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Autore: lady hawke    19/11/2011    7 recensioni
Nell'Ungheria del 1300 essere una strega o un mago non è impossibile, ma decisamente complicato. Bisogna nascondersi, fingere di non avere niente a che fare con pratiche considerate demoniace e bisogna farla franca davanti ad Inquisitori e ministri di Dio. Di uno Statuto di Segretezza si continua a parlare, ma niente è stato deciso. In questo clima è cresciuta una bambina che, da adulta, verrà ricordata come Guendalina la Guercia, colei che finì sul rogo ben trentasette volte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note: Nuovo capitolo tutto per voi. Spero dia qualche informazione e soddisfazione in più!


Capitolo primo: vita famigliare

Guendalina nacque nel tardo pomeriggio del sei maggio 1357 tra le urla di sua madre e i sospiri di suo padre. All’epoca casa Godefroid era già abitata da una bambina di cinque anni, Hilda, e la sua euforia dava sui nervi a tutti. Passò ore a tormentare il padre Adalberto con mille domande.
- Allora è nata?
- Non ancora Hilda, e per l'amor del cielo non chiedermelo più!
Alla bambina pareva davvero strano che ci volesse così tanto per fare una sorella. E poi erano in due di là, a darsi da fare. La madre era infatti assistita da una giovane donna conosciuta col nome di Silvana. Per farla breve, lei era la levatrice di fiducia di ogni famiglia di maghi dabbene. Aveva visto nascere tutti nel circondario, negli ultimi anni, Hilda compresa. Far nascere i bambini era un mestiere sempre a rischio. L'uso di medicinali e erbe per lenire il dolore puzzava di stregoneria a molti; figurarsi se avessero saputo degli incantesimi che si usavano sul serio. Silvana doveva muoversi sempre con grande discrezione, per questo.
Finalmente, un'ora prima del tramonto, la piccola venne alla luce. I suoi occhi grigi ancora semi-chiusi erano già avidi di vita, come avrebbe sempre ricordato il padre in seguito, parlando di lei. Come si acquietarono gli strilli della neonata, Silvana uscì dalla stanza.
- Adalberto entra a vedere la bambina, è impaziente di conoscerti.
Hilda rimase delusa dal fatto che si erano completamente dimenticati di lei. Prese a strattonare la gonna della donna esigendo attenzione.
- E io?
- Dovrai aspettare ancora un po’ piccola. – disse la levatrice, sorridendo – la tua mamma sta bene, vedrai. Io però devo andare ora. – Hilda perse la presa dell’abito, e la strega cominciò a indossare il suo mantello da viaggio.
- Dove?
- A far nascere un altro bambino. – spiegò prima di riprendere la sua scopa e uscire con circospezione. La bambina corse alla finestra per vederla andare via. La osservò mentre spariva tra i vicoli scuri, per raggiungerla di nuovo con lo sguardo quando era ormai soltanto un punto nel cielo crepuscolare. Alla piccola non era ben chiaro perché tutti andassero in giro con quell’aria un po’ spaurita, ma ci si era rassegnata. Nessuno rispondeva mai alle sue domande.
Presto, però, Hilda sentì il richiamo della madre, così si apprestò a vedere la sua nuova sorellina. Entrò titubante nella stanza, e si arrampicò sul letto, a fatica. Osservandola da vicino, la bambina vide con sommo disgusto che la sorella somigliava più ad un ragno rugoso che ad un essere umano. La prima impressione che ne ricavò non fu delle migliori. Guardò i genitori, e capì che non era il caso di esprimere quel pensiero: sembravano così fieri della loro creazione! Rimase perciò lì, silenziosa, a fissarla mentre dormiva. L’alzarsi e abbassarsi regolare del corpicino aveva un che di ipnotico. Fu una serata alquanto strana.

***

Dal principio Guendalina fu una grossa delusione, per Hilda. Non era nemmeno lontanamente divertente, come le avevano promesso mesi prima. I discorsi alla: “Vedrai, sarà come un’amica per te”, “Presto giocherete insieme” le sembravano delle enormi bugie.
D’altronde, non c’è molto da dire, nel dettaglio, su come sia la vita quotidiana con un neonato. La nuova arrivata piangeva ogni notte per ore, urlando talmente forte da riuscire a svegliare anche la sorella maggiore, che dormiva dall’altra parte della casa, un piano sopra di lei.
Adalberto cercava di passare quanto più tempo possibile nel suo negozio di calderoni, mentre Sigfrida, la madre, era sempre sfinita e di pessimo umore; impegnata com’era non aveva certo tempo per la figlia maggiore, e Hilda finiva per passare le giornate ciondolando da una parte all’altra, tentando di recuperare il sonno perduto.
Cosciente di quei disagi, una sera Adalberto portò a casa per la sua bambina un sacchetto contenente l’ultima novità in fatto di dolci magici: le caramelle Tuttigusti+1. Hilda ne prese una marrone scuro, che sembrava al gusto di cioccolato, ma amara fu la scoperta: il sapore era quello, né più, né meno, dello sterco di cavallo.
Sconfitta e derisa dal fato, Hilda pensò seriamente di compiere un piccolo crimine, la sua piccola soddisfazione personale: un fratricidio. Non riuscì mai, però, a portare a termine il proprio scopo. L’età le aveva regalato, all’epoca, ben poche risorse, e il sonno costante non faceva che inibire i suoi propositi omicidi; cedette dunque prima di pensarci seriamente. Dopo due settimane d’inferno Sigfrida decise di mettersi in ghingheri e di portare a far battezzare la nuova piccola di famiglia. È raro che una madre presenzi all’evento: in genere, per sicurezza, il rito si svolge a pochi giorni dalla nascita, prima dunque che una donna possa riprendersi degnamente dal parto, ma la signora Godefroid fu irremovibile.
Nessuno capì il perché di quell’ostinazione, e la strega non ne fece parola con nessuno, mai. Fu forse l’istinto, o una visione notturna a suggerirle di essere presente quel giorno; il mistero, però, rimase.
Maggio volgeva al termine, ma ciò nonostante la pioggia era caduta copiosa nei giorni precedenti, e raggiungere la piccola pieve fuori dal villaggio di Dazelburg significò attraversare una landa di fango. Adalberto e la sua famiglia viaggiarono sul carro del mugnaio, per evitare di sporcarsi di terra; nulla poterono, però, contro la farina.
Quando finalmente giunsero davanti al selciato della piccola chiesetta, la bambina saltò giù in una nuvoletta bianca, con un cipiglio come a dire “prima iniziamo, prima torniamo a casa”. La cerimonia fu intima: oltre alla famiglia Godefroid erano presenti poche altre persone, tutte dotate di poteri magici. Del resto si trovavano tutti in condizione di essere ospiti in città brulicanti di Babbani; rimanere uniti era a dir poco essenziale.
Mentre il prete rendeva Guendalina Godefroid ufficialmente un membro della comunità, i presenti di premurarono di fare felicitazioni a Sigfrida e alla sua tempra, ad Adalberto e alla sue gioie famigliari e al decoroso contegno di Hilda che, invece di fare i capricci, aveva finito per addormentarsi come un sasso sulla panca di legno della chiesetta. Brusco fu il risveglio una volta tornata a casa, poiché sua madre l’obbligò a fare il bagno in una tinozza piena di acqua sempre troppo calda o troppo fredda.
E così, eccettuato quell’evento fuori dalla norma, la vita proseguì tranquilla. Appurato che Guendalina era una compagnia noiosa se dormiva, molesta se era sveglia, Hilda preferì concentrarsi sulla cosa che le premeva di più: la prima manifestazione di un suo potere magico. Sapeva che Medea, la figlia dell’alchimista che abitava in una delle più belle case del villaggio, aveva spento il fuoco solo desiderandolo alla tenera età di quattro anni e che Ferenc, il figlio del macellaio, tornava a casa da Durmstrang in grado di fare meraviglie. La bambina già sognava di poter andare a quella grande scuola, dove avrebbe potuto esprimere la sua vera natura protetta, e senza alcun pericolo. Non si erano mai visti Inquisitori, a Durmstrang, e probabilmente non sarebbero stati capaci di inciampare dentro alla scuola nemmeno volendo: nonostante il cipiglio deciso e l’aria spaventosa, suo padre li aveva sempre definiti degli stupidi.
Affascinata dall’idea di controllare anche lei le fiamme, Hilda cominciò a sostare in prossimità del fuoco, cercando di farlo spegnere. Per due volte ebbe l’impressione di aver dato segno di magia, ma non si era trattato di altro che della corrente delle finestre o di quella causata da sua madre che aveva aperto una porta o l’altra.
- Hilda, tesoro, ormai l’estate si sta avvicinando, non ti ostinare a stare davanti al fuoco. – la riprese sua madre, mentre si avvicinava al grande focolare della cucina, portando con sé un calderone.
- Volevo fare qualche magia. – spiegò la bambina. – Come ha fatto Medea.
- Non si possono cercare le manifestazioni magiche. Arrivano improvvisamente, senza che un mago o una piccola strega se ne renda conto. Ci vuole tempo, per questo.
- Ho già cinque anni. – iniziò la bambina, preoccupata. – E se fossi una Magonò? E se non potessi andare a scuola?
- Hilda, io ho fatto la mia prima magia che avevo quasi nove anni, e tuo padre non deve averne avuti meno di sette, quando ha fatto recitare al cane del notaio tutto quanto l’alfabeto, perciò non dovresti preoccupare troppo. – insistette la madre, mentre armeggiava con piccole ampolle di vetro e strani ingredienti. Hilda sorrise, perché la prima manifestazione di magia del padre aveva fatto notizia all’epoca. Abacus, il vecchio notaio di Dazelburg, era una persona molto stimata e conosciuta perfino nelle città vicine; in moltissimi si rivolgevano a lui per risolvere le loro controversie. Era famoso anche per il suo bellissimo cane da caccia bianco di nome Neve, con cui attraversava i boschi per fare razzia di lepri. Era stata perciò una bella sorpresa, una mattina, vedere Neve trotterellare per le vie recitando tutto scodinzolante l’alfabeto. Per poco il vescovo della città vicina non aveva condannato al rogo mezzo villaggio! Nonostante questo, però, Hilda sapeva che non si sarebbe sentita tranquilla finchè non fosse stata cerca di essere una strega, e di esserlo per davvero. Non poteva immaginare che avrebbe fatto, altrimenti. Di certo, Guendalina non aveva ancora di questi problemi: non era che una poppante in fasce.
- Che ne dici di distrarti facendo una commissione per me? – chiese poi Sigfrida alla bambina, dopo un po’. Mescolava il suo calderone con aria esperta e concentrata, notò Hilda. Probabilmente la madre stava mettendo a punto una pozione difficile.
- Cosa devo fare?
- Dovresti andare nel pollaio e recuperarmi due piume di gallina bianche. – disse sua madre, senza guardarla in faccia.
- A cosa ti servono? Che pozione è? – si volle informare la piccola, prima di eseguire la richiesta.
- Be’, se tutto va bene, questa dovrebbe evitare che tu e tua sorella vi riempiate di pidocchi come è successo ai Wittkower l’estate passata.
Sconvolta dalla rivelazione, Hilda emise un grugnito di disappunto: aveva sperato in qualcosa di molto più interessante, ma a casa Godefroid la magia non sembrava essere che un prosaico mezzo per semplificarsi la vita. Perciò, sollecitata nuovamente dalla madre, la bambina uscì di casa, sospirando. Messo il naso all’aria aperta, Hilda inspirò profondamente l’aria che cominciava a portare gli odori dell’estate che provenivano dalla campagna lì vicina. Dazelburg era un posto molto piccolo, popolato da non più di duecento anime, e sembrava un microcosmo a sé. Con un piccolo sforzo, Hilda avrebbe potuto osservarlo tutto da cima a fondo senza fare un passo di più.
Alla sua destra lungo la via di strada battuta, non più di cinque case, e la via verso i campi. Casette piccole in sassi e legno, proprio come la sua, con un po’ di intonaco giusto per renderle più allegre. Visto il sole e il bel tempo qualcuno aveva cominciato a mettere vicino alle finestre alcuni vasi di fiori, che sembravano puntini colorati come le Tuttigusti+1.
Di fronte a lei la via che portava alla casa dell’alchimista e a quella di Silvana, la levatrice. Lì lavorava anche il suo papà, vendendo calderoni di ottima qualità sia a maghi che a Babbani. Papà non era uno che faceva il difficile sui clienti. Alla sua sinistra, invece, c’era una stradina di cui non si vedeva la fine, poiché svoltava verso la piazza con la piccola chiesa per la messa, l’osteria aperta sempre anche a notte fonda, e il palazzo del nuovo notaio, il figlio di Abacus. In linea d’aria, poco lontano e protetto da un fossato profondissimo il vecchio castello dei Trapp, la famiglia che controllava tutta la campagna circostante. Osservando attentamente tutto quanto, la bambina si chiese davvero che poteva offrirle il mondo là fuori, ma soprattutto perché i suoi genitori non l’avessero ancora portata a vedere quello che c’era più lontano: si sarebbe accontentata della città e del suo vescovo antipatico ammazzamaghi, perfino. Sospirò e si avviò verso il recinto delle galline dietro al cortile, lì accanto. Sperò di non doverle strappare a tutti i costi, perché era già stata beccata da quegli stupidi pennuti, e una volta era stata sufficiente. Infilò perciò una manina nella casetta dove queste venivano chiuse la notte, gioendo della propria fortuna: due piume di gallina ma anche due uova fresche. Un bottino degno di un re.
  
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