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Autore: NoceAlVento    30/12/2011    4 recensioni
« Allora domani al Giant Chasm, va bene? A che ora ci svegliamo? ».
« Mah, mezzogiorno? » propose neanche troppo spiritosamente Hilbert.
« Vada per le dieci. Se non ti svegli mando Kyurem a prenderti » Cheren tornò a guardare fuori dalla finestra « Buffo che un muro di qualche decimetro faccia la differenza tra vita e morte ».
« Buffo » gli fece eco Hilbert « Buonanotte Cheren ».
« Buonanotte Hilbert » rispose il suo amico, poi spense la luce e serrò la finestra per buona misura « Buonanotte Lacunosa ».
Genere: Avventura, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo del Conflitto Globale'
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Vox

Dedico questo racconto al mio gatto Fafnir, scomparso prematuramente durante la stesura del secondo capitolo. Come avrei voluto scrivere sull'urna delle tue ceneri, questo è stato proprio uno scherzo da te.


~Premessa~

Non è facile scrivere di Unova. Si tratta di una regione che ha tante, troppe sfaccettature, e che ciononostante manca di quel quid che la classificherebbe come la migliore esistente – titolo che, per quanto mi riguarda, detiene ancora Hoenn. Non ha l’ampiezza di Sinnoh, né quell’aura di arcaicità che caratterizza Kanto, e ovviamente non è abbastanza varia da poter competere con Hoenn. D’altronde vi sono diverse buone ragioni per ambientare Vox qui.

La prima è, chiaramente, la novità: Unova è priva di quei preconcetti, quelle caratteristiche che uno individua già dal nome, che per esempio elevano immeritatamente Johto sopra le altre. Non esiste, non so per quanto tempo ancora, una parola, una frase per classificare Unova, per definirla con economia di termini. Se infatti Pallet è forzatamente immaginata con le usuali quattro case a quadrato, lo stesso non si può dire di Nuvema. Questo può essere uno svantaggio per scrittori abituati a ragionare per nostalgia o al più a ignorare i paesaggi; non lo è per me.

In secundis, non mi sono mai trovato a mio agio nello scrivere con ambienti già fissi. La stessa Aequor, che prendo più o meno sempre a modello per le mie storie, rinuncia a tutte le costrizioni imposte da Kanto e ridisegna una S.S. Anne spesso distante dalla sua rappresentazione nei videogiochi. Inutile dire che lavorare con una regione di così ridotte dimensioni come Unova era infattibile se non modificandola. Riallacciandomi dunque al primo punto, quando leggerete di Nuvema non immaginatela come appare in B/W: gli ambienti principali sono stati ricostruiti per necessità mie e rispecchiano luoghi in cui sono stato piuttosto che le controparti di tali ambienti nei giochi. L’atmosfera generale sarà quella nota, ma i particolari saranno verosimilmente differenti rispetto a quelli reali.

Come per Aequor, i nomi usati per indicare i luoghi saranno quelli americani: qui troverete dunque una legenda che comprende le loro traduzioni in italiano. Saranno citate solo le nomenclature con una certa rilevanza nella storia, quindi per esempio le sigle dei giochi citati nel commento finale o nella premessa non saranno inserite – d’altronde, si presume che si conoscano già. Le mosse saranno l’unico caso in cui scriverò in italiano, principalmente perché i nomi inglesi mi ricordano troppo il battling competitivo e il mio è un racconto, non uno sterile elenco.

I capitoli usciranno a cadenza irregolare, dipende da quando mi sembrerà giusto pubblicarli; garantisco comunque che i tempi di attesa non supereranno la settimana salvo importanti imprevisti, e che questa storia giungerà al suo termine. Vi auguro buona lettura.


Novecento



~Legenda~

Abundant Shrine: Tempio Abbondanza.

Abyssal Ruins: Rovine degli Abissi.

Anville Town: Roteolia.

Azalea Town: Azalina.

Battle Subway: Metrò Lotta.

Bianca: Belle, rivale femminile di Bianco e Nero.

Black City: Città Nera.

Castelia City: Austropoli.

Casteliacone: Conostropoli, che non è una città ma lo stand del gelato di Austropoli.

Celadon City: Azzurropoli.

Cheren: Komor, rivale maschile di Bianco e Nero.

Cianwood City: Fiorlisopoli.

Cinnabar Island: Isola Cannella.

Desert Resort: Deserto della Quiete.

Dragonspiral Tower: Torre Dragospira.

Driftveil City: Libecciopoli.

Entralink: Intramondo.

Giant Chasm: Fossa Gigante.

Goldenrod City: Fiordoropoli.

Hilbert: Alcide, protagonista maschile di Bianco e Nero.

Hilda: Anita, protagonista femminile di Bianco e Nero.

Icirrus City: Mistralopoli.

Lacunosa Town: Fortebrezza.

Lilycove City: Porto Alghepoli.

Marvelous Bridge: Ponte Meraviglie.

Mistralton City: Ponentopoli.

Lostlorn Forest: Bosco Smarrimento.

Nacrene City: Zefiropoli.

Nimbasa City: Libecciopoli.

Nuvema Town: Soffiolieve.

Olivine City: Olivinopoli.

Opelucid City: Boreduopoli.

Pacifidlog Town: Orocea.

Pallet Town: Biancavilla.

Pokémon League: Lega Pokémon.

Route: Percorso.

Royal Unova: Nave Reale Unima.

Saffron City: Zafferanopoli.

Skyarrow Bridge: Ponte Freccialuce.

Snowpoint City: Nevepoli.

S.S. Tidal: M/N Marea, traghetto che collega Selcepoli e Porto Alghepoli.

Striaton City: Levantopoli.

Sunyshore City: Arenipoli.

Twist Mountain: Monte Vite.

Undella Bay: Baia Spiraria.

Undella Town: Spiraria.

Unova: Unima.

Village Bridge: Ponte Villaggio.

Wellspring Cave: Falda Sotterranea.

White Forest: Foresta Bianca.

I: “Ouverture”

È necessario prestare attenzione quando si parla di una regione. Vi è sempre quella categoria di persone che si sente offesa nel leggere di un luogo senza veder citato quello che preferisce, quella categoria che ha il compulsivo bisogno di sentire costantemente elogiata la sua idea prima ancora di ascoltarne altre. Non ho intenzione, tuttavia, di ridurre i meriti di Unova solo perché qualche turista poco avveduto preferisce Goldenrod a Castelia, Cianwood a Undella o Azalea ad Anville, tanto più che non ho scelto io che la storia che vado a raccontare si sia svolta lì. Detto questo, Unova è semplicemente maestosa.

La veduta aerea ricorda più una nicchia, una baia dipinta di verde, che una regione aperta al mondo; probabilmente ciò avviene a causa delle montagne ghiacciate ai lati. Spiccano subito alcune locazioni precise: Castelia a sud con l’immenso Desert Resort che la limita nella zona superiore; il lago centrale che fornisce l’accesso alla foresta dell’Entralink; i cinque ponti che attraversano le zone d’acqua collegando virtualmente l’intera regione; la piccola cittadina di Anville, immersa nel verde e spiritualmente isolata; la fortificata Lacunosa, forse uno dei villaggi più tradizionali che abbia visitato insieme al Village Bridge; infine la Pokémon League che domina prepotentemente l’intera Unova, coronando la regione.

Una delle peculiarità che ho sempre trovato interessanti di questo luogo è che non solo il clima sembra cambiare con il passare delle stagioni. È una sensazione difficilmente descrivibile per chi non vi è stato, ma le stesse persone che lo abitano danno l’apparenza di mutare d’umore con il trascorrere del tempo. In autunno i colori spenti suggeriscono la vivacità dell’estate che si avvia verso il suo triste epilogo, rimandando a un’allegria che ancora non è terminata ma che si sta assopendo, soffocata dai manti di foglie che scricchiolano al passaggio; d’inverno un alone celeste sembra invadere l’aria, gelando le paludi di Icirrus e tingendo di bianco la Twist Mountain, mentre i più fremono e rimpiangono il caldo sole estivo; la primavera riaccende le speranze che la neve aveva silenziato, i fiori tornano a coprire i prati del Route 1 e l’atmosfera pare farsi più respirabile, più viva, dimentica della grigia malinconia che fino a poco tempo prima le nubi portavano con sé. Ma l’estate, l’estate le supera tutte.

Non esiste stagione in cui non la si sogni. D’autunno per rimpianto, d’inverno per utopia, in primavera per il naturale desiderio con cui si guarda al prossimo futuro: l’estate è la regina, e tutto cambia con essa. A Undella il mare spumeggia, riflette i raggi del sole accecando i turisti che affittano una villetta nelle vicinanze della spiaggia, e le sue onde che si infrangono assumono un suono del tutto nuovo alle orecchie delle persone; a Castelia le strade si riempiono di gente che parla, si emoziona, vive, magari anche nell’ingenua innocenza di chi, senza sapere ciò che significa per i più sensibili a ciò che li circonda, pensa semplicemente di stare andando a fare compre; di sera a Nuvema i grilli scacciano con arroganza il silenzio che tanto ricorderebbe la neve che ovatta i rumori, mentre alcuni abitanti si dilettano in passeggiate notturne aggirandosi per i vialetti circondati dal verde. Tutto rinasce, tutto è visto sotto nuova, splendente luce, la felicità spadroneggia per tre mesi, e l’inverno non è più una dura realtà ma un pericolo lontano e quasi impensabile.

Tutti, almeno una volta, hanno desiderato di poter vivere dove è sempre estate.


Driftveil City è uno dei maggiori porti di Unova. Non è esattamente ciò che si definirebbe meta turistica, ma per una ragione o per l’altra è il centro pulsante della regione, il quartier generale. Si può dire che, anche se in senso differente rispetto a città come Olivine o Lilycove, il mare sia il vero protagonista nella vita degli abitanti del luogo: tra i velisti che viaggiano sul mare attratti dalle forti correnti che spirano in questa zona si fanno strada navi cargo e pescherecci che costituiscono la fonte per la maggior parte delle materie prime che circolano in Unova. Tali beni vengono sia portati negli angoli più remoti della regione sia smerciati nel mercato che si trova a ovest del porto. E lì la storia che mi accingo a raccontare ha veramente inizio.

In estate tutto cambia, dicevo prima: il mercato non fa eccezione, e infatti non è più chiuso ma aperto, lasciando respirare i compratori al suo interno. Immediatamente questi ultimi aumentano in numero, non limitandosi più alle madri che riforniscono la propria dispensa bensì a una vasta folla di persone di ogni risma proveniente da vari punti di Unova. La nostra attenzione deve però posarsi su due di questi, due quindicenni. Uno, con cappello e cuffie nelle orecchie, si chiamava Hilbert; l’altro, con occhiali e giacca, Cheren.

« Domani a mezzogiorno, quindi? » domandò il secondo « Non è troppo tardi? ».

« Fosse per te ti sveglieresti alle due del pomeriggio. Ritieniti fortunato che non abbiamo fissato per quell’ora la partenza ».

Si fermarono a una bancarella. « Ho detto tardi, non presto ».

« Il che significa che oltre ad essere pigro cerchi anche di nasconderlo. Bravo, continuiamo così » disse Hilbert con un sorriso che sapeva di beffa sul volto.

« E quando saremo… vuoi toglierti quelle cuffie? Danno sui nervi ».

« Ma ti sento, eh ».

Cheren, notando che era venuto il suo turno, si avvicinò al venditore « Sì, buongiorno, mi dia una dozzina di bottiglie di Moo Moo Milk… Hilbert, toglitele, infastidiscono, sembra che non te ne freghi niente di quello che dico ».

« Per l’appunto » rispose Hilbert, poi, vedendo che il suo amico non accennava a scherzare, le sfilò dalle orecchie « Contento? Ora dimmi ».

« Quando arriveremo a Undella? ».

« Se c’è bel tempo come penso che mezz’ora dovrebbe bastare in volo ».

Cheren allungò una mano verso le bottiglie « Mille grazie, quanto… ? 6.000P, speriamo di averli o dovrò darne una da 20.000… E se per caso scendesse un nubifragio? O più semplicemente fosse brutto, a te la scelta ».

« Con un treno direi un’ora e un quarto approssimativamente ».

« Sì, li ho, ecco a lei. Arrivederci! … Dio ce ne scampi. Speriamo ci sia buona visibilità aerea domani o in quel treno morirò prima di arrivare ».

« Magari hanno risolto quei problemi con l’aria condizionata » commentò Hilbert « Magari no ».

« Propendo per la seconda ».

« Piuttosto, hai finito qui? ».

« Penso di sì, fammi controllare… » Cheren estrasse un foglio dalla tasca destra « Okay, no ».

« Oh, santo cielo ».

« Però non lo troveremo qui. Devo comprare una vaschetta di gelato al Casteliacone ».

« Va bene, siamo ufficialmente morti. Lo sai che c’è sempre fila, cosa andiamo a Castelia a fare? ».

« Almeno proviamo, Hilbert » rispose Cheren « Se c’è fila ce ne andiamo subito, ok? ».

« E sia. Tanto tornare a casa adesso sarebbe ridicolo ».


Il Route 3 è la sintesi di ciò che è Unova. Inizia stretto, umile, quasi a dare l’impressione di essere breve e facile da attraversare: invece bastano pochi passi per ritrovarsi a un imponente bivio che impone di andare verso la Wellspring Cave a nord o verso Nacrene City a sudovest. È più o meno l’esatto complementare del suo omonimo in Kanto: mentre in uno spirano forti venti anche per diversi giorni nell’altro essi sono fermati dalle alte montagne; uno presenta laghetti e pozzanghere, l’altro crateri; in uno è predominante l’erba, nell’altro i rocciosi sentieri montani.

Erano ormai le sei di pomeriggio e il sole lentamente si apprestava a iniziare il suo tragitto che lo avrebbe condotto all’altro emisfero del globo. La pensione sul percorso era ancora inondata di luce, ma già trasparivano i segni di quel caratteristico mutare di colore da giallo ad arancione tipico del tramonto. Due ragazze si erano attardate lì per consegnare un pokémon: i loro nomi erano Hilda e Bianca.

« Per quando dovrei ripassare? » domandò la seconda « Lo vorrei ritirare già con Danzaspada. La impara al 56 ».

« Quindi cinque livelli » commentò l’anziana donna al banco « Una settimana o due dovrebbero bastare, visto il ritmo di crescita di Bouffalant. Vuoi lasciarne qui un altro? ».

« No, grazie, uno va bene. Comunque dovrei tornare tra quattro o cinque giorni, il tempo di rientrare da Undella, così controllo se sta bene ».

« Nessun problema, puoi visitarci quando preferisci. Il conto finale sarà di 600P ».

« Allora buon pomeriggio, e grazie mille! ».

Mentre uscivano, Hilda, che fino a quel momento era rimasta silenziosa, parlò « Perché alla pensione? Perché non lo alleni da te? ».

« Ho fatto il mio, direi, è al 51 » replicò Bianca « E comunque partendo per Undella non avrei avuto il tempo di farlo salire di livello da sola. Perché lasciarlo a Nuvema o peggio in una Poké Ball quando può divertirsi al fresco qui? ».

« Mi pare assurdo lasciare i propri pokémon nelle mani altrui, è irrispettoso. E se a loro non piacesse essere lasciati da una baby sitter? Cosa ne sai che quei due non li accudiscono solo per soldi? ».

Bianca si fermò sul bordo della scala che conduceva al sentiero e si voltò verso la sua destra: vi era un piccolo asilo locale, di quelli frequentati da non più di una trentina di bambini. Accanto all’edificio principale era locato un cortile immerso nel verde del parco e un box di sabbia in cui alcuni ragazzini del doposcuola stavano giocando allegramente.

« Ricordi di quando eri a scuola? » chiese quasi d’improvviso.

Hilda sembrò sorpresa da questa domanda « Beh, chiaramente ».

« Qual è il grado di scuola che ti ha lasciato più memorie? ».

« Penso le elementari. Ho sempre un buon ricordo di quando ci andavo ».

« Hai ancora in mente l’ultimo giorno? » proseguì Bianca « Io sì. Sul momento ero quasi felice di andare verso la scuola media, neanche un minimo rimpianto verso quei ventidue compagni che mi lasciavo alle spalle. La sensazione di innocenza perduta, di nostalgia per quei cinque anni passati… concetti del tutto estranei allora. Ricordo perfettamente che invece le mie maestre trattenevano a stento le lacrime. Alla consegna dell’ultimo di quei simbolici diplomi che davano a tutti noi una si era messa a piangere in pubblico. Ci era parsa una cosa strana, rammento. Nessuno capiva ».

« Qual è il punto? ».

« Quelle maestre avevano iniziato come nostre insegnanti stipendiate e avevano finito per considerarci parte della loro vita. Cinque anni non li puoi chiudere nel cassetto e dimenticare come nulla fosse. Anche quella coppia della pensione deve aver cominciato ad accudire pokémon per necessità di soldi, magari finirà per non scordare neanche una di quelle creature che centinaia di allenatori prima di noi hanno lasciato. Quando affidi tuo figlio o tua figlia a una scuola per cinque anni fai una scommessa, io nel mio piccolo voglio provare ».

A Hilda parve un discorso delirante: paragonare pochi giorni a un lasso di tempo di diversi anni era del tutto insensato. D’altronde, vuoi per il caldo che infiacchiva, vuoi per l’abitudine che aveva sviluppato ad ascoltare i pensieri di Bianca, non controbatté.

« Dove si va ora? » disse dopo qualche secondo di silenzio.

Bianca rimase a guardare i bambini giocare sullo scivolo del cortile per qualche istante; dopodiché, rispose « Nuvema, direi. Aspettiamo che quei due tornino ».


Goldenrod, mi dicono talvolta. Saffron, se proprio sono a corto di idee. Celadon come ultima spiaggia. Mi viene quasi da ridere, poiché nessuno di quelli che osanna come divinità queste città deve aver mai visto la più grandiosa, la più maestosa, la più viva che abbia conosciuto: Castelia City.

Castelia è un’importante città costiera locata nella zona centromeridionale di Unova. Nimbasa potrà essere importante per gli agi e l’intrattenimento: ma Castelia è il cuore pulsante, la base economico-finanziaria, il pilastro portante di tutta la regione. Non esiste centro da nessuna parte che sia paragonabile a questo luogo, anche solo per geografia: si trova infatti a sud del Desert Resort, arido deserto connesso al Route 4, e a nord dello Skyarrow Bridge, ponte sospeso che torreggia sul mare, configurandosi quindi come pressoché perfetta città portuale.

Castelia è divisa in due zone ben distinte: il nucleo cittadino è un distretto commerciale dai pochi rivali nel mondo, circondato da massicci grattacieli e altri edifici correlati al ruolo principale della città. D’altronde, il perimetro esterno è battuto su tutti i lati da porti cui attraccano navi di vario genere: si va da semplici traghetti che trasportano i passeggeri su isolette periferiche alla maestosa Royal Unova, crociera che per 1000P consente di sfidare gli allenatori che si ritrovano a bordo risalendo frattanto il fiume orientale della regione fino al Marvelous Bridge e tornando poi indietro, cosicché tra una battaglia e l’altra ci si può riposare osservando un magnifico panorama.

Eppure, malgrado la vocazione finanziaria della città, essa offre anche un volto mondano, mescolando le etnie più disparate, incorporando in sé culture e cibi di altre regioni e raccogliendo, quale mecenate del caso, numerosi artisti che aprono le proprie gallerie approfittando dell’abbondanza di costruzioni atte al caso. Mistralton avrà l’aeroporto, Olivine e Sunyshore un faro, Snowpoint la neve, Lilycove la S.S. Tidal. Ma niente è come Castelia.

Hilbert provò una grande soddisfazione nel constatare che i suoi dubbi erano fondati: davanti al Casteliacone si era addensata un'indomabile calca di persone che avrebbe impedito a chiunque di scorgere il piccolo stand che dietro si celava. Quanto a Cheren, egli si domandò filosoficamente se vi fosse un reale motivo per ammassarsi a un singolo rivenditore quando Unova era ricoperta di gelaterie: per lui il Casteliacone era solo l'ennesima impresa che viveva sul nome che si era guadagnata, come tante ve ne sono al mondo.

« Qualche idea? » esordì polemicamente Hilbert.

« Tanto valeva provare ».

« L'abbiamo fatto e ora sappiamo che non c'è speranza di prendere quel gelato. Che facciamo? ».

« Qualche idea? » lo canzonò Cheren.

« E se girassimo Castelia? ».

« Parlando del nulla assoluto? Mi sembra giusto. Che strada prendiamo? ».

« Proviamo quella opposta al molo. Di lì si arriva all'arteria principale, no? » suggerì Hilbert.

« Sei tu il capo, andiamo ».

I due percorsero il perimetro esterno della città e imboccarono la via più a ovest, ritrovandosi in un largo viale. Alla destra era la palestra pokémon locale mentre un po' ovunque erano disseminati palazzi illuminati. Percorsero la strada fino a ritrovarsi nella piazza centrale.

Di lì, a seguito di una discussione tra Hilbert e Cheren riguardo allo sbocco che fosse più opportuno prendere per raggiungere rapidamente il centro di Castelia, la coppia si mosse senza orientamento preciso fino a terminare in uno stretto vicolo costellato da cassonetti e bidoni dell'immondizia e da alti muri ricoperti di finestre su entrambi i lati. I ragazzi camminarono avanti per un po', eppure, forse per la complicità della totale perdita di punti di riferimento, a metà strada si fermarono esasperati.

« Non male, in meno di un quarto d'ora ci siamo già persi » bofonchiò Cheren.

« So perfettamente dove siamo ».

« No, non lo sai ».

« Sì che lo so, devo solo focalizzare sul luogo. Forse tornando indietro–– ».

« No, tornare indietro no » lo interruppe Cheren « Piuttosto andiamo avanti ».

« Possiamo sempre chiedere a qualcuno » commentò Hilbert.

« Oh sì, certo, al bidone della spazzatura ».

« In un dato momento della giornata siamo stati nella piazza, se ripercorriamo il cammino fatto ci torniamo e chiediamo indicazioni ».

« Per perderci ancora di più? No grazie. Voliamo via e addio giro. Oltretutto mi fischiano pure le orecchie, mi sembra di sentire musica. Ecco, sono impazzito ».

« Direi che sono riuscito a farti venire un esaurimento nervoso, alla fine » rise Hilbert « Obiettivo raggiunto. Va bene, dai, si fa pure tardi, andiamo via ».

Il giovane agitò la mano come per afferrare una sfera dalla cintura quando la sua vista fu attirata da qualcosa che il suo corpo nascondeva a Cheren « Quella là c'è sempre stata? ».

Il suo amico si sporse per scorgere ciò di cui stava parlando Hilbert, e con sua sorpresa sottoscrisse la domanda: era rimasta lì per tutto il tempo in cui i due erano stati nel vicolo o era apparsa dopo?

L'oggetto del quesito era una porta di relativamente ridotte dimensioni che si trovava sul muro. Non era appariscente, il che avrebbe parzialmente spiegato perché Cheren non l'avesse notata prima; tuttavia si trovava sulla metà di strada che la coppia aveva già percorso, ed era assurdo pensare che ci fossero transitati di fronte senza accorgersene. L'insegna sopra l'entrata mostrava una fumante tazzina da caffè e la scritta Café Sonata, segno che l'edificio in cui conduceva era con ogni probabilità un bar.

Hilbert si avvicinò con fare sospettoso all'asse lignea, quasi intendesse verificare per sicurezza che essa esistesse davvero: appurato ciò, vi avvicinò la mano.

« Sei pazzo? » lo fermò Cheren « Che ne sai di che c'è dentro? ».

« È un bar. Cosa dovrebbe esserci dentro, una salumeria? ».

« Un bar in un viottolo in cui non passa anima viva. Non ti insospettisce neanche un po'? ».

« Come no, infatti mi sono assicurato che non fosse un miraggio » replicò sornione Hilbert, e tanto velocemente da eludere il suo amico abbassò la maniglia e aprì la porta.

Dire che l'atmosfera interna fosse inquietante significherebbe mentire: era anche peggio. Attorno a colui che pareva un chitarrista si attorniavano quattro o cinque persone, di cui alcune visibilmente ubriache, intente a fare da spettatori a quello che sembrava un concerto – Hilbert e Cheren dovevano essere entrati nella pausa tra un'esecuzione e l'altra. Dietro al gruppo stava un bancone rigato in legno su cui uno stanco barista stava cercando sostegno. Oltre a questi, pochi altri avventori sostavano ai tavoli, e gli unici erano addormentati o erano prossimi a diventarlo. L'unico tocco di colore che stonava dall'uniforme marrone delle pareti era dato da un quadro appeso a sinistra che raffigurava una sorta di miscuglio tra una fortezza e una città. Ma la cosa più insensata era che, dal momento preciso in cui i due amici erano entrati nel locale, non si era sentito alcun rumore di qualsivoglia genere.

Cheren e Hilbert si avvicinarono al banco e tentarono di parlare all'oste. Questi per tutta risposta continuava a ripetere sempre la medesima litania « Mi fa piacere vederti. Accomodati pure » senza variazioni, con un tono a metà tra lo svampito e l'annoiato.

« Una melodia allegra rende tutti felici. Una melodia triste, invece, rende malinconici. Questa è la forza della musica ».

I due ragazzi si voltarono per vedere chi aveva parlato, ma non trovarono risposta. Nessuno si era mosso dalla propria precedente posizione, parevano statue di cera.

« Che mortorio » sussurrò Hilbert.

« Mette i brividi, andiamocene » gli fece eco Cheren. « Domando scusa a tutti » disse poi ad alta voce « Non volevamo disturbarvi. Continuate pure a, beh, quello che stavate facendo ».

« Temo di non potervelo permettere ».

Di nuovo la coppia si girò per localizzare il suo interlocutore, e di nuovo nessuno si fece avanti. L'unica certezza era che non era il barista poiché il timbro vocale era diverso; per il resto, brancolavano nel buio.

Cheren si avviò verso l'uscita, ma quando tentò di abbassare la maniglia emise un grido misto di paura e sofferenza e ritrasse terrorizzato la mano « Dio mio, è bollente! ».

« Temo di non potervelo permettere ».

« CHI SEI, FATTI VEDERE! » urlò veemente, ma nessuno replicò neanche questa volta.

« È stato il musicista » commentò Hilbert « Mentre tu ti scottavi l'ho tenuto d'occhio ».

Per tutta risposta, l'imputato iniziò a suonare una dolce melodia con la sua chitarra, la stessa che i due avevano udito all'esterno credendola un'allucinazione, azione che infiammò ancora di più gli spiriti degli adolescenti, già infervorati dall'esasperazione. Cheren scattò verso di lui con la foga di chi vuole venire alle mani, tuttavia non appena provò a stringere l'uomo questi svanì e il giovane si ritrovò a dover sforzarsi per restare in bilico, avendo sbilanciato tutto il suo peso su qualcosa che più non c'era. Dunque arretrò lentamente fissando ancora quel vuoto lasciato dal desaparecido.

« Che sta succedendo, Hilbert? » domandò ancora scosso.

Il suo amico non fece in tempo a rispondere, interrotto dall'improvviso spegnimento delle luci. Il buio avvolse la stanza e i due iniziarono a tastare l'oscurità fino a trovarsi reciprocamente. L'unica fonte di illuminazione proveniva dall'esterno e filtrava attraverso i cardini della porta.

« So che volete fare. Non fatelo ».

Cheren non parlò ma dedusse da quella frase che, qualsiasi cosa avesse messo in atto, quel chitarrista era rimasto comunque all'interno del bar.

« NON FATELO ». Un corpo iniziò a brillare al centro della sala, iniziando ad avanzare a discreta rapidità verso i due amici. Hilbert distinse in esso le fattezze del musicista che aveva accusato di averli minacciati, eppure appariva in stato di putrefazione. L'oggetto iniziò ad aumentare velocità.

« LACUNOSA » si sentì urlare da ogni parte nell'oscurità, e temendo una collisione i ragazzi fuggirono dalla porta.

Usciti dal locale, i due iniziarono a scappare nella direzione da cui erano venuti. Non si fermarono neanche un istante, spaventati dal silenzio e dall'isolamento poiché temevano che quella visione riapparisse. La loro maratona si arrestò solamente una volta giunti miracolosamente nell'arteria principale, sentendosi rassicurati dal gran numero di persone che vi transitavano. Dopodiché, decisero di tornare a Nuvema a piedi, non arrischiandosi a volare per non rimanere di conseguenza di nuovo soli.


Nuvema Town è la città più a sud di tutta Unova. A essere precisi, definirla città è un pesante errore: come molti altri casi nella regione si tratta in effetti di un esteso villaggio. Caratterizzata da un gran numero di villette di cui gran parte vanno in affitto ai vacanzieri – ma ovviamente non è questo il caso per i quattro personaggi presentati, che abitano qui stabilmente –, essa è percorsa da un imponente sistema di piccoli viali che, similmente a una ragnatela, rendono possibile raggiungere quasi ogni angolo del luogo. Le vie sono illuminate anche in notturna da una serie di ravvicinati lampioni che rendono agibili a ogni ora queste stradine ideali per rilassanti passeggiate in compagnia dei grilli.

Nuvema è delimitata per tre lati dal mare, ma in effetti solo da quello meridionale l'acqua è effettivamente raggiungibile direttamente; a sinistra è necessario prima attraversare i Routes 17 e 18, mentre a destra è locato un vasto boschetto composto da una piana ricoperta da aghi di pino ingialliti e da alti alberi dai tronchi cilindrici.

Proprio in quest'ultimo Hilbert e Cheren, rientrati a ora tarda per la ragione che ho esposto sopra, si trattennero per parlare.

« Sì, va bene, e fin lì ci sono arrivato » disse il primo « Ma non voleva che facessimo cosa? ».

« Non lo so, vedi tu. Cosa stiamo per fare? ».

« Andare a Undella. Però quello ha parlato di... che ha detto? Laruucosa? ».

« Lacunosa. È una città a nord-ovest di Undella. Mi pare chiaro che non vuole che andiamo lì » suggerì con la massima serietà Hilbert « E io non sono solito mettermi contro forze superiori ».

« Rinunciare alla vacanza? Per una visione? Non se ne parla neanche » tagliò corto Cheren.

« Cerca di essere ragionevole. Non puoi dire che era una visione. L'abbiamo visto entrambi quello che è successo, non è possibile che ce lo siamo sognati ».

« Cerca di essere ragionevole tu. Pianifichiamo questa vacanza da mesi, e ora per un qualcosa che succede il giorno prima dovremmo lasciar perdere? ».

« Sai com'è, preferisco la vita al mare ».

« Parli come se potessi avere solo una delle due ».

« Non sono io a dirlo, è quel maledetto musicista. L'hai sentito, che ha detto? “Non fatelo” e poi “Lacunosa”. Noi stiamo andando in un posto che ci è praticamente attaccato. Non è una coincidenza, cazzo ».

« Ma noi neanche ci vogliamo andare a Lacunosa, ci staremo lontani. Dov'è il problema, spiegamelo. È così terrorizzante andarci per te? Se domani un flautista indemoniato ti grida “UCCIDITI” tu ti butti giù dallo Skyarrow? Spiega un po' ».

Hilbert, platealmente stanco sia per il litigio che per la camminata, decise di troncare il diverbio « Va bene, sai cosa? Andiamo a Undella. Ma quando finiremo tutti e quattro morti Dio sa dove saprai di aver fatto una stronzata. Detto ciò, buonanotte ». Dopodiché si avviò a passo svelto in direzione di casa sua.

« Da morto non me ne fregherà niente! » gli gridò dietro Cheren, poi si accasciò sugli aghi secchi e volse lo sguardo alle stelle.

   
 
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