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Autore: Noth    28/11/2011    13 recensioni
E le nostre bravate, te le ricordi, Kurt? Ogni memoria si è tatuata nella mia mente ed ancora oggi sorrido a pensarci. Arrivammo al St. Benedict lo stesso giorno. Due bambini di cinque anni, due cuccioli di uomo senza nessuna base su cui crescere. Abbiamo fatto affidamento solo l’uno sull’altro. Vicini di letto un po’ per fortuna un po’ per caso. Tu, con quel tuo vizio di succhiarti il pollice che non riuscivano a levarti ed io, con la mania di prendere due bastoncini e sbatacchiarli ovunque per creare del ritmo. Due bambini nati per restare assieme. Due bambini che si amarono ancora prima di sapere cosa questo voleva dire. Due bambini che il fato si è divertito ad allontanare ed avvicinare come due futili marionette peccatrici. Io e te. Ti ricordi, Kurt?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avete mai immaginato Kurt e Blaine, piccoli, in un orfanotrofio, che si amano prima ancora di sapere cos'è l'amore?


Don't you remember?
-Capitolo 1-








Mi ricordo ancora i dolci anni passati in quell’orfanotrofio. Eravamo due stolti ragazzini, quasi due bambini. Due anime giovani che giocavano a rincorrersi in mezzo all’erba, due poveri giovani che arrossivano per qualche bacio dato sotto le coperte la notte.

E le nostre bravate, te le ricordi, Kurt?

Ogni memoria si è tatuata nella mia mente ed ancora oggi sorrido a pensarci.

Arrivammo al St. Benedict lo stesso giorno. Due bambini di cinque anni, due cuccioli di uomo senza nessuna base su cui crescere. Abbiamo fatto affidamento solo l’uno sull’altro. Vicini di letto un po’ per fortuna un po’ per caso. Tu, con quel tuo vizio di succhiarti il pollice che non riuscivano a levarti ed io, con la mania di prendere due bastoncini e sbatacchiarli ovunque per creare del ritmo. Due bambini nati per restare assieme.

Due bambini che si amarono ancora prima di sapere cosa questo voleva dire.
Due bambini che il fato si è divertito ad allontanare ed avvicinare come due futili marionette peccatrici.
Io e te.
Ti ricordi, Kurt?


 
***


 
« Blaine! Kurt! Dove vi siete cacciati? » gridava Marianne, una delle donne che gestiva l’orfanotrofio.
Non potevano immaginare che avevamo trovato un buco nel muro, dietro la carta da parati della nostra stanza, né che ci nascondevamo lì dopo ogni bravata.
« Blaine! Kurt! » tuonava, correndo per i corridoi.

Eravamo ben nascosti, vicinissimi, i visi a pochi centimetri, stipati in quella fessura che si era creata nel tempo in quelle vecchie mura. Ci mordevamo la lingua per non scoppiare a ridere e ci tenevamo per mano.

Respiravo il tuo profumo da bambino e terra che ci ritrovavamo sul vestiti dopo aver rotolato nel cortile dell’orfanotrofio. Adoravo il nostro profumo, quello mio ed il tuo mischiato assieme. E se lo capivo da bambino, che eravamo perfetti assieme, voleva dire che eravamo fatti per completarci.

« Non ci beccheranno mai qui. » sussurrasti, portandoti una mano davanti alla bocca per soffocare le risate.
Annuii vigorosamente e diedi una sbirciata oltre la carta da parati. Ormai ci avevano ampiamente superati.

« Ripetimi un attimo perché abbiamo rubato due barattoli di marmellata di more dalla cucina? » domandasti, con l’aria di chi la sapeva lunga.
Feci spallucce.
« Perché è superbuona e perché è terribilmente divertente. » risposi, e tu ridesti.

Ero cresciuto con la tua risata, con le nostre fughe, con i nostri racconti di mostri notturni che non esistevano in nessun posto se non nelle nostre menti. Sono cresciuto con la tua mano nella mia, con il tuo sorriso sempre accanto al mio, con le nostre lacrime di solitudine e di paura che annegavano nel pigiama dell’altro. Ci siamo salvati a vicenda nel modo in cui solo i bambini sanno farlo: naturalmente, come fratelli, come due ragazzini che si sono innamorati l’uno dell’altro senza volerlo, senza esserne consapevoli, ma quel genere d’amore che è come quello per una madre o per un padre: infinito ed inscindibile.
Eterno.

« Dici che possiamo uscire? » chiedesti, cercando anche tu di sbirciare oltre il buco nel muro.

Assentii. Non ci avrebbero preso mai e, comunque, nessuna punizione sarebbe stata poi così insopportabile con te accanto.
Sgattaiolammo fuori dal buco e buttammo un’occhiata all’orologio.

Erano le otto e mezza di sera, avevamo saltato la cena comune, oramai, ma avevamo due barattoli di dolcissima marmellata alle more sotto i cuscini della nostra minuscola stanzetta.
« E’ quasi ora della preghiera di gruppo. » borbottasti poco intenzionato ad andarci. Mi guardasti e pensammo lo stesso, come sempre, due menti, due cuori diversi che troppo spesso pensavano come uno.

Eri il mio amato fratello, il mio pezzo di puzzle mancante, la bellissima pentola d’oro alla fine di un mediocre arcobaleno.

« Dici che se corriamo fino alla radura nel bosco a mangiare la marmellata col pane che abbiamo messo da parte da ieri sera se ne accorge qualcuno? » chiedesti, titubante quanto bastava per spingermi ad accogliere l’idea a braccia aperte.
« E anche se fosse? » sorrisi e corsi a prendere il vasetto di marmellata da sotto il cucino, ormai macchiato di more. Tu mi imitasti e mi sorridesti di rimando, come al solito, indugiando un po’ troppo sui miei occhi per essere un semplice sguardo tra amichetti.

Quella sorta di amore peccaminoso eppure innocente si era insinuato nei nostri cuori da troppo tempo. Ora era impossibile cacciarlo via.

Eravamo due bambini, Cristo, due bambini.
Perché ci volevamo già allora così tanto bene?
Cupido quella volta ci aveva visto fin troppo bene.
Anzi, no, era un affetto che era cresciuto ad ogni bravata, ogni sorriso, ogni abbraccio di conforto durante gli incubi notturni che non mancavano mai, dopo ogni panino ceduto all’altro, a causa di tutto quello che ci eravamo trovati a condividere.
Una vita intera.

Corremmo giù per le scale, ormai silenziosi e ottimi conoscitori dei punti scricchiolanti della struttura, raggiungendo l’atrio ed aspettando che Dominique, un’altra donna che gestiva il St. Benedict, si dirigesse verso la stanza delle riunioni serali.

Respiravamo piano e oramai, assieme, sembrava tutto troppo semplice.

Sgattaiolammo fuori dalla porta, consci dell’aria settembrina che ci mordeva la pelle con il suo vento freddo. Ci prendemmo per mano, la marmellata sotto il braccio, e scappammo dentro il bosco di conifere appena fuori l’orfanotrofio. Corremmo come due disperati, inciampando e cadendo, sempre per mano, graffiandoci le gambe coperte solo da dei pantaloni corti e riempiendoci di terra. La luce soffusa della luna gettava ombre morbide sul tuo viso di bambino e non riuscivo a smettere di guardarti. Quello che consideravo più di un fratello. La mia metà perfetta.

Sorridevi, felice, ed il mio cuore faceva a gara con il mio velocissimo respiro. Non so chi dei due stesse vincendo, mi sembrava di stare volando tra le fronde con la mano in quella di un angelo.
Raggiungemmo la radura dove nascondevamo i panini in una cavità dentro un albero secco. Il tutto era avvolto in un lembo di lenzuolo che avevamo strappato, e stava ben sicuro sotto a un sasso cavo.

Avevamo il fiatone ed i capelli castano chiaro ti cadevano distrattamente sul viso a ciuffetti disordinati. Sapevo che ti piaceva averli in ordine, eppure quando eri con me ti lasciavi sempre andare.
« Siamo proprio una bella squadra. » esclamai, accucciandomi, prendendo i panini e mettendo il pezzo di lenzuolo come una tovaglietta per dividerli a pezzi e farne metà.
« Ovvio che lo siamo. Siamo perfetti. » rispondesti, sorridendo e guardandomi mentre ti allungavo il tuo pezzo di pane.

Con le dita ci spalmammo la marmellata sul panetto facendo un pasticcio e rendendoci tutti appiccicaticci. Divorammo la nostra cena accucciati e vicini, un po’ come degli animali, mentre ridavamo. Il sapore delle more mi si scioglieva sulla lingua, zuccheroso e terribilmente dolce. Con un retrogusto lievemente fresco e acerbo.

Ti sporcasti il naso di marmellata, sembravi un gatto spelacchiato. Mi avvicinai e, con un dito, ti pulii, sorridendo e quasi cercando di non scoppiarti a ridere in faccia.
« Che c’è? » bofonchiasti, la bocca piena e circondata di nero-violaceo.
« No, no niente. Sei buffo così. » commentai, indicandoti con un gesto distratto. Tu scuotesti la testa.

« Perché tu pensi di avere la faccia pulita, vero? » borbottasti, spingendomi con le mani imbrattate di marmellata e sporcandomi.

« Maledetto! » gridai, e risposi all’attacco macchiandoti la guancia destra.

Finimmo a rotolare nella terra, sporchi dalla testa ai piedi, ridendo come due pazzi, azzuffandoci e mordendoci.
Era tutto terribilmente bello con te. Litigare era impossibile. Eravamo due parti di una cosa sola e mi confortava sapere che eri sempre al mio fianco. La solitudine non mi pesava. Non così.

Tu eri la mia perfezione.

Lo sapevi, vero?


Esausti ci distendemmo sulla rada erba della radura. Respiravamo affannosamente ed avevamo le lacrime per le risate. Eravamo messi in una posizione da angeli di neve.
Ridevamo, ridevamo, facevamo un chiasso che avremmo potuto svegliare il mondo intero.

Le nostre mani si trovarono con naturalezza, lentamente, si sfiorarono, si conobbero e, lentamente, si intrecciarono. Le mie terminazioni nervose impazzivano ed il mio cuore era troppo felice per poter semplicemente battere. Cantava.

Chi avrebbe mai pensato che la mia vita sarebbe stata tanto bella in uno squallido orfanatrofio maschile?

Chi avrebbe mai pensato che mi sarei irrimediabilmente innamorato della persona più splendida del mondo?

Chi avrebbe mai immaginato che la nostra maledizione avrebbe avuto inizio in maniera così innocente?

« Blaine? » mormorasti, tra le risate.
« Dimmi, Kurt. »

Ci fu qualche attimo di silenzio.
« Sono tanto felice di averti incontrato. »

Ed ecco che la nostra natura di bambini emergeva con facilità. Commenti confusi, troppi sentimenti per due cuori così giovani e fragili. Non avevamo nulla che ci spiegasse cosa fosse l’amore. Nemmeno eravamo a conoscenza della sua esistenza.

Soprattutto non sapevamo che due ragazzi avessero il diritto di amarsi. Ma oramai non si parlava più di diritti, si parlava di un bisogno atroce che ci aveva unito ancora prima che acconsentissimo.
















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Spazio Autrice:
Mi sono soffermata a pensare a quanto l'amore sia incontrollabile. Se si fossero incontrati prima?
Se fosse stato impossibile non innamorarsi?
E se la società dell'epoca non approvasse?
Da adulti cosa sarebbe successo?


Lo scoprirete, promesso.
Yours,
Noth
   
 
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