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Autore: Esaul    17/01/2012    3 recensioni
"Perché sei così ossessionato dalla musica?" gli chiesi.
"Perché, perché, perché. La gente non fa altro che chiedermi perché. Non lo so, semplicemente. So solo che la musica è la cosa più bella che ho, so che mi ha reso felice, e so che io farò felice gli altri con la mia musica. Io, la mia anima e la mia chitarra. Non ho certo bisogno di cantare per dire qualcosa, mi basta il suono delle corde. Ecco, finito, ci sono domande?"
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nothing Else Matter

Alla fine Orianthi dovette cedere alle ragioni di Aaron. Era troppo abile per essere ignorato, e ci aveva messo davanti la verità con una forza impressionante.

Seguimmo il suo consiglio, ma per quanto ci provassimo non riuscivamo ad emularlo nemmeno minimamente, non riuscimmo a provare le stesse sensazioni ascoltando noi stessi.

Il concerto andò bene, tutto sommato. Fummo applaudite eccetera eccetera, però dentro di noi non ci sentivamo pienamente soddisfatte. Esaul ci aveva colpito nel profondo, scosso. Ci aveva fatto capire che dovevamo rivedere tutti i nostri metodi, tutto. Eppure, non sapevamo da dove cominciare.

La band di Aaron si esibì dopo di noi. Preferimmo non vedere la loro esibizione. Ricordo solo che alla fine un boato eruppe dal pubblico, e il gruppo seguente preferì rimandare la sua prova di un'ora per evitare di perdere inevitabilmente il confronto. Mi raccontarono che i quattro compagni di Esaul non erano poi granché migliori di noi, ma lui era pazzesco.

Le altre della band se lo tolsero presto dalla testa, riprendemmo a fare tutto come al solito. Io però non riuscivo a non pensarci. Per un paio di mesi fu il mio chiodo fisso, rievocavo appena potevo il ricordo di quella prova, di quando aveva preso una nostra canzone e l'aveva resa perfetta. Volevo riuscire a capire il suo segreto, la sua formula speciale, ma non riuscivo a capire dove fosse, da dove tirasse fuori quel fuoco di passione, come riuscisse ad avere questo impatto sugli spettatori.

E poi avevo sempre nella mente i suoi occhi color ghiaccio. Mi fissavano nella notte, e io ricambiavo il loro sguardo, chiedendogli perché. Perché quegli occhi mi avevano colpito così tanto, perché emanavano quell'aura di diversità, come se scrutassero il mondo da un'altra dimensione. Perché, oltre quegli occhi, s'intravedeva un dolore immenso. Qualcosa di estremamente sbagliato.

Nel frattempo la scuola riprese a rompermi le palle che non ho. Per prima cosa, i professori ci riempivano di compiti (più del solito, intendo). Secondo, era un periodo in cui non avevo voglia di fare niente. Non saprei neanche dirvi perché, sentivo che mi mancava qualcosa. Comunque, il fatto era che i miei vecchi si erano incazzati perché non facevo nulla. Per loro non contava perché succedeva qualcosa di negativo. Quella cosa accadeva e bisognava risolvere, punto. Ma dico io, come si fa a risolvere un problema se non si capisce da cosa è causato?

 

 

 

Faceva freddo, troppo freddo.

Era una limpida mattina invernale a Liverpool, una di quelle che porta con sé un vento freddo e tagliente quanto un pugnale, nonostante la giornata fosse senza nuvole. Alla fermata del pullman, una coppietta si era abbandonata agli istinti, al desiderio. I due si scambiavano passionali effusioni. Lei aveva a tracolla una borsa che emanava un leggero odore di carta stampata, portato lontano dalle correnti, le sue mani erano eleganti e precise, sicure di non sbagliare un colpo. L'abbigliamento lasciava intendere che proveniva da una famiglia molto ricca, di quelle che spendono molti soldi per cose inutili e pochi per quelle utili, come gli studi di chirurgia della figlia.

Anche il compagno era vestito in modo analogo, come un maschio che vuole mettersi in mostra. Aveva la mascella insolitamente serrata e le sopracciglia abbassate, quasi a confondersi con le ciglia. Tremava, ma non dal freddo. Una piccola macchia di calce bianco gli rovinava in modo impercettibile le scarpe, cucite troppo in fretta per essere opera di un'attenta marca internazionale come il ragazzo voleva far credere. La cosa peggiore era che alcune cose che lui, operaio in un cantiere a Old Swan, portava e vestiva non se le sarebbe potute permettere. Il suo insano desiderio di possedere il corpo della ragazza lasciava presagire il resto.

A pochi metri da loro, in piedi, c'era Aaron Loar. Osservare, esaminare e capire le persone era la sua specialità. Soprattutto quando era annoiato, diventava incredibilmente perspicacie. Insomma, più del solito.

In quel momento, per esempio, stava aspettando il pullman e non aveva molto altro da fare. Ecco una cosa che odiava: l'inattività. Piuttosto che aspettare avrebbe preferito farsela a piedi fino a scuola, ma il freddo glaciale l'aveva dissuaso da questo intento, così si era messo ad osservare quei due ragazzi, senza però fissarli. Aveva preferito basarsi sull'unica volta che li aveva guardati con gli occhi, quando era arrivato alla fermata. Almeno così sarebbe stato più difficile e meno noioso, per quanto quei due tizi non rappresentavano dei soggetti particolarmente interessanti.

Aaron pensava che qualsiasi nostro gesto, volontario o involontario, racconta degli uomini più di quanto non lo facciano le parole, e grazie a questa sua idea mentirgli era diventato quasi impossibile.

In effetti, l'aspetto e i gesti di Aaron parlavano chiaro, eppure nessuno aveva mai tentato di capirli.

Era minuto, di media statura e molto magro, ma la fermezza e la decisione delle sue mani lasciava intravedere una forza interiore dura a morire. Si sentiva protetto dalla sua solitudine, consapevole che nonostante fosse da solo, rimaneva pericoloso. I capelli lunghi fino alla base del collo, neri come l'inchiostro, erano mossi dal vento. Ma erano i suoi occhi color ghiaccio a confondere i più. Se non bastava l'abbigliamento rock, jeans strappato e felpa verde a lasciar intuire che si trattasse di una persona diversa, quei due occhi circondati da profonde occhiaie eliminavano ogni dubbio. Erano intelligenti e profondi come due pozzi, pieni di un dolore che, forse, nessuno sarebbe mai riuscito a riempire. Nessuno, forse, tranne la musica.

La musica che da, la musica che si lascia modellare, la musica che si ama e, nel caso di Aaron, ti ama.

Ecco cosa rendeva "Esaul" un chitarrista straordinario.

Lui amava la musica e la musica amava lui. Se volete capire veramente qualcosa di quel ragazzo, ascoltate.

  
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