Capitolo 3
Il palcoscenico era illuminato con luci
forti, quasi l’accecavano. Era in piedi a guardare, da dietro le grandi e
pesanti tende rosse, il pubblico. In prima fila spiccava subito la figura
austera di suo padre, che si guardava attorno, innervosito dal suo farsi
attendere e anche disgustato nel ritrovarsi a stretto contatto con persone
inferiori a lui. Hinata strinse le mani a pugno, stringendo anche la veste di
seta nera del suo vestito, e innervosita da quel suo comportamento. Cercò
d’ignorarlo, continuando ad esplorare il pubblico. C’erano molti volti
famigliari e alcuni se li ricordava molto bene.
C’era suo cugino, Neji, con la sua
fidanzata TenTen e il loro migliore amico Rock Lee, se non si sbagliava; poi
c’era la sua assistente Sakura abbracciata al braccio di un ragazzo dai capelli
neri e gli occhi dello stesso colore, molto probabilmente era il suo fidanzato
a giudicare dall’espressione felice di lei; la sua vecchia insegnante di musica
Kurenai e il suo compagno di corsi Shino e al suo fianco c’era Kiba. Kiba era stato
il suo migliore amico, che rovinò tutto per essere qualcosa di più. Scosse la
testa, era anche suo il motivo per cui se ne era andata da Konoha e da allora
non si erano più parlati. Continuò la sua perlustrazione del pubblico
riconoscendo altre persone di cui non si ricordava il nome, d’altronde era
troppo timida per interagire con gli altri.
Erano lì, tutti riuniti per il suo
ritorno e stavano aspettando la sua esibizione. Hinata si allontanò dalla
tenda, facendo qualche passo indietro e sospirò. Non credeva di potercela fare,
quel pubblico era diverso da tutti gli altri; era pieno di persone che non
vedeva da un sacco di tempo, pronta a giudicarla e lei non si sentiva pronta.
Non avrebbe dovuto assecondare la pazzia di un momento e chiedere a Sakura di
trovarle una sistemazione per il suo ritorno a Konoha. Alzò una mano, stretta
nuovamente a pugno, e si picchiettò la testa mormorando “Stupida! Stupida!
Stupida!” i suoi occhi erano assenti, fissi sul parchè di legno
dell’Auditorium. Una mano maschile fermò la sua, prima che potesse colpirsi
nuovamente. Solo in quel momento lei ritornò in sé e alzò lo sguardo per
guardare chi fossi il suo intruso. Sorrise nel vedere che si trattava del suo
biondo preferito.
“Naruto” lo chiamò dolcemente. Era felice
di vederlo in quel momento e sorrise ancora di più al ricordo della giornata
precedente.
Avevano fatto la pace, lui si era scusato
di averla accusata di pensare solamente al suo lavoro e lei si era scusata per
non aver compreso il suo bisogno di passare del tempo insieme. Naruto aveva un
effetto benefico su di lei e se n’era resa conto ritornando a casa. Infatti,
aveva notato come la sua pelle aveva ripreso colore, per quanto possibile, e
non sembrava più stanca e triste, ma radiosa. E per quello ne era felice.
Ritornò al presente, per godersi quell’attimo di felicità, prima di sprofondare
nuovamente nel baratro.
“Perché maltratti questa graziosa
testolina viola?” domandò divertito. Le rivolse uno dei suoi sorrisi migliori,
per risollevargli l’animo e funzionò.
“Sono nervosa. Sto per esibirmi davanti a
persone con cui ho passato la mia infanzia” rispose, cercando di trattenere la
malinconia e l’agitazione. Naruto non aveva bisogno di domandarle come stava,
per lui Hinata era un libro aperto.
“Hinata lo sai che puoi contare su di me,
vero?” domandò il biondino. La ragazza lo guardò negli occhi e annuì,
sorridendogli grata per la sua presenza. Lo abbracciò, felice di quel momento;
l’unica cosa buona che le era successo da quando era ritornata a casa.
Guardava ancora una volta il pubblico,
individuando immediatamente Naruto. Era in seconda fila, ma lo vedeva molto
bene. Era dietro suo padre, che la salutava con un sorriso e lei non esitò a
rispondere con un cenno. L’uomo la guardò perplesso e si chinò verso il nipote
per domandargli qualcosa. Hinata non se ne curò e si voltò verso la donna
bionda, con un seno molto prosperoso, che era salita sul palco per annunciare
la sua entrata. Strinse al petto l’album, quello in cui aveva trovato uno
strano Requiem su leggio del suo piano in camera. Un brano che non si ricordava
affatto di aver scritto. Erano da mesi che non aveva l’ispirazione giusta e non
si ricordava di aver composto qualcosa.
La donna si portò un microfono vicino
alla bocca e fece per parlare. Il suore della ragazza prese a battere
furiosamente.
“Signori e signore, sono lieta
di poter presentare a questa serata” esordì
la donna.
Il suo corpo le sembrava esser fatto di
pietra e non rispondeva ai suoi ordini. Perfino sollevare una mano le sembrava
difficile. Continuava a guardare il sindaco di Konoha che sproloquiava sulla
serata e sul suo concerto. Parole che non aveva voglia di ascoltare
minimamente.
Al posto delle sue parole, udiva una
strana melodia; famigliare ma nuova allo stesso tempo. Dove l’aveva sentita?
Che sciocca che sono stata,
sapevo già cosa stava per accadere.
Fece un piccolo sforzo. Qualcosa era
cambiato nel momento esatto che era ritornata a casa, sentiva quella macchia
nera seguirla dovunque. Sgranò gli occhi meravigliata, un flash la stordì
ancora di più. La musica che sentiva fischiargli nelle orecchie la percepiva
ogni volta che stava per salire sul palco per esibirsi. Ogni volta che aveva un
concerto quella melodia la soprafaceva. La prima volta che era accaduto era
qualche anno dopo la sua fuga da Konoha: suo cugino Neji le aveva fatto un
regalo di compleanno, un regalo che la metteva in soggezione ma che allo stesso
tempo la ipnotizzava. Da quando aveva cominciato ad usare quell’album le sue
musiche avevano un qualcosa di strano, di più triste. Nel momento esatto che
quella melodia cessava, l’ombra che la seguiva invisibile e silenziosa colpiva.
La morte prendeva il suo posto, uccidendo ogni persona presente al suo
concerto. Era sicura che alla tv non comunicava tutti gli omicidi, ma Hinata
era sicura che c’è ne erano molti di più.
Più ci pensava, più la testa gli
scoppiava. Voleva che quella musica si fermasse. Il cranio le doleva, dolore.
Solo questo, la sua vita era piena di dolore e non c’era spazio ad altri
sentimenti.
“... non vi annoierò oltre. Ora
diamo il ben ritornata a Miss Hyuuga” la
presentò Tsunade.
Hinata si raddrizzò e a testa alta entrò
sul palcoscenico. Guardava davanti a sé, senza degnare nessuno di uno sguardo,
distratta com’era dalla sua canzone interiore. Sembrava acquetarsi, come ogni
volta che si avvicinava al pianoforte. Poggiò l’album sul leggio e si sistemò,
lisciandosi le pieghe del vestito. Rivolse un’occhiata alla donna, che annuì a
sua volta. Le luci si affievolirono, sfumando su di lei. Si spensero pure le
luci di emergenza, tutto per concedere tutta l’attenzione a lei, la stella di
quella sera.
Le dita di lei incominciarono a scivolare
sulla tastiera, veloci e silenziose, lasciando il posto a quelle note
malinconiche e perfette. La melodia, provata nemmeno una volta, era stupenda.
Perfino lei se ne rendeva conto, con stupore. Non credeva di aver scritto una
simile canzone, ma ne fu orgogliosa immediatamente. La melodia che udiva nella
sua mente si mescolò a quella che suonava. Forte e piano; triste e allegra;
acuta e grave. Un connubio di opposti, perfetti fra loro che si completavano a
vicenda. Ma solo lei poteva percepire una simile melodia perfetta, mentre gli
altri non potevano che ascoltare un suono distorto e lontanissimo dalla
perfezione che era.
Perché me?
Teneva gli occhi socchiusi, non aveva
bisogno di guardare la tastiera. Conosceva l’esatta posizione di ogni tasto
bianco e nero. Li suonava con decisione e passione. Sebbene il suo corpo
vibrasse, ribellandosi all’idea di ubbidire a qualcun altro, eseguiva gli
ordini che gli impartiva quell’ombra. Sembrava che solamente lei riuscisse a
vederla; voleva avvertire gli altri, il suo pubblico, di quello che stava per
succedere. Presto quell’ombra li avrebbe avvolti, destinandoli a una morte
inevitabile. Le sue labbra, però, non si mossero e le sue mani continuavano a
volare sulla tastiera, leggiadre e decise su quali pulsanti premere.
Ammettilo, ti è piaciuto. Quella
sensazione di perfezione…
Nella sua mente quella nebbia di bellezza
la costringeva a mettersi in ginocchio e a volerne sempre di più. I suoi occhi
divennero opachi e assenti, mentre l’oscurità svolgeva il suo lavoro. Si
avvolse attorno ad ogni singola persona presente in quella sala, buttandoli in
un baratro buio e senza fondo. Presto sarebbero morti, inconsapevoli della
causa. C’era un colpevole, ma proprio in quel momento erano ammaliati dalla sua
musica.
Al
proprietario di quest’album, che possa scrivere meravigliose melodie. Canzoni
capace d’uccidere tutto il mondo.
Chiunque avesse scritto quella dedica aveva ragione.
Le sue musiche uccidevano, uccidevano persone innocenti. Per questo aveva perso
la sua vitalità di un tempo, troppe morti sulla coscienza e lei nemmeno provava
a redimersi. Non sarebbe stato sufficiente, sarebbe andata all’inferno
accettando la propria punizione; qualunque fosse stata.
Chiuse gli occhi assaporando ancora una volta lo
stato di beatitudine che la circondava, lasciandosi avvolgere dall’ultima nota,
Sol. E poi il silenzio. Il silenzio
che precedeva il chiasso degli applausi, quasi ferendole l’udito. Si costrinse
a sorridere, un’azione di cortesia. Con i suoi occhi perlacei, e ancora vuoti,
guardò ogni conoscente, prima della sua morte. Si scontrò con gli occhi azzurri
di una persona in particolare. Trasalì, nel guardarli. Anche a lui avrebbe detto
addio?
Sciocca. Sei stata solamente una sciocca. A lui
soprattutto avresti dovuto dire addio. Prima che l’inevitabile succedesse.
Con le labbra mimò <
Certo, come tutte le altre volte in passato e in
futuro.
Lo scricchiolio si fece più forte e la
trave prese a cadere verso il basso, con lentezza esasperante. La vide cedere
pian piano, minacciando di travolgere tutte le persone. Hinata guardò
disperatamente i suoi amici, implorandoli con lo sguardo di scappare, di
accorgersi di essere in pericolo. Nessuno, però, si accorse di quella supplica
silenziosa. Erano intenti a richiedere il bis o a lodarla, per la sua bravura.
La trave cedette e Hinata chiuse gli occhi, terrorizzata all’idea di rivivere
tutto da capo.
Alla fine, uno si abitua a quelle situazioni e l’ho
fatto anche io.
Sento ancora quella melodia, ma ormai ho smesso di
ribellarmi. Maledetta, ecco cosa sono.
Come la melodia, risuonarmi nelle orecchie e
precedere l’orrore a cui sono costretta ad assistere.
Ho pianto quel giorno; per i miei amici, per il mio
Naruto, Neji e Hanabi e perfino per mio padre. Nulla li farà tornare. Sono
destinata a restare sola e senza legami.
“Perché temere la morte? Essa ci e’, eppure, sempre vicina”, mai parole furono più veritiere.
Maledetta.
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Angolo Autrice
Okay e questo è l'ultimo capitolo. Sniff!!! Mi dispiace aggiornare solamente ora e per di più mi dispiace anche mettere fine a questa storia... Non posso che continuare a sottolineare a quanto io sia affezionata a questa mini-long e mi dispiace che sia arrivata solamente 4° al concorso, ma mi accontento lo stesso. Stavo pensando, inoltre, che potrei scrivere un proseguito per questa storia magari una One-shot oppure un'altra mini-long... Sono indecisa e se voi vorreste dirmi la vostra opinione fate pure. Spero che vi sia piaciuto il capitolo e non vedo l'ora di leggere i vostri commenti. E spero anche che chi segue il manga di Death Note ♥ , non sia stato un affronto leggere questo abominio xD
Mi resta solamente da dirvi: alla prossima.
Bacioni!
MissysP