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Autore: Hailei    07/11/2011    2 recensioni
...Quando l'amicizia diventa un ostacolo e mille sentimenti si intersecano per dar vita a una bellissima... storia.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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2. Forse ciò che voglio è nascosto negli occhi tuoi.

 
 
Cercai di non pensare per le circa due ore nelle quali decisi che mettere quella sera. Volevo qualcosa di elegante, ma allo stesso tempo possibilmente comodo. Rovistando nel mio armadio, che purtroppo non era per niente uguale a quello dei telefilm americani, trovai un vestito nero, semplice, ma scollato. Mi guardai allo specchio, e mi convinsi che andava bene.
Per le scarpe avrei optato per delle ballerine verdi, le uniche che avevo tra l’altro.
Qualche braccialetto di un colore simile ed ero perfetta. La borsa, secondo la legge della coordinazione dei colori, ovviamente era verde.
Vidi mio fratello, vestito sempre con jeans larghi e felpa scolorita e mi misi a ridere.
«hai intenzione di venire così?».
«certo, perché?». Scossi vivacemente la testa sorridendo.
«no, tu non vieni così da Stefano». Gli presi la mani e lo riportai in camera sua, facendolo sedere sul suo letto. «ora stai lì fermo». Cominciai a frugare nel suo armadio, cercando qualcosa di decente da fargli mettere; cavolo, è peggio dei bambini piccoli che vanno vestiti passo per passo. Finalmente sbucò – chissà per quale volere divino – qualcosa di potabile.
Una camicia nera semplice, una cravatta bianca, e un paio di jeans neri eleganti.
«ma non devo andare a un funerale!», disse sbuffando da dietro di me, vedendo che avevo in mano quegli indumenti. Mi girai e glieli buttai addosso.
«mettiteli o non esci di casa!». Gli feci una linguaccia e chiusi la porta, per lasciargli un po’ di privacy, anche se – essendo sua sorella – lo avevo visto nelle situazioni più imbarazzanti.
Aspettai qualche minuto, e poi bussai. La sua voce flebile mi parlò. «si, entra…». Appena lo vidi ebbi una reazione di sorpresa: mio fratello stava benissimo così. «…faccio schifo», disse sconsolato.
«ma che dici!? Ma non vedi che sei proprio un ometto? Dai, andiamo». Lo presi a braccetto, e, immersi tra chiavi, ci ritrovammo nella sua macchina. La velocità gli piaceva, e questa anche a me. Così, ci ritrovavamo più volte coi capelli mossi dal vento, e musica a tutto volume, a cantare ciò che ci piaceva di più.
Probabilmente era una passione genetica, dato che nostro padre era un ottimo bassista, e mia mamma una cantante. Peccato che abbiano abbandonato i loro sogni per darci una vita migliore, una vita sicura. “Per il nostro futuro”, ci avevano detto.
Ed era un sentimento nobile rinunciare a qualcosa che puoi avere per la felicità dei tuoi figli.
Per questo non li ringrazieremo mai abbastanza.
Marco mi diede una spallata, vedendomi assorta nei pensieri. «che hai? Ti vedo strana in questi giorni… di chi è la colpa, che lo picchio?». Eccolo, il mio fratello maggiore.
«di nessuno…», mentii spudoratamente, ma non volevo che litigasse con Carmine.
«ne sei proprio sicura?». Il suo sguardo indagatore mi incuteva terrore, anche perché lui riusciva a capirmi in ogni minima cosa; era come il mio riflesso, il mio specchio, la mia stessa anima.
«si, sicura». Annuii, per fargli cambiare idea, ma notando la sua espressione incerta e quasi scocciata, evidentemente non ci riuscii.
Il silenzio prese parte nella macchina. La permalosità, anche quella, era di famiglia.
Scendemmo dalla macchina nel cortile della villa di Stefano. Vidi già Mara con suo fratello, vicini alla porta. Il mio cuore cominciò a battere in un modo ostentato, a intervalli irregolari, e con vari sbalzi nel petto, che a malapena sembrava contenerlo.
Il mio sguardo e quello del mio migliore amico si incontrarono. Lessi varie emozioni dentro a quelle iridi chiare, che sempre avevo amato. Paura, dispiacere, vergogna… i suoi occhi per me erano cristallini come l’acqua.
Non ebbi il coraggio di mantenere quello sguardo fitto composto da piccole lame taglienti che mi stavano squarciando l’anima, per cui abbassai la testa e cominciai a camminare verso di loro, con al mio fianco Marco.
Arrivammo, dopo secondi infiniti, da loro. Salutai Mara, chiamata da me Amy o Pippa, soprannome buffo che solo noi potevamo capire, con la mia solita allegria. Poi giunse il momento più difficile, dal quale sapevo di non poter scappare. Presi tutto il coraggio che tenevo dentro e alzai gli occhi per salutarlo. Un’ondata, una folata, un uragano di emozioni mi investirono in pieno volto.
Le mie labbra si bloccarono, come se fossero state serrate da una colla potentissima. Dopo vari tentativi, si staccarono, ma nessuna voce uscii dalla mia cavità orale. Lui sorrise e mi strinse forte al suo petto. Almeno Carmine riuscii a parlare, anzi, a sussurrarmi qualcosa.
«scusa. Mi.. puoi perdonare?». La risposta, da parte mia, non arrivò. Ma nonostante tutto, continuò a stringermi, con fare fraterno.
Mi staccai poco dopo, con occhi lucidi. Volevo dirgli tante, tantissime cose in quel momento, ma rimanevano ferme, nei miei pensieri; no, non volevano proprio uscire da quel corpo maledetto. Quel mio corpo, ritenuto da altri perfetto, mi stava odiando. Si, stava andando contro il volere della mia anima, dei miei sentimenti. Così confusi e frastagliati.
Entro la serata avrei bevuto come minimo un barile di vodka, in modo da dimenticare tutto.
Ne ero sicura, come sempre. Come le altre volte, in cui mio fratello mi portava a casa in braccio, e in cui Carmine… mi stava vicino. Come sempre, si, come sempre.
La serata si svolse nel solito modo, ovvero con risate e scherzi di tutti verso tutti. I soliti deficienti come Stefano e mio fratello erano i protagonisti della serata, e li dovevo ringraziare per avermi donato vari sorrisi. Carmine invece era sempre inseguito da quella succhiasangue della sua ragazza. Aurora, la ragazza perfetta. Perfetta un cazzo. Era l’imperfezione, la bimba per eccellenza. Dava tutto per scontato, pretendeva tutto da Ka, e lo prendeva anche in giro, perché sapevo benissimo che lei si sentiva con un altro, bensì amico di vecchia data.
Quindi avevo una fonte diretta e ben certa di ciò che stava tramando dietro al mio migliore amico. Però, vedendolo contento, non volevo dire niente. Non volevo rovinare la sua felicità superflua. No, perché lui meritava di essere felice, in ogni senso...
Inutile dire che io e Mara stemmo tutta la serata insieme a scherzare. Lei mi tirava su il morale, almeno quando non incontravo gli occhi di suo fratello.
Quegli occhi avevano il potere di farmi stare male… e di fermare il mio battito cardiaco.
Il che, pensandoci, non era un bene. Perché? Perché, beh, voleva dire che provavo qualcosa di davvero forte per lui. E… che cosa precisamente?
Notai che qualche suo amico che non avevo mai visto fissava intensamente la mia scollatura, quindi la coprii velocemente con le mani. Mi ero scocciata di quei bambocci, che guardavano solamente il mio fisico. Mi sedetti sul divano – Amy era andata un attimo da Stefano per chiedergli una cosa – e da dietro sentii delle mani… calde, grosse.
Ebbi un sussulto, di quelli piacevoli però.
«ti vedo… strana», disse semplicemente quella voce così familiare e di tono basso.
«dammi un motivo per cui non dovrei esserla…». Una voce indecisa. Spezzata dalla verità che voleva fuoriuscire.
«non ne ho idea…». Si sedette vicino a me, con la sua mano destra sulla mia. «accetti le mie scuse?». Stavo per aprire bocca, quando la sua ragazza, rossa per la rabbia, lo prese per un braccio. «Carmine, ora ti tengo il muso! Hai capito che ti voglio solo per me, questa serata? Testone patatino!», e se lo portò via.
Il mio migliore amico mi guardò con faccia sconsolata, e sparì tra la gente.
Uscii a prendere un po’ d’aria, e notai che le uniche mie compagne in quel momento erano la luna e le lacrime che stavano solcando il mio viso.
  
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