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Autore: roxy_xyz    20/12/2011    5 recensioni
La nostra vita è spesso caratterizzata da abitudini, gesti che compiamo in modo quasi meccanico tutti i giorni. Siamo degli animali che tendono a compiere le stesse azioni o pressoché simili e, a volte, a commettere anche gli stessi errori.
Ci sono però le eccezioni, quei rari casi in cui una persona decide di prendere una traversa, una strada non percorsa, che porta allo stesso punto, ma che prevede un cammino diverso, sconosciuto.

[Questa storia partecipa all'iniziativa Birthday-A del gruppo Facebook "Cercando chi dà la roba alla Rowling". Buon compleanno, Morgana85 e Jaybree88]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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A te, Jaybree, perché mi hai insegnato tanto in questo anno.
Sei una scrittrice talentuosa e sono contenta di aver fatto la tua conoscenza quel giorno. Ricordo che mi incantai leggendo la tua storia, le tue parole scorrevano lente, come le mie lacrime, perché eri stata capace di parlare di una perdita, la mia e quella di Harry, come nessun altro. Avevi guardato dentro Harry. Avevi guardato dentro di me e mi ero sentita nuda.
Nessun altro mi ha mai fatto provare quelle emozioni e tutte le volte che pubblichi una nuova storia, rimango esterrefatta dalla tua bravura e dai tuoi continui miglioramenti.
Spero che la fine di questa storia ti piaccia, sai bene quando io odi i miei finali.
Buon compleanno, paparedda.





Blank



Non mancava molto a Natale. Le strade erano colorate, illuminate, esaltanti con le vetrine dei negozi addobbate a tema.
Le persone sembravano quasi impazzite, mentre acquistavano i regali per il loro cari; nessuno si domandava se il dono sarebbe piaciuto oppure no, era qualcosa a cui non badavano.
In mezzo a quella folla infernale, un uomo spiccava per la sua andatura. Lenta, adagia, senza alcuna fretta, perché Harry amava l’aria natalizia e voleva respirarla a pieni polmoni e, nonostante non amasse particolarmente la calca, aveva deciso di prendere quella strada piuttosto che un’altra.
Suonò il campanello di casa con il sorriso sulle labbra che divenne anche più allegro alla vista di una festosa signora Granger, che non esitò un attimo ad abbracciare calorosamente il ragazzo. La donna non aveva mai nascosto il suo grande affetto nei confronti di Harry; influenzata dai racconti della figlia, trattava il ragazzo con una tenerezza quasi materna. Non era apprensiva o troppo energica, come la signora Weasley, ma discreta, come solo una madre sapeva fare. Come la figlia, era una presenza delicata al suo fianco.
“Harry caro, come stai?”
“Sto bene, grazie. Sono venuto a trovare la futura mamma.” Si era tolto la giacca e la sciarpa per appenderla nell’attaccapanni all’ingresso.
“È in cucina ed è nervosa, come ieri e come tutti i santi giorni. Meno male che sei arrivato tu! Non capisco perché reagisca in questo modo, io ero sempre con il sorriso sulle labbra.”
“Sua figlia è speciale.” Un commento breve e sincero, perché Hermione non era come le altre, era capace di esplicare le proprie sensazioni in modo quasi amplificato. Come quando lo stringeva in uno dei suoi tipici abbracci. C’era qualcosa di più dietro quel gesto: una disperazione nel volersi aggrappare a lui, un’esultanza nell’averlo lì, tra le sue braccia.
Quando entrò nella stanza, la vide seduta sulla poltrona vicino al termosifone e notò con grande stupore che stava lavorando qualcosa a maglia.
“Hermione?”
Le sue mani, prima rigide, si fecero rilassate, distese a quel richiamo, come se la visita del ragazzo ponesse fine a qualcosa a cui era costretta.
“Harry!” Con un gesto secco aveva gettato i ferri sul tavolo vicino, per poi alzarsi e andare incontro all’amico. “Finalmente sei arrivato, anche se in ritardo.”
“Scusa, oggi ho preso un’altra strada,” confessò con una punta di rimorso.
“Però, noto che hai saputo impiegare bene il tempo. Cosa stai facendo?” chiese, avvicinandosi per sbirciare.
“No, ti prego, non guardare! Ho scoperto di essere completamente negata. Guarda che mostruosità ho creato.” Gli aveva mostrato un cappellino bianco in lana e, nonostante non fosse un grande esperto in materia, sapeva che non era perfetto, o almeno non come i caldi maglioni di Molly.
“È stato il primo e ripeto: non è brutto.” Era intervenuta la madre per placare le mille ansie della figlia. Le dispiaceva vederle quel muso triste proprio nel periodo più bello della sua vita. “Devi solo essere rilassata, sei troppo tesa e anche la trama della maglia ne risente.”
Aveva preso in mano i ferri e le aveva mostrato le pecche. “Lo vedi come in alcuni punti sia più stretta e in altri più larga? È tutta questione di esercizio, devi lasciare le braccia morbide e vedrai. Con calma, tanto hai nove mesi per fare il corredino.”
Sul viso della giovane era comparsa una smorfia di esasperazione. “Non ce la farò mai, mamma!”
Harry aveva assistito in silenzio allo sfogo dell’amica, capendo perfettamente la sua amarezza. Era normale vederla riuscire in qualsiasi cosa, come se non le costasse mai alcuna fatica, perché era scontato pensare che lei fosse perfetta e abile in tutto.
“A me questo cappellino piace.” Aveva preso in mano la prima opera in lana dell’amica e l’aveva esaminato. Era buffo e c’era anche un buco nella parte alta, ma Harry non stava mentendo per consolare l’amica. Forse, non era il solito capolavoro a cui era abituato, ma era perfetto per lui. Una trama fitta, complicata e con qualche imperfezione.
Quando lo indossò i suoi capelli corvini spiccarono nel candore della lana.
“Harry, no! Non ti permetterò di uscire con quella mostruosità,” aveva esclamato la giovane donna. Le mani di Hermione erano scattate in alto, verso l’oggetto incriminato, ma il ragazzo le aveva bloccate.
“È il mio regalo di Natale. L’hai fatto tu e mi piace.”


***


“Come non dovrei restare? La mia migliore amica ha appena rischiato di perdere suo figlio e io non dovrei rimanere qui con lei? Spiegami il motivo, Ginny, perché a me sfugge!”
Non aveva potuto evitare di urlare e la maggior parte delle persone li stava fissando curiosa.
“Ho solo detto che sarebbe meglio se ci fosse Ron o sua madre, ma non tu.”
“Te l’ho già detto.” Il suo tono era stanco. Quante volte l'aveva ripetuto alla moglie? “Hermione non vuole mettere in allarme Ron, non alla vigilia della partita finale di Campionato con i Puddlemere United. Sai bene quanto tuo fratello sia ansioso di per sé…”
“Lo so! Però, non è giusto. Deve saperlo,” aveva replicato Ginny con una punta di fastidio nella voce.
“Lei vuole me al suo fianco. Io resto.”
Aveva parlato con la voce bassa, deluso dalle parole di sua moglie. Si stava parlando della loro migliore amica, eppure era capace solo di criticare le sue scelte e non di starle accanto.
“Fai quello che ti pare, l’hai sempre fatto, no?” Gli aveva rivolto uno sguardo ferito prima di voltargli le spalle e di lasciarlo solo nella sala di attesa.
La vide allontanarsi, chiamare l’ascensore e salirci, ma non ebbe la tentazione di richiamarla nemmeno una volta. Quando le porte si chiusero e Ginny scomparve alla sua vista, si diresse verso la stanza di Hermione.
Quasi con timore si affacciò dall’uscio, non sapendo come comportarsi. Aveva visto la paura negli occhi dell’amica e, nonostante le tante rassicurazioni della Medimaga, era ancora lì. Prepotente e pericolosa.
“Deve stare calma e rilassarsi. Accade a molte donne, non è la prima ad avere una gravidanza a rischio. Si ricordi: nessuno sforzo, nessuna preoccupazione.”
Quelle parole avevano tranquillizzato lui, ma non di certo Hermione.
“Ehi, non dovresti stare alzata!” aveva esclamato alla vista dell’amica fuori dal letto.
“Non ci riesco, Harry.” La sua voce era flebile e dovette aguzzare l'orecchio per udire la risposta.
“A fare cosa?”
“A non avere paura. È più forte di me.”
Per tutto il tempo aveva cercato di nascondere le proprie emozioni, non volendo mostrarsi debole agli occhi della madre o di Ginny, ma una volta rimasta sola con Harry, aveva abbandonato la sua aria spavalda.
“Finché non torna Ron, veglierò su di te e sarò al tuo fianco. Non devi avere paura, non ti lascerò sola, va bene? Però, devi farmi un piacere.”
“Quale?”
“Torna a letto.”
Hermione si era girata verso di lui allungandogli la mano. “Al mio fianco?”
“Sempre.”
Si erano distesi su quel lettino d’ospedale e Harry l’aveva abbracciata da dietro. Con timore, come se avesse paura di rompere una bambola. Di porcellana, perché era così che si sentiva Hermione.
Si addormentarono aggrappati l’uno all’altro, i loro respiri si fusero, finché Morfeo non li accolse a braccia aperte.


ore 8:00


Gli esseri umani sono animali testardi, impulsivi, capaci di graffiare e di lottare anche per una ragione che potrebbero dimenticare solo dopo qualche giorno. Si definiscono esseri ragionevoli, ed è per questa qualità che spesso tendono a primeggiare rispetto ad altre specie. Eppure, ci sono quei momenti in cui sono capaci di accantonare quella caratteristica; ed è allora che mostrano la loro vera forza.
Harry Potter aveva sempre lottato, non ricordava di aver mai passato un anno tranquillo nella sua adolescenza, come forse doveva essere. I ragazzi giocavano, si divertivano, si innamoravano, non dovevano lottare per sopravvivere, invece si era trovato a scontrarsi più di una volta con chi pretendeva di conoscere già l’epilogo della sua storia.
Si era aggrappato a quella pagina bianca, perché solo a lui spettava il diritto di riempirla.
Anche ora, mentre giaceva sull’asfalto duro, lottava per alzarsi e abbracciare Hermione. Qualcosa o ‘qualcuno’ sembrava lo stesse placcando per terra, impedendogli di calmare l’amica.
La vide stringere il cappellino di cui si era appropriato e che aveva sempre messo nonostante le proteste della ragazza. Il candore era stato guastato dal sangue. Il suo.
Tremava mentre piangeva e gli sussurrava di restare al suo fianco. Tremava come un fuscello durante una bufera di vento.
Stava per morire, ne era convinto e avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi, farsi trasportare da quella dolce corrente. Era stanco di lottare. Voleva solo sognare il suo epilogo.
“Resta, resta con me.”
Gli esseri umani graffiano, scalciano, quando sono convinti di una qualche ingiustizia e lui aveva imparato a farlo sin dal suo primo anno di vita.
Aveva sbarrato gli occhi, fissando la sua amica con apprensione, lottando per liberarsi da quelle funi invisibili. Come quel fuscello che non si lascia abbattere dalla furia del vento: le sue radici seppur deboli lo trattengono, lo stringono a sé, evitando che venga strappato via dal suo habitat.
“Harry.” Si era chinata su di lui per sentire il calore, per aggrapparsi a quella speranza. E lui aveva percepito l’odore caratteristico di Hermione; era qualcosa di forte, di pulito. Qualcosa che lo calmava e che gli ricordava sempre la bellezza delle cose, la semplicità, il coraggio di non arrendersi mai.
L’aveva sentito anche quel giorno sulle scale, quando lui aveva deciso di morire, di sacrificarsi per salvare lei e gli altri. Anche allora Hermione l’aveva abbracciato come solo lei sapeva fare. E come quel giorno, Harry si aggrappò.
A lei e a quel foglio bianco ancora da scrivere.



   
 
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