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Autore: Hysteria Hollow    12/12/2011    8 recensioni
[Soul/Maka♥; AU!]
-Insegnami a fotografare l'anima delle persone. Insegnami a catturare la vita nei loro occhi-
Soul si voltò verso di lei, sciogliendosi in un ghigno ferino, ironico. Intossicante.
-Lo farò senza tette. Ti insegnerò a racchiudere su un pezzo di carta l'anima di una persona-.
Soul, Maka. Sette anni di inimicizia, Dicembre e una macchina fotografica in grado di catturare i sogni e di fermarli su carta.
Buona lettura,
Hysteria.
Genere: Comico, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You're Always There, You're Everywhere.'
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Cristal Dreams ~ Behind This Crimsom Eyes




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IV. Pulizie a casa Evans e spiacevoli incidenti. Le cose strane si attraggono sai?

L'appartamento di Soul Evans sorgeva, austero ed imponente, in una via secondaria proprio dietro al centro principale, alle spalle della Chiesa della città.

L'edificio, di costruzione recente a giudicare dalla struttura e dalle forme moderne ed eleganti, sorgeva su un modesto spiazzo di terreno, sufficente per l'estendersi di un grazioso vialetto in bianca pietra levigata serpeggiante fra due ali di prato accuratamente tagliati nel tipico stile inglese.

La porta d'ingresso principale troneggiava importante al centro del viale, sotto ad uno splendido soffitto a volta di un chiaro color crema e i mattoni a faccia vista di un'intensa sfumatura cioccolata rendevano la casa già sufficientemente moderna e raffinata ancora più intrisa di eleganza e magnificenza.

-E tu vivi quì?- esclamò Maka, più a se stessa che a Soul, fissando con gli occhi sgranati il vasto ascensore -perfettamente paragonabile all'ingresso di casa sua che ad un ascensore vero- che sembrava poter contenere al proprio interno non solo i residenti dell'edificio, ma anche quelli dell'intero quartiere.

Soul le lanciò un'occhiatina di sbieco, indeciso se interpretare quella genuina espressione di stupore come un sentimento vero o come un'ironica e ben costruita presa per il culo.

-Andiamo senza tette, anche tu vivi in una casa mica in una stalla, no?- esordì, pigiando con malgarbo il tasto bordato d'oro del tredicesimo piano ed infilandosi le mani in tasca mentre le porte dell'ascensore si apprestavano alla chiusura e mancando per poco di chiudersi sopra al corpicino esile della ragazza, la quale gli lanciò uno sguardo infuocato senza parlare; non aveva senso dargli corda.

-Certo che abito in un appartamento ma.. questo posto sembra una reggia!- rispose, indicando con un gesto eloquente del capo il lampadario a spiovente ben fermato al soffitto, riflettente continuamente piccoli giochi di luce colorata che andava a dipingersi sulle pareti color biscotto.

L'albino sbuffò, appoggiandosi con il busto alla parete opposta all'uscita e divaricando leggermente le gambe, in quella chiara posizione che lei avrebbe attribuito ad un dannato cafone.

Ma in fondo come poter definire Soul Evans sennon con quell'aggettivo? Ora che ci pensava, più pronunciava mentalmente quella parola più essa congrueva perfettamente con la figura sfacciata ed irritante del ragazzo al suo fianco, troppo impegnato a rotolarsi nel suo "essere dannatamente cool" per prestare la minima attenzione alle sue smorfie.

-Io mi arrendo Evans. Sei troppo insopportabile persino per i miei nervi- sbuffò la ragazza, imitando l'albino al suo fianco e appoggiando la schiena sulla superfice gelida della cabina, attendendo pazientemente il sottile sibilo che indicava l'arrivo al pianerottolo prescelto.

Il ragazzo non disse nulla, si limitò a sbuffare qualcosa fra i denti senza nemmeno rivolgerle uno sguardo, gli occhi fissi sulla riga grigia che spezzava il tenue beige delle pareti laccate in bronzo, lucide di metallo.

Finalmente, con un ultimo ed appena percettibile sobbalzo, l'uscita si spalancò ai loro occhi rivelando un morbido color salmone appartenente ai muri del pianerottolo, spugnati di rosa quà e là.

Maka fu la prima ad uscire, la bocca già spalancata per la sorpresa; se l'ascensore e l'aspetto esterno della casa erano state una deliziosa fusione di eleganza e raffinatezza, il pianerottolo era benissimo paragonabile all'ingresso di una reggia.

Oltre alle mura deliziosamente dipinte di un colore oltremodo morbido e soffuso, gli unici ornamenti degni di nota all'interno di esso erano due enormi specchi dalle forme allungate e sinuose che correvano orizzontalmente lungo le pareti; le cornici, dell'oro più puro e luminoso che la ragazza avesse mai visto, erano state arricchite da una moltitudine di fini dettagli e piccoli accorgimenti che ricorrevano spesso nel motivo a drappi floreali.

Sull'angolo destro una splendida rosa schiudeva il suo dorato abito ad un sole nascente; dalla parte opposta un giglio ancora chiuso attendeva ansioso la prossima alba per tendersi ancora verso il mondo.

-Sembri una bambina al parco giochi- la rimproverò Soul, raggiungendo con pochi passi grazie all'ausilio delle lunghe gambe strette nei jeans scoloriti la seconda porta a sinistra, frugando distrattamente nelle tasche alla ricerca delle chiavi.

Estrasse il mazzo con un movimento scocciato, lanciando uno sguardo di fuoco alle decine di chiavi che pendevano tintinnanti fra le sue mani, riflettenti argentee la luce soffusa delle piccole plafonierie incastonate sulle pareti.

La porta si aprì con un sonoro clangore, accogliendoli al proprio interno al ritmo di dolci ventate di aria calda proveniente dalla piccola stufetta posta all'angolo dell'ingresso, proprio sotto ad un grazioso comodino in legno grigio.

-Evita per l'amor del cielo- la interruppe immediatamente Soul, notando le dimensioni ormai sfioranti il sovrannaturale dei bulbi oculari della bionda che si accingeva ad entrare nell'appartamento.

Maka sospirò, ordinandosi di respirare; più si guardava intorno più si domandava dove fosse finita.
In un nobile castello del dodicesimo secolo o era ancora nella piccola ed ombrosa Death City?

Non si sarebbe di certo stupita se, al posto delle case dai tetti spioventi e del cielo d'inchiostro sovrastato da un pallido medaglione color platino, si fosse trovata in un minuscolo villaggio agricolo attorniato da mura merlettate.

-E'..-. Assurdo. Fantastico. Meraviglioso.

Soul sbuffò, cacciando malamente il mazzo di chiavi sul ripiano liscio del mobiletto e calciando via le scarpe da ginnastica bianche come fossero oggetti di poco conto e non l'ultimo modello di Adidas appena uscite sul mercato.

-I tuoi genitori guadagnano bene- si ritrovò ad osservare Maka, una considerazione che rivolse più a se stessa che a Soul, il quale non la degnò nemmeno di una risposta.

-Hai sete?- domandò invece, dirigendosi a passo svelto verso quella che doveva essere una specie di cucina -e che in realtà agli occhi dell'Albarn risultava più come l'ingresso al Paradiso-.

-No grazie- rispose lei, lasciando vagare lo sguardo lungo il salone, accorgendosi solo ora dell'arredamente e degli oggetti estranei al luogo; il tutto era arredato tramite mobilio fine ed elegante, raffinato ed essenziale, senza mai essere portato all'esagerato od al volgare.

Ogni singolo oggetto era impregnato di un'originalità mai banale, spesso legata ad un piccolo dettaglio subito notato.

Eppure, nonostante il rigoroso decoro vi era un qualcosa che stonava; forse erano le cartaccie sparse lungo il tappetto cremisi, per lo più marche di barrette di cioccolato e patatine. O i numerosi cartoni di pizza al taglio ancora sporchi di mozzarella ormai irrigidita dal tempo. Storse il naso, disgustata;

E lei avrebbe dovuto rimettere a posto quello schifo?

Riformulò la domanda ad alta voce, sgambettando schifata tra cumuli di pasta al sugo ormai congelata ed appiccicosa ed una poltiglia stagnate all'angolo del divano in pelle bianca, di un inquietante verde azzurrognolo e e del quale preferiva ignorare la provenienza e la composizione.

Soul, dalla porta chiusa, le urlò un "Sì" piuttosto scocciato; uscì due minuti dopo, fra le mani una bottiglia di Coca-cola ed un sandwich al formaggio ancora fumante riposto in un piattino color pesca.

Ne offrì un angolino a Maka, la quale negò contraria. -Sai che mangi malissimo Evans?- lo informò, fissandolo con le mani sui fianchi stretti, la medesima espressione sul viso.

Soul sbuffò, accomodandosi sul divano dopo aver posato bibita e piatto sul tavolino di cristallo collocato proprio di fronte al divanetto, squadrandola poi con un'occhiatina sardonica. -Non ti farebbe male Albarn aggiungere qualche chiletto su quelle ossicini oscene- ribattè, tornando al suo spuntino.

Maka chiuse gli occhi, inspirando a fondo. Persino l'aria all'interno del salotto sapeva di chiuso e una moltitudine di odori culinari -tra i quali riusciva ad identificare l'aroma saporito della pizza ai peperoni- le sfioravano prepotentemente il naso, irritandolo e facendolo bruciare leggermente.

-Su Evans, alza il culo!- urlò, afferrando un cuscino da sotto una poltroncina in leggero satin castano per scaraventarlo sopra al padrone di casa, il quale a causa del colpo si cappottò all'indietro.

Qualche forza divina volle che il piattino in ceramica finisse proprio sul morbido tappeto dai finimenti indiani, che riuscì ad attutire il colpo e ad impedire che i prezioso oggetto finisse in mille pezzi.

-Albarn hai la grazia di un elefante con il mal di stomaco!- sbottò Soul, raccogliendo frettolosamente il suo adorato panino per finirlo in un sol boccone; puntellando i ginocchi per terra ed inchinandosi fino a raggiungere lo spazio vuoto sotto al divanetto in pelle, vi mise all'interno una mano e cominciò a frugarvi meticolosamente alla ricerca del grazioso cimelio di famiglia.

Maka si tese verso di lui, i capelli legati che scivolavano morbidi e lisci sulle spalle nude dalla maglietta a spalline indossata nonostante Gennaio alle porte, sbirciando con un'espressione un pò colpevole sul volto.

-Mi.. Mi dispiace. Non pensavo fosse importante. Non l'ho fatto apposta- tentò di giustificarsi, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, fra le dita snelle una sottile ciocca di capelli biondi; per quanto gli stesse altamente sulle scatole non avrebbe mai voluto rompere qualcosa di sua proprietà.

Avvertì il lieve pigolare di una risata trattenuta e s'infuriò notando la grassa risata che Soul tentava di soffocare fra le labbra rosee, mentre con gli occhi scrutava nelle profondità del divano ancora alla ricerca del piatto scomparso.

-Sei un gran bastardo Evans!- esclamò la ragazza, lanciandosi di scatto sulla schiena dell'albino, spalancando le gambe totalmente incurante della corta gonna e dell'assenza di calze sulla pelle nuda.

Soul mugulò qualcosa, oppresso e sorpreso dal nuovo peso appena piombato sulle sue spalle e si accucciò al suolo, attendendo paziente che la furia dell'Albarn si esaurisse.

Non sapeva che diavolo ci trovasse di così soddisfacente nel vederla andare su tutte le furie -e farsi malmenare come fosse un sacco da box- ma adorava il modo in cui la rabbia faceva fremere ogni singolo lembo di quell'anima apparentemente dolce e pacata; il modo in cui quegli occhi di un altrimenti placido verde prato bruciassero.

Quando l'ira l'avvolgeva tutto in lei sembrava prendere improvvisamente fuoco; il rossore sulle guance, il brillio delle iridi, il ghigno violento su quelle labbra sottili.

Soul Evans sei diventato un fottuto masochista.

*

-E questa?- esclamò improvvisamente la voce acuta di Maka, immersa dentro ad un cumulo di vestiti sporchi di chissà quante settimane prima.

Soul si alzò dalla sua postazione, dalla parte opposta della stanza, lamentandosi del mal di schiena; aveva passato più di due ore a girovagare per l'appartamento chino su una dannatissima scopa, scostando ripetutamente la paletta rossa in modo da raccogliere il marciume improvvisamente comparso sul suo bel parquet.

Senza contare l'oretta buona trascorsa sotto al sedere di Albarn, la quale non era poi così esile e fragile come appariva, e che aveva approfittato della posizione per strillargli nelle orecchie una paternale da guinnes; sei solo un bastardo cafone, le donne non si trattano di certo così, farmi preoccupare per niente.

Quando l'unica che aveva il diritto di lamentarsi in quel preciso momento non era altri che la sua povera spina dorsale, costretta a sorreggere il peso di quella specie di elefante in miniatura opportunamente liposuzionato ma comunque sufficientemente pesante per spezzargli la schiena in due.

-Cosa c'è ora Albarn?- sospirò il ragazzo, abbandonando scopa e strofinaccio a terra per trascinarsi alle spalle dell'altra, leggermente sollevata sulle ginocchia e totalmente immersa con il busto dentro alla cesta della biancheria.

All'improvviso la testolina bionda di Maka fece capolino dal mare in cui era svanita, il naso accuratamente tappato da un piccolo ceppetto ed un sorrisino ironico dipinto sulle labbra rosse per la calura.

Aveva la fronte madida di sudore e qualche ciocca color neve mista a fango era sfuggita alla presa dei due elastici neri fermati ai lati della testa, scivolando morbida sulle scapole sporgenti per poi perdersi all'interno della maglietta cobalto, posandosi fra il morbido solco dei seni quasi inesistenti.

-Guarda guarda cos'abbiamo quì- mormorò sardonica, alzando vittoriosa una mano verso l'alto; Soul notò che, dentro al pugno chiuso, vi era racchiuso uno strano oggetto dalla forma rettangolare, non più grande di un cellulare.

-Ma quella è...-

-Una macchina fotografica! Non sapevo avessi passioni così nobili Evans. Non è da te- lo sbeffeggiò lei, innarcando la schiena all'indietro e puntellando la mano sul pavimento freddo per sottrarsi alla presa di Soul, il quale tentava affannosamente di strapparle il prezioso oggetto dalla mano.

-Hey Albarn attenta con quello! E' piuttosto importante- l'ammonì l'albino, sedendosi al suo fianco e lanciandole un'occhiata di fuoco.

Maka inclinò il volto di lato, arricciando le labbra con curiosità; gli occhi spalancati come quelli di una bambina prese a rimirare la macchina fotografica che aveva fra le mani, modificandone il tocco; da impulsive e ruvide le lunghe dita diafane acquistarono una dolcezza ed una delicatezza quasi timorosa, mentre percorreva con timida meraviglia gli arabeschi dipinti ad arte sulla custodia.

-E' strana- sussurrò, rigirandosela sul palmo della mano, sfiorando l'obbiettivo cerchiato di un bel blu oltremare intenso, quasi irridescente.

-Le cose strane si attraggono sai?-
-La simpatia non è compresa nel tuo DNA vero Evans?-.

Soul sorrise, passandosi distrattamente una mano fra i capelli candidi fermati sulla nuca da un piccolo cerchietto scuro; strana.
Maka Albarn era decisamente la cosa più strana che fosse mai entrata in casa sua.

-Quella macchina fotografica ha una storia piuttosto interessante- esclamò quasi senza accorgersene.

Sentì gli occhi smeraldini della ragazza alzarsi dall'oggetto in questione per posarsi su di lui, colmi di interesse; le lunghe ciglia bionde fremevano dorate nella penombra della sera ormai sopraggiunta, impreziosite da piccole gocce di sudore provocate dal lungo lavoro di pulizia delle ore prima.

-Racconta- lo incoraggiò Maka, notando il silenzio in cui era piombato il ragazzo. Soul annuì, alzandosi dal parquè rossastro del pavimento per prendere posto sulla comoda poltroncina bordò del salotto, al fianco del camino acceso.

Maka lo seguì, sistemandosi ai suoi piedi, il capo rivolto verso l'alto.

La gonna cremisi scivolò leggera sulle gambe magre, acquistando cupe sfumature ed ombrature carminee sulle morbide pieghe; schiusa a corolla sulla pelle liscia, la stoffa sottile s'insidiava fra il solco delle cosce di madreperla, creando un effimero gioco di luce e dipingendo con timide pennellate di bordò e rubino le lunghe gambe.

Soul lasciò vagare lo sguardo sul corpo sottile della ragazza, riflettendo apatico, il mento posato garbatamente sul palmo della mano.

Dischiuse appena le labbra rosate, scivolando maggiormente sulla poltrona, cercando nella mente le parole per cominciare il proprio racconto.

-Questa macchina fotografica fece la sua comparsa la prima volta cinque anni fa, all'arrivo di mio nonno quì a Death City.
Lui lavorava come interlocutore fra importanti aziende, e spesso veniva inviato nei paesi più disparati del mondo, essendo un uomo di cultura e piuttosto cool, come il sottoscritto del resto-.

Ghignò allo sbuffare infastidito di Maka, ancora inginocchiata ai suoi piedi, le braccia incrociate sul petto, attenta e vigile come ad una lezione in classe.

Soul chiuse le palpebre, godendosi quei pochi secondi di assoluto silenzio, in cui l'unico rumore captato nell'aria era il timido e secco chiocciare del fuoco all'interno del camino.

Familiare. Era tutto così familiare.

-Era stato mandato a Est, in un qualche sperduto paesino dell'India. Avrebbe dovuto convincere un'importante agenzia di viaggi ad accettare la richiesta di società rispetto ad un'altra azienda, residente a Londra. La mattina prima del ritorno in Inghilterra si fermò in un mercato, per acquistare qualche regalino da portare ai parenti. Fu un vecchio mercante ad avvicinarlo. Gli raccontò un'assurda leggenda riguardo a questa macchina fotografica, e lui l'acquistò immediatamente. Fu grazie ad essa che conobbe la sua prima moglie e madre di mio padre- terminò, il braccio pigramente steso sul bordo della poltrona.

Socchiuse appena le palpebre, sorpreso dal silenzio di Albarn.

Si sarebbe aspettato di venir interrotto come minimo dieci volte da ogni genere di domanda e invece niente.

Maka se ne stava seduta computamente sul pavimento, le gambe chiuse, il volto basso; non riusciva a captare un ben che minimo segno d'interesse, di beffa o di repulsione negli occhi chiari, lucidi alla tenue luce del fuoco.

Soul respirò piano, restio nell'interrompere quel momento di pura calma. Eppure..

Eppure c 'era qualcosa che non andava.

Se ne accorse quando, con un sospiro leggero quanto un alito di vento, la ragazza scivolò a terra, svenuta, piccoli boccioli cremisi a ricamarne il contorno delle labbra livide.




~

Note Insane di un'Autrice Sclerata;
Perdonatemi per il mostruoso ritardo.
Invoco a gran voce il vostro perdono e la vostra comprensione, ma sono settimane dure.
Uhao, sembra che la mia intera esistenza sia un affronto a Dio stesso.
Ma vvvvaabbè non voglio affligervi con le mie cose; uaho che capitolo.
Si è portato via un sacco del mio tempo e delle mie energie davvero. Scriverlo è stato faticoso, e spero vi sia piaciuto almeno un pò.
Durante la stesura ero combattuta da due forze; mantenere il rapporto sul classico o taanto sesso, droga e rock and roll?
Purtroppo ha prevalso la pigrizia e quindi classico.
Ma conto sulla lemon prima o poi.
Ora vi lascio gioie miei,

Un bacio ed un inchino,
Hysteria H.

  
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