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Autore: darkronin    22/10/2011    8 recensioni
Abbiamo sempre solo immaginato cosa possa aver pensato il Re dei Goblin di tutta l'avventura che vede Sarah protagonista nel risolvere il labirinto.
Ho voluto tentare di rendere concrete tutte le sfacettature e allusioni che lui -e gli altri personaggi- mostrano di questo mondo all'interno della storia originale.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H. Smith, Jim Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.

Specifico che i dialoghi usati sono un adattamento tra la versione originale inglese e la traduzione italiana (non del tutto corretta) in quanto volevo mostrare le vicende narrate nel film dal punto di vista di un altro dei protagonisti.

Aggiungo, inoltre, che mi sono basata solo su quello che viene mostrato nel film: ho ottenuto solo adesso (e siamo al capitolo 8-9) una copia della versione anniversario che contiene alcune spiegazioni, da parte dello staff, sulle vicende. Ciò non cambia, comunque, lo sviluppo della vicenda, quindi ho ritenuto di non dover modificare questi primi due capitoli (anche perché, in ogni caso, la spiegazione che viene data a posteriori dagli autori non mi convince a pieno).

Buona lettura a tutti.




1. Il risveglio


L'ora tanto attesa era quasi giunta. Si sistemò meglio sulla scomoda cuspide per non scivolare a terra.

Era un caldo pomeriggio autunnale ma per lui era ancora troppo presto.

Si domandò, per la milionesima volta, chi glielo facesse fare di presentarsi, puntuale, a ogni appuntamento in quel piccolo parco in stile vittoriano. Per cosa, poi? Lei non lo considerava minimamente.

Anzi, reputava addirittura inquietante la sua presenza.

Certo, il suo aspetto non era dei migliori, doveva dargliene atto. Ma essere ignorato così sfacciatamente lo irritava non poco.

Ancora una volta, la domanda si affacciò alla sua mente.

Perché?

La cacciò come un insetto fastidioso.

Motivazioni ne aveva a bizzeffe. Nessuna pienamente credibile.

Era ancora assorto nei suoi pensieri quando un grosso cane grigio dal pelo lungo andò a sistemarsi su una panchina di pietra vicino a lui, quasi a volersi godere lo spettacolo. E se c'era il cane, non doveva mancare poi molto...

E, infatti, eccola arrivare correndo a perdifiato e superare velocemente il piccolo ponticello sul rigagnolo d'acqua che i locali avevano il coraggio di chiamare fiume.

Si bloccò di colpo, notando i suoi occhi penetranti fissarla. Deglutì vistosamente, quindi continuò con ciò per cui era arrivata fin lì.

"Dammi il bambino!" sentenziò seria e fiera avvolta nel suo abito panna di foggia rinascimentale. Gli piaceva tremendamente quel suo modo di fare, la sicurezza che le leggeva negli occhi smeraldini, calata com'era nella parte. Se avesse fatto sul serio, se mai si fossero incontrati davvero...beh, forse allora avrebbe provato anche un filo di terrore. Perché se fosse arrivata a dirgli quello...

"Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin..." continuò, agitando le braccia quasi identificasse nel parco il regno citato "...per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande" Un tuono riempì il silenzio che seguì. Lei alzò gli occhi al cielo, quasi a cercare aiuto. Quindi, chinò la testa, sovrappensiero, ripetendo le ultime parole.

Lui conosceva bene tutta la storia, ma grazie a lei l'aveva addirittura imparata a memoria.

"Accidenti, non mi ricordo mai quella frase." Sbuffò estraendo dall'ampia manica a campana un libretto rosso sgualcito dalle molte consultazioni. "Non hai alcun potere su di me" si arrese a dover leggere quanto le sfuggiva. Una serie di tuoni sottolineò come fosse giunta alla fine. Sembravano invitarla a tornare un'altra volta, con la parte completa.

Lei guardò il cane che le stava abbaiando qualcosa circa la necessità di rincasare urgentemente.

"Merlino!" sbuffò, quasi l'avesse interrotta sul più bello.

Furono quindi le campane a interromperla fredde.

"Oh no! Ma è incredibile...sono già le sette! Vieni! Corri!" urlò allontanandosi alla svelta, le gonne sollevate all'altezza dei fianchi a lasciare liberi da intralci le gambe fasciate in aderenti jeans.

L'osservò fino all'ultimo, ancorato alla cima del piccolo obelisco da cui aveva osservato tutta la scena. Quando fu sparita dalla sua visuale decise di allontanarsi anch'egli.

Un frullo d'ali e si levò in cielo, il petto bianco rivolto alla cittadina indaffarata, il dorso dorato alle nuvole che cominciavano a gettare acqua a secchiate.

Il barbagianni vide cane e ragazza correre per le strade a spron battuto, zuppi come pulcini; sorrise dentro di sé e proseguì, anticipandoli.

Si accoccolò sul ramo di un grande acero, davanti a una casetta in stile neocoloniale, più vicino all'abitazione. Da quella posizione aveva una buona visuale dell'ingresso e della camera da letto della ragazza. Si artigliò sicuro e si scrollò di dosso l'acqua depositata sul dorso.

Dall'interno provenivano i suoni di una conversazione sostenuta con toni vivaci tra due adulti. Sorrise mesto tra sé. Ogni volta la stessa storia. Gli dispiaceva per quella ragazza che tanto amava le storie fantastiche. Erano in poche le persone che, in quest'epoca, apprezzavano le storie antiche. Ancora meno erano quelli che le ritenevano vere. Per non parlare dei giovani: quelli erano gli ultimi che si sarebbero mai avvicinati a un mondo simile. Certo, da bambini quasi tutti credevano nell'esistenza di fate e folletti ma venivano subito indotti a pensare in modo diverso. Era un tale peccato. Era sicuramente per quello che compativa quella ragazza. Era giovane, amava le cose antiche con passione ingenua, non quella dei docenti universitari che vi vedevano comunque un mondo arido e sterile, lo specchio meno evoluto del mondo in cui vivevano. Tutte le testimonianze della loro esistenza venivano interpretate come voli di fantasia, metafore. Mai nessuno che si prendesse la briga di pensare lateralmente.

Oh, certo, un sacco di persone cercavano Atlantide, le strade i mondi sotterranei delle teorie della terra cava o credevano all'esistenza di entità extra terrestri. Ma la magia, quella no, non era contemplata. A meno che non si parlasse di religione o superstizione da quattro soldi. Allora ogni miracolo, pur dovuto al caso o al naturale corso degli eventi, era considerato sacrosanto.

Ma la magia vera, no. Non ci credevano sul serio nemmeno gli adepti delle sette più esoteriche: era puro e semplice rituale. Nulla di più.

Si domandava sempre cosa sarebbe successo se quella ragazza, Sarah, avesse deciso, un giorno, di pronunciarne una, di formula magica.

Ma ecco che anche la ragazza rincasava, bagnata fino al midollo sotto quella pioggia torrenziale. Ed ecco che cominciavano gli screzi con la matrigna. La povera donna non aveva nemmeno tutti i torti, ma Sarah era giovane e non capiva bene i meccanismi che regolano la vita degli adulti. Ciò non la giustificava, ovviamente, a dimenticare impegni presi o a essere maleducata. Ma tant'è, lui si sentiva più vicino a lei che non ai due adulti che, seppur con tutte le premure possibili, non erano in grado di capire il suo malessere. Ecco perché gli adulti avevano dimenticato la magia: crescendo l'essere umano perdeva quell'empatia che aveva appena nato. A quell'età, scimmia cavallo o uomo non fa alcuna differenza, sono tutti altrettanto importanti e ugualmente inutili. Sono giochi e proiezioni dell'Io infantile. Ma proprio quella proiezione permette loro di avere un livello empatico molto forte, capire i diversi linguaggi animali senza sforzo. Cosa simile avviene ancora, molto più debolmente, nel rapporto madre"neonato, dove la donna riesce a distinguere i diversi mugolii e quindi le diverse richieste.

Vide le urla isteriche della ragazza, il seguente sbattere di porte e l'irritazione che fulminava dai suoi occhi. I due adulti se ne stavano andando, lasciando a lei il compito di badare al fratellastro.

A lei non piaceva nulla di quella situazione. Voleva una famiglia normale, come tutte le sue amiche. Invece, sua madre era scappata di casa con un collega di teatro, lasciandola sola col padre, che non aveva perso tempo e si era trovato una nuova compagna che gli aveva dato subito un figlio.

Era comprensibile che la ragazza desiderasse avere un po' d'attenzioni dopo un simile tradimento. Ma l'uomo aveva egli stesso le sue ferite da curare e nel farlo era stato cieco ai bisogni della figlia che si era, quindi, chiusa a riccio contro il mondo esterno, rifiutandolo con violenza.

E più del tradimento degli adulti, forse bruciava lo scherno dei suoi coetanei per una famiglia tanto bislacca.

Poco dopo l'ingresso in camera, mentre Sarah cercava di calmarsi, immaginando un mondo alternativo in cui fosse ben voluta, il padre andò a parlarle dalla porta, senza fare lo sforzo di affrontarla realmente. Era un uomo vile: non aveva battuto ciglio quando la moglie era scappata, si faceva comandare a bacchetta dalla nuova compagna a cui lasciava l'onere genitoriale ed evitava in tutti i modi di riprendere la figlia e non perché temesse di ferirla ma perché non voleva scocciature. Sarah avrebbe desiderato che il padre si prendesse tale disturbo. Infondo, anche ricevere una sgridata era segno di attenzione. Che anche in quell'occasione le fu negata.

La vide lanciarsi nel letto alla ricerca della quiete. Ma qualcosa la turbò. Un'ennesima mancanza di tatto. Avevano dato uno dei suoi pupazzi, che lei non usava ma teneva in bella mostra in bacheca, al fratellastro. Il barbagianni sospirò. Effettivamente potevano chiederglielo. Forse avrebbe acconsentito, forse no. Ma prenderglielo dando per scontato che "ormai è una donna e non le servono più cose come questa" era stata una mossa davvero offensiva. Quello era il suo piccolo regno, la sua zona franca. La vide correre fuori e la sentì spalancare le porte.

"E tu sta zitto!" le sentì dire con tono aspro.

L'uccello si alzò in volo, sotto la pioggia battente, e decise di andare sull'altro lato della casa per osservare i suoi movimenti.

Si appollaiò sul corrimano del piccolo balconcino in marmo giusto quando lei entrò nella camera dei genitori marciando verso la culla dove il bambino urlava con tutto il fiato che aveva in gola. Era stato il temporale o erano stati gli occhi inquietanti del barbagianni, una creatura che sembrava venire da un altro mondo?

"Ti odio!" la sentì urlare. Che brutta parola. Se l'avesse rivolta a lui forse ne sarebbe morto.

La ragazza si chinò a raccogliere il pupazzo che giaceva a terra accanto alla culla.

"Qualcuno mi salvi, qualcuno mi porti via da questa casa orrenda!" pregò guardando il pupazzo.

Il barbagianni inclinò la testa di lato. Se glielo avesse chiesto, l'avrebbe fatto volentieri lui. Ma non poteva intervenire a proprio piacimento. Non che ci fosse un qualche regolamento da rispettare. Semplicemente, la controparte doveva desiderare realmente il suo intervento (suo e non di qualcun altro) e sbilanciarsi nel richiamarlo. Quindi si trattava solo di meccanismi da sbloccare e lui sarebbe piombato lì all'istante, spinto da una forza invisibile che l'avrebbe condotto a lei.

"Che cosa vuoi, una favola,eh?" chiese con rabbia sarcastica. "Ok" disse andandosi a sedere sul letto matrimoniale. "Allora, c'era una volta una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava sempre a casa col bambino. E il bambino era tanto viziato e la ragazza era praticamente una schiava. Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri. Così, una notte, quando il bambino fu oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin. "Di le tue parole magiche" le dissero i Goblin"

A quelle parole il barbagianni sgranò gli occhioni neri. Aveva sentito bene?

Di certo, comunque, i suoi sudditi si erano risvegliati a quelle parole. Secoli di inattività avevano confinato tutto il regno in uno stato di letargia. In pochi si svegliavano. L'esercito poteva riposare fino al momento della chiamata ma figure come il re, il giardiniere e il guardiano dovevano essere sempre vigili per adempiere ai loro doveri. E di certo erano già nelle vicinanze, pronti a eseguire gli ordini della ragazza. Secoli di inattività li avevano resi, con ogni probabilità, euforici.

Già...secoli. Nel medioevo era pratica comune invocare i Goblin per far sparire i bambini, specie i bastardini aristocratici che avrebbero compromesso la facciata scintillante. Ma anche allora, nessuno credeva realmente nei Goblin. Li invocavano perché facessero per loro il lavoro sporco, cosa che quegli esseri erano ben felici di fare. Ma nessuno, nemmeno a quei tempi superstiziosi, coi gargoille sulle facciate delle cattedrali a cacciare il maligno, credeva davvero a queste cose. Gli stregoni, certo. Ma quelli erano morti, per lo più, bruciati nei roghi dell'Inquisizione insieme a innumerevoli innocenti privi della ben che minima capacità magica o la minima intenzione di invocare chicchessia. E con l'andare del tempo, sempre più ci si rifiutava anche solo di pronunciare certi nomi sciocchi dettati dalla fantasia dei bambini. C'era chi magari credeva nell'esistenza di un mondo incredibile. Ma mai nessuno, nemmeno da solo nell'oscurità con se stesso, aveva avuto il coraggio, o l'avventatezza, di quella giovane donna.

"E porteremo il bambino a Goblin City e tu sarai libera" continuò imperterrita. "Però lei sapeva che il re dei Goblin avrebbe tenuto il bambino al castello per tutti i secoli dei secoli trasformandolo in un Goblin. E così lei soffriva in silenzio. Finché una notte che era stanca da una giornata di faccende, che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non ne poteva più...." minacciò accucciandosi accanto alla culla per arrivare all'altezza degli occhi del bambino. Il nervosismo tra le fila dei Goblin gli arrivava netto e violento. Erano più che pronti all'intervento.

E un po', doveva ammetterlo, lo era anche lui. Un bambino nel castello. L'idea lo solleticava parecchio.

"Va bene...piantala...andiamo smettila" sbuffò la ragazza con un velo di senso di colpa nella voce. Prese Toby tra le braccia cercando di calmarlo, senza riuscirci. Si vergognava di aver cercato di spaventare quel bambino di uno-due anni a quel modo ed era più che conscia di star giocando col fuoco. O no?

"O dico le parole." minacciò, infatti, forse più per se stessa, per darsi un tono, per cercare di vedere una via d'uscita da una quotidianità grigia e monotona "Ah, non sia mai...non devo dirle!" si rimproverò. Si era sentito rompere qualcosa all'interno del petto. Delusione cocente, tristezza, amarezza e un senso di profonda stupidità per se stesso, per aver sperato invano, lo travolsero mescolandosi tra loro.

Ma poco dopo, in quel breve tempo in cui lei aveva cercato ancora di calmare il bambino che piangeva isterico, la tentazione, dettata da un forte desiderio inconscio prevalse sulla razionalità " Io desidero....Non ne posso più!" Urlò mentre il bambino continuava imperterrito a strillare nonostante tutto, squassando coi tuoni l'animo della giovane e del barbagianni "Re dei Goblin, Re dei Goblin! Ovunque tu ti trovi adesso porta via questo bambino lontanissimo da me!" gridò sollevando il marmocchio sopra la sua testa

Il barbagianni, pronto a prendere il volo e lanciare l'ordine ai suoi, si bloccò di colpo, deluso e frastornato "Ma dove l'ha imparata sta porcheria? Nemmeno comincia con re dei Goblin!" protestò indispettito tra sé, sicuro che i suoi pensassero lo stesso.

"No Toby, no..." Sarah cullò ancora un attimo il bambino, nuovamente divorata dai sensi di colpa "Smettila!" lo supplicò. "Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire perché i Goblin ti portino via..." gli confessò esasperata.

"Non è mica tanto difficile..." si accigliò il barbagianni "Desidero che i Goblin ti portino via all'istante"

Come colpita da un'illuminazione o come se avesse sentito il suggerimento, si irrigidì e spalancò gli occhi. "Comando...e voglio..."

Dall'altra parte della finestra, lui fremeva d'impazienza. Troppo tempo era passato dall'ultima volta. Un pensiero assurdo gli attraversò la mente. In men che non si dica aveva un piano pronto elaborato nei minimi dettagli. Si sentiva brillare gli occhi e tremare tutto per l'emozione.

Doveva solo aspettare.

E sperare

Perché, ne era certo, lei era al limite e avrebbe espresso il desiderio sopito nel suo cuore, censurato dalla razionalità dei rapporti sociali.

Doveva essere così. Ormai non poteva più permettersi il lusso di sperarci e accontentarsi di quel languore. Tutto era stato troppo violento e repentino. Doveva andare così. Non aveva avuto il tempo, l'occasione per prepararsi a un evento del genere. Non gli era mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello una simile opportunità.

Eppure c'erano quasi.

Ma quando la vide sospirare e riporre il bambino a letto, coprirlo con cura e allontanarsi, si sentì sprofondare. Che stupido era stato a illudersi. Chi mai avrebbe avuto il coraggio o almeno non avrebbe provato imbarazzo a dire una cosa simile. Chinò la testa come sconfitto, pronto a spiccare il volo per tornare al riparo della chioma dell'albero davanti alla stanza della camera della ragazza. Guardò oltre il vetro con amarezza e si involò.

Fu allora che gli arrivarono chiare e forti, nonostante il temporale che infuriava tutt'intorno, le parole del legame.

Desidero proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”


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Salve a tutti, Volevo spendere due parole per presentarmi. Sono nuova su EFP ma non sono nuova alle fanfic: le seguo da anni e -circa 10 anni fa- le scrivevo anche (sul vecchio Manga.it). Per diversi motivi ho smesso e ora sono un pò arrugginita... Quindi perdonate se commetto errori nella pubblicazione o mi mancano avatar e presentazione (!)



Ci tengo a precisare che, diversamente dalla tradizione delle fic (le nostrane prendono pari pari da quelle d'oltreoceano che di queste cose sanno meno di zero), mi sono attenuta a un'analisi quanto più fedele a quanto vedevo. Inoltre mi sono avvalsa delle conoscenze folkloristiche primarie e non a quelle mediate da Shakespeare, Tolkien o (peggio) la maestra Rowling: tutti loro hanno attinto dall'archetipo originale e così il film. Rifarsi solo al loro universo sarebbe, per me, un grave impoverimento. Ciò ha portato due ovvie conseguenze che non mi disturbano (anzi, non ci faccio nemmeno caso e apprezzo l'insieme dell'opera) se leggo fic altrui ma che ritengo bestemmie se scrivo io (da filologa non posso proprio tollerare di fare una cosa così troppo libera e pretenziosa di essere simile al vero).


1- L'ambientazione e il retaggio culturale medievale: i costumi aderenti e variopinti, spesso rigati-le porte, Didymus, i goblin a cavallo-, le scenografie -il villaggio arroccato ai piedi di un castello-, i riti -la giostra finale tra Didymus e i Goblin-, le fiabe a cui si fa riferimento -di origine medievale ma trascritte dai Grimm e da Perault solo nel XVIII secolo-.

Medievale, non celtico: per quanto sia folkloristico pensarlo, i celti hanno nulla o poco a che vedere con l'universo a cui fa riferimento il film (In soldoni, i celti vissero al tempo dei romani e vivevano in capanne...Asterix e Obelix per intendersi)

2- Jareth è un mago. Non un elfo o un più generico Fae. Lui fa le magie e può avverare i desideri (trasformare un rospo/Hoggle in principe), si serve della sfera di cristallo (entrata però nell'immaginario delle chiromanti...ma l'origine è sempre la stessa), cambia aspetto o fa accadere cose senza il minimo sforzo (se non il minimo per rendere la vicenda meno piatta dal punto di vista visivo, come lanciare le sfere in giro). Ma soprattutto è dotato di sembiante o familiare (sono due cose diverse, pur mantenendo la medesima forma animale: il primo è l'aspetto che il mago può assumere, il secondo è l'aiutante). Tale sembiante o familiare appartiene alla famiglia dei rapaci notturni (barbagianni, civette, gufi, etc) che identificano, da sempre, i maghi e gli stregoni.

Infine, il mago può essere interpretato come un uomo a cui è stata dato il potere magico (tramite rito o per concessione da parte di qualche animale) oppure come una creatura magica, intermediaria tra l'uomo e il Piccolo Popolo (un po' come sono gli angeli con Dio). Ed è quello che lui è per Sarah: è la sua guida nel mondo dell'Underground.

Vi chiedo quindi scusa in anticipo per la pedanteria con cui mi soffermerò sulle diverse occorrenze.

   
 
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