Libri > Sherlock Holmes
Segui la storia  |       
Autore: Perversion    13/01/2012    4 recensioni
La porta si chiuse con un tonfo sordo, sospettava una reazione simile e non si stupii, ma il dolore acuto alla bocca dello stomaco che avvertii quasi istantaneamente, invece, lo sorprese parecchio.
Un litigio. Un cadavere avvolto dalla neve. Un pensiero fisso che impedisce qualsiasi deduzione. Questo nuovo caso potrebbe rivelarsi più arduo del previsto per il nostro Sherlock Holmes.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
capitolo 2


Capitolo 2. Sentimenti
 



Non aveva dormito, troppo preoccupato per la sorte del suo amico, si era aggirato per l'appartamento tetro e silenzioso finché le ombre della notte non avevano lasciato il posto ai primi teneri raggi solari. Infine, si era buttato la giacca sulle spalle ed era uscito di casa. La neve risplendeva candida, ancora immacolata, le uniche impronte erano le sue che, mani in tasca e sguardo basso, si era incamminato lungo la via. Durante l'arco di tutta la giornata e nottata, che aveva trascorso aspettando il ritorno di Watson, sentimenti contrastanti si erano fatti largo in lui. Era, prima di tutto, preoccupato, con un tempo simile la gamba del suo fido Boswell doveva avergli procurato non pochi dolori, limitandogli i movimenti. Poteva anche essere caduto vittima di ladruncoli di bassa lega che, approfittando della loro superiorità numerica e del dolore di Watson -magari anche dell'effetto sorpresa- lo avevano pestato e derubato, lasciandolo agonizzare in chissà quale vicolo della City. Per un attimo, un breve attimo, nella sua mente si era formata l'immagine di Watson sanguinante sul ciglio della strada ricoperto di neve, era stato costretto ad usare tutto il suo intelletto per auto-convincersi che una tale fine per il dottore era assolutamente impensabile, il suo Boswell era pur sempre un soldato, era stato addestrato per scamparla anche in una situazione critica come quella che si era immaginato. A questo punto, in lui si era fatta largo l'ira. Si era immaginato Watson ridere felice in compagnia di una bella donna mentre bevevano vino assieme, ma ancora una volta, il suo intelletto aveva sedato tali sentimenti suggerendogli che se mai Watson avesse avuto una compagna sicuramente se ne sarebbe accorto prima, senza contare il fatto che lo stesso dottore gliene avrebbe sicuramente parlato. Verso mattina, invece, si era sentito offeso. Offeso da tutto e da niente, dal comportamento di Watson, dalla neve che cadeva, dalla signora Hudson che non la smetteva di muoversi al piano inferiore -ma non dorme mai? si era ritrovato a pensare- e, soprattutto, offeso dal suo stesso corpo, che ignorava ogni ragionamento logico solo perché Watson era momentaneamente assente. Lo scoprirsi, ormai, completamente e assolutamente succube del dottore aveva riacceso in lui l'ira. Non che il povero Watson c'entrasse qualcosa; era solo il suo stupido e incontrollabile cuore che di sua pura iniziativa si era distaccato da lui, ed era andato a donarsi a John, rendendo così la sua presenza indispensabile per il corretto funzionamento di quel poco che restava del famoso Sherlock Holmes. D'altra parte, il cervello non funziona senza il cuore che lo rifornisce d'ossigeno. Mentre arrancava nella neve candida, con le guance ormai arrossate e la fatica che iniziava a farsi sentire, Sherlock capì che, semplicemente, doveva trovare il suo John perché ormai la sua presenza gli era più preziosa dell'oro e, soprattutto, più vitale dell'ossigeno. Improvvisamente Sherlock Holmes si sentì come una protagonista dei romanzi tanto amati da Watson, l'ombra di un sorriso gli attraversò il volto mentre se lo figurava seduto sulla sua poltrona intento a leggere uno dei suoi romanzi con un sorrisino inconscio stampato sul volto. Arrivato in fondo alla strada voltò a destra e proseguì il più velocemente possibile, maledì la neve che aveva costretto in casa tutti, compresi i vetturini e che gli impediva di procedere ad una velocità maggiore. Fu solo quando si trovò ormai nei pressi del circolo che solitamente frequentava Watson che qualcosa attirò la sua attenzione. La camminata lo aveva stancato parecchio, la gola e il naso gli pizzicavano ogni volta che respirava, le dita e le orecchie si erano ormai congelate e, sospettava, gli sarebbero cadute da un momento all'altro, come anche i suoi poveri piedi. Tuttavia, quando, avvicinandosi, focalizzò meglio la scena, si dimenticò all'istante di tutto e, incespicando, corse verso l'altro lato del marciapiede dove John Hamish Watson era riverso sullo stomaco. Holmes pregò il Signore che quello non fosse lui, che la sua mente gli avesse giocato solo un brutto scherzo, che quello era solo uno qualunque. Purtroppo, quando si fu inginocchiato e ebbe rigirato il corpo freddo, ebbe la conferma che l'uomo disteso sulla neve era veramente Watson. Il mondo parve acquietarsi, i rumori gli arrivavano ovattati, i movimenti rallentati. Una gran paura si impadronì di lui, svelto, gli tastò il polso gelido; il cuore batteva ancora. Sospirò, grato che almeno quello gli fosse stato concesso, si sfilò velocemente il cappotto e ci avvolse il dottore. Quando l'ebbe coperto lo sollevò di slancio e, benché le gambe gli tremassero per lo sforzo, come anche le braccia, Sherlock Holmes si impose di non arrendersi, non ora che la vita del suo John dipendeva unicamente da lui. Tornò sui suoi passi ripercorrendo la strada almeno due volte più velocemente che all'andata. Mormorando preghiere e stringendo sempre più forte Watson. Il suo cuore stava morendo congelato tra le sue braccia...che fosse dannato se glielo avesse permesso!
 
Sentii delle voci, voci ovattate, non capivo cosa dicessero. Qualcuno piangeva...una donna. Realizzai di essere disteso su qualcosa di morbido, un letto. Passi, pesanti passi che si allontanavano e ancora singhiozzi. Sembrava la voce di Mrs. Hudson. Volevo aprire gli occhi, ma perfino ascoltare mi risultava faticoso. I singhiozzi si allontanarono. Ero rimasto solo. Volevo urlare, balzare giù dal letto o anche, semplicemente, muovere un dito. Ma il tutto risultava veramente troppo faticoso, il mio corpo si rifiutava categoricamente di eseguire i miei ordini. Nel silenzio più assoluto avvertii qualcosa afferrare la mia mano destra, qualcosa di incredibilmente caldo, sapevo esattamente cos'era. La mano di Sherlock strinse forte la mia e in me nacque la voglia di piangere, l'averlo li e non riuscire neanche a ricambiare la stretta era molto demoralizzante. Ormai il litigio non contava più, era tutto dimenticato, per me, in quel momento, esistevano solo quel letto e Sherlock che mi stringeva, mi teneva aggrappato alla vita. Avvertii una sedia grattare contro il pavimento e temetti che anche lui volesse lasciarmi solo. Provai con tutto me stesso a reagire, per fargli capire che non volevo restare solo, volevo che continuasse a tenermi per mano. Fortunatamente percepii al mio fianco il materasso che si abbassava, mi sollevò la mano e se l'appoggiò sulle gambe. Avrei dato tutto quello che avevo, e tutto quello che avrei avuto per rendere quel momento eterno.
«Tranquillo mio caro, non ti lascio solo... »
Mormorò improvvisamente il mio amico chinandosi su di me per baciarmi delicatamente una tempia. In quel momento compresi che se ero vivo, se riuscivo anche solo a respirare, lo dovevo a lui. Era stata la sua voce a guidarmi nel buio ed ora era il suo calore che impediva al mio corpo di arrendersi. Pregai il Signore, gli chiesi di farmi guarire, così da avere la forza anche solo per poterlo stringere a me, anche solo per fargli capire che i suoi sentimenti erano pienamente ricambiati.
 
Lestrade irruppe nella camera come una furia, spalancando la porta che andò a schiantarsi contro il muro.
«Holmes, insomma deve venire ad indagare ora! »
Sherlock Holmes gli lanciò un'occhiataccia che sembrava voler dire "ora ti uccido" e tornò ad immergere la pezzuola nel catino vicino al letto; la strizzo e la adagiò piano sulla fronte di Watson. Lestrade tossicchiò, imbarazzato per l'orribile figura che aveva appena fatto, poi riprese, parlando sommessamente.
«Mi duole vedere il dottor Watson ridotto in questo stato ma sono stato fin troppo indulgente Holmes, il caso deve essere chiuso, al più preso possibile. La pregherei dunque di accompagnarmi quest'oggi a far visita alla vedova Court».
Holmes non rispose né lo degno di uno sguardo; la sua attenzione era tutta per Watson. Osservandoli da quella posizione Lestrade non poté impedirsi di arrossire, sentiva che tra quei due c'era più di quello che mostravano, un legame così profondo da risultare incomprensibile per il resto del mondo. Lestrade non aveva nulla contro gli invertiti, come li chiamavano gli altri. Per come la vedeva lui erano persone come tutte le altre. Purtroppo la legge diceva il contrario, ma per quella volta l'ispettore finse di non aver visto nulla. Per un attimo, Lestrade riuscì a percepire fino a che punto quelle due anime fossero legate tra loro, quasi fossero una, ma durò solo per un attimo, poiché un movimento improvviso di Holmes lo riportò alla realtà. L'uomo era scattato in piedi e ora si dirigeva verso di lui. L'ispettore si scostò facendogli spazio e Sherlock Holmes si diresse alla sua poltrona per afferrare una giacca che era stata accuratamente stesa ad asciugare vicino al fuoco.
«Non ho altra scelta, prima si concluderà il caso, prima potrò tornare... »
Non finì la frase, forse accorgendosi che si stava dimostrando troppo debole e rammollito davanti ad un estraneo. Si infilò velocemente il cappotto e scese le scale. Lestrade si avviò lentamente dietro di lui e chiuse la porta alle sue spalle, scese i gradini e uscì dal portone evitando per un pelo di scontrarsi contro Holmes.
«Dovremo camminare? »
Chiese lui, scrutando la strada quasi deserta.
«Purtroppo sì» ammise Lestrade,«le strade sono ricoperte di neve e ancora nessuno si è adoperato per rimuoverla, rendendo così impossibile il normale circolamento delle carrozze».
Sherlock Holmes sbuffò e fece segno all'ispettore di avviarsi, l'ispettore alzò un sopracciglio iniziando ad avanzare nella neve con Holmes che lo seguiva.
Fu solo quando Holmes -che era molto più alto di lui e quindi capace di fare passi più lunghi- lo superò che Lestrade, posando gli occhi su di lui, si accorse che la giacca dell'uomo non era assolutamente della sua misura. Come un fulmine a ciel sereno si ricordò di aver visto quella stessa giacca addosso a Watson e, di nuovo, si ritrovò ad arrossire.
 
Il numero 13 di Redesdale Street comparve alla loro vista diverse ore dopo. Entrambi salirono stremati gli ultimi gradini che conducevano alla porta di ingresso, dipinta di un bel blu scuro. Lestrade suonò il campanello e pochi attimi dopo un'anziana signora vestita interamente di nero aprì loro la porta, dopo aver chiesto l'identità dei due li fece entrare, conducendoli attraverso lo stretto corridoio e successivamente nella sala. Il camino era acceso e, seduta su un divano dinnanzi ad esso, vi era una giovane donna, vestita anch'essa di nero, con il volto nascosto tra le mani. Ella non parve udire i due, e quando la vecchia le andò vicino per scuoterla leggermente, la donna fece un piccolo sobbalzo, spaventata. Lestrade prese parola e li presentò entrambi, scusandosi per il disturbo e chiedendole se era in grado di rispondere a qualche domanda. La vedova Court annuì seria e li fece accomodare.
«Mi scuso ancora per il disturbo», riprese Lestrade. « Ma sono sicuro che saprà sicuramente della gravità della situazione e di quanto sia importante agire con sveltezza».
La donna annuì nuovamente, posando lo sguardo su Sherlock Holmes, che fino a quel momento non aveva staccato un attimo gli occhi dal fuoco.
«Or dunque, mi dica: quand'è stata l'ultima volta che ha visto suo marito vivo? »
Lei parve rifletterci un attimo, lanciò un'occhiata preoccupata all'anziana donna che le si era seduta accanto poi parlò.
«Il pomeriggio prima che morisse... » mormorò piano, tanto che Lestrade dovette chinarsi in avanti per sentirla.
«lui...si ecco, Jeremy, mi venne a trovare e mi disse che rivoleva indietro alcune carte, che gli erano indispensabili per una faccenda che stava portando avanti. »
Lestrade smise di scrivere e guardò la donna, accigliato.
«In che senso "la venne a trovare"? »
«Io e Jeremy stavamo divorziando».
L'anziana donna le afferrò un mano e gliela strinse dolcemente.
«Quell'uomo era un maiale! » Esclamò poi, «Mia figlia è troppo buona per raccontarvi come stanno le cose, ma io no, giudicatemi una macchina senza cuore ma sono felice che quell'individuo sia morto».
La giovane donna lanciò un'occhiata preoccupata alla madre, che però continuò.
«Vede ispettore, mia figlia e Court si sono conosciuti tre anni fa, durante una vacanza a Parigi, il giovane Court iniziò subito a fare la corte alla mia dolce Susan e pochi mesi dopo si sposarono. Inutile dire che la mia ingenua Susan non sapeva a quali rischi andasse incontro», e così dicendo sollevò il braccio della ragazza scostando il tessuto pesante del vestito e rivelando cinque segni violacei sul polso. Susan ritrasse subito il braccio, nascondendo nuovamente i lividi.
«Quel famoso pomeriggio, Court si presentò senza preavviso, era eccitato e chiedeva continuamente a Susan queste carte che lui le aveva affidato in custodia, Susan gli rispose che al momento non le aveva con se ma che gliele avrebbe fatte recapitare il prima possibile e poi... »
La madre di Susan lanciò un'occhiata alla figlia che però era voltata dall'altra parte.
«Poi? »
Domandò Lestrade ansioso, la madre di Susan sospirò scuotendo la testa.
«Mi dispiace ispettore, ma io ero al piano superiore e, per quanto da lassù si goda di un'ottima acustica, non mi era permesso di vedere ciò che accadeva al piano inferiore, posso solo dire quel che ho sentito».
«D'accordo, signora, lei ci dica solo cos'ha sentito, senza preoccupazioni».
Lestrade era visibilmente eccitato, ormai certo di avere tra le mani il colpevole.
«Ho sentito dei sussurri, la porta che si chiudeva, la porta che si riapriva con un tonfo e poi urla e la porta che veniva sbattuta di nuovo».
«Ha i documenti a portata di mano ora, Mrs. Court? »
Chiese Sherlock Holmes, senza mai staccare gli occhi dal fuoco. La vedova si girò nella sua direzione scrutandolo con aria preoccupata.
«Mi chiami Susan, per favore, ormai non sono più ne Mrs. ne tantomeno Court. I documenti, si li ho, mi ricordai troppo tardi di averli chiusi in un comodino del secondo piano».
«Potrei vederli? »
Susan asserì e fece un cenno alla madre, che si alzò e sparì oltre la porta, tornando poco dopo con una busta sigillata tra le mani che gli consegnò. Sherlock Holmes esaminò la busta e l'aprì estraendo dal suo interno i due fogli contenuti, lesse velocemente i testi delle lettere, poi rimise tutto dentro, chiuse nuovamente la busta e la riconsegnò alla donna che la passò alla figlia.
«Sa cosa c'è scritto in queste lettere? »
Domandò Holmes, studiandola attentamente, Susan negò, precisando che degli affari del suo defunto marito non si era mai interessata.
«Mia cara Susan, le posso assicurare che aprendo quella busta e leggendo il contenuto delle due lettere rimarrà molto sorpresa».
Susan lanciò un'ennesima occhiata alla madre e tremante aprì la busta, estraendone i fogli. Sherlock saltò in piedi e batté le mani, facendo sobbalzare tutti.
«Mrs. Mi perdoni, ma non credo di aver afferrato il suo cognome», disse rivolgendosi all'anziana.
«Strendson, Sarah Strendson», rispose la donna.
«Bene Mrs. Strendson, mentre sua figlia legge le lettere potrebbe mostrarmi il piano superiore della casa? »
La donna annuì e gli fece strada fuori dalla sala e su per la rampa di scale, giunti sul pianerottolo con un movimento secco della mano parlò.
«Ecco il secondo piano, quella in fondo è la mia camera, quella davanti e la camera di mia figlia».
«E le altre due? »
Mrs. Strendson alzò le spalle.
«Questa adiacente alle scale era lo studio di Court, quella dall'altra parte è una stanza che usiamo per ricamare o anche come ripostiglio».
«E lei dove si trovava al momento della visita di Jeremy Court? »
La donna gli indicò la finestra dall'altra parte del pianerottolo, sotto alla quale era stata posizionata una sedia a dondolo.
Sherlock si avvicinò ad essa e la esaminò con cura, vi si sedette e dondolò un paio di volte, poi si risollevò e tornò dalla donna.
«Potrebbe, cortesemente, sedersi li e assecondarmi in un mio piccolo esperimento? »
Dopo qualche attimo la donna annuì e si diresse verso la sedia.
«Bene, ora Mrs Strendson, io scenderò e dirò qualcosa, quando tornerò su dovrà ripetermi esattamente quello che ho detto».
Mrs. Strendson annuì e Holmes scese le scale ed entrò in sala, li trovò Susan ancora china sui fogli e Lestrade che la teneva d'occhio. Silenziosamente fece cenno all'ispettore di seguirlo in corridoio e, una volta che furono entrambi li, afferrò il taccuino dell'ispettore e vi scrisse sopra alcune parole, aggiungendo sotto che le doveva leggere ad alta voce e poi tacere. Lestrade fece come gli era stato chiesto e parlò. Successivamente Sherlock Holmes gli fece cenno di tornare dentro e, mentre Lestrade rientrava, il detective risalì le scale.
«Allora Mrs. Strendson, cos'ho detto? »
La donna rispose subito e senza esitazione.
«"Oh mia cara che piacere rivederla"».
Sherlock sorrise e annuì.
«Grazie signora, mi è stata di grande aiuto può ridiscendere con me ora, torniamo in salotto».
Rientrati che furono in salotto trovarono ad attenderli una Susan con lo sguardo vittorioso.
«Dunque», iniziò Holmes «non ha trovato nulla di interessante nella lettura delle lettere? »
Susan scosse la testa e gli porse i fogli.
«Sinceramente, signore, può tenerseli, non mi interessano queste carte ne il loro noioso contenuto».
Lestrade notò un sorrisino dipingersi sul volto di Holmes.
«Crede dunque che un paio di carte sull'acquisto di uno stallone purosangue non siano interessanti? », chiese, con il sorriso che si allargava.
Anche la donna sorrise, scuotendo nuovamente il capo.
«Affatto».
Sherlock Holmes parve un po' deluso, frettolosamente, raggiunse il suo soprabito e se lo infilò.
«Mi duole molto che non la pensiamo allo stesso modo, le assicuro, signorina, che sono ad un passo dallo scoprire il colpevole, con il suo permesso mi tengo la busta e le carte e ora vogliate perdonare la mia fretta ma ho qualcosa di urgente da sbrigare».
Le due donne annuirono stranite, lanciando occhiate a Lestrade che lo fissava attonito. Sherlock Holmes si diresse verso la porta ma la voce della signorina Strendson lo fermò.
«Signor Holmes! », lo chiamò ella; lui si girò ad ascoltarla rimanendo immobile sull'uscio. Susan per un attimo si mosse in modo tale da far credere che si volesse alzare, poi, come ricordandosi qualcosa si riadagiò sul divano.
«Signor Holmes» riprese «La prego di credermi sulla parola se le dico che io amavo mio marito, lo amo ancora molto, voglio che il suo assassino venga trovato e giustiziato! » Nei suoi occhi c'era una strana luce, Holmes scorgeva in lei frammenti di ira e tristezza; non sapendo come rispondere annuì semplicemente e uscì dalla sala. Una volta in strada riprese la via che lui e Lestrade avevano fatto all'andata, il mistero adesso era molto più chiaro ma la cosa non gli importava minimamente, voleva solo tornare a casa dal suo Watson.





Continua...







Stranamente sono riuscita ad aggiornare in tempi abbastanza brevi, anche se qui la connessione sembra voler fare di tutto per impedirmelo. Dunque questo capitolo è ovviamente assolutamente OOC ma ormai lo sappiamo e sennò nemmeno lo mettevo tra gli avvertimenti! Però devo ammettere che mi piace questo Sherlock, è proprio nel mio stile "dolce e coccoloso" (e vorrei anche vedere, l'ho scritto io!). Ci sono alcune cose che vorrei preciusare, prima di tutto questa storia della neve...sinceramente non so come funzionavano le cose quando nevicava così tanto e, purtroppo, la connessione che va a saltelli mi ha impedito di scoprirlo, quindi vi chiedo perdono se ho scritto una grandissima caciofecata. La seconda cosa che ci terrei a precisare è la faccenda del divorzio....divorziavano, vero? xD era fattibile una cosa del genere? spero prorpio di si! *maledice la connessione* ma ho supposto che dopo Enrico VIII e il suo stuolo di mogli si potesse divorziare!
Tanto per perdere un po' di tempo sono orgogliosa di annunciare che proprio in questo istante sto leggendo l'ultimo capitolo de "Il segno dei quattro" ....uhm...penso che questo sarà il racconto che mi piacerà meno...chissà perchè *coffcoffColpaDiQuellaSpinaNelFiancoDiMarycoffcoff* anche se ho notato alcuni particolari molto favorevoli allo slash (ma d'altra parte, se lo slash è nato proprio grazie a loro due un motivo ci sarà! <3). Vorrei gongolare un po' *inizia a gonolare* perchè sulla copertina de "La valle della Paura" (si li ho comprati tutti e me li sto leggendo uno dietro l'altro) c'hanno messo Robert e Jude <3 mi è preso un mezzo attacco cardiaco quando li ho visti, poi hanno scelto proprio una delle mie scene preferite del primo film! (quella in cui sono al cantiere navale e Watson salva per un pelo Holmes). Purtroppo, se le mie deduzioni sono esatte *Mode Sherlock Holmes: ON* Watson dovrebbe essere ancora sposato...questa donnina allegra però dovrebbe tagliare la corda dopo "la scomparsa" di Holmes...quindi ne "Il mastino di Baskerville" (che poi è quello che tutti mi hanno consigliato dicendo "Oh mamma, te lo devi leggere è bellissimo!" sei persone hanno detto la stessa identica cosa! speriamo sia vero! xD) non si saranno spine nel fianco *coffcoffMenoMalecoffcoff*.
Ma cambiando discorso! Dopo estenuanti camminate nella neve finalmente sono entrate in scena due donnine molto allegre, come vi sembrano?
Fatemi sapere!
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: Perversion