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Autore: Ethaline    30/11/2011    0 recensioni
Erin si sveglia un giorno in ospedale. Non ricorda niente di quello che le è successo, ma i medici le dicono che è stata drogata ed era sotto l'effetto di alcool prima di aver quasi rischiato la vita in un incidente mortale nella macchina di uno sconosciuto. Per lei queste parole non hanno peso. Droga, alcool, sesso, passaggi in macchina, sono tutte cose ordinarie per lei, ma presto, Erin, perderà il controllo totale della sua vita se non deciderà di mettere la testa a posto.
Una racconto metà autobiografico che ho deciso di scrivere in un pomeriggio di noia. Non so nemmeno se lo porterò a termine. In ogni caso, se c'è qualcuno che mai lo leggerà, spero che sia di suo gradimento.
Erin.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Una luce mi ferisce gli occhi quando cerco di aprirli. Intorno a me è tutto bianco. Bianche le pareti, bianchi i pavimenti, bianche le lenzuola, tutto schifosamente bianco. L'odore penetrante del disinfettante mi pizzica le narici. Sento che non sono nel mio letto. Il mio sa di Malboro, sesso e profumo da quattro soldi, questo invece di pulito, antibiotici e qualcosa che ricorda vagamente l'odore che hanno gli anziani.

Sono nel lettino di un ospedale. Alla mia destra sento il rumore dei macchinari che controllano il battito cardiaco. Richiudo gli occhi. E' solo un brutto sogno, mi dico. Quando li riapro però, mi accorgo di quanto tutto sia reale, paurosamente reale. Nascondo la testa nel cuscino e cerco di controllare i battiti del cuore che intanto stanno accelerando.

Il mio tentativo di ricomposizione viene interrotto dall'entrata di un'infermiera dalla porta di servizio. Fisso e il vuoto davanti a me sperando che non si avvicini, cosa abbastanza improbabile dato che nella stanza ci sono solo io.
Lei non dice una parola, quasi avesse capito il mio sgomento e mi misura la pressione. Io continuo a non guardarla, ma lei ogni tanto alza lo sguardo su di me, come se avesse paura che potessi alzarmi e scappare dalla finestra chiusa alla sinistra del letto, affianco a un armadio a due ante azzurro.
Vorrei dirle che a momenti non ho nemmeno la forza per stare seduta, figuriamoci per lanciarmi da una finestra al terzo piano. Troppo giovane per morire, ho ancora tanto da dare al mondo.

La sento sbuffare leggermente mentre segna dei numeri su una cartellina che non avevo notato prima.
“Sbottonati la camicia da notte, devo misurarti i battiti del cuore”

Vanno veloci, velocissimi. Non riusciresti nemmeno a contarli. Vorrei dirglielo ma mi trattengo, morsicandomi la lingua. A malavoglia mi sbottono quella camicia da notte che sembra essere cucita con la carta scotex e mi concentro sui battiti.
Sento il freddo dello stetoscopio sulla mia schiena e gli occhi dell'infermiera puntati sui miei capelli rossi.
“Sei agitata?” mi chiede
Scuoto la testa e la sento sbuffare nuovamente dietro di me.
“Fai uso di sostanze stupefacenti, Erin?”
Sto zitta un attimo prima di risponderle. Poi mi dico che mentirle sarebbe del tutto inutile.
“Sì”
“Bevi, fumi?”
Faccio roteare gli occhi in alto e un altro -sì- scivola fuori dalle mie labbra.
“Puoi riallacciarti la camicia” me lo dice guardandomi con aria di rimprovero. La guardo pure io, inchiodandola con i miei occhi nocciola. E' bassa e in carne. Le guance sono rosse come due ciliegie e gli occhi, piccoli e verdi sono nascosti da una spessa frangia che è da un po' che non vede le forbici di un parrucchiere.
Il suo sguardo ricorda vagamente quello che aveva mia mamma, ma nel suo non c'è rassegnazione e nemmeno la consapevolezza di aver fallito come madre.
L'infermiera scarabocchia altri numeri sulla cartellina e se ne va, senza dire una parola.


Passo i successivi quattro giorni alternando stati di sonno profondo a una dormiveglia che mi rende più fiacca di quanto non lo sia già.
Ogni tanto qualche medico entra chiedendomi se avvertivo giramenti di testa, vomito e cose simili, altre misurandomi la pressione o i battiti del cuore.
Nessun mio parente è ancora venuto, in realtà è poco probabile che qualcuno venga, dato che non ho nessuno a cui sono emotivamente legata.
Mia mamma è morta quattro anni fa, il giorno dopo il mio tredicesimo compleanno per un incidente in macchina. Era uscita a prendere il pane e l'unica cosa che era tornata era stata la sua renault nera ridotta peggio di una lattina pressata.
Mio papà stava scontando i suoi dieci anni in carcere per spaccio di cocaina e infine, mia zia, alla quale ero stata affidata, era spesso in viaggio di lavoro e a volte mi lasciava a casa da sola. Non che la cosa mi dispiacesse, ma mi è sempre fatto strano vedere le altre ragazze parlare con le loro madri della scuola, di ragazzi, di sesso...vederle andare a fare shopping assieme al centro commerciale e stronzate simili. Io non ho mai avuto nessuno che mi dicesse “Esci? Stai attenta, copriti la gola!” oppure “Ricordati di usare il preservativo nel caso avessi rapporti con il tuo ragazzo!”
No, niente di tutto questo.
Intanto arrivano i risultati del test tossicologico. Sono stata drogata, o mi sono drogata, non mi ricordo, ma non è comunque una novità e non me ne stupisco affatto. I medici sembrano dare però particolare rilevanza a questo fatto e non mi lasciano da sola un istante.
“Fai spesso uso di sostanze stupefacenti?”
“Chi te la vende?”
“Lo sai che sono dannosi alla salute?”
Le solite domande, le solite risposte. E' tutto così noioso qui dentro e a volte mi chiedo perchè non mi facciano uscire. Sono debole, ma sto meglio.
Il settimo giorno, mentre sono, come sempre, intenta a trovare il modo migliore per annoiarmi, irrompono in stanza il capo sala e mia zia.
Ha dei corti capelli castani tagliati in un perfetto caschetto, gli occhi neri sono grandi e incorniciati da passate di mascara, gli zigomi, spolverati di rosa. E' al telefono, come sempre, ma nel suo sguardo, appena entra nella stanza, scorgo una nota di preoccupazione. Difficile a dirsi se è solo perchè ha paura di essere dichiarata dalla corte come “non capace di prendersi cura di una minorenne” o è seriamente preoccupata per la mia salute.
Chiude la chiamata con poche e brevi parole e mi si avvicina, stringendomi la mano.
“Come stai, cara?”
Avverto una nota di falso interessamento nella sua voce ma cerco di non darlo a vedere.
“Benissimo, grazie zia”
Cerco di usare un tono freddo e distaccato, ma con lei non mi riesce quasi mani e la voce mi si incrina.
Lei si scansa e fa avvicinare il medico, che mi guarda anche lui, come tutti i medici qui dentro, con lo sguardo carico di severità.
“Erin, è di vitale importanza che tu ci dica cos'è successo quel sabato sera, prima dell'incidente”
Incidente? Sì, ricordo vagamente qualche dettaglio, ma niente di importante, se non una voce femminile che mi diceva di aprire gli occhi e dei vetri a terra.
“Non mi ricordo quasi niente, mi dispiace”
“Avevo immaginato, hai avuto uno shock”

Shock!?”
“Erin, dai nostri esami ci risulta che nel tuo corpo c'erano tracce di cocaina e eroina e il tasso alcolico era molto elevato, sopra la media”
“Non ero io che guidavo la macchina”
Il medico inarca il sopracciglio, corrugando la fronte.
“No Erin, non eri tu. Era un tuo amico suppongo”
Scuoto la testa. Non era un mio amico, era un qualcuno che a malapena conoscevo.
“Erin, tesoro?”
Mia zia mi richiama alla realtà.

Il tuo amico è morto questa mattina”
Morto?
“Io non lo conoscevo, non ho idea di chi sia”
Il medico tossisce leggermente, guardando mia zia con aria di rimprovero. Chissà, probabilmente lui ha una figlia della mia stessa età che non si droga, non beve e non le passa nell'anticamera del cervello di accettare un passaggio da uno sconosciuto.

Chi era, allora?”
“Non lo so, non mi ricordo nulla, davvero. Se lo sapessi, ve lo direi”
“Erin, qui la situazione è grave, te ne rendi conto?”
Annuisco debolmente, vorrei che tutto questo inferno finisse .
“Non ricordi nulla perchè eri ubriaca e sotto effetto di stupefacenti, piano a piano i ricordi torneranno a galla, ma se questo non succedesse, qui c'è un buon psicanalista che può aiutarti”
“Psicanalista? Io non sono pazza”
“Non lo metto in dubbio, ma hai bisogno di ricordare cos'è successo e lui ti può aiutare”

Mi lascio abbandonare allo schienale della sedia portandomi le mani davanti agli occhi e ricacciando indietro le lacrime. Non capisco più niente di quello che mi sta succedendo attorno.

“Erin, oggi ti dimettiamo, immagino che questa per te sia una buona notizia. Ma verrai qui ogni tanto a fare degli esami del sangue...e per venire dallo psicanalista, ovvio”

Finalmente, la prima buona notizia nell'arco di una settimana.

  
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