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Autore: 48crash    11/12/2011    2 recensioni
Fuori. Sotto la pioggia. Aspettando un autobus che forse non sarebbe arrivato.
Barbi si girò verso l'alto, a guardare la finestra della camera d'hotel da cui era appena uscita. Ovviamente, accadde l'ultima cosa che voleva accadesse: lo sguardo di William, affacciato alla finestra a fissarla, incrociò il suo.
“Oh, cazzo” pensò, distogliendo lo sguardo come se si fosse scottata.
Lui invece non lo distoglieva.
E lei, beh, s'era scottata davvero.

Un dietro le quinte di Rocket Queen (di lei ho preso solo il nome, a cui Axl Rose ha fatto riferimento dicendo che la canzone parla di lei).
Prima cosa: ho utilizzato i nomi originali dei Guns, anche se a quell'epoca si facevano già chiamare con i nomi con cui tutti li conosciamo, per sentirli un po' più miei e riuscire a scriverci sopra; ovviamente, loro non mi appartengono, nè nella versione Guns nè in quella "originale", com Bill, Jeff e soci. Secondo: la storia è altamente imprecisa, sotto ogni punto di vista: nel 1986 loro erano già abbastanza famosi nel circuito di L.A., Hellhouse apparteneva a West Arkeen e loro non vivevano nemmeno assieme, e via discorrendo, perciò per avere i Guns in queste particolari condizioni, avrei dovuto anticipare la storia di qualche anno, ma poi la cosa non si sarebbe conciliata con il periodo della loro formazione, con la stesura di altre canzoni, ecc, così ho deciso di mettere tutto qui. Terzo: in verità, Barbi era una sorta di prostituta per cui Axl si prese una sbandata. Non metto in dubbio l'amore che possa aver provato, ma io ho messo tutto in termini più poetici (anche per via del mio amore per quella canzone) di quello che probabilmente fu la vera storia tra loro. E ho usato solo il minimo sindacale della documentazione, perchè altrimenti non mi sarei sentita libera di scrivere ciò che volevo, e ne sarebbe venuto fuori un obbrobrio.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose, Quasi tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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La festa era finita, gran parte degli invitati era tornate alla propria abitazione lasciando il vuoto in casa Von Grief.
<< Dov'è Barbi? >>
Vivianne si guardò intorno per il salone dopo aver salutato un gruppo di ospiti che uscivano dal salone scortati da Jeanne. La frase rimase sospesa nell'aria, nessuno rispose, per mancanza di conoscenza o semplicemente di voglia di cercare la risposta corretta.
<< Sì, la prossima serata da voi, con molto piacere, Mildred >>.
Vivianne non fece caso a Scott che, visibilmente nervoso, chiacchierava in una angolo con un altro ospite rigirandosi tra le mani un bicchiere di champagne, probabilmente l'ultimo di una lunga serie, quella serata.
Non vedendo sua figlia, Vivianne decise almeno di andare a cercare suo marito, che forse avrebbe anche potuto rintracciare l'oggetto della sua ricerca. Facendosi strada tra gli ospiti rimasti con un sorriso stampato in viso (mai mostrare agli altri la tua difficoltà, di qualsiasi cosa si tratti), raggiunse il coniuge, occupato a discutere con un socio in affari della prossima mossa.
<< Caro, ti dovrei parlare >>annunciò con un sorriso smielato toccandogli leggermente il braccio. << Si tratta di una questione abbastanza urgente, ma ti porterò via solo due minuti >>. Altro sorriso smielato, questa volta al fantomatico socio in affari, che annuì concessivo, e finalmente suo marito si voltò verso di lei.
<< Non vedo nostra figlia da un po', ed è passata mezzanotte >>spiegò diretta non appena si furono allontanati dagli altri e fu certa di non essere udita.
L'uomo guardò l'arcata rosso fuoco delle sue labbra, nette e ben disegnate, curvarsi a pronunciare quelle fatidiche parole che temeva un giorno di sentire. La guardò con aria interrogativa.
<< Non c'è? >>
<< Non c'è. L'ho persa di vista qualche ora fa e non ho idea di dove sia andata >>confermò la donna.
<< Con chi era l'ultima volta che l'hai vista? >>chiese lui recuperando il tono autoritario.
<< Con Scott, credo >>.

***

Al Cocaine la festa sarebbe continuata, tra l'alcool, la droga e il sesso facile, fino al mattino seguente. Dopo il loro piccolo momento di riunione, William e Barbi si erano uniti agli altri nei festeggiamenti, e ora sedevano intorno ad un tavolo dove i compagni del rosso si stavano dilettando in una gara a chi beveva di più tra le risate generali. Nessuno dei due pensava al mondo fuori dal locale, o alle ore che passavano, e si accontentavano di restare lì, abbracciati sulla panchina.
Ormai erano le quattro e la maggior parte di coloro che avevano partecipato giaceva da qualche parte, stremata, fatta, o ubriaca, o faceva sesso in qualche angolino buio. Barbi e William si erano addormentati, stanchi e sudati, con le schiene appoggiate al muro e le teste appoggiate l'una all'altro. Ad un certo punto però, un pensiero ricorrente strisciò nei sogni di Barbi, facendola svegliare.
Con gli occhi spalancati nella penombra del locale, si accorse che qualcosa non andava. Lei non avrebbe dovuto essere lì. Non più, a quell'ora, qualunque ora fosse.
<< William. William! >>sibilò scuotendolo per le spalle.
Lui protestò poi si voltò a guardarla, improvvisamente vigile. << Barbi, che c'è? >>biascicò poco convinto.
<< Will, è tardissimo, e io non sono a casa >>scandì la ragazza.
William scattò in piedi quasi rovesciando per terra Barbi e un tipo del tutto partito che stava accoccolato vicino a loro infagottato nel suo giubbotto sdrucito, che poi scoprirono essere Jeff. Si infilò rapidamente la giacca e controllò di avere nella tasca le chiavi dell'auto, e corse fuori facendosi largo a spallate tra le persone che affollavano il locale trascinandosi dietro la ragazza tenendola per un polso. Un attimo dopo erano in macchina, e lui girava le chiavi nel quadro forsennatamente.
<< Mi ammazzano...si saranno sicuramente accorti che manco...e quell'idiota gli avrà detto... >>cominciò Barbi allarmata.
<< Cazzo, non parte >>.
Con una semplice affermazione, William interruppe il filo logico dei suoi pensieri. Si voltò a guardarla disperato.
<< Ti ci porto anche a piedi, in braccio se vuoi, se ne hai bisogno rubo una moto, ma se ti devono far fuori io non ci sto. Sei sicura di voler tornare a casa, Barbi? >>
Barbi lo guardò negli occhi, senza sapere cosa rispondere, con un nodo in gola che cominciava a crescere. Sarebbe rimasta con lui senza pensarci due volte, ma non poteva e non sapeva come dirgli che non ci riusciva.
<< Sono intrattabile, lo so, e io e i miei amici siamo ubriachi e fatti la maggior parte del tempo, ma ti amo. È l'unica cosa di cui sono certo. E farei di tutto per stare con te, se ce ne fosse bisogno. Se tu mi dici di sì, vieni a vivere da me. Non so cosa faremo, ma se mi dici di sì, farò di tutto, per te >>.
Il suo sorriso la rasserenava, sempre. I suoi occhi le entravano dentro, riparavano le sue ferite. Gli avrebbe detto di sì in qualsiasi momento, ma sapeva di non potere. Non poteva perché la verità era che non si era mai aperta con nessuno, non gli aveva mai detto di amarlo, non sarebbe scappata dal suo mondo falso di sole apparenze, solo perché lei, Barbi Von Grief, temeva di essere abbandonata. Temeva di aprirsi troppo, fino ad esporsi, e di soffrire poi.
Distolse lo sguardo.
<< No, William. Non posso. Non ora, almeno >>disse con gli occhi che le si riempivano di lacrime.
Lui la guardò, sentendo una fitta al cuore. Non poteva fare più di così. Sapeva di amarla e che lei lo ricambiava, ma non poteva aiutarla. Lei non gli apparteneva del tutto.
<< Va bene, Barbi. Riprovo ancora una volta e poi se non funziona trovo un altro modo >>disse con gli occhi fissi sul quadro mentre girava le chiavi.
Fortunatamente, la macchina si avviò al secondo tentativo, e William ingranò la marcia e partì a massima velocità.
Mentre Barbi si cambiava rapidamente non parlarono, non riuscirono a dir nulla fino all'arrivo a villa Von Grief. Lì, William si sporse ad aprire la portiera di Barbi passando col corpo sopra di lei e causandole un brivido.
<< Vai, Barbi. Non importa se non sei pronta per me, ti capisco. Vai ora. Solo, vieni subito da me se c'è qualsiasi problema. Se ti trattano male, se ti fanno qualsiasi cosa, contattami subito, in qualsiasi modo, e io verrò a prenderti. È chiaro? >> Solo sull'ultima frase alzò gli occhi verso di lei, e per un attimo fugace, nel buio, si osservarono.
<< Sì, chiaro >>rispose lei annuendo.
Corse su per il vialetto sentendo l'ansia crescere all'udire il rumore del motore dell'auto del ragazzo allontanarsi, scomparendo gradualmente.
Dentro ai cancelli, in fondo al viale, la macchina di Scott. Barbi trasalì alla sua vista. Se era lì, era perché stava dicendo ai suoi che lei se n'era andata, che se n'era andata con un tizio poco raccomandabile, per di più.

Nel salotto della villa, i signori Von Grief sedevano sul divano di fronte ad uno sconvolto e nervoso Scott. Alcune ore prima, alla domanda su dove fosse la loro unica figlia, aveva risposto che non lo sapeva, che l'aveva persa quando gli aveva detto che sarebbe andata al bagno. Solo dopo svariate insistenze da parte di Vivianne e della sua stessa madre, che dopo un'ora aveva abbandonato la residenza Von Grief per una forte emicrania, aveva confessato di averla vista andare via. Aveva sostenuto di non aver visto bene l'uomo che l'aveva portata con sé, ma l'aveva descritto come un poco più che ventenne, non molto alto, magro e con i capelli lunghi e lisci, vestito di pelle, e ora era rimasto sotto consiglio dei genitori ad attendere con i Von Grief l'arrivo della polizia.
Quando Barbi arrivò davanti alla porta di casa, già immaginava tutto questo. Rimase un attimo sulla porta, indecisa sul da farsi: in fondo, era ancora in tempo per correre via da quella gabbia di matti.
Alla fine però non se la sentì di venir meno alle sue responsabilità. Prese un respiro e girò le chiavi nella toppa.
<< Barbi! Sei tu? >>
L'urlo di sua madre giunse dal salotto mentre la donna le correva incontro ad abbracciarla con gli occhi pieni di lacrime.
Dietro di lei, Barbi intravide suo padre con il viso contorto dalla disapprovazione e Scott, che si torceva le mani guardando il pavimento. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, e Barbi vide negli occhi di Scott il terrore e il senso di colpa. Lui distolse lo sguardo immediatamente.
Gliel'aveva detto. I suoi genitori sapevano quando e con chi si era allontanata dalle loro insulsa festa.
Si sentì mancare il respiro, e la forza di stare a sentire quello che le avrebbero detto subito dopo.
<< Vivianne >>. La voce ferma di suo padre, il leggero tocco sulla spalla di sua madre, segnavano il passaggio dal momento dei convenevoli a quello del vero rientro a casa.
Sua madre, premendosi sugli occhi un fazzoletto preso chissà dove, si allontanò di qualche passo da Barbi, in lacrime. << Scott, tu puoi andare a casa >>mormorò. << Ti ringraziamo >>.
<< Non c'è di che, signora >>rispose prontamente lui avvicinandosi alla porta. << Signore >>salutò con un cenno del capo. << Barbi >>.
Barbi si voltò come scossa da un brivido elettrico. Non aveva mai provato tutto quell'odio in una volta sola. Nonostante ciò, ebbe la forza di voltarsi e nascondere la sua ira dietro ad uno sguardo freddo e distaccato, mentre con un cenno del capo lo salutava sdegnosamente. Lui non alzò nemmeno gli occhi a guardarla, sapeva che avrebbe visto solo una maschera di ghiaccio.
Un minuto dopo, lui era fuori dalla loro casa, e suo padre la fissava con astio.
<< Dove sei stata, Barbara? >>
Sentire il suo nome pronunciato a quel modo, storpiato dalla rabbia e dall'alcool ingurgitato durante la festa e l'attesa, le fece gelare il sangue nelle vene.
<< Dimmelo >>.
Barbi scosse la testa. Anche volendo, non avrebbe saputo rispondere.
<< Perché...? >>singhiozzò sua madre. << Cosa c'è che non va in te, Barbi? >>
Suo padre la mise a tacere con un cenno della mano. Da lì in poi di sua madre si udirono solo i singhiozzi sommessi.
<< Barbara Lilian Von Grief. Pretendo una spiegazione da te, adesso >>.
Barbi alzò gli occhi, muta e fiera, di nuovo la maschera di ghiaccio. Se non altro, non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirla ammettere che aveva sbagliato. Anzi, se aveva fatto una cosa giusta nella sua vita vuota era stata quella di conoscere William.
Vedendo la fierezza nei suoi occhi, l'uomo non fece che infuriarsi di più.
<< Non c'è più bisogno che parli oramai. I tuoi occhi mi dicono tutto >>affermò quasi contrito.
<< E così, te ne vai lasciando qui il povero Scott da solo, per fuggire con qualche scapestrato con i capelli lunghi? >>insinuò adirato. << Cos'hai che non va, Barbara? Perché hai questa insana passione per i casi umani? Cosa ti importa dei poveracci? Il tuo posto è qui, a casa Von Grief, e un giorno diventerai avvocato e sposerai Scott, e poi vivrete assieme, fine della storia. Non pensare che una notte ti cambi la vita >>.
Invece la vita di Barbi era cambiata, e da tempo, e non poteva più stare a sentire quelle fandonie.
<< La mia vita è cambiata da mesi, papà >>affermò stringendo gli occhi, senza distogliere lo sguardo da quello del suo genitore.
<<
Cosa? >>sibilò lui.
<< Hai capito benissimo. Io non farò l'avvocato, non sposerò Scott, non farò la schiera di figli che speri possano ereditare il tuo impero. Non me ne frega un cazzo di tutta questa roba. Non me ne frega un cazzo di voi. Scott è un coglione. Le vostre feste da ricchi sono solo spettacoli orditi per farvi ammirare da quel branco di deficienti di cui vi attorniate. E io, per tua informazione, con quel
poveraccio idiota scapestrato con i capelli lunghi ci scopo. Anche da un bel po'. E non c'è nulla di così eccitante come farsi sbattere da un musicista mentre voi credete che io sia a scuola >>.
Tirò un respiro più forte degli altri, cercando di testare calma. Non era pentita, solo non voleva mostrare la sua rabbia. Solo
farla sentire. Voleva solo che i suoi genitori capissero, per una volta. Da lì in poi, doveva solo vedere come avrebbero reagito.
Da lì in poi, si scatenò l'inferno.
Sua madre, sentendo le ultime frasi si portò una mano alla fronte e si lasciò cadere, sorretta prontamente da Jeanne, che prevedendo scene di questo tipo si era piazzata nelle vicinanze e la scortò immediatamente in salotto.
Suo padre, dopo aver visto la moglie andarsene, si voltò di nuovo verso di lei, con gli occhi iniettati di sangue. << Questa volta, Barbara, non avrai il mio perdono >>.
<< Non l'ho mai avuto >>replicò lei gelida.
Senza nemmeno togliersi gli anelli, suo padre tirò indietro il braccio e la colpì. Barbi non aveva mai sentito una sensazione tanto sgradevole come le nocche che cozzano contro le ossa spaccando la carne, e sentì il sangue affluire al viso. Però rimase lì a guardare suo padre, a vedere fino a che punto sarebbe arrivato, con le lacrime che le salivano dagli occhi ma che non scendevano, e il sangue che le colava lungo il collo.
Senza una parola, suo padre la colpì di nuovo, facendole piegare la testa all'indietro. Ancora, e ancora.
A Barbi mancava il respiro, voleva cedere, ma non l'avrebbe fatto. La testa le girava vorticosamente, le gambe non reggevano più. Sarebbe rimasta fino in fondo.
Solo quando vide tutto quel sangue, e vide che dopo ogni colpo lei si rimetteva in piedi e lo fissava con quegli occhi blu profondi come il mare, senza un minimo segno di cedimento, lui smise. Si voltò, ed entrò in salotto. << Vattene in camera tua, Barbara. E guai a te se esci. Resterai in questa casa fino al mio ordine, anche se domani ricominciano i corsi >>.
Nessuno dei due avrebbe mollato. Senza una parola, Barbi salì le scale ed entrò in camera chiudendo a chiave la porta dietro di sé. Entro nel suo bagno e riempì la vasca, dove si lasciò cadere poco dopo. Non voleva il loro perdono. Non gliene poteva importare di meno. Non le importava più di nulla, ormai. Voleva solo una cosa. Voleva lui.
<< Va tutto bene, tornate indietro >>sentì dire a suo padre ali poliziotti che erano arrivati. << Grazie mille >>.
Eh no, non andava bene per un cazzo.














E' un momento un po' difficile anche per me, ma più è dura più l'ispirazione esce. In un attimo di pausa dallo studio vi regalo questo capitolo. Non l'ho nemmeno letto e spero vi piaccia.
Ringrazio ancora tutte quelle che mi appoggiano, mi seguono, mi recensiscono. Grazie di cuore!
Un bacio,
Lucy

 

  
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