EPILOGO
Somebody is gonna miss you
Farewell
Somebody is gonna wish that
you were here
That somebody is me
I will write to tell you what’s going in
But you won’t miss nothing but the same old song
If you don’t mind catching up
I’ll spend the day telling you stories about a land far away*
[ Farewell – Rihanna ]
Los Angeles –
Due mesi dopo
Irina varcò la soglia del cimitero di Los Angeles con un po’
di apprensione addosso, il mazzo di fiori che teneva in mano a farle quasi da
scudo. Guardò il campo santo che si estendeva davanti a lei, prendendo per la
prima volta una strada diversa da quella che l’avrebbe condotta alla tomba di
sua madre. Non era lì che era diretta.
Mentre camminava sentiva solo i suoi
passi sul selciato, il cielo sopra di lei che lasciava cadere le ultime gocce
di pioggia, un paio di signori anziani che rassettavano i fiori di una tomba
lontana… Non era mai piacevole, venire lì, eppure l’atmosfera di pace che c’era
lì riuscì a calmare anche la sua anima in subbuglio.
Non ci mise molto a trovare ciò che cercava, anche se il
custode del cimitero aveva saputo indicarle solo il campo nel quale poteva
guardare. Era l’ultimo, quello in
fondo, destinato agli ultimi arrivati.
La lapide di William Challagher si
stagliava solitaria in un pezzo di terra più grande rispetto a quello degli
altri, e sembrava fatta di un pregiato marmo nero dai riflessi argentati. Non
c’era nessuna foto, né alcuna frase: solo la data di nascita e la data di morte, e il suo nome scritto con lettere eleganti.
Però c’era una
donna, a contemplarla. Una donna dal viso sfatto, senza trucco, ma che una
volta doveva essere stata molto bella. I capelli biondi le ricadevano flosci
sotto un capello pregiato ma ormai vecchio, gli occhi chiari che lampeggiarono
verso di lei con espressione triste ma vagamente arrabbiata.
La riconobbe subito, anche se non l’aveva mai vista.
Era la madre di William.
Irina non era mai stata lì, non era mai venuta a vedere la tomba
dello Scorpione, nonostante fossero passati due mesi dalla sua morte. Riportare
il cadavere dalla Russia aveva richiesto tempo, e quando aveva saputo che ormai
era stato seppellito, il senso di colpa che provava nei suoi confronti in
qualche modo le aveva fatto mancare il coraggio di andare.
La donna la guardò, e molto probabilmente capì che lei era la
ragazza che aveva portato suo figlio alla rovina. Tuttavia rimase in silenzio,
guardando per alcuni istanti la tomba di William, come se la coincidenza che fossero tutte e due lì la divertisse.
<< Nessuno di noi è stato in grado di salvarlo >>
disse solo, poi girò sui tacchi e se ne andò, senza mai guardarsi indietro.
Solo allora Irina si accorse che la donna non aveva
depositato nessun fiore, sulla tomba. La lapide era completamente sgombra,
nonostante disponesse di più spazio di tutti gli
altri. Nessuno aveva sentito il bisogno di onorare in qualche modo lo
Scorpione.
Si abbassò, adagiò il mazzo nel vaso vuoto e rimase in
ginocchio a guardare la lapide nera, sentendo qualche goccia di pioggia caderle
sui capelli. Improvvisamente ebbe freddo.
Capiva perché non aveva avuto il coraggio di venire: aveva trovato esattamente ciò che temeva. William era solo,
completamente solo anche dopo la morte. Nemmeno sua madre ne sentiva la
mancanza.
Nonostante tutto, continuava a pensare che non era giusto. Che
non era giusto che William fosse morto, che avesse preso quella strada… Avrebbe
potuto aiutarlo, non l’avrebbe lasciato da solo…
Passò una mano sulla tomba, e la trovò meno fredda di quello
che pensava.
<< C’erano un sacco di cose
che volevo dirti… >>
sussurrò.
Avrebbe voluto dirgli che non lo odiava, che non le importava
più quello che le aveva fatto… Che lo aveva perdonato, perché in fondo aveva
capito che William aveva solo bisogno di aiuto… Avrebbe voluto dirgli che forse
non lo amava come amava Xander,
ma che comunque gli voleva bene… Avrebbe voluto dirgli grazie, perché senza di
lui non ci sarebbe stata nessuna Fenice.
Sospirò. Continuare a pensare a ciò che avrebbe potuto dirgli non aveva senso, non serviva, e lo sapeva. In quei
due mesi aveva cercato di dare un senso alla sua
morte, ma non ci era riuscita.
Ciò che poteva fare, ora, era ricordarlo per quello che
comunque era stato: il migliore pilota clandestino del mondo.
<< Sono orgogliosa di aver fatto parte della tua Black List >> disse,
fissando il nome di William sulla lapide, << Sono orgogliosa di essere
stata una dei tuoi piloti. Sono orgogliosa di ciò che sei stato, nonostante
tutto >>.
Perché alla fine lo Scorpione sarebbe rimasto nella leggenda.
Perché lei aveva capito che anche il male e il bene erano due concetti
relativi. E lei sapeva che tra il bianco e il nero esistevano centinaia di
sfumature. William era stato una di quelle.
Una lacrima le solcò il viso, mentre teneva la mano sul marmo
della lapide. Provava ancora dolore, per la sua morte. Forse nessuno l’avrebbe
mai capita, ma lei lo aveva amato, e non poteva cancellarlo dal suo cuore così
in fretta.
Si alzò in piedi, asciugando la lacrima che le aveva rigato
la guancia, e trasse un respiro profondo.
Almeno aveva deciso lui la sua fine. Aveva dimostrato di
essere lo Scorpione fino alla fine. E lei glielo riconosceva. Non ci sarebbe
stato più nessuno come lui.
Guardò un’ultima volta la lapide.
“Non ti dimenticherò,
William. Lo Scorpione non cadrà nell’oblio”.
Alzò lo sguardo, accorgendosi che le nuvole si stavano
aprendo e nel cielo stava sbucando un tiepido sole. Era
venuta lì per chiudere la loro storia, e ora che gli aveva davvero detto addio sentiva il cuore più leggero. Riuscì a sorridere,
mentre un raggio di luce colpiva la lapide, illuminando di splendidi riflessi
il marmo nero.
Erano liberi entrambi, ora.
<< Arrivederci, Will >>.
Sospirò ancora, respirando l’aria pulita dopo la pioggia, e
si voltò, percorrendo la strada deserta fino all’uscita del cimitero, una
strana sensazione addosso. Era come se improvvisamente tutta la tristezza che
si era portata addosso da quando William era morto se ne fosse andata.
Raggiunse la Punto parcheggiata vicino al fioraio: era
tornata nuova, esattamente come era stata prima di
partire per Mosca. La vernice bianca brillava sotto le goccioline d’acqua, un
nuovo adesivo della fenice nera campeggiava sulla fiancata, i cerchi in lega
che scintillavano nuovi di zecca. C’era solo una piccola differenza, rispetto a
prima: vicino al parafango anteriore, sopra la minigonna, c’era un piccolo
disegno. Uno scorpione nero.
Salì sulla Punto, e mise in moto. Guardò la lancetta del
contagiri muoversi nervosa, poi gettò un’ultima occhiata al cielo. Forse poteva
fare una corsetta, prima di tornare a casa…
Il suo cellulare squillò, e lei lo afferrò.
<< Pronto? >>.
<< Autostrada, direzione lungomare. Un paio di auto, te
ne occupi tu? >>.
La voce di Xander le arrivò dritta
nelle orecchie, il tono quasi sarcastico.
<< Che genere di auto? >> domandò, sorridendo.
<< Due piloti alle prime armi, niente di troppo
difficile per te >> rispose Xander, <<
Preferisci che mandi due volanti? >>.
<< Ci penso io. Mi raggiungi? >>.
<< D’accordo. Ci
vediamo lì >>.
Irina affondò il piede sull’acceleratore, facendo fiondare la
Punto sulla strada, le gomme che lasciavano due segni neri sull’asfalto… Non si
curò di aver superato il semaforo rosso, né di aver scatenato le ire dei
“normali” automobilisti… Tutto aveva un altro sapore, quando si era un’agente dell’F.B.I..
Prese la sopraelevata che l’avrebbe condotta al lungomare, il
sole che si faceva sempre più forte nel cielo. Si mise a sinistra, lasciando
che la lancetta del tachimetro salisse sempre di più, superando un camion senza
nemmeno guardarsi indietro… Infilò l’uscita, ritrovandosi sul
lungomare…
Vide un paio di auto truccate correre dirette verso
l’autostrada, e le scappò un sorriso. Non sapevano con chi avevano
a che fare… Oppure sì, lo sapevano benissimo. Nessuno scappava
alla sbirra con l’auto italiana.
Alla sua sinistra comparve una Ferrari 458 Italia rossa, il
motore che ruggiva aggressivo. Vide Xander farle un
cenno oltre il vetro, e lei gli sorrise.
Sarebbe stato facile, prendere quei due, chiunque fossero. L’esperienza certo non le mancava. Era per quello
che l’F.B.I. l’aveva presa a tempo indeterminato per
dare la caccia ai piloti clandestini… E lei aveva accettato, perché a Mosca
aveva davvero capito cosa voleva fare nella sua vita.
Rimanere metà Fenice e metà Irina. Rimanere
una pilota clandestina al servizio della giustizia.
Accelerò, lasciando che Xander la
seguisse, e imboccò l’autostrada senza mai perdere di vista le due auto
truccate che correvano a trecento metri di distanza. Le vide aumentare la
velocità, perché li avevano visti…
“Adesso vi prendo,
pivellini”.
Affondò il piede sull’acceleratore, poi qualcosa baluginò
nell’angolo del suo specchietto, e non era l’auto di Xander.
Lontana, appena distinguibile, Irina vide un’Audi grigio
carbonio. Una R8 che avrebbe distinto tra mille.
Il tempo di un secondo, e l’auto era sparita. Irina tornò a
guardare davanti a lei, e sorrise.
Forse si era sbagliata, o forse era troppo presto. Non poteva
già essere lui…
Lo sapeva che lo avrebbe rivisto.
Lo sapeva che sarebbe tornato, prima o poi.
Dimitri.
Guardò nuovamente indietro, ma non vide nessuno. Solo auto normali e gente normale.
Forse aveva solo sognato, ma sapeva che sarebbe stata solo
questione di tempo.
Gettò un’occhiata verso Xander, e
lo vide farle un cenno.
“Uno è mio e uno è tuo”.
Annuì, carica di euforia.
Qualcuno avrebbe giudicato male la sua scelta, ma lei era quello. Era la ragazza che amava le auto, la ragazza che
correva più veloce degli altri, la ragazza che sceglieva di essere un’agente dell’F.B.I., al posto che essere una persona qualunque. Lei
era quella che portava nel cuore il re dei piloti clandestini, che aspettava il
ritorno di uno di loro e che amava uno sbirro che aveva cercato di arrestarli.
Il suo destino non era quello di vivere con il piede sul
freno. Il suo destino era quello di schiacciare
l’acceleratore fino in fondo, di rischiare, di sfidare sé stessa e il resto del
mondo.
Era una pilota clandestina, e lo sarebbe rimasta.
Sì, le piaceva la sua nuova vita. Le piaceva perché l’aveva
scelta lei. Le piaceva perché ora era davvero libera.
Perché finalmente era ciò che voleva essere: Irina, la Fenice.
*Traduzione:
A qualcuno mancherai
addio
Qualcuno desidererò che tu sia qui
Quel qualcuno sono io
[Rihanna]
Ti scriverò per dirti cosa sta succedendo
Ma non ti mancherà nulla se non la stessa vecchia canzone
Se non ti dispiace attrarre l’attenzione
Passerò la giornata a raccontrati storie di una terra
lontana
Spazio Autrice
Solo poche parole per dirvi grazie, grazie per
avermi seguito fino a qui. Vi lascerò
il tempo di pensare, e dare un giudizio alla mia storia. Fra qualche giorno
pubblicherò i veri ringraziamenti, e risponderò alle vostre eventuali domande.
Vi prego solo di lasciare un commento, se ne avete voglia.
Ancora grazie, grazie mille.
Ps: fra un pò piango…