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Autore: Alkibiades    04/01/2012    3 recensioni
Per entrare in quel luogo, in mezzo al nulla, o meglio, il nulla in mezzo a qualcosa, dovevi aver proprio fame, bisogno di soldi, oppure un cuore grande, enorme, e voglia di rischiare l'omicidio da parte di persone con turbe mentali, idee diverse, sognatori.
In altre parole, per entrare in quel luogo, bisognava essere masochisti.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Osp

Stanza asettica, bianco sulle pareti, sul cuscino, sul pavimento. Piastrelle bianche, stoffa bianca, intonaco bianco. 

Silenzio.

Il ronzio delle lampade a neon, obsolete, contrastava con i silenziosi dolori che ognuno portava in sé.

Le uniche note di colore, se si poteva usare una parola così armoniosa, si notavano solo sulle lenzuola, sbiadite dai troppi lavaggi, acquerellate, sfilacciate, di un verde stanco.

Bianco e verde, verde e bianco.

Cuscini bianchi, intrisi di lacrime, con le anime intere entravano, svuotati, gusci vuoti ne uscivano; era un ottimo modo, il guardare i cuscini, per capire quali erano i nuovi arrivati, i nuovi ospiti, o meglio, era un metodo funzionante solo per le donne, o ragazze: il trucco. 

Il trucco sul bianco, nero, colore bandito, l'insieme di tutti gli altri, per questo proibito. Entravi lì e tutto era soffuso, apatico, oggettivo, già, per la soggettività dovevi cercare da altre parti, non là, no di certo.

Quando piangevano la loro sorte, il loro trucco per l'appunto, colava. Mica gli colava da solo, colava con la loro anima, fino a farsi via via sempre più grigio, sempre più chiaro, fino a diventare un fiume di lacrime, incolore, bianco nel bianco.

Smettevano di volersi bene, non si pettinavano, non si truccavano, non si vestivano nemmeno più secondo la loro volontà.

Per gli uomini, ti dovevi arrangiare.

Gli inservienti, o meglio, gli ospitanti, entravano una volta ogni due giorni nelle stanze. Passi leggeri, movimenti esperti, aprivano le finestre prima chiuse a chiave, le richiudevano dopo un po', se ne andavano, passi leggeri, com'erano arrivati, in silenzio, nessuna parola.

Gli ospiti passavano le loro giornate fissando le finestre chiuse, il riflesso del mondo nei loro occhi in via di spegnimento, il riflesso degli occhi in via di spegnimento nel loro mondo in un tripudio di colori abbacinante.

Se c'era una cosa snervante nelle lunghe, lunghissime notti lì dentro, era il ronzio delle lampade al neon: un ronzio asfissiante, senza tregua, in una luce fredda, senza calore, senza gioia.

Odiavi la notte, odiavi il giorno, odiavi le lacrime, odiavi gli ospitanti.

Quotidianamente un ospite, saltava letteralmente addosso a un ospitante, giusto per fargli capire chi viveva in quelle camere, giusto per il gusto di toccare qualcuno che ancora aveva un'anima calda.

Gli inservienti quindi facevano corsi di autodifesa, qualche volta, dicevano, c'era pure scappato il morto, quindi vai, vai a farti un corsetto di arti marziali, che non si sa mai.


Il 15 dicembre, sotto una caduta incessante di pioggia e neve abbracciate tra loro, Varlam entrò dentro a quella che sarebbe stata la sua casa per il resto della sua vita.


Per entrare in quel luogo, in mezzo al nulla, o meglio, il nulla in mezzo a qualcosa, dovevi aver proprio fame, bisogno di soldi, oppure un cuore grande, enorme, e voglia di rischiare l'omicidio da parte di persone con turbe mentali, idee diverse, sognatori.

In altre parole, per entrare in quel luogo, bisognava essere masochisti.

D'estate era caldo, asfissiante l'umidità, zanzare in sciami innumerevoli, malattie tra gli ospiti che diventavano delle piccole pandemie, d'inverno era freddo, secco, non riscaldavano troppo gli ambienti, arti che si scurivano, arti che andavano tolti, anime che partivano.

Fumo.

Sognatori.


Il 15 dicembre, sotto una caduta incessante di pioggia e neve abbracciate tra loro, un pazzo, masochista,  di nome Varlam, per scappare da tutto e tutti, entrò dentro a quella che sarebbe stata la sua casa per il resto della sua vita.


  
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