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Autore: Claire Knight    23/01/2012    5 recensioni
Bene, salve a tutti! Questa è una raccolta di storie che dedicherò, di volta in volta, a persone diverse che ho conosciuto qui su EFP. Persone che sono sempre state gentili nei miei confronti, persone alle quali, malgrado la distanza, mi sono affezionata. Per ringraziarle del loro appoggio, i loro consigli ed il loro affetto.
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1) Sundown's light - a Kidou_Devil
2) Questione di vantaggi - a Niki_White
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti!! Eccomi, allora, questa shot è dedicata alla mia adoratissima Nicole, per ringraziarla di tutto ciò che fa per me e per i sorrisi che mi regala solo scrivendo. La ringrazio per essermi sempre accanto. Ho lavorato molto su questa shot, ho dato perfino un cognome a Miku, l'OC che la rappresenta, senza aver nessuna voce in capitolo. Ho immaginato un'espediente per cui, alla fine, dopo molto tempo, il nostro caro Fuusuke possa innamorarsene davvero. Ma qui ciò non fa testo.
Qui parliamo degli inizi.
Del modo in cui, da un semplice patto di utilità, nascerà poi qualcosa di più grande.
Spero di non deluderti Nicole, ci ho messo tutto il cuore.
E spero che anche gli altri possano apprezzare questa storiella =) accetto il parere di tutti.
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Questione di vantaggi.
 

La finestra sbatté rumorosamente le proprie ante contro i muri esterni della casa, in balia del vento. L'aria gelida di novembre strisciò come un serpente sotto le coperte, silenziosa, e la morse nelle ossa. La ragazza si alzò di scatto dal letto, quasi spaventata, ed in un attimo fu in piedi e la finestra fu chiusa. Si fermò a guardare fuori dalla finestra la pioggia che batteva, sembrava volerla raggiungere, bagnarle il viso, i capelli. Il cielo era scuro e grigio; e ogni tanto balenava di folgori. L'avevano sempre affascinata, la pioggia ed i fulmini.
Fuori le auto erano già in coda, i fari bianchi delle auto illuminavano appena le sagome degli alberi, le insegne luminose dei bar lampeggiavano nel buio. Lungo i marciapiedi, numerose file di ombrelli sfilavano quasi in processione.
Il suo respiro si condensò sulla superficie fredda e trasparente che la separava dall'esterno, appannandole la visuale, e solo allora si rese conto che la sua mano sarebbe presto congelata se non l'avesse allontanata dal vetro.
Si trascinò lentamente verso il letto e si infilò nuovamente sotto le coperte calde, affondando il viso nel cuscino. Per fortuna, si diceva, era ancora notte. Con tutto il buio che faceva fuori, era impossibile che fossero anche solo le cinque. Eppure, quella sua stessa certezza ingiustificata le fece insorgere un triste dubbio. No. Non poteva essere già mattina. Voltandosi, seppur di malavoglia, allungò un braccio e tastò alla cieca il proprio comodino. Afferrato il cellulare, constatò con amarezza ed incredulità che, contro ogni sua aspettativa, erano già le sette.
No. Non voleva alzarsi.
Disattivò la sveglia fissata per dieci minuti dopo, dicendosi che si sarebbe svegliata da sola, dato che ormai era sveglia, e che in quel modo si sarebbe anche risparmiata la tremenda suoneria che di solito la accoglieva ogni mattina.
Così, ributtò la faccia nel cuscino, pregò che il tempo si riavvolgesse e, quando stava per assopirsi di nuovo, cullata dallo scroscio della pioggia che tanto amava, la porta si spalancò ed un prepotente fascio di luce la investi in viso. Con un lamento sommesso, tolse il cuscino da sotto la testa e poi lo usò per coprirsela. E, per un istante, si lasciò andare all’illusione che la sua amica, e anche convivente,  l’avrebbe lasciata dormire per altri cinque minuti. Ma quella, facendo frusciare i lenzuoli, le tirò via la coperta, e a Miku non servì lamentarsi per riaverla.
< Ehi, andiamo? Tra dieci minuti devi esser pronta per uscire >.
< Dieci minuti?! > esclamò Miku sedendosi di scatto sul letto. Prese in tutta fretta il cellulare: segnava le sette e venti. < Non è possibile! >.
< Me lo dico spesso anche io! > sospirò la sua amica, alludendo evidentemente ad altro, < Dai, che ti riscaldo il caffè >. E se ne uscì dalla camera lasciando la porta aperta.
Miku pensò che era un angelo. In casa si occupava quasi di tutto lei, anche del cibo, eccetto che nelle rare occasioni in cui Miku sentiva la vena culinaria scorrerle nel sangue. Non si arrabbiava nemmeno tanto se poi per colpa sua arrivavano entrambe in ritardo e la lasciava dormire fino all’ultimo se non si alzava di sua sponte con la sveglia. Già, dannata sveglia. Perché l’aveva disattivata? Non poteva immaginare che il tempo potesse passare così velocemente, inghiottito dalla stanchezza.
Ora aveva solo dieci minuti scarsi per alzarsi, vestirsi, lavarsi il viso, fare colazione, preparare un panino e lo zaino, infilarsi le scarpe e non far arrivar tardi nessuna delle due.
Se li sarebbe fatti bastare.
 

***
 

< Ah, io non la sopporto proprio la pioggia! > sbuffò la sua compagna di banco. Sedutasi appositamente da sempre dal lato del banco lontano dalla finestra, non la smetteva mai di lamentarsi del suo smalto che si stava scolorendo, o dei capelli che si increspavano con l’umidità, degli stivali bagnati.
Miku non ce la faceva più. Ancora si chiedeva perché la loro professoressa dirigente le avesse assegnato una compagna tanto insopportabile quanto sciocca. Non solo non seguiva le lezioni, ma la infastidiva continuamente, impedendo di prestare attenzione anche a lei. Inoltre, Miku la odiava. E sapeva che il suo sentimento era ricambiato. Trovava particolare ma anche molto utile il potersi odiare senza esserselo mai detto, tirando su conversazioni a forza di finti sorrisi e falsissime dichiarazioni di affetto.
L’importante, in fin dei conti, però, era che non le desse troppo fastidio nelle sue questioni personali. Ché quella oca sapeva ficcar naso e metter bocca e veleno ovunque si potesse. E, in ogni caso, che la disturbasse durante le lezioni era una cosa sopportabile in confronto a molte altre situazioni fastidiose che avrebbe potuto creare. A patto che poi i professori non se la prendessero con lei e le abbassassero la condotta pensando che a chiacchierare non fosse solo l’oca bionda.
Come molte altre lezioni, quella di scienze in quel momento era tempestata dalle chiacchiere di Kimiko, che riempivano l’aria più di qualunque altro brusio. Miku si chiedeva come facesse la professoressa a non accorgersi del casino che faceva. Ma ormai aveva capito che quelle come lei avevano lo strano dono di non farsi beccare né quando chiacchieravano né quando copiavano. Lei, invece, ne era più che certa, l’avrebbero subito scoperta e ripresa.
< È questione di abitudine > aveva commentato una volta la stessa Kimiko, per tornare poi a concentrare la sua attenzione su altro, come, ad esempio, la rivista di moda della settimana che teneva sempre sotto il banco.
La cosa che più faceva imbestialire Miku, delle volte, era che i ragazzi andassero dietro a quelle ochette come Kimiko solo perché portavano almeno una terza di reggiseno e mettevano in bella mostra gambe e cosce. Possibile che tra tutti i ragazzi sulla terra non ce ne fosse uno – uno! - con quel poco di cervello che serviva per capire che gente come Kimiko non valeva nulla? Per capire che dietro a un chilo di fondotinta non c’era che un cervello piccolo come una noce?
Beh, in verità, forse un ragazzo c’era. E si chiamava Suzuno Fuusuke. Era un tipo piuttosto silenzioso e tenebroso e, come era giusto che fosse, passava più tempo con gli amici che con leamiche. Sulle ragazze, però, aveva l’effetto di una calamita su un oggetto in metallo. Era senza alcun dubbio un bellissimo ragazzo, con occhi che sfumavano tra azzurro e grigio e capelli più bianchi della neve appena caduta. Era freddo, cortese ma distaccato, non mostrava interesse per nessuna e, quando lo accerchiavano, sfuggiva loro come vento tra le dita, piazzando lì scuse banali ma efficaci. Forse, era proprio per queste sue particolarità che sembrava che le ragazze si facessero a gara per vedere chi riusciva a conquistarlo per prima. L’unico punto a suo favore che Miku poteva dargli era il fatto che non fosse un gigolò come tanti altri, sul carattere, tuttavia, non sapeva molto, anche se doveva ammettere che un poco l’affascinasse. Anzi, forse più che un poco. Ma quello era un dettaglio.
Miku picchiettò annoiata la matita sul banco e spostò lo sguardo fuori della finestra, intravedendo niente più che qualche bagliore bianco offuscato da quella pioggia senza fine.
Il temporale doveva esser cominciato nel cuore della notte, ma non accennava ancora di volersene andare. Era così buio all’esterno che era quasi impensabile che fosse davvero giorno. Sembrava una scuola per vampiri, che di giorno non potevano farsi vedere in giro. Le venne da sorridere.
In quel caso, infatti, sarebbero stati vampiri in tutto e per tutto.
Altro che i Cullen di Twilight! Eresia.
Mille volte meglio Dracula.
Il suono trillante della campanella che annunciava la ricreazione la riportò alla realtà, anche se si sarebbe potuto tranquillamente confondere nel chiasso che aleggiava nell’aula. Tirò fuori qualche spicciolo dalla tasca destra dei pantaloni: quella mattina non aveva avuto il tempo materiale per potersi preparare un panino. Avrebbe preso qualcosa alle macchinette distributrici sparse per i corridoi.
Uscendo dall’alula, incrociò una sua amica che, sfortunatamente, si trovava in un’altra sezione, ma che frequentava il quarto anno come lei.
< Ciao, Yuki > la salutò.
< Ma buondì, carissima! > rispose l’altra con entusiasmo, lanciandole le braccia al collo. Per poco Miku non si versò addosso la cioccolata calda che aveva preso ad un distributore.
< Allora, come va? > domandò Yuki.
< Benone. Hai visto che tempaccio? >.
L’altra annuì, poi sorrise: < Ma, in fondo, oltre questa nube scura il sole brilla come in ogni altro giorno, non pensi? >.
< Certo, ma non si vede comunque >.
< Eppure c’è >.
Miku sorrise, pensando che quelle parole avessero, in fondo, un significato bellissimo. Yuki era fatta così. Ogni tato tirava fuori belle frasi che facevano riflettere, ma spesso si tratteneva, consapevole che, se dette alle persone sbagliate, avrebbero avuto l’effetto di deriderla. Con Miku, tuttavia, si sentiva libera di esprimersi.
Improvvisamente, a dividere le due amiche che conversavano, arrivò un professore che chiese a Yuki di seguirla, dicendo che aveva da comunicarle una questione importante. Probabilmente perché lei era rappresentante di classe.
Fatto sta che Miku si ritrovò in pochi attimi nuovamente sola. Non sapendo cosa fare, si avvicinò ad un gruppo di sue compagne di classe che, in cerchio, confabulavano sommessamente e, di tanto in tanto, lanciavano occhiate furtive che volevano passare inosservate ai ragazzi carini che passavano.
Asami, ragazza ancor più sfacciata di Kimiko, era sicuramente quella che più si emozionava nel parlare. E, prima di giungere, le era quasi parso di sentir nominare il suo nome, ma Miku decise di non farci caso, convinta di essersi sbagliata. Fatto sta che, appena arrivò, tutte quante lanciarono una occhiata eloquente ad Asami, che in quel momento stava parlando, ed il filo del discorso sembrò cambiare all’improvviso.
< Mi sono lasciata con Wataru > esordì, tutta impettita, < Non potete capire come c’è rimasto male. Pensate che ancora mi cerca! È così carino, ma non mi interessa ormai >. Ed accompagnava i discorsi con ampi gesti delle mani.
Miku sbuffò tra sé. Si vedeva proprio che l’unica cosa che desiderava era stare al centro delle attenzioni, da brava egocentrica.
< Beh, cos’è quella faccia Kitami-san? > si sentì interpellare in quel momento. Nella voce di Asami intravide una nota quasi seccata, ma anche una viva curiosità di conoscere la risposta. Miku allontanò il bicchiere di cioccolata dalle labbra e sorrise.
< Provo compassione per lui, povero Wataru-kun >.
< Già, hai proprio ragione! Anche a me dispiace per lui! > esclamò Kimiko, che dava esibizione dei suoi tre centimetri cubici di cervello.
< No, io non intendevo in questo senso >.
< E cosa intendevi, scusami? > intervenne Asami.
< Dico solo che mi fa pena. Non poteva cadermi più in basso quando si è messo con una ragazza come te >.
< Come, prego? > esclamò quella, sporgendosi in avanti, le mani sui fianchi, quasi fosse sul punto di piombarle addosso. Miku sapeva che l’avrebbe fatta scoppiare se avesse continuato, ma non resisteva a quella tentazione. Non in un giorno come quello, in cui si sentiva quasi incoraggiata dalla forza di quella pioggia torrenziale, che la contagiava, quasi fossero un tutt’uno.
Alea iacta est.
< Scusami, ho sbagliato a dire > sorrise infine Miku, < Dicevo… quando si è messo con una troia come te >.
Asami scattò verso di lei con una velocità sorprendete e Miku, quasi senza pensarci, le rovesciò addosso quel che rimaneva della sua cioccolata. In fondo, sembrava che quel bicchiere fosse destinato a rovesciarsi addosso a qualcuno. Asami si bloccò inorridita, mentre sul suo viso si alternavano le più varie tonalità del rosso. Prima incredulità, vergogna, poi rabbia.
Ecco, ora sì che l’hai fatta grossa! Si disse Miku quando Asami alzò su di lei uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque.
Miku scattò di lato, prima che le altre oche potessero accerchiarla, e cominciò a correre per il corridoio, mentre la campanella suonava l’inizio della quarta ora e l’altra ragazza la inseguiva, seppur impedita dalle scarpe con il tacco che si era messa. Anche se forte della sua velocità nella corsa e del vantaggio di avere indosso scarpe da ginnastica,  Miku aveva il terrore di esser raggiunta; eppure sorrideva. Era soddisfatta. Finalmente le aveva detto in faccia ciò che pensava di lei da quando, anni prima, ad una festa si era messa a pomiciare con il ragazzo che sapeva piacesse a lei, senza che ne fosse nemmeno innamorata.
Troia, era proprio la parola giusta.
Appena vide l’entrata dell’aula in fondo al corridoio, si precipitò a grandi passi. Precipitò, appunto e letteralmente, tra le braccia di quel ragazzo, Suzuno Fuusuke, che tanto la incuriosiva, ma che in quel momento non aveva nessuna importanza. La sorresse per un attimo, per impedirle di finire a faccia in giù sul pavimento, e le fece riprendere l’equilibrio. Miku, sbirciando con un occhio Asami che correva sbraitando in quella direzione, dopo aver balbettato qualche scusa e chinato il capo frettolosamente, si fiondò in aula.
Ringraziò il cielo del fatto che il professore di matematica fosse già arrivato, inconsciamente pronto a salvarla dalla imminente lapidazione.
 

***
 

Durante le ultime due ore di scuola Asami Ishikawa non fece altro che progettare una vendetta memorabile per Miku Kitami. E la sventurata sapeva che l’avrebbe ricevuta a breve termine; perciò aveva deciso che al suono della campanella sarebbe corsa immediatamente a casa, senza aspettare la sua coinquilina all’uscita. In fondo, si trattava di vita o di morte, poco ma sicuro. Aspettò con trepidazione il suono della campanella: i pochi minuti che ne sarebbero seguiti avrebbero stabilito la sentenza finale, e dovevano essere senza condanna. Avrebbe sfruttato la buona posizione di secondo banco per guadagnare spazio, in confronto ad Asami che sedeva al quinto della fila accanto. Per tutto quel tempo, sentì le chiacchiere delle oche far passare di bocca in bocca l’accaduto e mille occhi puntarsi su di lei. Kimiko, inoltre, non proferiva parola con lei. Se Miku avesse saputo che ci voleva così poco a farla tacere, avrebbe gridato troia in faccia a tutte le sue amichette molto tempo addietro. In quelle due ore di inascoltata spiegazione, inoltre, ebbe molto tempo per ripensare a come era successo il tutto, ed avvampò di imbarazzo al ricordo di esser finita tra le braccia dell’unico ragazzo venerato come un dio da quasi tutte nella classe. Scoperto ciò, l’avrebbero odiata per tutta la vita. Ma, in fondo, ormai l’avrebbero fatto comunque. Tutte quante.
Ma perché se dici “troia” ad una troia quella si arrabbia? Non è già consapevole di esserlo?Si domandava, cercando di scorgere una risposta nella pioggia incessante e, se possibile, ancor più violenta di prima.
Ma la differenza stava appunto nel saperlo e nel dirlo. Era comunque un’offesa, e Miku lo sapeva bene. Forse si sarebbe salvata dal linciaggio di tutte, compresa Kimiko – alla cui amicizia teneva solo per non creare altre complicazioni, dato che erano compagne di banco fino a prova contraria -, se avesse giustificato la storia con quell’antefatto, banale pretesto del suo odio verso Asami. Anche perché era più che plausibile che la detestasse per quel motivo, che poi si aggiungesse il fatto che Miku non sopportava nulla del suo essere era una cosa che non c’entrava e che doveva restare nel silenzio dei suoi pensieri.
Quando la campanella suonò, si affrettò a risistemare i libri e l’astuccio dento lo zaino. Si infilò in fretta la giacca ed il suo adorato cappello di lana sulla testa, ma si vide sfaldare i suoi piani quando si avvide di recuperare l’ombrello, appoggiato sul termosifone. Con un ghigno malefico sul viso, Asami, già sulla porta, lo sventolò in aria. Sembrava che le uniche ad accorgersi di ciò che accadeva fossero loro due, ma Miku era consapevole che la maggior parte dei suoi compagni di classe seguivano attentamente lo svolgimento dei fatti.
< Ferma! > urlò Miku all’ombra di Asami, che correva via grandi passi. Si fece strada tra i banchi sotto gli occhi di tutti, arrancando a fatica tra i banali tentativi delle altre oche di trattenerla.
< Ragazze! Insomma, lascatela andare! > esclamò Kimiko, a sorpresa di tutte, Miku per prima. < Su, spicciati! > aggiunse con un segno incoraggiante delle mani.
Miku annuì decisa e si fiondò fuori dalla classe, all’inseguimento di Asami. Quando giunse sotto il portico esterno che dava sulla strada era già troppo tardi. L’altra si stava chiudendo dietro lo sportello dell’auto nera che era venuta a prenderla, ridacchiando soddisfatta.
< Cazzo! > esclamò Miku, furiosa per essersi fatta fregare tanto facilmente. Si tolse il cappello con rabbia e per poco non lo gettò a terra. Cercò ansiosamente qualcosa da prendere a calci, ma senza risultati, e sfogò la sua irritazione urlandola al cielo scuro che continuava a riversare su quella terra stanca quelle che sembravano tutte le lacrime di una vita. Subito dopo la rabbia, però, insinuandosi nel suo cuore, venne lo sconforto. Come sarebbe tornata a casa ora? Anche aspettando che arrivasse la sua amica Yuki, o la sua compagna di appartamento, non avrebbe risolto nulla e sarebbe stata solo un peso per l’altra, che si sarebbe inzuppata il doppio per dividere l’ombrello con lei.
Rassegnata ma convinta della sua decisione, Miku si infilò nuovamente il cappello sui capelli ricci e maledisse la giacca che non aveva un cappuccio.
< Davvero hai intenzione di tornare a casa senza ombrello? >.
Miku sussultò e, voltandosi, intravide nella semioscurità illuminata dalle luci interne alla scuola il viso di un ragazzo che, senza alcun dubbio, era il suo compagno Suzuno Fuusuke. Così dicendo, aprì il proprio ombrello, azzurro come i suoi occhi.
< Non mi sembra di avere altra scelta > rispose in un soffio Miku.
L’altro sorrise e le fece un cenno con il capo, < Su, vieni. Ti accompagno io >.
< Oh… > disse Miku, sorpresa, < Non vorrei essere di disturbo di nuovo, oggi >.
< Come? Ah, parli di quando, scappando da Asami, mi sei precipitata addosso? Figurati. E, comunque, se non mi sbaglio casa tua non è tanto lontana dalla mia >.
< Grazie > disse a quel punto Miku, mentre Fuusuke le faceva spazio sotto l’ombrello. Si incamminarono, e quella vicinanza confondeva Miku più di qualsiasi altra cosa.
< Di solito non farei una cosa del genere > esordì improvvisamente lui, passando l’ombrello nella mano sinistra e cingendo la vita a Miku con l’altra per avvicinarla. Lei arrossì, ma lui non poteva accorgersene. Probabilmente ciò che faceva era dettato solo dal bisogno di bagnarsi il meno possibile.
< E allora perché lo stai facendo? >.
< Mi hai colpito. Pochi avrebbero avuto il coraggio di dire in faccia ad Asami-chan quanto sia insopportabile >.
< E per questo mi stai accompagnando a casa? >.
< Sì. Inoltre, ho un favore da chiederti >.
< A me? >
< No, a tuo nonno >.
< Simpatico > replicò lei aspra.
< Dicevo, presto le altre scopriranno che ti sto accompagnando a casa: immagina quanto potranno essere gelose >.
Girarono l’angolo e Fuusuke inclinò l’ombrello nella direzione in cui il vento spingeva la pioggia.
< Sì, Asami scoppierà >.
< Infatti, ed è di questo che volevo parlarti>.
< Spiegati >.
< Diciamo che, se pensassero che io esco con te, allora la smetterebbero di ronzarmi intorno come api sui fiori >.
< O come mosche sulla spazzatura >.
< Simpatica >.
Miku sorrise, < Quindi, tu vuoi fingere di stare con me per farle ingelosire e togliertele di torno >.
< Esatto, ho tutto da guadagnarci >.
< Io no, però, caro il nostro genio >.
< E allora? >.
< Come e allora? Se non ci sono io non puoi far niente >.
< Ma tu collaborerai >.
< Come fai a dirlo con tanta sicurezza? >.
< Sono certo che ora che hai l’anima in pace nei confronti di Kimiko non vedi l’ora di fargliela pagare un’altra volta ad Asami >.
< La sua era una vendetta ad una mia azione. Ho esaurito la rabbia nei suoi confronti > mentì spudoratamente. Non voleva dargliela vinta. La tentazione era grande, ma lui lo faceva solo per profitto personale.
< E poi, scusami, perché proprio io? >.
Il ragazzo rimase in silenzio per un po’, poi disse: < Perché sei l’unica che non mi sbava dietro. Se facessi questo giochetto con un’altra quella accetterebbe perché le piaccio, sarebbe come buttarsi nelle fauci del lupo. Del tutto inutile e controproducente. Mi si attaccherebbe come una cozza ad uno scoglio. Insomma, sei l’unica che fa al caso mio >.
Si fermarono ad un semaforo rosso, in attesa di attraversare ancora, e lui la strinse un po’ di più a sé. Ma questa volta Miku percepì quel gesto in una maniera diversa. Si immaginò di sentirti stringere così di fronte agli altri, di fronte allo sguardo contrariato di Asami. Sorrise diabolicamente. L’idea l’allettava, sì, ma avrebbero dovuto… baciarsi? Rabbrividì.
Se ci rifletteva, la cosa avrebbe portato vantaggi ad entrambi: lui si liberava di quelle oche e lei anche. Nessuna di loro avrebbe potuto torcerle nemmeno un capello dal momento che a proteggerla ci sarebbe stato “il suo ragazzo”. Il solo fatto, inoltre, escludeva che Asami le potesse fare altre intimazioni. Forse si sarebbe rosa a tal punto il fegato da volersi accollare a lui ancor di più, ma lui si sarebbe scostato con la scusa di essere “fidanzato” con lei. Miku, inoltre, non perdeva l’amicizia di Kimiko, che cominciava a vedere in una luce nuova dopo l’accaduto di quella mattina. I pochi contro che c’erano erano costituiti dalla difficoltà di non esser mai stata fidanzata nemmeno per finta, non avrebbe saputo come comportarsi. E, inoltre, se tutti avessero scoperto che era una farsa? E, problema ancora più grande, se alla fine Miku si fosse innamorata di lui, pur sapendo che per Suzuno non era altro che uno strumento? Ci sarebbe stata senza dubbio da schifo.
Aspetta un attimo, Miku Kitami, davvero stai prendendo in considerazione di accettare?!
Mancava poco per arrivare alla casa di Miku che lei aveva ormai un animo più propenso per un sì che per un no, stizzita e diffidente all’idea che avrebbe mai potuto provare amore per un ragazzo come quello, di una freddezza ed un opportunismo tali.
< Sai > riprese Fuusuke, rompendo il suo filo di pensieri, < alcune ragazze in classe dicono che tra noi ci sia del tenero >.
< Tra te e loro? >.
< No, tra me e te >. La leggerezza con cui pronunciava quelle parole la sorprese.
< Non ne sapevo nulla > disse: ecco ciò di cui confabulavano le oche prima che lei arrivasse, a ricreazione.
< Già, quindi… non pensi che il progetto sia già avviato? Non ci vuole nulla. E, poi, cosa ti costa fingere di essere la mia ragazza? Sono così ripugnate? >.
< Non sai quanto >.
Giunsero infine davanti al cancello della casa e Miku tirò fuori le chiavi da una tasca della giacca. Si guardarono negli occhi per la prima volta da quando si erano incamminati da scuola.
< Allora, cosa hai deciso? > le disse.
< Non lo so >.
L’altro sbuffò, < Sei proprio cocciuta. All’epoca di Manzoni avrebbero detto che in testa hai solo le zucche >.
< Cosa c’entra, scusa? E, comunque, se io sono cocciuta, tu sei un’opportunista. Ma, sinceramente, non è che la tua proposta mi sia del tutto indifferente >.
< Che intendi? >.
< Che potrei prenderla in considerazione >.
Lui sorrise, < Il mio numero è 343.8716085 >.
< Perché me lo dai? >.
< Tienilo a mente e chiamami quando hai deciso e, poi, se sarai la mia ragazza dovrai pur averlo il mio numero di cellulare >.
Fece un cenno con la mano, non si fece nemmeno ringraziare del passaggio sotto l’ombrello, e si incamminò per la sua strada. Miku, lasciata sotto la pioggia, corse a rifugiarsi in casa, salendo gli scalini e pregando di non scivolare.
Quando richiuse la porta, il silenzio della casa si impadronì di lei, dei suoi pensieri. Rimase solo la pioggia, ed un leggero tremolio alle dita della mano destra.
Quel ragazzino aveva una mente spietata. Il suo piano non era per niente scomodo, anzi. In quel modo Miku avrebbe vinto su tutta la linea Asami. Sorrise, ormai quasi sicura della sua decisione quando si ricordò che doveva segnarsi il numero del ragazzo prima che la sua memoria lo cancellasse. Pronunciando i numeri ad alta voce corse come un’anima straziata per il corridoio. Come un uomo avaro corre alla cassaforte nella paura che qualcuno possa rubargli il danaro. Una volta in camera, appuntò sul quaderno di italiano quella serie di numeri, sicura che fossero quelli giusti.
Rimase sospesa nel suo piccolo 10% di incertezza fino a che non le arrivò un messaggio da Kimiko, mentre pranzava in compagnia della sua coinquilina appena tornata.
Asami aveva bruciato il suo ombrello.
Sorrise.
Era il suo ombrello preferito.
Compose il numero in fretta, con le mani che fremevano di rabbia, esitazione. Quando la voce di lui rispose non aveva più dubbi: da quel momento in poi sarebbe stata la ragazza di Suzuno Fuusuke, ufficialmente e a tutti gli effetti.
Non poteva immaginare che, con il tempo, ciò sarebbe potuto divenir reale per entrambi. 



  
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