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Autore: Smollo05    11/01/2012    1 recensioni
Siamo prigionieri di questo luogo. Prigionieri del tempo. Intrappolati nell’unico singolo instante di cui abbiamo memoria: quello che avrebbe potuto salvarci dall’oblio, quello di una decisione fondamentale. La scelta che ci avrebbe fatti ricordare in eterno.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo qualche ora, la rassegnazione prese il posto delle lacrime. Avevamo camminato ininterrottamente, sin da quanto avevamo lasciato il borgo, e per quanto continuassi a chiedere al mio compagno la nostra meta, non ottenni mai risposta. Ci inerpicammo, infine, su per un sentiero scosceso, seguiti da qualche curioso del posto. La strada era talmente ripida da costringere l’uomo a tirarmi a più riprese, per costringermi ad avanzare. “Siamo arrivati?”. Quella che a prima vista avevo creduto una collina,era in realtà un promontorio che ospitava una casa in rovina e che dava a strapiombo sull’acqua scura del mare. La sottile striscia della spiaggia era pressoché inesistente. Tremai. “Tu, va a chiamare il vecchio”. Fino a quel momento non mi ero accorta del codazzo di persone che ci seguiva. Cercai, inutilmente, con lo sguardo Lydie. “Sono già qui”. Probabilmente era il più anziano tra gli abitanti dell’isola, ma il termine vecchio non è appropriato per descriverlo. I capelli erano ancora venati di nero,benché radi sulle tempie, la barba era ben tenuta. Gli occhi esprimevano una personalità forte e decisa, ed erano, senza dubbio, dell’azzurro più chiaro che io avessi mai visto. Quando parlò, lo fece con una voce calda e profonda. 
“E’ raro vederti da queste parti, Gilbert. A cosa devo il piacere della tua visita?”. Osservò curioso tutti i presenti, soffermandosi più di una volta su di me. La seconda –avrei potuto giurarci- mi fece l’occhiolino. “Sono qui per la giustizia. Guarda!” Gilbert mi spinse avanti a sé. “Lo sai cos’è, vero? E’ un abominio! Non possiamo tollerarlo”. Non avevo capito quasi nulla delle sue parole, ma il tono fu sufficiente a mandarmi in bestia. 
“Suvvia, non c’è bisogno di essere così categorici” -il vecchio saggiò con la punta del piede un piccolo cumulo di terra - “potresti osservare la faccenda da un altro punto di vista”.
“Non ne vedo altri”.
“Ogni problema ha almeno due punti di vista: il nostro e quello giusto”. 
Gilbert scoppiò a ridere. “Conserva le tue parole da oracolo per il tuo epitaffio, vecchio! Sappi che non ho intenzione di prendere in considerazione il tuo punto di vista. E’ pericolosa. Punto.”
“Fa come vuoi”, il vecchio sospirò rassegnato.
“E’ proprio ciò che farò.” Gilbert sguainò la spada che gli pendeva dal fianco ed io serrai istintivamente gli occhi. Era questo quello che viene chiamato terrore? Poi sentii un urlo di dolore, qualcuno della folla si dileguò lungo il pendio. Mi voltai. L’uomo che fino ad un momento prima mi aveva minacciato di morte, aveva preso fuoco, simile ad un’araba fenice, era diventato un torcia umana. “Acqua, serve dell’acqua” gridò qualcuno. La fenice aveva preso a dibattersi a terra nel tentativo di far spegnere le fiamme. Nel trambusto, il vecchio mi si era avvicinato e mi aveva posato delicatamente le mani sugli occhi. “Non è un bello spettacolo”, mi sussurrò. Poi si rivolse all’uomo in agonia. “Torna a casa.” Così come erano venute, le fiamme sparirono, sul suo corpo non rimase nessuna traccia di ustione. Fu scortato giù dalla rupe da coloro che avevano assistito, loro malgrado, al falò. Uno alla volta, tutti i presenti se ne andarono e la ressa si sciolse. Rimasi lì, impalata e ancora con gli occhi chiusi. “E’ tutto finito, puoi aprire ora”. Lo feci. Il “vecchio” - da quel momento non l’avrei mai più chiamato così- era in piedi davanti a me, con un caldo sorriso stampato sul volto. “Perché mi hai aiutato?”, gli chiesi.

“Diciamo che è il modo per espiare le mie colpe. Che ne dici di dirmi il tuo nome?”. Probabilmente avrei dovuto comportarmi diversamente con l’uomo che mi aveva appena salvato la vita, ma crude e ostinate mi tornavano davanti agli occhi le immagini di quel corpo che bruciava tra le fiamme. Scossi lentamente la testa e lui parve molto deluso. “Va bene, ricominciamo daccapo, io sono Yusuf”, mi porse la mano , attendendo trepidante la mia risposta. Nonostante ciò che aveva fatto, in un modo o nell’altro, il suo sorriso dolce mi rassicurava, nonostante ciò che avevo visto, non riuscivo a provare paura di quell’uomo. Così, dopo un attimo di tentennamento, la accettai. “Aneh, mi chiamo Aneh”. “E’ un bellissimo nome.” Non lasciò la stretta, mentre mi conduceva dentro, né mentre mi offriva da mangiare e nemmeno mentre mi procurava un giaciglio per la notte. E fu con la mano nella sua che piombai nell’incoscienza del sonno. Nel dormiveglia, mi soffermai ad osservare la finestra che dava sul buio della notte e –ci avrei scommesso- c’era una donna nell’oscurità che mi osservava commossa. Baciò il vetro che ci separava e poi corse via, veloce. Mi addormentai. L’indomani, il volto di Lydie era diventato solo un altro tassello dei miei sogni confusi e agitati.

   
 
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