con quegli occhi lui aveva potere su tutto; vedeva l'invisibile e ciò che l'altro nascondeva anche a se stesso. Chiaroveggenza, conoscenza, rivelazione e falsificazione. Tutto questo era il suo potere. Un potere più grande di quanto si possa pensare.

Quindi dimentica il bambino!” La incalzò. Era un buon baratto: i suoi sogni per suo fratello. Se non l'avesse assecondato, avrebbe dovuto prepararsi a perderli del tutto. Ma sarebbe riuscito, lui, a toglierle quell'unica fonte di gioia? Oh sì” si rispose sadico. “E non perché non mi importi di lei. Ma perché sarò io a prenderne il posto”

Lei esitò ancora, indecisa sul da farsi. Ma, ancora una volta, alla fine, rifiutò “Non posso” rispose senza mai abbassare lo sguardo. Aveva davvero coraggio a non tremare dinnanzi a lui e a sfidarlo a quel modo anche solo per incoscienza. E questo gli piaceva. Era una bella sfida. Ma l'avrebbe piegata a sé “Apprezzo davvero quello che vuoi fare per me...” E così l'aveva smascherato, aveva capito il suo inganno. Era più furba di quello che pensasse. Certo che “apprezzare”... Era forse convinta che lui lo facesse per il suo bene? Era un commento, comunque, troppo blando. Non gli bastava. Apprezzare. Sembrava che le stesse facendo una scortesia dopo che le offriva quanto aveva desiderato disperatamente e lei cercava di declinare l'offerta restando sul vago e sul formale.

La cosa lo irritava.

O gli si gettava ai piedi o lo sfidava apertamente. Cosa voleva dire quell'atteggiamento superiore e compassionevole per la serie “ti faccio un favore a non mandarti a quel paese, sono magnanima”?

Ma io voglio indietro mio fratello...sarà così spaventato...” continuò a giustificarsi. Era il tipico modo di rispondere di chi non vuole essere troppo brusco e dire le cose come stanno. Forse era stata la convivenza forzata con adulti che tanto disprezzava ad averla resa così ossequiosa nei confronti degli altri. Anche se a casa si permetteva il lusso di alzare la voce e sbattere le porte, fondamentalmente non voleva arrecare disturbo agli altri, né essere disturbata lei stessa. Voleva la quiete. E tutto, in quella vicenda, la stava destabilizzando.

Giustificazioni inutili e fasulle.

Sarah!” disse lui profondamente seccato di essere preso per il naso e trattato come un idiota. Lui sapeva TUTTO quello che le passava per la testa. Ed essere gentile nei suoi confronti non era quello che lei voleva davvero.

Levò il braccio con la sfera e questa si tramutò in un serpente.

Lei spostò lo sguardo sui due esseri, uno nel pugno dell'altro, non capendo perché avesse deciso di materializzare proprio quel rettile.

L'incompiuto e il compimento, la rigenerazione e la perversione, il maschile e il femminile, il giorno e la notte, la pioggia e l'aridità, il desiderio e la fecondità, il medico e l'indovino, la conoscenza e la tentazione

Lui se l'avvicinò al viso e se lo srotolò tra le mani, con gesti sicuri e decisi ma delicati.

Non sfidarmi...” l'avvertì tagliente.

Quindi glielo lanciò addosso, in un moto di rabbia per il rifiuto che continuava a opporgli. Ormai lei doveva essere sua. Non poteva fingere che nulla fosse successo, che nessun desiderio si fosse risvegliato, prepotente e animalesco. Anche se si controllava, non poteva tornare indietro.

Precisamente le lanciò il serpente al collo, in modo da recidere il legame tra la razionalità e l'impulsività della ragazza, per far esplodere, finalmente, il conflitto che si dibatteva in lei. Il collo, luogo di tentazioni.

Effettivamente danneggiarlo sarebbe stato un grave errore.

Oppure avrebbe potuto curarla lui, infiorettando la procedura e trasformando un semplice battito di ciglia, l'espressione di un desiderio, quello della sua integrità, in qualcosa di perverso e lascivo. Si immaginò chino su di lei come il vampiro più assetato. Quindi, riscuotendosi all'istante, corresse subito il tiro trasformando l'essere strisciante in un delicato foulard che la ragazza si affrettò a gettare a terra e che fu subito raccolto da uno dei piccoli Goblin che fino a quel momento si erano nascosti al suo sguardo. Che pensasse pure che avesse solo voluto spaventarla. Lui la voleva integra in tutte le sue convinzioni, con tutte le sue contraddizioni. E sapeva, conoscendola, che piuttosto che piegarsi a lui sarebbe morta. Quindi, avrebbe cambiato strategia. Se terrorizzarla non funzionava, assecondarla nemmeno, allora l'avrebbe plagiata. Lentamente, a fuoco basso, avrebbe lavorato sui fianchi fino a farla cedere.

Tu non puoi tenermi testa!” disse sprezzante, sicuro di sé. Aveva già la vittoria in pugno. Già la vedeva al suo fianco. Le sbatté in faccia quell'ovvia constatazione della realtà. Lui aveva poteri magici che lei nemmeno immaginava. Era un topolino braccato, chiuso nell'angolo di una stanza senza uscite con un gatto a digiuno da troppo tempo. Qualunque sua mossa, sarebbe stata possibile solo grazie alla sua magnanimità, al suo desiderio di gioco e al suo volerla felice.

Ma io devo avere in dietro il mio fratellino” protestò lei, scossa da tremori appena percettibili. Eh sì, la sua forza di volontà era davvero grande.

Teatralmente, il Re dei Goblin finse di cedere alle sue insistenti richieste. Le si fece accanto e indicò oltre la finestra. “E' là, nel mio castello”

Lei avanzò veloce nella pioggia. I confini di ciò che credeva di conoscere si erano lentamente trasformati in qualcos'altro. Un battito di ciglia. Poi un altro. E ciò che conosceva aveva definitivamente cambiato aspetto.





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Rieccomi qui col nuovo capitolo.

Volevo ringraziare pubblicamente x-LucyLilSlytherin, Jessica80 e Daydreamer per i commenti positivi che mi hanno letteralmente elettrizzata e dato la spinta a non fermarmi subito (come mia tentazione). Ringrazio inoltre i miei compagni di corso che hanno letto. E saluto Axia. Sempre e comunque.


Vi chiedo scusa in anticipo: posto ora perché il fine settimana sarò -forse- troppo impegnata per farlo (feste a parte, sono sommersa da consegne all'università ed è probabile che mi metta sotto già domani).

Spero che questo secondo capitolo sia all'altezza delle aspettative. Ho cercato di dare un senso a tutte le piccole smorfie di Jareth e al suo essere così altalenante tra una parola e l'altra. Con calma vedrò di arrivarci.

Infine una nota, per me fondamentale e forse un po' polemica, che avrei voluto mettere in cima al racconto.

Goblin e Gnomi. Sono due cose diverse. Il doppiaggio italiano ha fatto un po' di confusione. Ci tenevo a specificarlo. Gli gnomi son quegli esserini con il cappello rosso che stanno sotto i funghi, tanto per intendersi. Poi sono stati stravolti e rivisti in mille versioni diverse come tutte le altre creature magiche. C'era un folletto per ogni cosa: quello che intrecciava le criniere ai cavalli, quelli che rapivano le donne etc... Ma il folklore vuole che siano i Goblin a rapire i bambini. Loro e nessun altro.

Quando si tratta di queste cose divento un po' pesante, quindi ditemelo se le varie descrizioni magico-simboliche risultano eccessive. Io non me ne rendo sempre conto e tendo a esagerare per essere sicura che arrivi il messaggio.

Questo è quanto. Alla prossima! E grazie a tutti per avermi dato di nuovo questo piacere!

   
 
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