14.
Con l’avvicinarsi della
primavera le giornate, si allungarono progressivamente.
Sempre più spesso, dai Monti
Urlanti, piccole slavine scivolarono pericolosamente dai pendii e dalle guglie
minacciose, giungendo fino ai frangi valanga che riparavano il villaggio di
Nestar.
I danni, per lo più, si ridussero
a qualche pino sradicato dal terreno, o alla distruzione delle strutture di
protezione, erette a difesa del centro abitato.
Con le loro grida
raggelanti, le valanghe ricordarono a ogni abitante della montagna che, ben
presto, i cori della guerra sarebbero giunti ai confini del Regno.
La fucina lavorò a pieno
ritmo per tutto l’inverno, senza mai essere spenta, mentre artigiane dalle
abili mani forgiarono archi da guerra e frecce in quantità mai prodotte in
precedenza.
Le più giovani tra le
donne-lupo, designate al controllo delle infanti e dei lupi da svezzare,
si alternarono nei loro compiti senza
attendere gli ordini delle adulte.
Troppo impegnate ad
allenarsi, o a preparare le armature per le battaglie che le avrebbero viste
protagoniste, non avevano tempo di occuparsi di cose simili.
In tutto quel via vai di
persone e animali, Eikhe fece la sua parte, nascondendo la gravidanza all’intero
villaggio ma non a Sendala che, più di chiunque altra, la conosceva a fondo.
Sapeva comunque che, non
appena gli abiti pesanti fossero stati smessi per indossare le più leggere
tuniche primaverili, il suo segreto sarebbe venuto alla luce.
Una calda mattina di inizio
primavera la sua preoccupazione divenne sgomento quando, osservandosi allo specchio,
notò ansiosa la curva del suo ventre.
Essendo alta e dalla
struttura longilinea, la sua rotondità appariva più che evidente, alla se
stessa riflessa sulla superficie di lucido piombo.
Si era fatta così evidente che,
anche indossando la lunga tunica di pelle di daino, non avrebbe più potuto
celarla.
Sospirando, Eikhe scrollò
coraggiosamente le spalle e lasciò perdere ogni precauzione.
A quel punto, al quinto mese
di gravidanza, la madre non avrebbe più potuto nuocerle né, tanto meno, far del
male al bambino.
Sapeva che avrebbe subito la
sferza della sua ira, ma era pronta a tutto pur di difendere la sua creatura.
Che la ingiuriasse pure. Che
la punisse. Lei non aveva nulla di cui vergognarsi.
Sendala le aveva fatto una
predica quasi infinita circa la sua pazzia.
Eikhe, però, aveva insistito
a tal punto sulla purezza dei suoi sentimenti, e di quelli di Aken che, alla
fine, anche la sua recalcitrante amica aveva ceduto e le aveva creduto.
Non era del tutto sicura
che, con la madre, sarebbe avvenuta la stessa cosa.
Sapeva quanto radicate
fossero le sue idee, e quanto il credo delle loro progenitrici fosse ben
impresso nella sua mente severa.
Nulla, neppure le sue
accorate preghiere, avrebbero fatto cedere Kaihle.
Un bussare discreto alla
porta la portò a coprirsi con la tunica, che aveva lasciato aperta sul ventre.
Avviandosi per vedere chi
fosse, sbuffò contrariata quando si ritrovò dinanzi la sorella maggiore.
Vedendola, Tyura la squadrò
confusa prima di portarsi le mani alla bocca per reprimere uno strillo di
sorpresa.
Entrando in fretta e
chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo e violento, la sorella la
fissò inorridita ed esalò: “Che diavolo hai combinato?!”
“Secondo te?” celiò Eikhe,
poggiando una mano su un fianco e fissandola con aria di sfida.
“Per tutti i demoni delle
montagne, Eikhe, non scherzare!” la rimproverò Tyura, squadrandola male.
Sbuffando, la sorella minore
reclinò il capo e mormorò: “E’ del principe, se vuoi saperlo.”
“Che cosa?!” ansò l’altra,
impallidendo. “Ti sei lasciata abbindolare da…”
“… abbindolare, un corno! Io
amo Aken!” ringhiò Eikhe, avanzando minacciosa verso di lei.
Intimorita suo malgrado
dallo sguardo furente della sorella, che voleva solo dire guai, Tyura sollevò
le mani in segno di resa, sperando che si calmasse.
Eikhe, sospirando, si bloccò
subito.
“Scusami, non ha senso
aggredirti verbalmente, e per una cosa di cui non sai nulla.”
“Davvero… tu e lui…?”
tentennò Tyura, continuando a osservare il suo ventre rotondo con occhi
leggermente sgranati.
La ragazza annuì in silenzio,
prima di attirarla verso una delle poltrone del suo salottino perché si
accomodasse.
Non appena la vide seduta, Eikhe
si appoggiò alla parete accanto al camino e disse: “Non è stato fatto per
divertimento, Tyura, e stiamo entrambi patendo le pene dell’inferno, a stare
separati. Ma la legge è legge, e io non posso vivere con lui, né lui con me,
visto che è un principe ereditario.”
Sospirando, la sorella
maggiore si afflosciò contro lo schienale della poltrona, osservando Eikhe con
espressione combattuta.
“Devi dirlo alla mamma; ormai
non puoi più nasconderti. E poi, non appena metterai piede fuori, se ne
accorgeranno tutte comunque, quindi è meglio che, per prima, lo sappia lei.”
“Lo so, ma…” tentennò la ragazza,
portando istintivamente una mano sul ventre.
“Hai taciuto perché avevi
paura per lei?” mormorò Tyura, alzandosi
per sfiorarle il ventre prominente, sorridendo spontaneamente quando sentì
scalciare.
“Sei una veggente, per
sapere che sarà femmina?” sbuffò Eikhe, sogghignando aspramente.
“Lo spero per te,
altrimenti…” ansò ombrosa la sorella maggiore, lasciando a metà la frase.
Sapeva bene che Eikhe avrebbe
compreso ciò che non aveva il coraggio di dire ad alta voce.
Esposizione. Morte.
“Nessuna di voi toccherà il
mio bambino, sia esso maschio o femmina” decretò la sorella minore prima di
richiamare al suo fianco Liar che, fino a quel momento, era rimasto accucciato
vicino al fuoco. “Lui e gli altri lupi mi difenderanno.”
“E come lo sai?” le chiese
Tyura, scrutando scettica il piccolo lupo grigio che, per diretta conseguenza,
le ringhiò contro.
“Perché me lo ha detto lui” le
spiegò con semplicità, guardando Liar con un sorriso.
Liar si limitò a
scodinzolare e Tyura, sospirando, scosse il capo e replicò: “Sarà meglio che
non lo diciamo alla mamma, questo, o potrebbe decidere di decimare il branco,
piuttosto che dartela vinta.”
“Temo anch’io” sospirò Eikhe.
“Si infurierà molto?”
“Io direi di sì. Neppure io
ho il permesso di andarmi a cercare un uomo per avere un figlio, figurarsi tu!”
esalò la sorella maggiore, storcendo il naso.
“Tyura, tu gli uomini li hai
già avuti, e non certo per avere un figlio” tenne a precisare la ragazza,
sollevando un sopracciglio con ironia.
“Questo non c’entra. E’ del
tuo bambino, che stiamo parlando” scrollò le spalle Tyura con fare indifferente,
pur sorridendole. “Verrò con te, non si sa mai. Non vorrei mai che pensasse di
fare di te uno sfilatino.”
“Grazie” ammiccò Eikhe,
uscendo con lei e Liar dalla capanna.
Attraversando il villaggio,
dove ancora poche donne si trovavano lungo la strada, vista l’ora, Eikhe notò
subito i loro sguardi più che sorpresi e sì, la loro aperta condanna.
Con duro cipiglio, Tyura le
rimise al loro posto guardandole malamente e, per un attimo, la sorella gliene
fu grata.
Sì, Tyura poteva essere
scorbutica, ma aveva il piglio del comando, e sarebbe stata un’ottima
capo-tribù, a tempo debito.
Non appena ebbero raggiunto
la casa matronale entrarono insieme a Liar e, nell’attendere che anche quello
di Tyura si unisse a loro, si diressero verso lo studio della madre.
Nel sentire bussare, Kaihle
levò gli occhi d’acciaio dallo scritto per poi fissarli sulle due figlie e, in
particolare, sul ventre di Eikhe.
Aggrottando pericolosamente
la fronte, la donna si levò dallo scranno con calma misurata, ma bruciando
d’ira dentro l’animo e, affrontandole con cupo cipiglio, chiese aspramente:
“Cosa sta succedendo, qui?!”
“Madre, lascia che ti
spieghi…” cominciò col dire la figlia minore, prima di vederla aggirare la
scrivania in pochi, rapidi passi.
“C’è poco da spiegare! Chi
ti ha dato il permesso di scendere a valle per…”
Bloccandosi, scrutò il viso
abbattuto della figlia minore, assottigliò le iridi di perla e sibilò: “Chi è
stato, degli uomini del principe? Chi?!”
“Madre, ti prego!” esclamò
Eikhe. “Pensi davvero che anche solo uno di loro avrebbe potuto stuprarmi!?”
Ringhiando nervosamente,
Kaihle assottigliò le iridi che, in quel momento sprizzavano scintille di fuoco
gelido.
“A chi ti sei concessa,
allora, sciocca ragazzina? Con chi hai perso il tuo onore?!”
Aggrottando la fronte, la
ragazza mormorò con voce il più calma possibile: “Con nessuno ho perso il mio
onore, e non ho bisogno della tua benedizione, visto che ho quella di Hevos.”
Un ceffone violento seguì le
sue parole ed Eikhe, fissando inorridita la madre che, con occhi spiritati, la stava
osservando in preda all’ira, le sentì dire: “Non nominare il Suo Nome come se
niente fosse, blasfema!”
“Tu non sai, e non vuoi
sapere la verità! Ma io dico il vero, e difenderò mio figlio da tutte voi!” esclamò
allora lei, coprendosi il ventre con le mani.
“Hai tradito la mia fiducia,
le tue compagne, tutta la tua gente! Non hai niente da dire, a tua discolpa?!”
ringhiò furiosa Kaihle.
“Non ho colpe, visto che il
mio bambino è stato concepito dall’amore!” sibilò a quel punto Eikhe.
Spalancando gli occhi per il
furore, Kaihle fece per schiaffeggiarla nuovamente ma la figlia, fulminea, le
bloccò il polso.
Assottigliando le iridi
dorate, ora liquide gocce d’ambra infuocata, la figlia minore sibilò tra i
denti con voce gutturale: “Non dimenticare chi sono.”
Bloccata dalla forza
disumana della figlia, mentre il suo viso si imperlava di sudore e i lupi
cominciavano a ringhiare furiosi, la Signora del Villaggio fissò Eikhe con
astio e dichiarò: “Quando vidi i tuoi occhi, avrei dovuto gettarti da una rupe.
Sapevo che avresti portato solo sventura!”
Rimasta in religioso silenzio
durante tutto il loro battibecco, Tyura sobbalzò sconvolta di fronte alle
parole velenose della madre e asserì: “Madre, non puoi dire una cosa simile. E’
pur sempre tua figlia, fa parte del branco e…”
“Non del mio!” esclamò implacabile Kaihle, fissando
i due lupi dai denti snudati per poi ringhiare astiosa: “A quanto pare, fa
parte del branco dei lupi, non di quello delle sue sorelle!”
“Non mi spaventi con le tue
parole, madre. Di’ pure quel che vuoi, ma non potrai fare nulla contro di me”
decretò allora Eikhe, pur sentendosi morire dentro.
Sua madre la odiava, ora ne
aveva la riprova.
Aveva sempre avuto paura di
lei, di ciò che era, di ciò che rappresentava, e ora che si rendeva conto di
non poterla controllare, sorgeva il suo vero Io a smascherarla.
“Esci da questa casa, e non
metterci più piede. Non posso scacciarti, visto che potrebbe nascere una bambina,
e lei meriterebbe a pieno titolo la mia protezione, ma non azzardarti a
rivolgermi più la parola, è chiaro?!” esclamò Kaihle respirando a fatica, il
viso cinereo ove splendevano, ferali, i suoi occhi adamantini.
Senza dire nulla, Eikhe uscì
dalla stanza a passo di carica, seguita dopo un momento dalla sorella che,
sfiorandole una spalla con la mano, sussurrò accorata: “Cercherò di parlarle. Ora,
tu vai subito a casa a riposare. Sei pallida come un morto.”
“Devo fare il mio turno alla
stalla” brontolò la giovane, lo sguardo fisso sul suo ventre.
“Sì, figuriamoci!” ritorse
Tyura, sprezzante. “Non appena sentirai l’odore dello sterco di cavallo,
sverrai come una pera cotta. Vai a riposare, mentre io cerco di calmare la
mamma. Poi, vedrò di cambiarti le mansioni con qualcosa di più leggero e meno… profumato.”
Eikhe la fissò senza capire
e la sorella, con un sorrisino, si limitò a dire: “So che non potresti mentire,
su ciò che hai detto di Hevos, visto ciò
che sei, e io ho fede in
Lui, prima di tutto.”
“Grazie, Tyura” sorrise a
quel punto Eikhe.
“Coraggio, vai, hai già
fatto abbastanza danni, per oggi” la sospinse fuori la sorella, ridacchiando.
Annuendo, la ragazza si
defilò alla svelta e una volta fuori, si ritrovò ad affrontare la sua amica
Sendala che, turbata, la prese sottobraccio per accompagnarla a casa.
“E’ scoppiato il finimondo?”
“Quasi” annuì Eikhe,
lanciando occhiate dubbiose in direzione delle donne che la stavano osservando.
“L’hai detto a tua madre?”
“Era fuori di casa, e ti ha
vista. E’ stata lei a venire a chiamarmi. Kaihle ti ha picchiata?” la informò
Sendala, notando poi la sua guancia arrossata e gonfia.
“C’è riuscita solo una
volta” precisò lei, ghignando tristemente. “Sanno chi è il padre?”
“Non l’ho detto a nessuno,
come ti avevo promesso” scosse il capo l’amica. “Molte anziane pensano che
dovresti essere punita, ma le ragazze sono tutte dalla tua parte.”
“Bene, perché nei prossimi
mesi ci sarà da discutere” sospirò Eikhe, scuotendo il capo per la stanchezza.
“Temi possa nascere
maschio?” si preoccupò di chiedere Sendala, sorreggendola.
“E’ una possibilità e, se
dovesse succedere, avrò bisogno di tutto l’appoggio possibile, visto che non potrei
in ogni caso mandare mio figlio dal padre” ammise la ragazza, raggiungendo casa
sua con l’amica.
Annuendo, Sendala la bloccò
sull’entrata prima di dirle: “Sei mia amica, e il neonato sarà mio figlioccio in ogni caso. E’ quanto di meglio possa
fare per te, Eikhe. E sono più che sicura che altre ragazze si proporranno per
fare da madrina al frutto della tua gravidanza. La legge sta diventando stretta
a molte, ormai.”
“Non ti chiederei di più,
visto che significherebbe mettersi contro mia madre e le altre” sorrise Eikhe, prima
di vedersi raggiungere da altre sue amiche che, preoccupate, la attorniarono
curiose. “In quanto alla legge, Hevos è stato chiaro. Siamo vicini alla
svolta.”
Sendala annuì, lasciando che
le altre ragazze si avvicinassero alla figlia sacra per conoscere le sue
condizioni di salute.
Sospirando, Eikhe sorrise
loro e le invitò a entrare in casa sua per spiegare loro la situazione.
Se, da quel che pareva, le
Anziane erano contrarie alla sua gravidanza, avere l’appoggio delle figlie
sarebbe stato già qualcosa.
Non voleva pensare che una
delle matrone potesse farle del male di proposito, ma i pregiudizi radicati fin
nel profondo potevano cambiare l’animo di molte.
Avere al suo fianco qualche
buona amica, oltre ai lupi, non avrebbe fatto male.
***
Sistemando l’ultima
camiciola nella sacca da viaggio, che avrebbe caricato sul suo cavallo prima
della partenza verso il fronte, Aken lanciò uno sguardo al sacchetto di pelle
ricamata che Ruak gli aveva consegnato al suo ritorno da Marhna.
Non aveva voluto partecipare
alla missione che sarebbe tornata tra le montagne.
Se mai avesse incontrato
Eikhe, avrebbe mollato tutto e l’avrebbe rapita, scomparendo con lei tra le
montagne per vivere per sempre al suo fianco.
Con quel folle gesto, però,
avrebbe condannato entrambi a una vita solitaria, braccati dai soldati del
Regno e, con tutta probabilità, anche dalle figlie del branco.
Inoltre, Eikhe non gli
avrebbe mai e poi mai permesso di comportarsi in maniera egoista, nei confronti
delle persone che lui era deputato a proteggere.
Era generosa fino allo
sfinimento e pensarci, a volte, lo uccideva.
Avrebbe tanto voluto che lei
fosse stata meno ligia al dovere. O anche lui.
“Come se tu fossi veramente
capace di abbandonare tutto, come se nulla fosse sussurrò tra sé Aken, levando
di colpo il capo quando udì la porta della sua stanza aprirsi.
Bloccandosi a metà di un
passo, le braccia ingombre di lenzuola pulite e gli occhi sgranati per la
sorpresa, la governante fissò il principe per alcuni attimi prima di esalare:
“Vostra Altezza! Perdonatemi, pensavo che…”
Fermandola sul nascere con
un gesto della mano, Aken le sorrise bonariamente prima di avviarsi verso di
lei, toglierle di mano il pesante fagotto che portava e poggiarlo sulla scrivania.
“Nessun disturbo, Iruna.
Stavo per andarmene.”
Scrutando le sacche da
viaggio del principe, la giovane donna annuì e, sorridendo, disse: “Sarete il
vanto del Regno, sul campo di battaglia. Noi tutti ne siamo sicuri.”
“Grazie della fiducia” ghignò
Aken prima di perdere il sorriso e osservarla con occhi profondamente turbati.
Vagamente sorpresa da quel
cambio repentino d’umore, Iruna si arrischiò ad avvicinarsi al principe e lui,
afferrandole le mani con una presa gentile, la fece accomodare sul letto.
Dubbioso, le domandò: “Pensi
io sia stato un uomo insensibile, Iruna? Con te, intendo.”
Sbarrando le palpebre per un
momento e fissando in viso l’uomo che aveva di fronte, Iruna non poté esimersi
dal sorridere comprensiva.
Scuotendo il capo, quindi,
replicò: “Voi siete molte cose, principe, ma di certo non un uomo insensibile.”
“Ma ho approfittato della
tua solitudine, del tuo dolore, per un mio piacere personale” precisò Aken,
arrossendo leggermente suo malgrado.
La visione di quel tenue
rossore sulle gote dell’uomo dissero a Iruna che qualcosa di molto profondo era
accaduto al principe, in quei mesi.
Arrischiandosi a carezzargli
una guancia sbarbata di fresco, mormorò: “Ci siamo approfittati della
vicendevole solitudine, allora, principe. Mio marito era scappato con una donna
dalla dote più cospicua della mia, lasciandomi sola con i suoi debiti. Voi
eravate tutto solo di fronte a quel boccale di birra, perso in mille e più
pensieri, niente più che un ragazzo dinanzi a un evento troppo grande per il
vostro giovane cuore. Abbiamo cercato solo di guarire per qualche istante le
rispettive ferite.”
Storcendo la bella bocca,
Aken replicò: “Non era la prima volta che perdevo uomini in battaglia, e non
avrei dovuto crollare a quel modo. O chiederti di salire nelle mie stanze.”
“Avevate vent’anni, e non
perdeste solo degli uomini, ma degli amici. Foste voi stesso a dirmelo”
precisò Iruna, sorridendo indulgente. “Voi mi conduceste via dallo squallido
locale in cui lavoravo per colpa del mio ex marito, e mi assumeste qui a
palazzo, dandomi questo lavoro profumatamente pagato. Quindi, non mi venite a
dire che siete un uomo insensibile.”
Aken sospirò afflitto, ma la
governante scosse nuovamente il capo, aggiungendo con enfasi: “Se foste stato
crudele e freddo, vi sareste preso il vostro piacere con la sguattera di turno,
e mi avreste lasciato due monete di rame sul comodino prima di andarvene,
infischiandovene del mio futuro. Invece, avete cercato in tutti i modi di
aiutarmi. Avete pagato il mio debito, liberandomi da quell’aguzzino e ora, a
distanza di anni, ho un marito e un figlio amorevoli, che io amo e apprezzo, e
da cui sono amata e apprezzata.”
“A ogni modo, ho cercato il
piacere senza mai amare le donne con cui sono andato a letto” precisò lui,
reclinando il capo con afflizione.
“Eravate giovane, colmo di
sogni e speranze, ma anche pieno di dubbi e paure. Ma, da quel che so, nessuna
delle donne che avete visitato, si è mai lamentata di voi, o sbaglio? Le
ragazze che ho potuto conoscere io, concordano nel dire che siete un giovane
gentile e altruista” sottolineò Iruna, trovando abbastanza ironico trovarsi
nella stanza del principe per rincuorarlo su faccende così delicate.
Sbuffando, Aken replicò con
voce roca: “Mi sembra di non averle apprezzate come meritavano,… come meritavi.”
Sorridendo spontaneamente,
Iruna gli chiese: “Avete… conosciuto
solo alcune delle ragazze pagate dall’esercito per seguirvi in guerra, vero?”
Annuendo dubbioso, Aken
attese che lei continuasse e la governante, dandogli una pacca su un braccio, aggiunse:
“Non ho mai capito perché voleste dirmi di loro, ma forse ora vedo più chiaro.
Volevate la mia approvazione, volevate dimostrarmi che, nonostante voi non le
amaste, vi eravate preso cura di loro come avevate fatto con me. Portarle via
dai bordelli destinati ai soldati è stato un gesto coraggioso… se vostro padre
avesse scoperto che, dietro a quelle fughe improvvise, c’eravate voi, non credo
avrebbe gradito.”
“Dovevo loro più di due
monete sul comodino” ironizzò tristemente Aken.
“Solo perché avete un cuore
nobile… altri uomini non l’avrebbero mai
fatto.”
Nel dirlo, gli sorrise
benevola.
“Forse, parlartene fu un po’
troppo…” ridacchiò imbarazzato il principe.
“Sulle prime, mi imbarazzaste
un po’, ma fu in qualche modo piacevole sapere che vi fidavate al punto tale di
parlarmi di cose così intime. Non potendone parlare con la regina, né tanto
meno con il re, volevate avere il parere di qualcuno che vi conosceva e vi
desse una risposta sincera” scrollò le spalle Iruna, vedendolo annuire.
“Dunque, ho commesso qualche
errore, secondo te?” chiese a quel punto Aken.
“No, mio principe. Nessuno.
Ma dubito voi me l’abbiate chiesto esplicitamente, adesso, perché siete
preoccupato di un mio eventuale diniego” notò gentilmente la governante,
levandosi in piedi per prendere tra le mani il sacchetto di pelle confezionato
da Eikhe.
Aken la scrutò dubbioso, gli
occhi che indugiavano sulle sue mani giunte.
Scrutandolo in viso con un
mesto sorriso, Iruna mormorò: “La ragazza che giunse qui all’inizio
dell’inverno… Eikhe di Nestar. E’ lei che portate nel cuore con così tanta
infelicità a tingervi lo sguardo?”
“E’ così evidente?” chiese
allora l’uomo, distogliendo lo sguardo per fissarlo sulla balconata, dove
poteva scorgere il contorno lontano delle montagne.
Imitandolo, la donna annuì.
“Non avete mai avuto quello
sguardo perso e sofferente, se non dopo la sua partenza. Da quando lei non è
più qui, voi non sembrate più lo stesso. Inoltre, il suo profumo permeava le
vostre lenzuola, in quei giorni e, anche non volendo ficcare il naso, me n’ero
accorta.”
Tornando a guardarla con una
domanda silenziosa nello sguardo, Aken le sentì dire: “E’ la persona migliore
che avreste mai potuto scegliere, pur se ogni cosa vi divide. Lei comprende voi, chi siete veramente. E questo è
l’essenziale.”
“Anche se non potrò
rivederla mai più?” sospirò Aken, levandosi in piedi e ricevendo il
portafortuna di Eikhe dalle mani di Iruna.
“Siete il principe
ereditario e, per onorare la Corona, dovrete sposarvi e dare degli eredi al
reame che vi succedano, ma il vostro cuore ha conosciuto l’amore vero e non
potrà mai essere di nessun altro, se non di quella fanciulla” sospirò la
governante, dando delle pacche leggere sulla spalla di Aken.
Il principe assentì, pur
odiando ogni sua parola.
“Non vi invidio per il peso
che dovete portare, giovane principe ma, per quello che vale, conoscere un
amore così vale sempre la pena, anche se lo si può stringere tra le mani solo per
breve tempo.”
Sospirando tremulo, Aken
annuì dopo un attimo e, sorridendole calorosamente, disse: “Grazie, Iruna, di
tutto. Parlare con te mi ha fatto bene. Mi ha sempre fatto bene.”
“Ci sarò ogni volta che
vorrete, principe” gli promise Iruna, prima di accennare un sorriso e
aggiungere: “Lottate con valore, e tornate da noi vivo.”
“Lo farò” annuì lui,
raccogliendo le sue sacche per poi uscire dalla stanza.
***
Avanzando con il grosso
dell’esercito lungo la piccola carovaniera che conduceva a Royconea, poco a
nord-ovest delle Cascate del Cielo, Aken sospirò pesantemente.
Il pensiero di incontrare
Eikhe, dopo quasi cinque mesi dalla loro separazione, lo metteva a disagio.
Certo, aveva saputo da Ruak
che lei stava bene, e che lo salutava con affetto, ma non gli bastava.
Neppure avere al collo il
suo portafortuna lo faceva sentire meglio e, in qualche modo, era geloso del
fatto che Eikhe ne avesse confezionato uno anche per il fratello.
Sapeva che era stato solo un
gesto d’amicizia.
Eikhe stessa aveva ammesso,
prima di partire, di trovare molto simpatico suo fratello, ma non gli andava
giù lo stesso.
Dividere qualcosa di Eikhe
con Ruak, fosse anche un innocente portafortuna, non gli garbava.
Era come strapparsi di dosso
un pezzo di cuore. E del suo ne era rimasto ben poco, dalla sua partenza.
Sollevando un momento il capo
per osservare le rade nubi che tingevano un bel cielo terso di inizio
primavera, Aken si chiese quando avrebbero avuto notizie delle donne-lupo.
Il confine non distava
molto, e di loro non v’era ancora traccia.
“Pensieri profondi,
fratello?” gli chiese Ruak, interrompendo il suo divagare silenzioso tra le
nubi.
Volgendo lo sguardo per
osservarlo, fiero e diritto sulla sella nonostante i molti giorni di marcia che
avevano sulle spalle, Aken scosse il capo e disse: “Mi chiedevo quando avremmo
incrociato il contingente di donne-lupo, tutto qui.”
“Sono sicuro che le
incontreremo quanto prima” dichiarò sicuro il giovane principe cadetto.
“Preoccupato per Eikhe?”
“Per una miriade di cose, in
verità” sospirò lui. “Non so come dovrei comportarmi, con lei, ed è una cosa
che mi irrita non poco.”
“Vedi di non farlo diventare
un annoso problema perché, sul campo di battaglia, potrebbe costarti la vita”
precisò Ruak, facendosi serio prima di allungare una mano e stringere la sua, poggiata sul
pomo della sella. “Non voglio perdere un fratello per colpa delle sue pene
amorose.”
“Ne riparleremo quando sarai
tu a sanguinare dal cuore” precisò Aken. “Ma no, lascerò fuori Eikhe e tutto il
resto, una volta che saremo al dunque. E’ solo il viaggio a rendermi un po’
musone.”
“Alla nostra partenza da
Rajana, sembravi più sereno” gli rammentò il fratello minore, sollevando
dubbioso un sopracciglio.
Aken allora si esibì in un
sorriso tutto denti e il fratello, scoppiando a ridere, esalò: “Non sei
normale, fratello mio!”
“Mai detto di esserlo”
replicò il principe ereditario prima di volgere lo sguardo verso ovest, non
appena l’ululato di un lupo si espanse nella vallata.
“Eccole!” sussurrò,
sorridendo a Ruak.
Alcune ore dopo quel primo
ululato, Aken vide il primo lupo uscire in avanscoperta dal bosco vicino.
Levato il pugno in alto per
bloccare la colonna di uomini e mezzi che guidava, attese paziente che le donne
uscissero allo scoperto con il resto dei loro animali.
Dietro di lui, l’esercito
interruppe la marcia con efficienza e velocità e, sotto gli occhi sorpresi di
tutti, un fiume incessante di donne-lupo si allargò intorno a loro come un
gigantesco ventaglio vivente.
Lupi di tutte le dimensioni
e colori si unirono a loro mentre, dal grosso dell’esercito, cori soffusi di
sorpresa si intervallavano al nitrito di alcuni cavalli e al muggire dei buoi
che trasportavano le vettovaglie.
Di fronte a un simile
spettacolo – non potevano esserci meno di cinquemila donne-lupo, innanzi a loro
– Aken non poté che sbattere meravigliato le ciglia.
Ruak, al suo fianco, osservò
tutte loro a occhi sgranati e bocca spalancata.
I loro pesanti mantelli di
pelle, le maschere di terracotta che ne deformavano i lineamenti e le lunghe
lance che portavano con fierezza, gridavano ai quattro venti quanto fossero
pericolose, pur se donne.
Sia Aken che Ruak non si
sognarono neppure per un istante di sottovalutarle.
Dopo quel breve momento di
sgomento, il principe ereditario scese da cavallo per andare loro incontro e attese
che una di lro si avvicinasse per presentarsi al suo cospetto.
Quando scorse infine una
figura alta e aggraziata muoversi verso di lui, riconobbe in quei movimenti la
persona di Kaihle, nonostante la maschera di terracotta dal profilo bizzarro ne
confondesse i lineamenti.
Scostando la maschera dal
volto quando fu abbastanza vicina a lui, la donna lo fissò con cupo cipiglio prima
di sospirare e dire: “Come promesso al re, le donne-lupo sono giunte per
appoggiarvi durante la battaglia.”
Allungando una mano per
stringere quella di Kaihle, Aken le sorrise cordiale e replicare: “Vi sono
grato per aver accettato la nostra richiesta. Sono sicuro che sarete un aiuto
più che valido per il mio esercito e, fin d’ora, la Corona vi ringrazia per
tutto ciò che potrete fare per la causa.”
Guardandosi intorno con
brevi cenni del capo, Kaihle schioccò le dita una volta sola e, dal gruppo di
donne alle sue spalle, i lupi si mossero in formazione per avvicinarsi
all’esercito.
“Devono imparare a
riconoscere i loro odori. Dite agli uomini di non muoversi, se non vogliono
essere morsi” spiegò poi Kaihle, lo sguardo adamantino fisso su di lui.
Annuendo, il principe riferì
il messaggio ai suoi luogotenenti e al fratello, prima di sorridere nel vedere
avvicinarsi un bel lupo dal manto dorato.
Allungando una mano, gliela avvicinò
al naso sorridendo tranquillo e, con voce soffusa, mormorò: “Ciao.”
Il lupo lo annusò per un
momento prima di scodinzolare e Aken, piegandosi su un ginocchio, lo grattò
dietro le orecchie, sorridendo soddisfatto quando lo vide ciondolare la lingua
con aria appagata.
Aggrottando leggermente la
fronte di fronte al suo lupo, e a quello scambio di confidenze inaspettate, la
donna disse atona: “Pare tu non ne abbia paura.”
“A Nys piaceva che lo grattassi
dietro le orecchie” spiegò Aken, prima di sospirare e mormorare mestamente: “Mi
è spiaciuto vederlo morire. Era un bravo lupo, e un ottimo compagno di viaggio.”
“Ehi, fratello, dici che
posso farlo anch’io?” intervenne Ruak, sorridendo incerto al lupo che, alla
stessa maniera, lo stava guardando con il muso piegato su un lato.
“Prima lascia che senta il
tuo odore, e non mostrare mai i denti, perché potrebbe interpretarlo come una
sfida” gli spiegò Aken, senza accorgersi dello strano cipiglio sul volto di
Kaihle.
Ubbidendo, Ruak si piegò in
ginocchio vicino al lupo come suggeritogli dal fratello e, ridacchiando, esalò:
“Ha un pelo morbidissimo, e un gran bel colore.”
“Avy è uno dei pochi lupi
della nostra tribù ad avere questo tipo di pelo” spiegò loro Kaihle,
richiamando a sé il suo lupo con uno schiocco secco della lingua contro il
palato.
“Eikhe ne ha uno grigio. Gliel’ho
visto quando è venuta alla guarnigione, a Marnha” asserì pensieroso Ruak,
grattandosi il mento ricoperto da leggera barba chiara. “Lei c’è? Mi piacerebbe
salutarla.”
“Eikhe è rimasta a Nestar.
Si deve occupare delle difese del villaggio in mia assenza” dichiarò la donna,
con gelo nella voce.
“Oh, che peccato! Mi sarebbe
piaciuto parlare ancora con lei” sospirò allora il giovane principe, guardando di
soppiatto il fratello, che era impallidito a quella notizia. “Posso mandarle un
messaggio con i miei saluti, Signora?”
“Vi informerò quando
spediremo le nostre missive al villaggio” replicò succinta Kaihle,
allontanandosi subito dopo con il suo lupo per tornare dalle altre donne.
“E così, non c’è” commentò
Ruak, guardando di straforo Aken.
“Parrebbe di no” disse cauto il guerriero.
“Forse, la madre ha
preferito tenerla al sicuro dai combattimenti” ipotizzò allora il fratello
minore, scrollando le spalle.
“Eikhe può tener testa a
venti donne normali” dichiarò per contro Aken, storcendo il naso. “E a una
decina di uomini, se è per questo. Non penso proprio che la battaglia c’entri
con la sua mancanza dal fronte.”
“Credi non sia voluta
venire?” borbottò il giovane, un po’ sorpreso.
“Tu che dici? Sei tu ad
averla vista per ultimo” ringhiò Aken, fissandolo con cupo cipiglio.
Sostenendo il suo sguardo
d’acciaio, Ruak replicò piccato: “E’ inutile che mi guardi come se ti avessi
fatto il più grande torto del mondo. Eikhe mi piace, ma non quanto piace a te,
questo è sicuro. Io e lei siamo amici, ma era più che evidente che lei avrebbe
visto dieci volte più volentieri te, quel giorno, a Marnha.”
Sospirando, Aken reclinò il
capo e gli domandò: “Sei sicuro che stesse bene, vero?”
“Sì, era un po’ pallida, ma
forse era dovuto al freddo. Quello che sicuramente le faceva male, era saperti
lontano” gli spiegò Ruak, calmandosi immediatamente e dando una pacca
consolatoria al fratello.
Lo faceva soffrire vedere Aken
così abbattuto e, per un momento, se la prese con Eikhe; perché non era venuta?!
“Esattamente come fa male a
me” ammise il guerriero, appoggiando una mano alla sella del suo stallone. “Non
chiedo molto, solo di rivedere ancora una volta i suoi occhi.”
“E pensi che basterebbe?
Andiamo, Aken! Si vede benissimo che l’ami, e credo che la cosa sia più che
ricambiata” sbottò Ruak, con veemenza. “Perché non ne parli con nostro padre?
Se gli spiegassi la cosa, sono sicuro che si troverebbe una soluzione.”
“E cosa dovrei fare? Farla
diventare la mia amante?” ritorse Aken, aspro. “Non la accetterebbero mai come regina,
e lei non vivrebbe mai in un castello per tutta la vita, come semplice
concubina, sapendo bene di non potermi avere tutto per sé. Maledizione, Ruak,
non posso certo farle uno sgarbo simile!”
Annuendo grave, Ruak gli
chiese con delicatezza: “Sei stato insieme a lei?”
“Sì” disse solo Aken,
passandosi una mano sul torace coperto dalla cotta di maglie di ferro
dell’armatura.
“Se io… se io prendessi il
tuo posto, non avresti più il peso della corona sulle spalle e…” tentennò Ruak,
guardandolo con aria dubbiosa da sotto le lunghe ciglia.
Sinceramente sorpreso, il
guerriero esalò a occhi sgranati: “Ti sobbarcheresti un peso simile… per me?”
“Sei mio fratello. E poi,
per me non sarebbe un peso come lo è per te. Sono più propenso di te ad
ascoltare i ministri e i prelati” scrollò le spalle il giovane principe.
Il principe ereditario
sospirò, così il fratello tornò alla carica.
“Andiamo, Aken, credi non mi
sia accorto che non sei felice neppure tu, a palazzo? Sembri schiacciato dalle
pareti del castello, come se ti soffocassero. In questo, credo tu sia molto
simile a Eikhe. Amate entrambi la libertà, e penso sia stato questo ad
avvicinarvi così tanto, in primo luogo. Già da prima di scoprire di amarla, tu
potevi benissimo comprendere i suoi sentimenti.”
Sorridendo con autentico
affetto al fratello, Aken gli strinse una mano sulla spalla e disse: “Dammi uno
ceffone, la prossima volta che ti dirò che non sei abbastanza adulto per darmi
consigli.”
Ridacchiando, Ruak replicò:
“E rischiare di prenderlo indietro? Neanche per sogno!”
***
Seduto accanto a uno dei
tanti fuochi accesi nel campo allestito dall’esercito, Aken osservava
pensieroso le fiamme danzanti che ardevano di fronte a lui.
Una lieve brezza profumava
l’aria dell’odore caratteristico dei pini da resina, che circondavano la radura
dove si erano fermati.
In lontananza, nel fitto dei
boschi, alcuni cervi stavano dichiarando al mondo a chi appartenevano quei
luoghi.
I molti lupi presenti,
frementi all’idea di cacciare, uggiolavano infastiditi dall’intraprendenza di
quelle prede, che li stavano apertamente sbeffeggiando.
Il loro compito non era
cacciare, per quella notte, ma il loro istinto di predatori cozzava con gli
ordini ricevuti e, di sicuro, più di un lupo avrebbe sofferto le pene
dell’inferno, quella notte.
I cori degli uomini intorno
ai fuochi si inframmezzavano alle chiacchiere allegre delle donne, poco
distanti dal loro accampamento.
Il nitrito dei cavalli,
invece, si accompagnava al muggito sommesso dei buoi, pronti per il riposo
notturno.
Alta in cielo, la luna
disegnava uno spicchio candido e freddo come le stelle sue compagne.
Sorridendo al ricordo di una
lontana notte in cui, con un cielo come quello, aveva spiegato il corso delle
stelle a Eikhe, Aken si chiese cosa stesse facendo in quel momento la ragazza.
Sdraiandosi a mani conserte
dietro al nuca, il lungo corpo disteso su un telo di pelle, il principe rimase
in silenziosa ammirazione del manto celeste.
Questo fin quando,
all’improvviso, di fronte al suo viso si allargò il muso affilato di un lupo maculato
grigio e nero.
Sollevandosi a mezzo, il
giovane principe lo fissò confuso per un momento prima di chiedere: “Cosa
c’è’?”
Il lupo lo tirò debolmente
per la tunica, come a volergli dire di seguirlo e lui, dopo un attimo di
sconcerto, si levò in piedi e seguì il lupo dal pelo maculato, dirigendosi
verso il fitto del bosco.
Non appena oltrepassarono
alcuni cespugli, l’oscurità si fece quasi totale e il lupo si fermò, scrutando
Aken dietro di sé.
Fermo a pochi passi dall’animale,
il principe aggrottò la fronte per un attimo prima di scorgere, vicino a un
abete sottile, la figura ammantata di una donna.
Intenta a osservarlo da
dietro la maschera che indossava, la figlia del branco esordì dicendo: “Eccoti,
finalmente.”
La sua voce era esile e aggraziata
e denotava la sua giovane età per cui Aken, con un sorriso sghembo, si esibì in
un frivolo inchino prima di chiedere: “Posso esserti utile in qualcosa, figlia
del branco?”
Sobbalzando leggermente per
la sorpresa, la ragazza si tolse la maschera dal viso mostrando un incarnato
d’alabastro, neri capelli legati in una treccia e occhi nocciola.
Avanzando di un passo, gli chiese
dubbiosa: “Come sapevi che non ero una Madre?”
“La voce tradisce la tua
età…” le spiegò Aken. “…quindi torno a chiederti; in cosa posso esserti utile?”
“Volevo solo conoscerti…”
scrollò le spalle la ragazza, prima di aggiungere: “… sono un’amica di Eikhe.”
Accigliandosi subito, Aken le
chiese preoccupato: “Lei, come sta?”
“Bene, direi. Volevo solo capire
cosa ci trovasse di così interessante, in te” ammise con sincerità la ragazza,
girandogli intorno con aria meditabonda, studiandone le forme come se dovesse
scegliere un capo di bestiame.
Un po’ teso di fronte a
quell’esame non previsto, lui le chiese vagamente nervoso: “Posso sapere il tuo
nome?”
“Sendala, principe” mormorò
la giovane, ancora intenta a guardarlo.
“Bene, Sendala, vedi di
piantarla. Non sono un toro in vendita alla fiera, pronto solo per essere
macellato” sbottò Aken, facendola scoppiare a ridere.
“Sì, scusami” annuì lei,
tornando dinanzi all’uomo e intrecciando le mani dietro la schiena.
“Cosa ti ha detto, Eikhe?”
si informò allora lui, scrutandola in quegli occhi limpidi e attenti.
“Ogni cosa. Per questo, ho insistito per venire qui. Per vederti” lo
informò Sendala. “Non ho mai fatto mistero di non fidarmi degli uomini, ed
Eikhe è la mia migliore amica, quindi volevo essere sicura che avesse perso la
testa per un uomo degno di lei. Non che la cosa mi riempia di gioia ma, se è
contenta lei...”
Poggiando le mani sui
fianchi, Aken borbottò piuttosto scocciato: “E pensi che, soltanto guardandomi,
riusciresti a capire tutto, di me?”
“Non sarei mai così
superficiale…” precisò Sendala, assottigliando le iridi nocciola. “…ma, dal tuo
portamento, capisco che sei un uomo fiero e valoroso. Nei tuoi occhi posso
scorgere un cuore nobile e puro, e dalla piega amara della tua bocca so che un
dolore profondo ti squarcia l’animo.”
Sorpreso da quella
dichiarazione, espressa senza alcuna accusa nella voce, né condanna, il
principe sospirò e ammise: “Siete davvero creature speciali, voi ragazze-lupo.
Pensavo che Eikhe, per quello che è, fosse un caso a sé, ma ora scopro
che lo siete tutte, a vostro modo.”
“Non hai paura di lei?”
chiese allora Sendala, inclinando il capo per scrutarlo con espressione
guardinga.
“Perché dovrei?” mormorò semplicemente
Aken, allargando un poco le braccia come se la sua fosse stata una domanda
inutile. “Lei è Eikhe. Punto. Non mi interessa un accidente se è capace di
stendermi con un pugno, …anche se spero non lo faccia mai.”
A quel punto, Sendala
sorrise comprensiva e disse: “Bene, credo di poter stare tranquilla, allora.”
Scrutandola con attenzione, lui
decise di essere non meno diretto della ragazza e le chiese senza mezzi termini:
“Tu l’ami, vero?”
Imperturbabile, la giovane
annuì e rispose con veemenza: “Certo che l’amo. Credevi di avere l’esclusiva?
Ma Eikhe non mi ama nello stesso modo in cui l’amo io, visto e considerato che,
quel tipo di amore, lo ha concesso a te.”
“E non sei gelosa?” le chiese
allora Aken.
“No. Perché, innanzitutto,
io voglio il suo bene e, se può essere felice con te, io non dirò nulla”
scrollò le spalle Sendala.
“Sai bene che non potremo
mai vivere insieme. Nessuno dei due può soverchiare le leggi che ci guidano”
precisò il principe, aggrottando la fronte.
“Lo so, ma spero sempre che
qualcosa cambi, per lei e, a questo punto, per te” sospirò Sendala, prima di
chiedere: “Kaihle ti ha detto nulla di Eikhe?”
“No, perché?” volle sapere lui,
curioso.
Mordendosi un labbro,
Sendala scosse il capo e mormorò: “No, nulla, allora.”
“Cosa succede, Sendala? Cosa
dovrei sapere?” aggrottò la fronte Aken.
Che succedeva?
“Come hai detto tu, ci sono
leggi che non si possono soverchiare. Io sono legata a esse non meno di te, per
cui…” scrollò le spalle la figlia del branco, allontanandosi di un passo da
lui. “Non avrei neppure dovuto parlare con te, visto che Kaihle lo ha proibito,
ma dovevo essere sicura che tu… beh, che tu amassi Eikhe di amore sincero.”
“Capisco” annuì Aken,
sorridendole mestamente. “Quando tornerai al tuo villaggio, le porterai un mio
messaggio?”
Annuendo, Sendala disse:
“Dimmi pure.”
“Dille che non smetterò mai
di amarla e che, se non ci consentiranno di vivere insieme, io non sposerò mai
nessuna donna” mormorò il principe, un sorriso triste a tingergli il viso.
“Ma tu… sei il principe
ereditario. Non puoi rimanere senza moglie!” esalò la ragazza, sgranando gli
occhi per la sorpresa.
“Ci penserà mio fratello, se
mai vorrà, a dare un erede alla Corona, ma non certo io.”
Poi, con un sospiro, aggiunse:
“I lupi non rimangono con il proprio compagno per tutta la vita?”
Sendala annuì infelice e,
guardandolo con comprensione, mormorò: “Riferirò il tuo messaggio, principe.”
Senza dire altro, sgattaiolò
via nell’oscurità del bosco, seguita in silenzio dal suo lupo.
Dopo aver scrutato quell’ombra
lesta muoversi e svanire tra gli abeti, scrollò le spalle e se ne tornò al
campo.
Presto ci sarebbe stata
battaglia, e lui doveva concentrarsi solo su quella, altrimenti sarebbe morto.
Crogiolarsi col pensiero dei
bei capelli di Eikhe tra le mani, o del suo viso acceso dalla passione, lo
avrebbero deconcentrato al punto tale che chiunque avrebbe potuto conficcargli
una spada nel ventre.
No, meglio non pensare a
lei, almeno per un po’. Anche se era decisamente difficile non farlo.
Tornando a sedersi dinanzi
alla sua tenda, dove splendeva un allegro fuocherello, ne vide uscire Ruak.
“Si sente tensione
nell’aria.”
“A me viene la pelle d’oca”
celiò Aken, con un sogghigno.
“Allora, siamo a posto. Vuol
dire che sono vicini” dichiarò il giovane, sedendosi accanto al fratello.
Estraendo il portafortuna di
Eikhe, nascosto dalla casacca che indossava, Aken lo guardò a lungo senza dire
nulla, immaginandosi le dita abili della ragazza mentre cucivano quel sacchetto
colmo di erbe profumate.
Sorridendo mesto, mormorò:
“Eikhe mi ha insegnato a muovermi per i boschi, ad ascoltare il respiro delle
piante. Dopo un po’, diventa piuttosto facile, anche senza avere le sue doti.”
“E’ questo che stai facendo,
ora?” gli chiese Ruak, scrutandolo curiosamente.
Annuendo, Aken asserì:
“Sento i lupi che vorrebbero muoversi dal campo per andare a caccia, e il
chiacchiericcio delle donne, poco lontane dai qui, che discutono di tattiche di
guerra, mentre nel bosco i cervi passeggiano placidamente.”
Guardando ammirato il
fratello, Ruak asserì con un sorriso: “Stare con Eikhe ti ha reso estremamente
riflessivo, sai?”
“Dici?” ridacchiò Aken.
“Ammetto tranquillamente che, prima, non brillavo per pazienza o attenzione per
i particolari.”
“Per niente. Eri più un
bufalo che attaccava a testa bassa” annuì sogghignando Ruak. “Ma ora sei
diverso. Il tuo viso è più posato, e sembri più controllato, meno propenso a
perdere la calma.”
“Perdere il controllo ti
rende debole, l’ho imparato piuttosto bene” ammise Aken, rigirandosi il
portafortuna in una mano.
“Vuoi dire che non salterai
sul tuo cavallo per buttarti in mezzo alla mischia come un folle sanguinario?” ghignò
Ruak, ridacchiando.
“No, penso proprio che non
lo farò” decretò Aken con aria saccente.
Dandogli una pacca sulla
spalla, Ruak celiò divertito: “Beh, ti voglio proprio vedere!”
Aken lo fissò con aria
pensierosa, ripensando alle parole del fratello.
Sì, stare con Eikhe lo aveva
cambiato per sempre, ormai se ne rendeva conto anche da solo, così come si
rendeva conto che Ruak aveva visto giusto anche su un altro punto.
Il castello era sempre stato
una gabbia, per lui, non lo aveva mai amato come, invece, lo amava il fratello,
o il padre.
Per lui, era solo un luogo
in cui tornare e ritrovare i suoi affetti ma, non appena quelle pareti di
roccia gli si chiudevano intorno, un senso di soffocamento lo prendeva ogni
volta.
Senso di soffocamento che si
annullava ogni qual volta sgusciava dall’abbraccio di Rajana, per gettarsi in
mezzo alla mischia.
Non era un uomo fatto per
starsene seduto entro quattro mura a discutere di politica, ma un uomo
d’azione, un uomo che amava il respiro della terra, l’urlo del vento e il grido
possente delle acque vorticose.
In questo, era uguale a
Eikhe, e questo li aveva avvicinati come i due pezzi separati alla nascita di
un’unica medaglia.
Saperlo non lo rincuorava,
anzi, il peso sul suo cuore era ancora più schiacciante.
Per amore del suo Regno e di
Eikhe, avrebbe fatto di tutto per proteggere quelle terre che lui tanto amava,
anche stare lontano da lei per tutto il resto della sua vita.