Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _Shantel    04/01/2012    14 recensioni
Il sogno di ogni ragazza è stato sempre quello di incontrare il principe azzurro: bello, ricco, sensuale e fantastico, e quale migliore rappresentazione moderna di questo ideale c’è oggigiorno? Ma un calciatore, chi sennò?
Celeste Fiore non è d’accordo. Lei sogna l’amore, quello vero, quello epico e quello che ha smosso mari e monti per secoli. Non si sognerebbe mai di stare con un rinoceronte senza cervello.
Leonardo Sogno, invece, del calcio, ne fa la sua vita. È il bomber della Magica, l’idolo del momento, il ragazzo più sexy d’Italia. Ama divertirsi e non pensare al domani, ma soprattutto l’amore non sa nemmeno cosa sia.
Ma, ahimé, si sa che le vie dell’amore sono infinite e cosa succederebbe se Celeste e Leonardo, per un caso fortuito, si incontrassero?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 13



Bagnoschiuma ai frutti di bosco.
Preso. Senza di esso, la doccia potevo anche scordarmela. Era l'unico sapone che usavo per il suo odore delicato e per quella schiuma densa che mi lambiva il corpo. E, detto sinceramente, non volevo passare quattro giorni senza lavarmi e puzzare quanto i calzini di Robbeo.
Piastra per capelli.
C'è. Dove volevo andare senza quell'aggeggio che mi aveva salvato la faccia più di una volta? Non potevo minimamente immaginarmi senza piastra, anche perché in una sola occasione ero andata in giro con i capelli au natural e mi era bastato. Sembrava che avessi indossato una parrucca di paglia e la gente credette fosse già arrivato Halloween, nonostante le cicale di Giugno cantassero all’ombra degli alberi. Pareva mi fossi travestita da spaventapasseri.
Mi sistemai la coda scompigliata dietro le spalle e appoggiai entrambe le mani sui fianchi osservando la mia camera per un paio di volte. Stavo preparando la valigia per la partenza di Londra e non volevo scordare nulla d’importante a casa, anche perché stavo per andare all'estero ed era la prima volta che mettevo piede fuori dall'Italia. Certo, mancavano ancora tre giorni alla partenza ed era un po' presto per preparare le valigie, ma sapere di dovermi allontanare da casa mia, dal mio piccolo universo, mi preoccupava e mi spaventava.
Preparare i bagagli, allora, era diventato una sorta di esorcismo contro il terrore di lasciare il mio appartamento, le quattro mura in cui mi sentivo sicura e protetta dal resto del mondo. Inoltre, così facendo, non rischiavo di dimenticarmi qualcosa. Prepararle con maggior anticipo, era scientificamente provato dalla sottoscritta, diminuiva il rischio e il pericolo di lasciare a casa oggetti importanti, vestiti e quant'altro, senza le quali un soggiorno in un Paese straniero sarebbe stato una tortura.
A una prima, rapida, occhiata sembrava che non avessi dimenticato nulla, almeno per il momento. Abbassai lo sguardo verso la valigia blu e controllai ciò che avevo messo dentro. Jeans, scarpe da tennis, un paio di chanel eleganti con il tacco, semmai Ruben avesse avuto la geniale – quanto improbabile – intuizione di portarmi fuori a cena; un vestito da abbinarci, qualche maglietta e solo cinque maglioncini. Forse non sarebbero stati sufficienti, vista la fama di Londra come città abbastanza fredda anche ad Aprile e non volevo morire assiderata solo perché non mi ero attrezzata a dovere. Presi dall'armadio altri quattro maglioni più pesanti, nell'eventualità di trovare il gelo polare e i pinguini appostati in ogni angolo della città che mi salutavano con le loro buffe ali e che ridevano di una povera e sprovveduta ragazza italiana con le stalattiti che le pendevano dal naso.
Acchiappai il maglione rosso acceso che mia nonna aveva fatto a maglia apposta per me qualche Capodanno fa e cominciai a piegarlo minuziosamente, in modo da non sgualcirlo o rovinarlo.
Era rosso. Di un rosso acceso. Di un rosso caldo.
Rosso come i capelli di Romeo. Rosso come quelli di Annalisa.
La mia mente si assentò per qualche attimo, andando a ripercorrere la giornata di pedinamento per i vari negozi di via Condotti. Ricordavo qualsiasi attimo di quel pomeriggio, tutto quello che si erano detti il mio migliore amico e quell'arpia con le unghie fresche di manicure. C'erano state rivelazioni inaspettate, certo, come il fatto che Romeo era sempre stato innamorato di me e che ora, invece, provava quegli stessi sentimenti per qualcun’altra. Questo mi sollevava, anche se minimamente, visto come lo avevo trattato in tutti i nostri anni di conoscenza. Solo come amico e, per giunta, era sempre stata la vittima delle mie prese in giro, delle mie frustrazioni, del mio nervosismo che si abbatteva sempre su di lui, calpestando quel suo cuore senza nessun riguardo.
Questo, però, era solo il problema marginale di tutta la faccenda. Inizialmente non credevo di aver carpito abbastanza da quel pomeriggio da Sherlock Holmes, ero certa che fosse stata solo una perdita di tempo, uno spreco inutile di ore che avrei potuto passare a studiare per l'università. Ed invece non era stato così, il mio cervello aveva immagazzinato informazioni senza che io me ne rendessi conto. Lo aveva fatto per tutti quei giorni, per quelle settimane in cui Ruben si era avvicinato a noi e tutte le informazioni si erano accumulate in un angolo del mio cervello, si erano accatastate una sopra l'altra disordinatamente come fogli di carta, rendendo la mia mente una sorta di archivio sgangherato in cui nessuno aveva messo piede da giorni interi. Stava a me analizzare foglio per foglio, sarei stata io l'addetta all'archivio, colei che doveva mettere un po' d'ordine nel marasma d’idee e sospetti che infestavano la mia mente.
Fin dal primo giorno in cui avevo visto Ruben, mi era sembrato di avere l'impressione di parlare con un attore, con qualcuno che fingesse di essere ciò che non era. Ovviamente non avevo dato granché peso a tutta la questione, dal momento che lo avevo inquadrato come un troglodita intellettivamente non alla mia altezza. Poi lui, senza che me ne rendessi conto e con il tacito aiuto del destino, era entrato a far parte della mia vita e tutti i miei sospetti e i miei dubbi su quel misterioso comportamento erano stati sepolti nella mia mente, chiusi a chiave in un angolo remoto del mio cervello. Ruben parlava, diceva di essere un fioraio, diceva di essere un grande amico di Romeo, diceva di essere tra i conoscenti del famoso Leonardo Sogno ed io non avevo mai fatto una piega di fronte a queste affermazioni, quasi non avessi mai prestato veramente ascolto a ciò che mi diceva. Erano tutte idiozie cui io avevo creduto, alle quali non avevo dato l'importanza che si meritavano. E aveva trascinato con sé, dentro quel mare di menzogne, non solo il suo amico-talpa e Annalisa, ma addirittura Romeo. Lo aveva usato come tramite per arrivare a me e il mio migliore amico non aveva opposto resistenza, si era lasciato trasportare inerme da Ruben o come cavolo si chiamava lui e non ne sapevo il motivo. Ero stata talmente cieca, talmente stupida da non rendermi conto che il mio ragazzo e il mio migliore amico erano complici nel mantenere chissà quale strano segreto e me ne rendevo conto solo ora, mentre preparavo le valigie per partire con un ragazzo di cui sapevo solo il nome, o nemmeno quello. Non conoscevo il suo cognome, non sapevo dove abitasse, quali fossero le sue passioni e questo perché lui non si era mai aperto nei miei confronti. Parlava, parlava sempre, ma mai una volta mi aveva detto qualcosa di sé, quasi stesse recitando la parte di un personaggio di cui conosceva soltanto il nome.
Perché avevo aperto l'archivio solo in quel momento? Perché non mi ero mai resa veramente conto che Ruben mi nascondeva qualcosa? Qualcosa che dovevo necessariamente scoprire il prima possibile. Ormai non potevo più far finta di nulla. Avevo aperto la porta dei miei ricordi ed ero stata sommersa da una valanga di fogli che non potevo più richiudere dentro quella parte remota del mio cervello, non potevo ignorarli ancora una volta e rischiare di farmi più male del dovuto, rischiare di ferirmi non appena la verità fosse venuta a galla da sola, senza che io facessi niente per farla uscire allo scoperto. Mi ero lasciata trasportare troppo da lui, da quel sentimento che stava crescendo in me e che nutrivo per i suoi occhi e per quel suo sorriso disarmante. Non avevo dato ascolto al mio subconscio che aveva cercato di farmi rendere conto di qualcosa, più di una volta. Lo avevo messo a tacere, avevo lasciato che la parte razionale di me si assopisse, lasciando il posto all'impulsività.
Gran bell'errore. Hai provato sulla tua pelle parecchie volte cosa vuol dire mettermi a tacere.
Tutte le volte che avevo voltato le spalle al mio subconscio, ero stata distrutta dai miei stessi sentimenti, dalle persone di cui credevo potermi fidare, ma che in realtà si erano sempre dimostrate pessime, orribili bestie senza cuore che avevano giocato con i miei sentimenti. Per quel motivo ero diventata cinica, una pazza furiosa acida quanto uno yogurt tenuto in frigorifero per cinquant’anni, per non far avvicinare nessuno a me e rischiare di soffrire ancora, per essere calpestata nuovamente. E aveva funzionato per un certo periodo. I ragazzi scappavano da me, spaventati dal mio pessimo e insopportabile carattere. L'unico che era riuscito a scavalcare le barriere da me imposte, che non si era lasciato intimidire dalla mia forza d'animo era stato Ruben ed io gli avevo dato fiducia, nonostante ignorassi chi fosse e tanto meno da dove venisse.
Chi è davvero Ruben?
Era la prima volta che mi ponevo quella domanda. O meglio, era la prima volta che ero davvero intenzionata a trovare una risposta a quel mio dubbio. Provavo qualcosa per lui, un sentimento difficilmente spiegabile, che oscillava tra il volergli bene e qualcosa di molto più profondo di una semplice amicizia. Se realmente mi stava nascondendo qualcosa, non potevo correre il pericolo di innamorarmi di lui e rischiare di soffrire ancora una volta. Avrei dovuto essere più accorta nei confronti di Ruben invece di farmi incantare dalle sue parole e dai suoi sorrisi, dietro ai quali chissà quali segreti si celavano.
Lanciai il maglione rosso fatto a maglia sul letto e guardai a lungo la valigia blu aperta e quasi del tutto colma di cianfrusaglie. Come potevo partire serenamente insieme a un ragazzo quasi sconosciuto come Ruben? Come potevo fidarmi di un tipo piombato nella mia vita così di punto in bianco, sommergendomi di baggianate alle quali io avevo creduto come una stupida?
Mi ero fatta scivolare addosso ogni preoccupazione, ma non potevo più fingere che andasse tutto bene, non potevo più fare finta di nulla e nascondermi dietro l'infinita voglia che avevo di sperimentare di nuovo l'amore, di farmi trascinare in una spirale di sentimenti che avevo dimenticato da tempo.
Strizzai gli occhi e mi passai entrambe le mani sul viso, come se così potessi in un qualche modo lavare via ogni mia paura. Presi un grande respiro e uscii dalla mia camera da letto, senza quel solito sorriso ebete che mi accompagnava da qualche giorno a quella parte. Non c'era nessun motivo di essere felici, dal momento che quasi sicuramente il mio ragazzo non era chi aveva detto di essere.
Raggiunsi velocemente il salotto dove trovai Romeo spaparanzato sul divano mentre si guardava la puntata di un qualche telefilm stano che trasmettevano sulla Fox. I suoi occhi assonnati mi seguirono dalla soglia della porta fino al televisore e si spalancarono d'incredulità quando lo spensi con rabbia.
«Ehi! Che cavolo fai?!» esclamò irritato, svegliato di soprassalto dalla mia furia.
«Dobbiamo parlare,» dissi perentoria e il mio tono non ammetteva repliche.
Mi piazzai di fronte a lui con le braccia incrociate e le labbra che tremavano, nell'inutile tentativo di trattenere la delusione e la rabbia.
«Di cosa? Di come rovinare il pomeriggio a Romeo Ciuccio?» ironizzò, ma il mio sguardo lo trafisse, facendogli perdere quel ghigno di divertimento per la sua stessa battuta. Sbuffò sonoramente e si sedette dritto sul divano, invitandomi ad accomodarmi accanto a lui. Declinai l'invito scrollando appena la testa.
«Lo so che la situazione tra me e Annalisa è molto equivoca,» cominciò a parlare, pensando probabilmente che la mia rabbia fosse dovuta alla sua “frequentazione” con la piattola. «È una ragazza un po' frivola, ma non è così male passare del tempo con lei. O almeno, non quando mi carica come un mulo con tutte le sue buste di Bucci e compagnia.»
«Gucci,» lo corressi. «E comunque questa volta il problema non è Annalisa. Non proprio, insomma.»
«Oh,» disse solamente in un soffio e spostò lo sguardo su ogni oggetto presente in salotto. «E... e quale sarebbe il problema?» Domandò dubbioso, senza degnarmi nemmeno di un'occhiata. «Se è perché non ho sistemato camera mia, ti prometto che lo faccio appena possibile, prima che ti trasformi in Hulk e mi uccidi con un cazzotto,» sghignazzò.
«Fa poco lo spiritoso!» Lo rimbeccai, sempre più seccata.
«E tu fai poco l'enigmatica. Lo sai che non brillo per acume,» il suo tono di voce divenne improvvisamente serio e incalzante. «Se vuoi dirmelo, bene, sennò lasciami guardare la fine della puntata.»
Spostai il peso da un piede all'altro, mentre mi mordicchiavo l'interno della guancia con insistenza. Ero agitata e avevo paura. Era da molto tempo che non sentivo quella strana morsa al cuore che lo avevo intrappolato e che lo stava accartocciando piano piano, come se fosse un inutile pezzo di carta straccia. Molto probabilmente perché fino ad allora non avevo mai permesso a nessuno di avvicinarsi così tanto al mio cuore da poterlo addirittura sfiorare. Ruben era l'unico cui avevo dato quell’opportunità, dopo tanti anni passati nel gelido inverno delle mie emozioni, assopite sotto uno strato di ghiaccio. E forse avevo paura di scoprire la verità, di privarmi di quel calore che ora, a poco a poco, mi stava sciogliendo. Se mi fossi fermata in quel momento, mentendo a Robbeo, non sarebbe accaduto nulla e io e Ruben saremmo rimasti insieme. Fine della storia.
Non potevo, però, vivere nella menzogna e nella falsità, fingere di essere un’allocca che credeva ancora alle sue scuse strampalate e alle sue strambe amicizie. Dovevo affrontare le mie paure, a testa alta, mostrarmi forte davanti alle avversità, anche se Ruben sarebbe stato l'ennesima delusione, l'ennesima ferita che il mio corpo avrebbe dovuto subire in silenzio.
«Riguarda, riguarda…» Tentai di dire più volte il nome di Ruben, ma le lettere rimasero incastrate in gola, appigliate alla mia laringe per non uscire.
«Chi o cosa?» Incalzò Robbeo, allargando le braccia e facendo un mezzo sorriso.
Feci appello a tutto il mio coraggio e respirai a fondo, cercando di togliermi di dosso la spiacevole sensazione di soffocamento che stavo provando.
«Ruben.»
Quel nome bastò per far ammutolire il mio migliore amico. Rimase a fissarmi con gli occhi sgranati e il volto pallido come un lenzuolo, mentre la lancetta dei secondi del grande orologio appeso alla parete di fianco alla porta della cucina scandiva lo scorrere del tempo.  Il volume del ticchettio aumentava a mano a mano che il silenzio si faceva sempre più concreto tra di noi, come se fosse diventato quasi un muro invalicabile frapposto tra me e Romeo, tra me e la verità.
«Co-cosa vuoi sapere?» La sua voce arrivò in un sussurro, susseguita da un rumore gutturale di saliva che faticava a scendergli giù per l'esofago.
«Non saprei,» scrollai le spalle e schioccai la lingua. «Forse la verità?»
«Quale verità?» Sorrise, ma era chiaro che dietro quelle labbra increspate si nascondessero inquietudine e nervosismo.
«Sono stata una cretina. O forse è meglio definirmi imbecille,» cominciai rabbiosa, soprattutto verso me stessa, perché non ero stata in grado di carpire ed elaborare per tempo tutte le stranezze che ruotavano attorno alla figura di Ruben. «Mi sono lasciata abbindolare dalle sue storielle e non so nemmeno io il perché. Fatto sta che, prima, mentre preparavo le valigie, mi son decisa a togliermi le fette di salame dagli occhi e di analizzare la situazione con lucidità.» Feci una lunga pausa per riprendere fiato e per guardare le varie espressioni del volto di Robbeo. Era passato da un iniziale disinteresse per le mie parole, fino a diventare inquieto su quel divano via via che il mio discorso acquisiva consistenza. «Perché, sai, mi sono resa conto che sto per partire con un ragazzo che nemmeno conosco. E che forse nemmeno tu conosci… non è così Romeo?»
«Ma se siamo amici da tempo!» Esclamò, con un sorriso che non aveva nulla di naturale. Gli angoli della bocca tremavano e i suoi occhi cupi contraddicevano l'espressione gaia del suo viso.
«Ah già, è vero! Che sbadata che sono,» ridacchiai, ma la mia pantomima finì due secondi dopo. «Per chi mi ha presa, Romeo? Per un'idiota? Forse ti ho dato modo di pensarlo, dato che fino ad adesso mi sono comportata come tale, ma ho vissuto all'oscuro di chissà cosa per troppo tempo. Avrei dovuto cercare di far luce subito, piuttosto che aspettare che qualcosa si smuovesse in me.»
«Non è, non è niente di che,» cercò di tergiversare e si alzò dal divano, dandomi le spalle e camminando irrequieto per il salotto.
«Se non è niente di che, perché non me lo dici tranquillamente, invece di nascondere questo segreto come se fosse il tesoro più importante?»
«Celeste, davvero, io...» disse, ma si fermò a metà frase, forse perché non sapeva come continuarla. «...io non so come dirtelo.»
«Connettere il cervello alla bocca sarebbe un buon inizio,» dissi sarcastica, ma sull'orlo di una crisi isterica.
Romeo si fermò a pochi centimetri dal tavolino di vetro che c'era di fronte al divano. Rimase immobile per un po', stringendo i pugni, poi si voltò verso di me, con lo sguardo spento e triste.
«Non sta a me dirtelo,» mormorò, socchiudendo gli occhi.
«Avanti Romeo! Sei il mio migliore amico!» Lo spronai. «Se non me le dici tu queste cose, chi altri dovrebbe dirmele?»
Romeo abbozzò un sorriso e scosse lentamente il capo.
«Ruben. Dovrebbe dirtele lui, queste cose, visto che c'è in gioco la serenità di due persone,» rispose con un tono di voce basso. «Ora scusami, ma ho bisogno di stendermi.»
Non mi diede modo di rispondergli, di convincerlo a vuotare il sacco che già era sparito in corridoio. Sentii la porta della sua stanza sbattere, poi la chiave girare nella toppa. Allora era vero, Ruben mi nascondeva qualcosa e anche Romeo era coinvolto in quel giro di bugie nel quale ero stata intrappolata contro la mia volontà.
Mi massaggiai le tempie con indice e medio, sentendo che la testa mi stava per scoppiare, mentre dei passi leggeri si avvicinavano al salotto. L'unica cosa che potevo fare, in quel momento, era chiamare Ruben e farmi dire la verità direttamente da lui, anche se non sarebbe stato facile. Avrebbe accampato scuse su scuse, com’era solito fare.
Andai in camera mia e afferrai il cellulare, abbandonato sulla colonnetta dalla sera precedente. Cercai il numero di Ruben nella rubrica e lo guardai a lungo, come se quei numeri potessero darmi tutte le risposte ai miei dubbi. Respirai a fondo, prendendo grandi boccate d'aria e chiusi gli occhi, schiacciando istintivamente il tasto verde di chiamata. Mi portai il cellulare all'orecchio e cominciai a camminare per la camera da letto nervosamente, mordendomi le unghie per l'agitazione. Dapprima pensai che non rispondesse, perché il suo telefonino suonava a vuoto, ma dopo cinque squilli, finalmente Ruben alzò la cornetta e la sua voce mi arrivò gelida, distante, quasi fosse quella di uno sconosciuto.
«Bella!»
Non riuscii ad articolare nemmeno una frase, come se le parole si rifiutassero di uscire dalla mia bocca e rovinare tutto.
«Celeste?» Disse il mio nome con un pizzico di dubbio nella voce, non sentendo nessuno all’altro capo del telefono. «Celeste sei tu?»
«Ci-ciao,» balbettai, e mi sedetti a peso morto sul letto.
«Per un attimo ho creduto che volessi farmi uno scherzo,» disse divertito. «Mi aspettavo un Sette giorni rantolato da cagarsi sotto!»
«Non sono proprio dell'umore giusto per scherzare.»
Rimase in silenzio per un po', con il sottofondo di uno strano ronzio, un rumore simile al motore di una macchina. Chissà dove era diretto. Forse era una delle tante piccole cose che mi nascondeva per evitare che la verità su di lui venisse a galla.
«C'è qualcosa che non va Cel?» Domandò con la voce stranamente seria e con un pizzico di preoccupazione a incrinarla.
Ingoiai a fatica la mia stessa voce e strinsi il lenzuolo sotto di me. Stavo per affrontare la verità, per trovarmi faccia a faccia con qualcosa di spiacevole e non sapevo se ero in grado di reggere, di sopportare ancora una volta una presa per i fondelli da parte di una persona a cui mi ero affezionata.
«In realtà sì, qualcosa che non va c'è,» risposi, cercando di apparire tranquilla, nonostante sentissi l'incontrollabile voglia di urlargli contro per qualsiasi cosa mi avesse tenuto nascosto.
«Ehm... è perché non mi sono fatto sentire? Ero un po' impegnato, sai com'è, i fiori, il negozio, la nonna...»
Ennesima stupidata che mi propinava con il suo solito sorriso sghembo sulle labbra. Come avevo potuto essere così cieca da non capire che mi stesse prendendo in giro? Che si stava prendendo gioco di me senza che me ne rendessi conto?
«Quale negozio?» Chiesi, modulando la voce per farla rimanere il più basso possibile.
«Quello di fiori…?» Rispose lui, dubbioso.
Mi chiedevo il motivo per cui Ruben continuasse a mentirmi in quella maniera. Già, forse non avevo brillato per acume e astuzia negli ultimi giorni, forse gli avevo permesso di potersi prendere gioco di me con troppa facilità e quindi tutta la colpa non era da attribuire a lui, ma parte era anche mia. Non capivo, però, che cosa lo spingesse a fingere, quale terribile segreto mi nascondeva.
«Vuoi sapere qual è il problema?» Domandai.
«Direi di sì, dato che non ho ancora capito come si legge nel pensiero degli altri.»
Mi schiarii la voce e mi sistemai sul letto, mettendomi a mio agio quasi stessi per sostenere l'esame con la terribile professoressa Torretta, abbonata al quindici da intere generazioni e che aveva fatto una strage degli studenti mai vista in un'università.
«Ecco, vedi...» Esordii, ma Ruben mi bloccò subito con una mezza risata.
«Pensavo mi rispondessi “Beh, leggere il tuo di pensiero non è molto difficile, visto che non sei i grado di pensare, trogloché che non sei altro”» disse con voce stridula. «Cavoli, devi essere proprio inca... volata se non mi prendi a male parole!»
«Vorrei tanto prenderti a male parole,» risposi, scuotendo la testa. «Ne sento proprio la necessità, come sento il bisogno di prenderti a pugni!»
«'Azzo!» Si lasciò scappare. «Che ti ho fatto Cel? Non di aver fatto qualche cazzata 'sti giorni.»
«Non si tratta di questi ultimi giorni,» sospirai affranta, più che altro perché mi stavo sempre di più avvicinando alla verità e mi spaventava dover accettare nuovamente, a malincuore, il fatto di essere stata ingannata.
«Ma...» Incalzò lui curioso ed io mi ritrovai di nuovo a respirare profondamente, quasi i miei polmoni non fossero più in grado di ventilarsi.
«Si tratta di tutto il periodo in cui ci siamo frequentati,» dissi, una volta trovato il coraggio di affrontare Ruben, di affrontare la verità, di affrontare me stessa.
«Non ti seguo,» rispose solamente.
C'erano tante cose che volevo dirgli, troppe le parole che desideravo urlargli in faccia e non sapevo da dove cominciare, quale fosse l'inizio migliore per il mio discorso. Non avevo idea di che tono usare, come pormi nei suoi confronti. Se prima potevo pensare che le mie erano solo congetture senza senso, che ero andata a ricercare il famoso pelo nell'uovo solo per complicarmi la vita, ora avevo quasi la certezza che non mi ero immaginata tutto, che Ruben mi stesse mentendo ed era stato Romeo, con il suo atteggiamento, a darmene la conferma.
«Che cosa mi nascondi?» Domandai solamente, privata di qualsiasi forza dal parassita che si era stabilito nel mio cervello.
Come immaginavo, Ruben tacque per un'infinità di tempo, spiazzato da quella domanda a bruciapelo. Il suo silenzio era solo l'ennesimo tassello del puzzle che stavo costruendo e la cui conclusione era quasi ultimata.
«In... in che senso?» La sua voce mi arrivò all'orecchio quasi ovattata, come se fosse distante chilometri, come se lo avesse solo accennato per paura che io la udissi e che gli dessi una risposta.
«Il fatto che tu dica di essere un fioraio, che insinui di essere un grande amico di Romeo, quando in realtà ci hai parlato solo mezza volta, il fatto che ti porti appresso quel nano occhialuto che si spaccia per un calciatore,» risposi, parlando tutto d'un fiato. «Ci avevo creduto e ci credevo fino a qualche minuto fa, ma poi mi son detta che era impossibile, accidenti, impossibile che tutte le cose che mi hai detto fossero vere.»
«Per quale motivo avrei dovuto mentirti?»
«Non lo so. È quello che mi sto chiedendo anche io. Ed è quello che voglio scoprire.» Mi interruppi per qualche secondo, poi ripresi il discorso. «A meno che tu non mi renda le cose meno complicate del previsto e vuoti il sacco di tua spontanea volontà.»
«N-Non devo vuotare nessun sacco!» Sbottò infastidito.
«Che ne dici di iniziare da una domanda molto semplice?» Gli proposi, perdendo un po' di quella tranquillità che mi aveva accompagnata fino a quel punto della discussione «Chi sei? Ti chiami davvero Ruben o anche questo nome lo hai inventato per la tua pantomima?»
Lui ridacchiò nervosamente dall'altro capo del telefono, indugiando sulla risposta da darmi.
«Ce-certo che sono Ruben. E chi dovrei essere, scusa?»
«Per questo ti ho posto la domanda! Perché ho bisogno di sapere con chi sto parlando! Con chi ho passato tutti questi giorni! Con chi mi sono fidanzata
Il ronzio di sottofondo cessò all'improvviso e sentii distintamente lo sportello di una macchina chiudersi con un tonfo sordo, quasi Ruben o chicchessia l'avesse sbattuta con brutalità.
«Senti ora non posso parlare,» disse lapidario. «Il mangia-lumache mi sta aspettando a casa sua.»
In mezzo a tutta la confusione che albergava nella mia testa, tra tutta la rabbia che stava crescendo dentro di me per quella situazione assurda in cui io stessa mi ero cacciata, ora compariva anche il nome di J. Era da parecchio che non si faceva sentire e quasi mi ero dimenticata di aver sempre avuto una cotta colossale per lui. Che cosa c'entrava in quel momento J? Da quando Ruben frequentava anche lui? Mi era parso di intuire che non lo sopportasse e oltre tutto, ora, venivo a sapere che andava a passare i pomeriggi da lui.
«Cosa c'entra J., adesso?» Domandai confusa, scombussolata, disorientata da tutto quello che stava succedendo.
Ruben farfugliò qualcosa d’insensato e chiuse la comunicazione senza darmi nessuna spiegazione, senza alcuna risposta ai mille dubbi che mi attanagliavano. Cosa potevo aspettarmi? Se lui aveva un segreto che non voleva condividere con me, perché mai avrebbe dovuto cedere alle mie domande e alla mia voce spezzata dalla delusione? Come al solito avrei dovuto fare tutto da sola: avrei scoperto la verità con le mie forze e mi sarei ferita con le mie stesse mani.
Allontanai il telefonino dall'orecchio e lo strinsi in mano, guardando a lungo la foto di sfondo che mi ritraeva insieme a Robbeo. Stavamo sorridendo ed eravamo felici e spensierati, senza nessuno strano ragazzo che minacciasse la nostra serenità. Era stato così fino a qualche settimana prima, ma tutto sembrava essere andato perduto per colpa mia e di un mio piccolo momento di debolezza. Avevo abbassato le difese, avevo lasciato che Ruben entrasse a far parte di me, a poco a poco, per paura della solitudine che mi stava sempre di più risucchiando.
Lasciai cadere il cellulare sul letto e mi diressi verso la mia libreria e lì, da qualche parte, incastrato in un non ben identificato libro di testo universitario, c'era un foglietto sul quale J. aveva segnato il suo indirizzo qualche tempo prima, nella speranza che un giorno lo andassi a trovare. Finalmente avevo l'occasione di visitare casa Rossi, anche se non sarebbe stata affatto una visita di cortesia.
Afferrai un libro dopo l'altro, sfogliando velocemente le pagine e scrollandoli verso il pavimento, lasciando che post-it e bigliettini vari in cui scrivevo appunti, fogli interi completamente scritti dalla sottoscritta in cui avevo annotato scene per il mio romanzo, cadessero sul pavimento. Dopo averli setacciati, m’inginocchiai a terra esaminando uno ad uno tutti i pezzi di carta, scavando in mezzo a quei frammenti di fogli nel disperato tentativo di trovare quel maledetto indirizzo. Ogni qualvolta fallivo, strappavo il foglio in minuscoli pezzi oppure lo accartocciavo sfogando la mia frustrazione su quegli inermi e inutili pezzi di carta. Colta da un'improvvisa rabbia, senza più nessuna speranza di trovare ciò che cercavo, cominciai a strappare quasi tutte quelle cartacce che giacevano davanti alle mie ginocchia e mentre agivo accecata dalla furia e dalla delusione crescente che mi stava piano piano schiacciando, aiutata dall’infausto destino che sembrava non volesse aiutarmi, intravidi la calligrafia raffinata di J. Afferrai il pezzo di carta e mi alzai di scatto, fiondandomi fuori dalla mia stanza e da casa mia senza nemmeno togliermi il golfino grigio topo con un orribile fiore rosa sulla spalla e i pantaloni della tuta che avevo sempre usato per fare educazione fisica. Sembravo una barbona vestita così, ma non m’interessava se le persone mi avrebbero giudicata come tale. Stavo per dare l'ennesimo schiaffo alla mia dignità, stavo per intrappolare di nuovo i miei sentimenti in un enorme blocco di ghiaccio che nessuno sarebbe mai stato in grado di sciogliere, per cui l'abbigliamento era solo l'ultimo dei miei pensieri.
Una volta arrivata fuori dalla palazzina, rilessi il bigliettino stringendolo forte tra le mie dita per non farlo trasportare dal vento violento che si era abbattuto sulla città. Mi orientai, guardando le strade intorno a me, sistemandomi i capelli che danzavano insieme all'aria. La casa di J. non era molto distante dal mio appartamento, per cui l'avrai raggiunta a piedi, anche perché era necessaria un po' d'aria fresca, in un momento come quello. Magari quel vento sarebbe stato in grado di spazzare via tutte le mie preoccupazioni, forse sarebbe riuscito a lenire quel vuoto che, piano piano, mi si stava creando dentro, come una voragine, un buco nero che mi stava risucchiando a poco a poco. 
Il sole, a mano a mano che correvo per le strade della Capitale, si stava nascondendo oltre l'orizzonte, lasciando il posto alla luna e a un cielo macchiato di rosso scuro. I lampioni cominciarono ad accendersi uno dopo l'altro, colorando l'asfalto di un bianco tenue. A quell'ora le strade erano praticamente deserte, dal momento che la maggior parte delle persone era già a casa, quasi pronta a godersi la cena davanti al consueto quiz delle sette. Per cui, stavo correndo da sola lungo i marciapiedi con il fiatone e il cuore che scalpitava in ogni angolo del mio corpo per la fatica mal sopportata e per la ridicola situazione in cui mi ero cacciata, con il solo rumore dei miei passi pesanti ad accompagnarmi. Sembrava quasi surreale quel silenzio che mi circondava. In realtà tutto era surreale, anche ciò che mi stava succedendo. Possibile che avessi vissuto quei giorni all'oscuro di tutto, senza che me ne rendessi conto? Ero sempre stata fiera della mia arguzia e della mia intelligenza, tanto da vantarmene perfino con Ruben. E poi lui era il primo che era riuscito a ingannarmi come una cretina, a prendersi gioco di me come se fossi una bambina che ancora credeva a Babbo Natale.
Scrollai la testa sconsolata, fermandomi di fronte all'enorme palazzo in cui abitava J. Lo guardai dall'alto in basso, respirando a fondo e deglutendo più volte. Solo pochi passi e qualche piano mi separavano dalla verità. Quello che Ruben mi aveva tenuto nascosto fino a quel momento si trovava nell'appartamento di Jean.
M’incamminai verso il palazzo, ritrovandomi davanti al portone di vetro spalancato e un sentiero di palloncini blu, bianchi e rossi che conducevano verso l'ascensore. Rimasi immobile per un tempo indeterminato, forse cercando di trovare l'ennesima risposta alla medesima domanda senza senso che mi stavo ponendo. Seguii la direzione indicata dai palloncini francesi e, attaccato all'ascensore, era stato appeso un annuncio scritto a caratteri cubitali che invitava tutti a salire all'ultimo piano per festeggiare insieme il compleanno di J. insieme a un super ospite. A mano a mano che le mie indagini proseguivano, sempre più dubbi si affollavano nella mia mente, in procinto di autodistruggersi da un momento all'altro per la troppa confusione.
Decisi di seguire il consiglio che aveva lasciato J. e unirmi alla festa, per cui raggiunsi l'ultimo piano. Affacciata al pianerottolo, c'era una sola porta dietro la quale provenivano schiamazzi e musica dal volume talmente alto da far vibrare il terreno sotto i miei piedi.
Sei sicura di voler entrare lì dentro?
Se voglio scoprire la verità, devo farlo per forza.
Appoggiai la mano sulla maniglia e trattenni il fiato. I giochetti di Ruben sarebbero finalmente cessati e lui avrebbe finalmente smesso di prendersi gioco dei miei sentimenti. Spalancai la porta trovandomi di fronte ad una stanza buia, illuminata solo da alcune luci colorate e corpi ammassati di persone che si strusciavano, probabilmente già ubriache alle otto di sera.
«Permesso, scusate!» Urlai, facendomi spazio tra quegli sconosciuti e cercando nel frattempo Ruben con lo sguardo, attraverso corpi di estranei sudaticci che mi si strusciavano addosso. Purtroppo c'era talmente tanta gente che trovare il mio ragazzo in mezzo a loro era come cercare un ago nel pagliaio.
Improvvisamente, quando quasi tutta la mia speranza di trovare Ruben in mezzo a quella calca informe era evaporata, si levò un urlo dalla folla che mi circondava, un grido di emozione e gioia cui si unirono altre voci, altri commenti, altri farfugliamenti senza senso.
«Oh mio Dio! Eccolo!»
«Allora J. non diceva una cazzata!»
«Sposami!»
Mi feci ancora una volta spazio tra la gente, incuriosita da tutto quel fermento rivolto a una sola persona. Era come se fosse arrivata la star del momento e che tutti lì dentro desideravano sfiorarlo, toccarlo, saltargli addosso. Mi creai un varco tra la folla, ritrovandomi in uno spiazzo quasi al centro della stanza e davanti ai me c'era l'ultima persona che mi sarei aspettata.
Ruben.
Lo avevo trovato e tutti stavano scalpitando per lui, c'erano mani che si allungavano e che strusciavano sul suo giacchetto di pelle nera.
«Celeste,» mormorò con gli occhi sgranati e nonostante la musica alta riuscii a udire la sua voce, sorpresa e preoccupata al tempo stesso.
«Che cosa significa tutto questo?» Domandai solamente, urlando per sovrastare la voce dei Black Eyed Peas.
Ruben mi guardò a lungo, con gli occhi vacui e la bocca semi-dischiusa, come se da un momento all'altro potesse uscire dalle sue labbra la risposta che stavo attendendo. Ma la sua voce non uscì, forse perché incastrata in gola, perché si rifiutava di dirmi la verità, anche in quel momento che ero ad un passo dallo scoprirla. Voleva rendermi la cosa ancora più difficile di quanto fosse già, rimanendo in silenzio, con il volto contrito in una smorfia d'amarezza e il corpo talmente teso che quasi tremava.
«Di-di che cosa stai parlando?»
«Non ha più senso mentirmi, Ruben!» Esclamai e un chiacchiericcio di dissenso si levò dagli invitati, che avevano smesso di dimenarsi nel momento in cui io e il mio quasi ex-ragazzo avevamo cominciato a discutere. Guardai alcuni dei ragazzi che mi circondavano. Parte di loro stava ridendo, prendendosi gioco di me, altri invece scuotevano la testa con vigore come se anche chi non aveva mai fatto parte della nostra vita sapesse la verità.
Ruben abbassò lo sguardo, colpevole, stringendo i pugni e torturandosi le labbra con i denti.  Nonostante lo avessi messo alle strette, ancora faticava a parlare, ad alzare lo sguardo ed affrontarmi una volta per tutte. Le note house di qualche dj strampalato continuavano a scivolare tra di noi, come se volessero colmare il vuoto lasciato dal silenzio di Ruben.
«Non hai nemmeno le palle per dirmi la verità ora che ti ho smascherato? Cos'è, vuoi per caso che chiami CSI e mi faccia aiutare da loro per sapere che cosa mi nascondi?» Sbraitai, non tanto per la musica ma per la rabbia che stava riaffiorando.
«Stavo solo aspettando il momento giusto per dirtelo,» mormorò, forse speranzoso che non lo sentissi ma non solo lo avevo udito io, perfino tutti i presenti, dal momento che la canzone dance si arrestò all'improvviso lasciando il posto ad un silenzio quasi opprimente.
Ruben si guardò intorno spaesato, incapace di comprendere il motivo per il quale la musica si era arrestata di punto in bianco.
«Il momento adatto sarebbe stato il giorno stesso in cui ci siamo conosciuti!» Dissi ormai fuori di me, disinteressata dal momentaneo disorientamento di Ruben.
«Non credevo si sarebbe creato tutto questo casino,» si giustificò, senza incontrare il mio sguardo. I suoi occhi verdi, spenti, talmente opachi da sembrare quelli di una bambola di porcellana, vagavano in quell'enorme stanza adibita a discoteca, ma mai si posarono sui miei, nemmeno per un istante, come se avesse paura che potessi trovare la risposta che cercavo scavando nei suoi occhi. «Non pensavo potesse nascere qualcosa di serio con te. Ero sicuro che tutto si sarebbe risolto con quel caffè con zucchero di canna a parte,» esitò per sorridere, ricordando il nostro primo, piccolo appuntamento. «E invece le cose mi sono sfuggite un po' di mano.»
Era chiaro che stesse tergiversando, che fosse in difficoltà e che stesse cercando in tutti i modi di allontanare il momento in cui avrei scoperto tutto. Stavo per pregarlo nuovamente di vuotare il sacco, quando un varco si aprì tra gli ospiti per far passare il festeggiato, vestito di tutto punto con un maglioncino bianco e un paio di jeans scuri.
«Finalmente ti ho trovato, superstar!» Esclamò stringendo la spalla di Ruben e avvicinandolo a sé. «Ti ho cercato dappertutto. Volevo presentarti ai miei ospiti!»
Ruben si divincolò dalla stretta di J., scrollandoselo di dosso con un movimento secco delle spalle. J. sorrise, qualcosa simile a un ghigno e del tutto estraneo ai dolci sorrisi che era solito dispensare a tutti. Sembrava il ghigno di Simone, forse ancora più subdolo di quello dell'inglese.
«Lo vogliamo fare un bell'applauso alla nostra superstar?» Esclamò, rivolto a tutti i suoi ospiti. «Per ringraziarlo di averci onorato con la sua presenza?»
I ragazzi cominciarono a battere le mani e J. si voltò verso Ruben, socchiuse gli occhi, poi piegò gli angoli della bocca sfoderando quello che mi sembrò il sorriso più meschino che avessi mai visto.
«Grazie di essere qui, Leonardo Sogno
«Le-leonardo?» ripetei incredula.
Fu in quel momento che J. si voltò verso di me, stupendosi di vedermi tra gli invitati della sua festa.
«Oh, Celeste, che bella sorpresa!» Disse entusiasta, mentre Ruben, anzi, Leonardo si stringeva la testa tra le mani. «Non ti avevo proprio vista. Scusa, Leonardo, sono proprio sbadato! Ti ho smascherato senza nemmeno volerlo.»
«Bastardo,» sibilò Leonardo, inclinando leggermente il capo per guardarlo di traverso. «Sei un pezzo di merda! L'hai fatto di proposito per incastrarmi!» Urlò, stringendo il maglione di J. e sollevandolo sulle punte per poterlo guardare negli occhi. Il francese sogghignò divertito, quasi compiaciuto di avermi rivelato il suo segreto. Poco m’importava del fatto che J. lo avesse fatto di proposito o meno. Ero ancora scioccata in quel momento, non riuscivo nemmeno a distinguere le figure e le persone che mi circondavano, talmente mi aveva stordito quella rivelazione.
Ero stata la vittima di una montagna di bugie, di un film montato ad arte da Leonardo Sogno in cui tutti erano co-protagonisti, dal mio migliore amico a quella talpa rachitica che si era finto Leonardo fino a quel momento, persino nonna Annunziata era stata al gioco e aveva coperto il suo Chicco. Ero stata ingannata non solo dal ragazzo con cui avevo intrapreso una relazione, ma persino dai suoi amici e parenti, oltre che da Romeo.
«Perché te la prendi con J.?» Domandai, senza in realtà pretendere una risposta. «L'unico colpevole qua sei tu!»
Delusa non era la parola adatta per descrivermi in quel momento. Più che altro ero stanca, stufa di dover sempre subire, di dovermi sempre difendere e di aver sempre paura di infatuarmi di qualcuno, per poi scoprire di essere stata ingannata ancora una volta. Non avevo nemmeno la forza di piangere, anzi non ne avevo per nulla voglia. Avevo versato troppe lacrime in passato inutilmente, per persone che non lo meritavano e Leonardo non era degno di vedere il mio viso bagnato.
«Grazie per avermi rivelato la verità,» dissi velocemente a Jean, guardandolo negli occhi ed evitando accuratamente di incontrare quelli di Leonardo – ancora mi faceva strano pensare quel nome. «Buon proseguimento.»
Velocemente mi voltai e spinsi via le persone che si erano interposte tra me e l'uscita di quella casa. Oramai era tutto finito, in un soffio, all'improvviso, esattamente com’era iniziato. L'attimo prima stavo preparando la valigia per andare a Londra con il mio ragazzo, quello dopo avevo scoperto che lui stesso non era altro che il calciatore più famoso al mondo e che mi aveva sempre tenuta nascosta la sua identità. Ed io gli avevo reso le cose troppo facili non capendo tutte le stranezze che si erano susseguite. Avrei dovuto capire fin dall'inizio che lui era Leonardo Sogno e che non lo poteva essere quella specie di mostro che si portava sempre appresso. Tanti indizi avrebbero dovuto farmi capire la verità, ma l'illusione di aver trovato, dopo tanto tempo, una persona con cui condividere emozioni e alla quale aprire il mio cuore li aveva offuscati, nascosti dietro una coltre di nebbia che ora si era dissipata.
Era stato meglio così, in fondo. Almeno avevo finalmente capito che era meglio vivere senza lo strazio di sopportare un uomo pronto a colpirti alle spalle con le sue bugie. Dopo quest'ennesima delusione potevo dire di aver chiuso realmente con gli uomini. Da questo momento in poi avrei pensato solo a me stessa e avrei lasciato che la mia razionalità vincesse su qualsiasi sentimento.
«Aspetta Celeste!» Urlò Leonardo, lasciando andare J. e raggiungendomi, sotto lo sguardo sbalordito di chi assisteva a quella scena patetica.
«Perché? Non mi sembra che ci sia molto da aggiungere!» Risposi voltandomi di scatto.
«Dammi almeno il tempo di spiegarti.»
«Sono proprio curiosa di sentire,» replicai brusca, incrociando le braccia e sfidandolo con lo sguardo.
Lui deglutì un paio di volte, prima di fare un passo verso di me e puntare i suoi occhi direttamente nei miei. Era la prima volta, durante quella serata, che Leonardo sostenne il mio sguardo per più di due secondi.
«Non ho mai avuto una relazione che durasse più di una sera e di certo non avrei mai immaginato che la mia prima storia seria fosse con una ragazza come te, così lontana dal mio mondo,» riprese fiato, grattandosi la nuca. «Ti ho mentito, ho detto di essere chi non ero solo per avere un attimo di normalità. Sogno di qua, Sogno di là. Sono sempre stato solo il calciatore e non sono mai stato trattato come uno qualsiasi. Con te mi sono goduto un po' di quella normalità che sognavo da tempo, fingendomi Ruben il fioraio.»
Leonardo, in quel momento, non mi sembrò il Ruben arrogante che avevo conosciuto, ma solo un ragazzo debole, privo di difese. Quel suo comportamento, però, non bastava per impietosirmi, dopo il modo in cui si era comportato nei miei confronti.
«Questo non giustifica quello che hai fatto. Cavoli, Ruben...» Proruppi, ma mi bloccai subito, sorridendo amaramente, rendendomi conto che ancora mi risultava difficile chiamarlo con il suo vero nome. «...Leonardo. Hai messo in piedi una recita patetica, hai coinvolto nella tua stupida farsa persone che non c'entravano nulla solo per salvarti le tue preziose chiappe! Non solo sei un arrogante ragazzino viziato, ma sei anche egoista.»
Le parole mi uscivano spontanee dalla bocca, come se fossero un fiume in piena in grado perfino di abbattere la diga che le aveva sempre arginate. Leonardo scosse impercettibilmente la testa, interrompendo il contatto visivo che c'era stato tra di noi fino a quel momento. Molto probabilmente non si era nemmeno reso conto del casino che aveva combinato, non si rendeva conto che tutte le bugie che aveva detto per non farsi scoprire si stavano ritorcendo contro di lui e non solo avevano ferito me, distruggendo quello che sarebbe potuto nascere tra di noi, ma avevano colpito in pieno anche Romeo e la nostra salda amicizia.
«Hai pensato almeno una volta, UNA, alle conseguenze in tutti questi giorni? Al fatto che avresti potuto mettere a repentaglio una delle cose più importanti che ho?» Urlai con furia, stringendo i pugni per cercare di sciogliere un po' la tensione che si era impossessata dei miei muscoli.
«Che...» Cercò di dire qualcosa, ma nemmeno lui sapeva in realtà quale fosse la domanda.
«L'amicizia con Romeo,» spiegai spicciola, abbassando a mia volta lo sguardo. «Ora mi rimane solo Ven di cui fidarmi.»
«Non era mia intenzione mettere in mezzo anche Romeo,» confessò.
«Però l'hai fatto!» Lo aggredii.
«Lui non si è tirato indietro!» Replicò brusco.
In effetti, non aveva tutti i torti. Romeo era in bilico tra l'essere una vittima e l'essere un complice. Per aiutare Leonardo a mantenere il suo segreto si era fatto mettere i tacchi in testa da Annalisa, diventando anche lui una povera vittima del gioco di Sogno. Se solo avesse trovato il coraggio di dirmi la verità, almeno lui, a quest'ora nessuno dei due, anzi, dei tre avrebbe sofferto.
Respirai a fondo e sollevai di nuovo lo sguardo da terra. Le pareti di quella stanza stavano convergendo sempre di più, era come se il salotto si stesse rimpicciolendo e mi stesse opprimendo tra i suoi muri. Dovevo uscire in fretta da lì e tornarmene a casa se non volevo morire soffocata.
«Hai ragione. Romeo ha contribuito a minare la nostra amicizia,» convenni con lui, amaramente. «Però tu, da solo, sei riuscito a rovinarmi la vita.»
E con quelle parole avevo messo fine alla nostra discussione, oltre che al nostro rapporto. Mi girai velocemente, intenzionata ad andarmene e dimenticare Leonardo, cancellarlo dalla mia vita e fingere che lui non ne avesse mai fatto parte.
«Aspetta Celeste!» Esclamò afferrandomi per il braccio. «Ti avrò anche detto che mi chiamo Ruben e che faccio il fioraio, ma io sono sempre la stessa persona che hai conosciuto.»
«Non posso più fidarmi di te, accidenti! Mi hai ingannata tutto questo tempo, come hanno fatto tutti gli altri!» Replicai furibonda, liberandomi dalla sua presa. «Torna alla tua vita da star, Leonardo, ai campi di calcio e alle modelle. Dimenticati di me, di noi, di quello che c'è stato!»
Lo guardai dritto negli occhi. Le sue iridi mi stavano implorando di perdonarlo, con tutta quella tristezza condensata nel verde intenso dei suoi occhi e ci fu anche un istante in cui avrei davvero voluto perdonarlo, ma fu solo un attimo di debolezza che il secondo dopo era già stato cancellato dalla rabbia.
Per l'ennesima volta mi voltai verso la porta e nessuno tentò di fermarmi, lasciandomi finalmente libera di abbandonare quella casa. Presi l'ascensore e arrivai al piano terra. Il cielo notturno, ormai, aveva preso il sopravvento sui raggi solari e l'ara gelida della sera mi obbligò a stringermi nel golfino grigio. Ora che tutto era finito mi sentivo terribilmente vuota, avevo un buco proprio al centro del petto che, ero sicura, nessuno sarebbe mai stato in grado di colmare. Erano secoli che non provavo quella stessa sensazione. Ormai mi ero abituata a sentire il mio cuore battere, a percepire un piacevole senso di completezza. Per qualche giorno Leonardo era riuscito a colmare quel vuoto che gli altri prima di lui avevano lasciato, ma così come tutti i miei ex, aveva fallito nel suo intento, scavando ancor più dentro di me e rendendo quel buco sempre più profondo, sempre più nero.
Percorsi la stessa strada che avevo fatto per andare a casa di Jean, ma questa volta più lentamente. Non c'era più l'adrenalina a farmi correre, non c'era più la voglia di scoprire che mi spronava a correre lungo le strade della Capitale. Ora ero sola, avevo perso il mio ragazzo e il mio migliore amico nella stessa notte. Mi sentivo tradita, tradita dalle bugie di Leonardo e tradita da Romeo che aveva preferito assecondare il suo idolo piuttosto che dirmi la verità. Di chi avrei potuto fidarmi da quel momento in poi? Se anche i migliori amici erano pronti a pugnalarti alle spalle avrei dovuto dubitare di tutti, perfino delle persone che mi dicevano di volermi bene.
Svoltai nella mia via e mi fermai non appena mi ritrovai il portone della palazzina di fronte. Esitai qualche attimo davanti al citofono, con l'indice sospeso a pochi millimetri dal pulsante con sotto scritto Ciuccio-Fiore. Non appena avessi messo piede in casa mia, avrei dovuto affrontare anche Romeo e forse mettere fine alla nostra amicizia che ci legava da ormai più di dieci anni. Lui sapeva bene quanto avessi sofferto in passato per essere stata presa in giro e aveva agito comunque alle mie spalle, anche lui si era abbassato al livello di quei decerebrati che avevano fatto parte del mio passato.
Pigiai con insistenza il citofono e, poco dopo, il portone scattò, senza che nessuno s’informasse su chi potessi essere. Spinsi la porta di vetro ed entrai velocemente nel palazzo, cominciando a salire le scale. Quando raggiunsi il mio piano, trovai la porta socchiusa così entrai rapidamente, chiudendomi il battente alle spalle.
«Oh, eccoti Celeste!» Esclamò Ven, uscendo dalla cucina mentre sbocconcellava un pezzo di focaccia. «La nuova libreria che hanno aperto è fantastica. E il rinfresco che hanno fatto era ottimo! Un po' povero, ma gustoso. Saresti dovuta venire anche tu!» Disse con un sorriso, ma il suo entusiasmo si smorzò poco dopo quando vide il mio viso contrito in una smorfia indecifrabile, un misto tra la rabbia e la frustrazione.
«Dov'è Romeo?» Domandai secca, senza guardarla negli occhi.
«Sarà nel porcile,» scrollò le spalle e mangiò un altro boccone. «Ossia la sua stanza,» specificò poco dopo, sogghignando.
«Tu lo sapevi?» Le chiesi a bruciapelo, non avendo nemmeno udito le sue parole. Mi sembrava di essere in una bolla dalle pareti spesse che m’isolavano dal mondo, rinchiusa lì dentro da sola, insieme al mio dolore. Ven mugugnò qualcosa, dubbiosa.
«Che Romeo era un maiale?» Domandò sarcastica. «Lo sanno tutti, perfino chi non lo conosce. Il suo odore parla da sé.»
«Di Ruben. Che in realtà non è Ruben ma Leonardo Sogno...»
«Da-davvero?» Balbettò, battendo più volte le palpebre e abbozzando un mezzo sorriso con le labbra che le tremavano.
«Già. L'ho scoperto qualche minuto fa, a casa di J. Era tutto così strano e confuso che ho dovuto fare assolutamente chiarezza. Dal momento che Romeo non ha voluto vuotare il sacco, sono andata direttamente alla fonte del problema.» Scrollai le spalle e sollevai finalmente lo sguardo per incontrare gli occhi blu di Ven.
Era fin troppo agitata e il suo comportamento, le sue occhiate sfuggenti e la sua espressione spaesata erano ambigui. Era come se non le avessi detto nulla di nuovo, come se anche lei sapesse di Leonardo e si era fatta abbindolare da lui per mantenere il suo stupido segreto.
«Tu lo sapevi,» commentai solo, a bassa voce  e lei s'irrigidì, confermando il mio sospetto. «Tu lo sapevi!» Ribadii, questa volta con un tono più alto, scandendo ogni parola. «Oh mio Dio, quanto sono cretina!» Cominciai a straparlare, mettendomi le mani nei capelli e camminando su e giù per il salotto, disperata. Ero sicura che almeno Ven non mi avrebbe mai mentito ed invece anche lei aveva aiutato Leonardo nel suo stupido gioco, anche lei aveva partecipato alla commedia messa in scena da Sogno.
«No Celeste!» Esclamò lei, stringendomi i polsi e facendomi abbassare le mani, per poi puntare i suoi occhi nei miei. «Non sapevo niente, te lo giuro! Cioè sospettavo che ci fosse qualcosa che non andava.»
«E perché non mi hai detto nulla? Perché non mi hai confidato i tuoi sospetti, almeno mi sarei risparmiata tutto questo!»
«Non ne avevo la certezza! Se poi si sarebbe trattato di un abbaglio? Avrei solo fatto un grande casino!» Rispose con voce ferma e decisa. «Per cui ho preferito non immischiarmi...»
Sospirai, liberandomi dalla sua stretta e andai a sedermi sul divano, prosciugata, senza nemmeno un briciolo di forza che potesse permettermi di stare in piedi. L'unica cosa di cui ero sicura in quel momento era che Ven non mi aveva mentito e che era stata l'unica sincera fino a quel momento. Lei non era mai stata in grado di dire bugie e non perché le espressioni del suo viso la tradissero, ma perché era tale e quale a me: odiava le menzogne e tutto quello che le passava per la testa lo trasformava in parole, senza nessun timore. Mi dispiacque aver dubitato di lei anche se solo per pochi secondi. La conoscevo da così tanto tempo che non avrei mai dovuto diffidare della sua buona fede.
«Mio Dio... mi sento così, così stupida,» dissi prendendomi la testa tra le mani. «La verità è sempre stata sotto i miei occhi, sempre! Ed io non sono riuscita a vederla per tutto questo tempo.»
«Non sei stupida Celeste,» mi consolò Ven, accomodandosi accanto a me e accarezzandomi la spalla. «Hai solo voluto fidarti di lui, ti sei voluta mettere in gioco ancora una volta e questo ti ha offuscato la mente. Anche se la verità era sotto i tuoi occhi, parte del tuo cervello ti ha impedito di vederla perché tu vivessi serenamente con lui e perché il tuo cuore potesse ricominciare a battere per qualcun altro.»
«Sarebbe stato molto meglio saperlo fin da subito che mi stava ingannando. Io che sono così razionale, ho lasciato che il mio cervello andasse in letargo!»
«Beh, forse è così,» scrollò le spalle e fece un sospiro rumoroso. «Ma sei stata felice con lui, no? Ti piaceva stare con… Leonardo.»
«Ruben! Mi piaceva stare con Ruben!» Rettificai, scocciata.
«Ruben, Leonardo... che differenza fa un nome?»
Mi mordicchiai l'interno della guancia nervosamente, voltandomi di tanto in tanto verso la mia amica per guardarla. Avevo come l'impressione che stesse difendendo Leonardo e che provasse a tranquillizzarmi, per poi convincermi a chiamare quel bell'imbusto mentitore ed egoista per rassicurarlo e annunciargli che la nostra relazione non era finita.
«Se stai cercando di convincermi a rimettermi con quel bugiardo traditore, non ce la farai.»
«Comprendo che tu sia arrabbiata...»
«Arrabbiata? Solo arrabbiata?» La interruppi. «Sono furibonda! E non tentare di farmi cambiare idea!» La zittii, prima che dalle sue labbra dischiuse uscisse una qualsiasi replica. «Con Leonardo Sogno ho chiuso per sempre! È fuori dalla mia vita! Anzi, l'ho già dimenticato!» Mi alzai di scatto dal divano e camminai a ritroso, continuando a guardare Ven negli occhi. «Chi è Leonardo Sogno? Boh, non lo so, non l'ho mai conosciuto!»
Ven mi guardò come se volesse infilarmi dentro ad una scomoda camicia di forza e in realtà non aveva tutti i torti. Mi stavo comportando come una folle, una pazza furiosa che fingeva di non ricordarsi dell'unico ragazzo che, dopo secoli, mi aveva fatto tornare finalmente il sorriso e con il quale avevo ricominciato a vivere, scoprendo che c'era molto di più oltre ai libri di letteratura e al mio file di Word nascosto in una cartella del mio pc. Nonostante tutto, sarebbe stato difficile dimenticarlo, anzi quasi impossibile, visto che si era guadagnato un piccolo pezzo del mio cuore che ora si era incrinato, omologandosi alle restanti parti che quelli prima di lui si erano divertiti a calpestare e a infrangere, come se fosse un insulso pezzo di vetro.
Lasciai Venera seduta sul divano, ancora scossa per il mio comportamento e mi diressi verso camera mia. Mi sarei rinchiusa nel mio angolo di tranquillità e non ne sarei uscita per lungo tempo. Avevo bisogno di stare da sola, di riflettere e capire che cosa ci fosse di sbagliato in me, perché cominciavo seriamente a pensare che il problema fossi io, dal momento che tutti si divertivano a prendersi gioco di me. Forse non ero così intelligente e sveglia come volevo far credere, forse ero solo portata per lo studio, ma in quanto a relazioni sentimentali ero un completo disastro. Era inutile tornare a sperare, era inutile che m’illudessi che un giorno anche io avrei potuto trovare l'uomo della mia vita. Non ero stata dotata di un manuale di istruzioni per amare ed essere amata, ed io, da sola, non ero in grado di capire l'arcano di questo strano sentimento.
Non appena appoggiai la mano sulla maniglia della porta della mia stanza, dalla camera di fronte spuntò Romeo, vestito solo con un paio di boxer a righe e una canottiera nera. Aveva il volto basso e lo sguardo spento, conseguenze della nostra precedente discussione.
«Ciao,» mormorò solamente e tentò di superarmi, ma lo bloccai e lo feci indietreggiare.
«Perché?» Domandai delusa.
«Perché, cosa?»
«Perché hai preferito lui a me? Perché hai preferito il tuo idolo alla tua amicizia con me?»
Romeo sfuggì al mio sguardo e deglutì a fatica. Non rispose per molti secondi, forse anche minuti, nonostante cercasse di dire qualcosa. Forse stava cercando le parole adatte per giustificarsi o forse non era in grado di trovare qualcosa di valido da dire.
«Mi aveva chiesto di tenere il gioco. E ho accettato,» disse, infine, dopo una quantità esagerata di tempo passato immersi in un silenzio quasi innaturale.
«Come hai potuto, Romeo? Come hai potuto mentirmi anche tu che sei il mio miglior amico?» Tentai di controllarmi e non urlare come avevo fatto con Leonardo, ma l'amarezza mi costrinse ad alzare la voce.
«Che ne sapevo io che vi sareste messi assieme? Credevo si sarebbe tutto concluso nel giro di qualche giorno e mi si era presentata di fronte l'occasione di poter conoscere il mio idolo! Cosa dovevo fare?» Rispose, adottando il mio stesso tono di voce.
«Pensare a noi, prima di tutto, alla nostra amicizia!»
«In che lingua devo dirtelo?» Ribatté seccato, allargando le braccia. «Non credevo che tu potessi interessarti a uno come lui. È il tipico ragazzo che tu non sopporti e con il quale non vorresti avere nemmeno a che fare! Per cui credevo che lo avresti mandato a quel paese e tanti saluti!»
Tutto sommato Romeo non aveva torto. Il mio astio nei confronti dei tipi come Leonardo era chiaro perfino ai muri e il fatto che mi fossi invaghita di lui era una sorpresa per tutti, perfino per me stessa. Nonostante Romeo avesse in parte ragione, continuai a fissarlo corrucciata, con le braccia incrociate.
«Beh,» esordii, anche se in realtà non sapevo cosa replicare, spiazzata dalla precedente affermazione. «Però avresti potuto dirmelo quando ci siamo messi insieme! Sei il mio migliore amico, Romeo! Dovevi dirmi la verità!» Urlai infine.
«L'ho fatto per te, accidenti!» Replicò lui alterato. «Perché non lo vuoi capire? Mi sono fatto schiavizzare da Annalisa per farle mantenere il segreto solo per te!»
«Non era necessario.»
«E invece sì, Celeste! Tu eri felice, finalmente FELICE e non volevo rovinare tutto!» Sbraitò paonazzo in volto, con una giugulare che gli serpeggiava sul collo.
Rimasi per un attimo paralizzata, con gli occhi sgranati e le braccia a mezz'aria, indecise se rimanere ancora conserte oppure abbandonarsi lungo i fianchi. Già, con Leonardo ero felice, ero tornata finalmente a sorridere dopo molto tempo, ma un rapporto basato sulla menzogna non aveva nemmeno senso di esistere, felicità o meno. Avrei preferito di gran lunga rimanere offesa piuttosto che essere ingannata e calpestata per l'ennesima volta, sia dal mio ragazzo che dal mio migliore amico. Comportandosi così, Romeo aveva creduto di proteggermi, ma non si era reso conto che mi aveva inferto una doppia ferita all'altezza del petto..
«Non volevo che tu soffrissi,» abbassò il tono e fece un passo verso di me, spalancando le braccia a cercando di abbracciarmi. Lo respinsi con forza, impedendogli qualsiasi contratto con me.
«Ma hai fatto in modo che accadesse,» ribattei brusca, guardandolo per un ultimo attimo negli occhi e raggiungendo la mia camera.
Sbattei la porta con violenza e mi ci appoggiai sopra inclinando la testa verso l'alto e chiudendo gli occhi, come se questo potesse frenare le lacrime. Avevo cercato di resistere fino a quel momento, avevo interiorizzato tutto e stavo esplodendo a poco a poco. La tensione, il nervosismo, la ferita pulsante sul mio cuore, però, non mi permisero di trattenermi ancora, perciò lasciai che lacrime lente e silenzio mi rigassero il viso. Diedi una rapida occhiata alla mia camera constatando che tutto era come l’avevo lasciato, con la valigia adagiata sul letto e il maglione rosso lanciato sopra di essa. Qualche ora prima mi stavo preparando per andare a Londra con il mio ragazzo, poco dopo mi ritrovavo appoggiata a una porta a piangere e a dannarmi per essere stata così maledettamente stupida. Per la mia cecità, in un attimo avevo perso tutto.


*Rinfodera il fazzoletto nella manica della felpa e tenta di scrivere un commento finale decente*
Lo sapevo che doveva succedere prima o poi, lo sapevamo un po' tutte. Da quando questa storia era iniziata, eravamo a conoscenza che nulla sarebbe andato a finire per il verso giusto, una volta scoperta la bugia.
Tutto in un attimo. E' proprio il caso di dirlo. Tutto è successo in poco tempo, quasi come un'illuminazione che ha folgorato Celeste, un fulmine a ciel sereno che le ha fatto aprire finalmente gli occhi. Lei che dopo tanto tempo aveva ricominciato ad amare si è vista portare via tutto da una menzogna e dal tradimento dei suoi più cari amici.
In questo capitolo non c'è niente di divertente e scherzoso, non ci sono più i toni leggeri e frivoli dei capitoli precedenti, non c'è posto per un sorriso. E non c'è nemmeno l'amore, o meglio, c'è ma sfugge subito dalle dita di Celeste, troppo arrabbiata per poter anche solo pensare al perdono. Lei che è stata tradita dalle bugie, lei che ha sempre vissuto nel terrore di rigettarsi in una storia falsa, lei che si era chiusa in sé stessa, nascondendosi dietro un muro di cinismo, allontanando gli altri.
Credo che a una persona sia concesso un massimo numero di volte di innamorarsi.
Spero che Cel non lo abbia raggiunto.

Grazie a chi ci segue e alle new entry!

Ora un po' di pubblicità:
Ricordate il gruppo Crudelie si nasce, dove potrete trovare spoiler, foto e tanto altro!
   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _Shantel