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Autore: Ghen    06/11/2011    0 recensioni
Lui viveva con la sola madre, i due fratellini minori e la nonna malata. Lui aveva una migliore amica, due amici e una ragazza che le piaceva; piaceva, certo, non più da mesi. Lui ogni notte riceveva la visita di una voce che lo chiamava e lo invitava ad esprimere un desiderio: ma quanto può costare un desiderio?
[Partecipante al "[Original Concorso 11] La Sorgente e... Lui" di Eylis]
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2… La nuova realtà
 
 
Sebastian…
 
«Sebastian! Sebastian, dai… La prof sta per tornare, se ti vede addormentando altro che F!», lo scuoteva il suo vicino di banco.
Si accartocciò gli occhi e si mise dritto, facendo finalmente tirare un sospiro di sollievo a Michael.
«Finalmente dai cenni di vita! Stavo quasi per ufficializzare la tua morte! La professoressa sta per tornare…», sbottò.
«Umh… Sì… Scusa…», continuò a strofinarsi gli occhi. Sperava che, tornata a sognare quella voce che lo chiamava, magari sarebbe riuscito a dire quel era il suo desiderio, ma non era cambiato nulla, il sogno era sempre lo stesso. Come se non bastasse era preoccupato per Mariel: infine Chelsea l’aveva telefonato la sera tarda per dirgli solo che la ragazza non aveva voluto parlare con nessuno e quindi non sapevano cosa fosse successo; senza contare che verso scuola non l’aveva vista.
Sbuffò.
 
Al suono della ricreazione Sebastian uscì di corsa dalla classe con il suo cestino del pranzo in mano, sperava in cortile di rivedere Mariel, se mai fosse andata a scuola.
Intravide Melanie alle sue spalle, fermandosi al solito muretto, e della sua amica neanche l’ombra.
«Che cavolo vuoi?», iniziò a masticare le sue fette.
«Vedere come andava, tutto qui…».
«Beh, adesso che hai visto levati pure dalle palle!».
«Che gentile! E dire che io so cos’è successo ieri alla tua amica!».
«Eh? Dimmelo!», si fermò all’istante.  
«Perché dovrei dirtelo?», fece in broncio.
«Perché sei venuta?», sbuffò.
«Uff, ok…», prese a sedersi accanto a lui, che veloce si scansò di qualche centimetro. «Ieri si è dichiarata!».
«Che?», quasi sputò il suo boccone, incredulo. «Cosa? A chi?».
«Non lo so!», rise appena, osservando le nuvole. «Ma la voce si è sparsa per le classi più grandi, quindi immagino sia ad uno studente più grande, no? È stata rifiutata, poverina, e non sembrava averla presa bene!», rise.
Il cuore di Sebastian cominciò a battere forte: Mariel si era dichiarata. Era stata rifiutata.
Non a lui.
«Era ovvio, si tratta di lei… Nessuno oserebbe rifiutare me per esempio! Ma alla disadattata…!», rise. «Era chiaro che sarebbe finita così!».
«Smettila!», quasi le urlò in faccia, finendo per spaventarla. «Tu non puoi parlare, non sai proprio niente di niente! Sei solo una vigliacca che va in giro a deridere la gente, fai pena! Ti odio!». Svelto si alzò, lasciandola a bocca aperta. Melanie continuò ad osservarlo e dopo poco chinò la testa.  
 
Mariel si era dichiarata ed era stata rifiutata, e non si era dichiarata a lui.
Continuava a ripetersi nella testa. Era dispiaciuto e felice al tempo stesso: come poteva? Era dispiaciuto perché Mariel doveva stare molto male, ma era un felice, perché così poteva esserci ancora una chance di stare con lei.
«Sono meschino…».
 
All’uscita della scuola non vide né Chelsea né Charlie e decise di tornare subito a casa, quando le si presentò davanti Mariel, in bicicletta.
«Mariel!», sorrise entusiasta. «Non sei venuta oggi a scuola! Ero preoccupato!», spense il sorriso, ricordandosi delle parole di Melanie.
«Non ne avevo voglia! Mi sono svegliata con le scatole completamente girate!», sbuffò, per poi scoppiare a ridere all’improvviso. «Ma non potevo non vederti, quindi sono venuta lo stesso!».
«Ah, sei grande!», rise. «Ma dimmi, come stai? Ieri…».
Non lo lasciò terminare di parlare. «Ieri era ieri, oggi è oggi.», sorrise. «Tutto passato! Mi sono sentita un po’ male, ma ora sto decisamente meglio!».
Non diceva la verità… Spense il sorriso. Perché Mariel gli teneva nascosta una cosa come quella?
A meno che… Pensò: dopotutto erano le parole di Melanie contro quelle di Mariel.
Rise «Meno male!».
«Dai, ti riaccompagno fino a casa oggi, cerebroleso!».
 
Al ritorno a casa presero a scherzare quando una strana luce catturò l’attenzione di Sebastian e il ragazzino si fermò.
«Che ti prende?».
«Non l’hai vista?».
«Che cosa?».
«Vieni!».
Veloce prese a correre passando con le ruote sporche di fango sui cortili delle altre case, per poi uscire su di un’altra strada, con Mariel dietro di lui. Sebastian non sapeva dove stava andando, ma seguiva una strana luce dorata e qualcosa dentro gli diceva che doveva farlo, come un qualcosa che non si poteva evitare.
«Ma dove andiamo?».
Sebastian non rispose. Camminarono ancora dietro qualche cortile fino a sbucare in una strada sterrata e davanti a quella… «Un castello?».
Mariel frenò e osservò strabiliata quella costruzione. «Non è proprio un castello… E’… non lo so… sembra uno di quei vecchi edifici con colonne e archi…».
«Grazie, questo lo vedo anch’io!». Scese dalla bici e la poggiò sul terreno, per poi avvicinarsi.
«Vuoi entrare?», poggiò anch’essa la sua bici.
«Quella luce ci ha portato qui… Sì!», le sorrise. «Tu vuoi entrare?».
«Non mi tiro certo indietro!».
Mariel si fece avanti per prima e insieme salirono qualche scalino, prima di arrivare alla porta. Si scambiarono un’occhiata e insieme presero ad aprire il pesante portone, un po’ malmesso. Uno strano vento sembrò uscire fuori verso di loro come uno spettro.
«Ma che puzza!».
«Bleah, che schifo!».
Fecero un passo, prima di rendersi conto davanti a loro di un’alta figura. Entrambi si ghiacciarono, trattenendo quelle che potevano essere urla per non sembrare dei maleducati, di fronte a quel bizzarro personaggio: un uomo anziano, alto, con un poco di barba e vestito con un lungo abito, forse un arabo.  
«C-Ci scusi…», mugugnò Sebastian. «Lei abita qui?».
«Benvenuti!», sorrise all’improvviso. «Vi aspettavo, seguitemi!». Prese passo per avviarsi nell’andito e i due si guardarono allibiti.
«In che senso ci aspettava?», sussurrò Mariel. «Minimo è uno di quei pedofili che si sentono alla tv! Diamocela a gambe!».
«Ma è strano…», disse invece Sebastian. «Non mi sembra cattivo!».
«Oh beh, allora fidiamoci del tuo sesto senso infallibile, signor “non mi sembra cattivo”, fino a quando non ci sguinzaglia addosso la belva che nascondono i suoi pantaloni! Io non starò qui a farmi violentare, e nemmeno tu!», l’afferrò per il colletto della felpa per trascinarlo, quando l’uomo anziano si voltò a loro e la porta dell’edificio si chiuse alle loro spalle d’improvviso. «Merda, troppo tardi! Troviamo una finestra!», disse subito impaurita; ma tutto il buio di quello strano castello fece spazio alla luce proveniente dalle grandi vetrate, dagli imponenti archi, e tutti i colori si accesero, mostrando loro i quadri raffiguranti angeli e cavalli, unicorni, arcobaleni e immense vallate d’acqua.
I due ne restarono incantati per qualche attimo, prima che l’uomo potesse parlare e prendere la loro attenzione.
«Chiedo scusa, avrei forse dovuto presentarmi prima…».
C’era uno strano silenzio, eppure sapevano di non essere soli. In lontananza si sentiva il rumore d’acqua che scorreva.
«Mi chiamo Abh, e sono un servo del grande signore… Benvenuti, giovani clienti, in questo regno dove è possibile rendere i vostri desideri realtà!».
I due spalancarono gli occhi e subito Sebastian fece passo verso di lui. «Signor Abh, io ho fatto uno strano sogno con-», fu interrotto.
«Sì, è stato quello a condurti qui, giovane cliente!».
«Ah… Ma Mariel? Lei non-».
«Se è potuta entrare significa che anche lei è una giovane cliente. Solo coloro che vogliono poter vedere i loro sogni trasformati in realtà possono arrivare fin qui.».
Il signor Abh fece loro da scorta, facendo notare come ogni cliente aveva un suo spazio a disposizione tagliato da archi e mura: c’era un uomo circondato da un sacco di banconote a terra e felice s’inchinava per baciarle tutte mentre un altro uomo aveva un bicchiere in una mano e con l’altro braccio si osservava i muscoli, fiero; una donna rideva felice sorseggiando dal suo bicchiere e una bambina continuava a ridere girando da una parte all’altra del suo spazio circondata da giocattoli d’ogni tipo.   
«Qui ogni desiderio è realtà.», disse loro Abh. «Qualunque esso sia!».
Sebastian e Mariel si voltavano da una parte all’altra, estasiati da quel paradiso, felici, sorridendosi a vicenda.
«Siamo arrivati, giovani clienti.», si mise alle spalle di una colonna, per farli entrare nel loro spazio.
I due entrarono, notando come ci fossero due bicchieri sopra di un piccolo muretto, dove da una bocca di un angioletto sulla parete sgorgava dell’acqua che svaniva sotto i loro occhi toccando terra.
«E’ la fonte del desiderio. Ad ogni bicchiere un desiderio. Tutto ciò che volete sarà oggi realtà.».
Si scambiarono un’occhiata felice, e Sebastian fissò l’uomo, perché in fondo era strano che fosse tutto così perfetto. «Cosa… Cosa diamo noi in cambio dei desideri?».
«Nulla, giovane cliente!», sorrise Abh. «La fonte esaudisce i vostri desideri e nessuno deve niente a nessun altro. È la regola.». Sparì tra le colonne e Mariel si accostò alla parete, per riempire il suo bicchiere d’acqua.
«Ti fidi?», chiese Sebastian.
«Tu?», sorrise. «Non lo so ma mi viene da fidarmi. In fondo è solo acqua, anche se non dovesse esaudire desideri non ci farà male!», rise, prima di buttare giù tutto in un sorso l’acqua del suo bicchiere.
Sebastian rise: lei era fatta così, era la prima a dubitare e ora…
Prese anche lui il suo bicchiere e lo riempì d’acqua. Luccicava di dorato: ecco la luce che aveva visto. Mandò giù il suo bicchiere tutto in un fiato.
Da quel momento in poi, le cose sarebbero state molto diverse.
 
Il primo desiderio di Sebastian fu quello di avere soldi: soldi sufficienti da poter sfamare la sua famiglia e fare qualcosa in più.
Nelle settimane successive poté permettersi di comprare un televisore nuovo, a colori, in modo da far vedere i cartoni animati ai suoi fratellini e di comprare tanti dolci e cioccolati come nessuno di loro ne aveva mai visto; tanta spesa da far scoppiare il piccolo frigorifero e tanti fumetti, che aveva sempre sognato, non aveva mai potuto leggerne così tanti da restare alzato tutta la notte.
 
Il secondo desiderio di Sebastian fu una donna delle pulizie, che si occupasse di tenere a bada la casa, di cucinare e di curare i suoi fratellini e la nonna.
Comparve dal nulla una giovane donna dalla parete e disse di chiamarsi Nora. La sera stessa la portò a casa con sé e la fece conoscere ai suoi fratellini mentre la mamma era a lavoro.  
Il primo compito di Nora fu quello di risistemare daccapo la casa e come un robot questa faceva ogni cosa che Sebastian le diceva di fare senza obiezioni. La notte la portava in camera sua e restava seduta accasciata su di una parete sveglia tutta la notte: Nora non dormiva.
Nora era strana, pensava Sebastian, era come se non fosse reale, ma tutto ciò che faceva al contrario lo era, e dopotutto era perfetta, proprio ciò che desiderava.
 
Il terzo desiderio di Sebastian era quello di diventare più bravo a scuola.
Da quel giorno i suoi voti furono tutti delle A: non studiava e non sapeva nulla fino al momento in cui non gli fosse chiesto qualcosa, e solo allora rispondeva come un robot a un qualcosa che nemmeno aveva pensato. Tutti si stupirono della sua formidabile intelligenza e in breve diventò lo studente migliore della classe.
 
Il quarto desiderio di Sebastian fu quello di diventare più forte.
Con la bravura a scuola, i bulli cominciarono a prenderlo un po’ di mira e decise così che era arrivato il momento di difendersi. L’ultima volta che lo attaccarono alle spalle li prese uno ad uno per il colletto della maglietta e li alzò in aria: non si riavvicinarono mai più a lui.
 
Sua madre nonostante le proteste di Sebastian nel dire che non dovesse più lavorare ci andava comunque ogni giorno e si teneva a debita distanza da Nora e tutto ciò che era cambiato, soprattutto dagli strani soldi che il figlio portava a casa dal nulla.
Per quanto in quel momento tutto sembrasse andare per il meglio non voleva saperne il perché e lasciava fare, incredula, stranita, e di certo sempre più distaccata alla sua famiglia.
In effetti, tutto stava davvero andando per il meglio: la nonna usciva di più dalla sua stanza e perfino fuori a prendere una boccata d’aria in compagnia di Nora, Sebastian la vedeva più felice e si sentiva felice a sua volta; la sua sorellina iniziò a frequentare finalmente l’asilo, avendo già cinque anni e Curt, il suo fratellino, aveva nuovi splendidi giocattoli e vestiti. Nora portava lui e Lilly fuori al parco a giocare ogni pomeriggio.
La loro casa profumava di fiori e pulito, senza più un grammo di polvere o scatoloni ancora da aprire dall’ultimo trasloco ormai quasi un anno fa.
La vita di Sebastian stava finalmente procedendo tranquilla e senza timore che qualcosa potesse andare storto: tutto era perfetto. Non si rendeva conto che perfino lui in fondo era un po’ cambiato. Preso tanto da se stesso e dai suoi desideri non chiese neppure a Mariel quale fu il suo: non la incontrava quasi più all’andata a scuola, non pranzavano più insieme, e la sera lui andava a giocare ai videogame con ragazzi più grandi fino a notte a volte, che senza rendersene conto trascurava tutto il resto.
 
Quella mattina alla ricreazione salutava tutti al suo passaggio, era diventato famoso a scuola, dalle ragazzine che avevano una cotta per lui ai ragazzi che lo vedevano come un mito, sia nello studio, che nello sport che nella forza fisica.
Sebastian Finnigan aveva fatto della sua vita un capolavoro.
I ragazzi delle classi più grandi con cui passava a parlare di musica ad ogni ricreazione oggi erano stati puniti, quindi prese a sedersi al solito muretto, accorgendosi solo allora che Mariel non era con lui. Aprì il suo pranzo e subito morse il suo panino a doppio strato di prosciutto, mozzarella, pomodori e lattuga: molto diverso da quello a cui era abituato un tempo.
«Che schifo…», udì alle sue spalle. Neppure si voltò, aveva già riconosciuto i passi inconfondibili delle classiche ballerine che indossava solitamente Melanie. Non disse nulla, continuando a masticare per conto suo. «Che schifo, ho detto…».
«Ti aveva già sentito la prima volta… Cazzo vuoi?», fece brusco, voltandosi con sguardo iroso.
«Ehi…», fece la ragazza con un piccolo passo indietro, prima di prendere coraggio e sedersi accanto a lui. Mise le mani a tenersi la testa con i gomiti poggiati sulle ginocchia, fissandolo. «Non mi piaci. Proprio per niente.», disse poi.
«E da quando ti sono mai piaciuto?», continuò a mangiare indisturbato.
«Ma adesso è diverso. Fai schifo. Sei cambiato, Finnigan… Quello che conoscevo non sei tu: il nuovo Finnigan è uguale a tanti altri, anzi è peggio di tanti altri…».
Si alzò in piedi, seccato. «Umh, non ho nemmeno voglia di perdere tempo con te, lasciami perdere.». Prese ad andarsene, ma Melanie non si arrese.
«Ti sei pure dimenticato di avere degli amici! Fai schifo!».
 
Lui era cambiato? Che sciocchezze andava a dire, era sempre lo stesso. Pensava. Solo perché adesso le cose cominciavano ad andare bene non significava che lui era diverso… Anzi forse diverso: migliore!
 
Il primo e unico desiderio di Mariel invece fu di ottenere il suo amore.
Non c’era niente in quel momento che desiderava di più dell’amore di qualcuno, per non sentirsi sola, e per placare il suo dolore. Desiderava l’amore della ragazza che le aveva detto no
«Uscire con te? Non siamo così amiche… Ah, beh… Senti, a me piacciono i maschi, va bene?».
Quelle parole si erano incastonate nella sua testa e per tutta la notte non aveva chiuso occhio. Aveva avuto paura di ripresentarsi a scuola il giorno dopo Mariel, non voleva rischiare di rivedere il volto di chi l’aveva rifiutata. Dopotutto il giorno dopo il desiderio tutto cambiò…
Ad ogni ora del pranzo si rifugiava con lei in bagno per scambiarsi baci e la mattina la sua ragazza passava a prenderla per la scuola. Era una bella sensazione dopotutto: quel posto aveva funzionato davvero, il suo unico grande desiderio era oggi realtà.
Ma anche lei, tanto presa da sé e da quello che aveva desiderato, aveva perso di vista Sebastian e tutto il resto del suo mondo.
Aprì la porta del bagno, mano nella mano con lei. Non c’era nessuno e si scambiarono ancora un altro bacio.
«Mi ami?», domandò Mariel in un sorriso.
«Ti amo!», rispose l’altra, portandole via un altro bacio.
«E perché mi ami?».
«Ti amo perché è così che vuoi!». Si baciarono ancora.
Di certo non potevano sospettare che dall’altra parte del muro Chelsea le aveva sentite. Spalancò gli occhi e stringendo un pugno corse via.
 
 
Si era ormai fatto buio e Sebastian camminava con le mani nelle tasche dei pantaloni, giacchetta in vita, osservando il cielo sereno. Oggi come sempre aveva battuto gli altri ai soliti videogames, stava diventando piuttosto bravo.
Non si sentiva nulla nell’aria, a parte il solito cane all’angolo e quindi gli fu facile sentire qualcuno che piangeva. Si fermò nella strada deserta e prese ad avvicinarsi ad un cortile. Fu affacciandosi dietro ad una parete che scorse una ragazza che piangeva, bionda, mantenendosi il viso con le mani. Lui riconosceva quel pianto.
«Melanie…?», soffiò. Stava per voltarsi per prendere passo quando inciampò su un filo d’erba e la ragazza smise di piangere, guardandosi attorno.
«Chi è?». Si avvicinò notando Sebastian, che cercando di fare il passo più lungo della gamba sperava di svignarsela prima che lo vedesse. «Che ci fai tu in giro a quest’ora?», domandò a bocca aperta.
«Non sono cavoli tuoi.», sbottò lui.
«E allora vattene!».
«Infatti! Lo stavo proprio per fare, ciao!», fece un gesto con la mano.
Melanie non disse più nulla e si sedette sul marciapiede, afferrando la testa sotto le ginocchia.
Sebastian non riuscì ad andarsene e si guardò indietro. Cavolo, pensò, forse era troppo buono: una come quella non meritava niente da lui.
Si avvicinò e si sedette accanto a lei. «Che succede?».
«Non sono fatti tuoi!», quasi urlò lei: la voce soffocata dalle lacrime.
Sebastian si morsicò un labbro: sì, doveva in effetti lasciarla perdere.
«Dai, sono qui, anche se non vuoi parlare…».
Fu strana quella notte, perché Sebastian rivide la Melanie di quel lontano giorno e forse, ripensò, non si era poi sbagliato: era lei quella vera, e usava solo uno scudo cattivo per difendersi dalla gente.
Melanie pianse fra le sue braccia per minuti interi senza interruzione e solo dopo che gran parte del suo sfogo fu andato rivelò lui che suo padre adottivo l’aveva buttata fuori di casa dopo un altro litigio con la madre, dopo che si era messa in mezzo per difenderla. Doveva solo far passare alcune ore e poi gli avrebbe riaperto la porta.
Fecero una lunga passeggiata fra le vie buie e desolate prima che Sebastian la riaccompagnò a casa, con la sua giacca nelle spalle di lei.
«Grazie per la compagnia!», sorrise Melanie.
«Figurati! Chiama quando hai bisogno, ok?».
«Sai, mi sono sbagliata… Non sei poi così cambiato dopotutto…», veloce sparì dietro la porta di casa, lasciando il ragazzo per i suoi pensieri.
«Beh…», disse fra sé. «Adesso ho un nuovo desiderio da trasformare in realtà!».
 

 
   
 
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