CapVI Nelle viscere del Titanic
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Cap VI^
Giorno
12 aprile, ore 09.00 “Tempo del Titanic”
Concordati il
tragitto e le mete previste per la giornata, il giornalista, armato della sua
inseparabile agenda, e la sua guida partirono. Arrivati allo scalone di seconda
classe, posto fra il terzo ed il quarto fumaiolo, iniziarono a scendere fino al
ponte D. Russel potè osservare che, pur senza lo sfarzo dello scalone di prima
classe, era stato realizzato un lavoro notevole anche per questo ambiente, solo
in proporzioni leggermente più piccole.
Identiche decorazioni e stessi materiali. La balaustra della stessa
forma e materiale e i medesimi intarsi
di ferro forgiato. Preso un breve corridoio laterale, Chrisolm, munito di un
poderoso mazzo di chiavi, aprì una porta rinforzata e con una serratura molto diversa
da quelle delle cabine. Attraversatala, dopo un breve tragitto e dopo aver
disceso una scaletta di ferro, si trovarono letteralmente in un altro mondo.
Qui iniziava infatti il territorio in cui innumerevoli persone lavoravano nel
totale anonimato, incessantemente, per consentire il funzionamento di tutto l'
apparato a disposizione dei passeggeri dei ponti superiori. Come convenuto, si
trovavano ad un ingresso delle cucine di prima e seconda classe, prima tappa
del loro tragitto del giorno. Da lì,
passarono nella cucina vera e propria. Un ambiente che occupava la intera
larghezza della nave. Russel rimase a bocca aperta nell'ammirare tutto quel
poderoso macchinario: 19 forni, 4 enormi griglie, due grandi girarrosto, forni
a vapore e numerose pentole a pressione di notevoli dimensioni, il tutto
funzionante a pieno regime Un largo condotto, raccoglieva tutti i fumi e li
convogliava nel quarto fumaiolo per essere scaricati. Un angolo dell' enorme sala era affidato al
signor Charles Kennel di 30 anni, cuoco specializzato nelle preparazioni della
cucina destinata ai passeggeri di religione ebraica. In un' altra zona della
cucina, uno chef , sig David Verdier, si occupava di curare le preparazioni per
coloro che, per vari motivi, preferivano consumare i pasti nello loro cabine.
Il sig Verdier, un corpulento francese molto simpatico e disponibile, parlò a
lungo dell' importanza del suo servizio che secondo lui era in grado di
testimoniare il livello di accuratezza che si pretendeva per quella nave. Un
ampio montacarichi, sempre in funzione, collegava la cucina con le celle
frigorifere del ponte 'stiva' ed i magazzini alimentari dei ponti E e G. In
questo ambiente operavano senza sosta 50 persone su due turni, agli ordini del
capo cucina, cheff Chester Proctor, un
uomo di 40 anni, magro, nervoso, un bel paio di baffi neri e occhi vigili.
Nello scorgere Chrisolm, gli rivolse un cenno con la testa ed un breve sorriso,
segno che probabilmente i due si erano già conosciuti ed il tecnico aveva
risolto qualche problema anche in quella sezione. Passarono in un ambiente
attiguo, l'anticucina, che dava a sua volta nella sala da pranzo di prima classe
e che quindi consentiva ai camerieri di servire le vivande appena cucinate. Su
un lato di questo ambiente erano conservate le stoviglie utilizzate per
apparecchiare i tavoli della grande sala. Russel aveva già avuto modo di
ammirare i bellissimi piatti in porcellana con le eleganti decorazioni sul
bordo e lo stemma della compagnia stampato al centro, forniti dalla ditta
Elkington & Company di Birmingham che, oltre ai tremila piatti, aveva anche
fornito 20.000 pezzi di pregiata posateria. Attraverso una serie di rampe di
scale alquanto austere proseguirono la loro discesa attraverso il ponte E,
raggiungendo il ponte F. Chrisolm guidò
il suo ospite per il tragitto convenuto. Lo informò, però, che viste le
funzioni presenti su quel ponte, ci sarebbero tornati il giorno seguente.
Attraversarono la panetteria dove 12 addetti infaticabili, provvedevano senza sosta ad impastare e
infornare tutto il necessario per la giornata . Al comando di queste persone
era un uomo corpulento, vigoroso, Charles Joughin, il capo-panettiere, che
impartiva ordini ai suoi dipendenti con voce ferma e decisa. Tutte le impastatrici, i vari
dispositivi ed i forni, erano alimentati ad energia elettrica. In panetteria il
lavoro iniziava alle ore 04.00 del mattino e proseguiva ininterrottamente su
due turni fino alle ore 22.00 per preparare tutto il necessario per la
giornata, da sei diversi tipi di pane ai croissant, alle brioches, ai diversi
tipi di biscotti. La pasticceria più sofisticata era preparata in una zona
apposita della cucina al comando dello chef sig. Sergio Barzino. Da lì,
passarono in un ambiente che ospitava la macelleria, regno incontrastato del capo-macellaio,
signor Alfred Mayum, un uomo basso, massiccio di 49 anni, dall'aspetto severo.
A differenza dei macellai che si muovevano ai suoi ordini attorno a lui,
indossava un camice bianco immacolato.
Attraverso un' altra rampa di scale, scesero al ponte G, dove il
giornalista ebbe modo di visitare l' ufficio postale e di conoscere alcuni
addetti, mentre la sua guida controllava che un piccolo difetto all'impianto di posta pneumatica, che collegava quell'
ufficio alla sala radio, fosse stato risolto. Scambiò qualche parola con il capo
servizio sig. John Richard Smith ed
altri due impiegati. I restanti due incaricati, Logan Gwinn e Oscar Woody, erano al piano inferiore, il ponte 'stiva',
dove era situato il magazzino della posta. Preso commiato, la guida informò il
suo ospite che ora la situazione sarebbe cambiata. I locali che si accingevano
a visitare erano tali da mettere a dura prova coloro che ci si avventuravano.
Le alte temperature, il continuo frastuono, la scarsa luce e l'impressione di
mancanza d'aria, erano gli elementi che di norma maggiormente influenzavano gli incauti visitatori. In
realtà, Russel ringraziò il cielo che la sua guida non gli avesse rammentato
un'altra situazione che invece, era per lui predominate rispetto a tutte quelle
altre nominate. Per una sua precedente esperienza, provava una sorta di
malessere dal momento che erano scesi sotto la linea di galleggiamento. Ed ora
si accingevano a scendere a circa nove metri sotto la superficie del mare. Era
comunque lì per una missione e lui era un professionista serio. Fattosi forza
e, soprattutto, aiutato da una pillola della sua preziosissima farmacia,
rassicurò il suo accompagnatore e lo
invitò a proseguire. Questi si diresse verso una porta blindata e la aprì
facendo ricorso al suo proverbiale mazzo di chiavi. Da lì un breve corridoio ed
una scaletta a chiocciola, li portarono
alla sala caldaie. Per un attimo l' impatto fu fortissimo ed al giornalista
venne in mente una figura vista su un antico libro, in cui un poeta, Dante,
veniva condotto da un poeta latino, che egli considerava un suo maestro,
Virgilio, attraverso l' inferno. Si
trovavano su una stretta passerella che
correva per tutta la parete di tribordo
di un enorme locale scuro e rumoroso. Come preannunciato la temperatura
era molto alta. Sotto di loro, guardando a sinistra, ossia verso la poppa erano
allineate su 6 file, 29 caldaie, enormi
(ognuna di 5 metri di larghezza),
voracissime, in grado di fagocitare ognuna 30 tonnellate di carbone al
giorno. Ogni fila, composta da sei caldaie, a parte quella più a prua che era
da 5, era separata dall'altra dai relativi carbonili, dai quali i fuochisti
prelevavano senza interruzione il combustibile. Russel osservò i carbonili con
molta attenzione. Infatti, da alcune testimonianze dei sopravvissuti dell'
equipaggio, testimonianze che avevano sollevato molti dubbi, risultava che già
prima di arrivare a Southampton per imbarcare i primi passeggeri, in uno dei
carbonili era scoppiato un incendio che si era riusciti a tenere sotto
controllo e, per non rimandare il viaggio inaugurale della nave, si era deciso
di tenere segreto. Consapevoli della pericolosità della situazione però, sia il
comandante che l' armatore, avevano stabilito di arrivare a New York nel più breve
tempo possibile e questo sarebbe quindi stato il motivo dell' affondamento
della nave. Il giornalista però non notò nulla di strano che suffragasse questa
storia. Dalla passerella su cui si
trovavano, partivano ad intervalli regolari delle scalette che permettevano di
raggiungere le diverse sezioni.
Chrisolm, alzando la voce per farsi capire, chiese al suo ospite se se
la sentiva di scendere in quella bolgia, poichè doveva parlare con un addetto
alle caldaie di prua. Russel, pur con una malcelata agitazione, rispose che non
chiedeva di meglio, visto che la sua missione gli imponeva di effettuare queste
ricognizioni. E cosa di meglio che recarsi dove tutto era cominciato?
Percorsero tutta la passerella verso prua
fino all' ultima scaletta quindi scesero al livello caldaie. In quel
luogo la situazione si manifestò in tutta la sua drammaticità. In un'atmosfera
rossastra per il riverbero dei fuochi, figure nere di fuliggine e lucide di
sudore si muovevano incessantemente fra i carbonili e le caldaie dalle cui
bocche proveniva una sorta di continuo ruggito. Davanti ad esse la temperatura
era quasi insopportabile ed il calore, almeno all' inizio, disseccava la pelle. Russel, quasi
ipnotizzato da quello spettacolo, venne richiamato alla realtà dalla sua guida
che, presolo per un braccio, lo condusse verso un uomo che stava impartendo
disposizioni ad una squadra di fuochisti davanti ad una caldaia. Si trattava
del sig Shepard, un giovane alto e solido, dai modi decisi e sicuri, secondo
assistente ufficiale di macchina, ingegnere in servizio in quel momento. Il
gruppo che lo ascoltava era al comando del caposquadra addetto al carbone,
George Beauchamp, alto, quasi allampanato, apparentemente di mezza età ma
vigoroso, viso dai tratti molto marcati, pochi capelli ma gli immancabili
grossi baffi. Nello scorgere il tecnico, tutti mostrarono sollievo. La caldaia
n 2 aveva un problema allo sportello di ventilazione che non si apriva
completamente. Chrisolm prese nota e, mediante un telefono di servizio dette
disposizioni perchè qualcuno della sua squadra intervenisse al più presto.
Russel, cogliendo l' occasione, approfittò per fare qualche domanda sulla sicurezza.
Il sig Shepard fu lietissimo di rassicurarlo asserendo che in caso di un
incidente di qualsiasi genere, si sarebbe accesa in alto, nelle varie sezioni
una luce rossa intensa con cui sarebbe trasmesso ai caposquadra l'ordine di chiudere immediatamente le valvole di
tiraggio delle caldaie, soffocando così i fuochi. In ogni sala caldaie c' era
una leva che consentiva di far cadere delle porte stagne per separare i
compartimenti. Se la situazione poi lo avesse richiesto, sarebbe stato
possibile attivare direttamente dalla plancia un comando a cura dell'ufficiale
di servizio, che avrebbe causato l' immediata chiusura di 5 paratie stagne in
grado di dividere la zona della prua in 5 diversi compartimenti. La manovra
sarebbe stata inoltre segnalata da cinque grosse campane acustiche progettate
per generare un suono di allarme in
grado di sovrastare il rumore dell'ambiente. La nave in tutto contava 16
compartimenti alti fino al ponte E. Purtroppo questo era situato a tre metri
sotto il livello del mare, mentre, per consentire un minimo di sicurezza,
avrebbero dovuto raggiungere almeno il ponte C. Il personale avrebbe potuto
velocemente essere evacuato attraverso delle scalette a chiocciola, del tipo di
quelle che avevano usato loro per scendere. Ciò avrebbe consentito a tutti di
lasciare le zone allagate. Russel stava girando del materiale incredibile per
la sua missione. Ad un certo punto si rese conto, dalle descrizioni dei
presenti di trovarsi nella sala caldaie n 6 a pochi passi dalla fiancata destra della nave. Un brivido gli percorse la spina
dorsale, malgrado la temperatura infernale del luogo. A pochi metri da lui, ad
un 'altezza di 60 cm dalla piastra di acciaio che fungeva da pavimento, sarebbe
iniziato lo squarcio che, costituito da ben sei incisioni sovrapposte, avrebbe mandato a fondo il Titanic,
condannando quasi tutti quelli che si trovavano in quella sezione. Una mostruosa cascata d' acqua avrebbe
spazzato quei locali in barba a tutte quelle sicurezze di cui il personale
andava così fiero. Russel notò che dal locale nel quale si trovavano partiva
verso prua un lungo corridoio. Gli spiegarono che alla fine di quello, due
scalette a chiocciola conducevano a dei locali al livello del ponte C,
assolutamente separati dal resto della nave,
dove i fuochisti fuori servizio potevano mangiare e dormire in un
ambiente molto confortevole. Per nessun motivo essi dovevano farsi vedere dai
passeggeri. Insomma, essi svolgevano un lavoro essenziale, erano discretamente
bel pagati, ma nessuno doveva avere contatti con loro. Lasciato il locale
caldaie si diressero verso poppa rimanendo sullo stesso livello. Si trovarono
nel locale macchine dove il signor Jemes Hesket, secondo ufficiale di macchina,
andò loro incontro e li guidò per la sezione, mostrando con orgoglio gli
imponenti organi meccanici in movimento. A parte il frastuono era una scena
impressionante, vedere quel sistema da 51.000 cavalli, quelle enormi bielle alte quattro piani che agivano sugli alberi motore imprimendo
alla nave una spinta poderosissima. Un
poco più a poppa, fra i due alberi motore principali, era posizionato il motore
della turbina. Ancora più indietro, ma separati da una robusta parete di
acciaio, quattro giganteschi generatori a vapore generavano ognuno 400 KW di
potenza, necessari ad alimentare tutti i dispositivi elettrici della nave. L'
impianto aveva richiesto la messa in opera di 320 Km di cavi elettrici. Per l'illuminazione
erano state utilizzate per tutta la nave circa 10.000 lampade del nuovo modello
con l'attacco a vite che si distingueva dal quelle tradizionali con innesto a
baionetta per economia, efficienza e qualità della luce. Accanto al pannello
elettrico principale c' erano due uomini che eseguivano delle misurazioni e
prendevano nota dei risultati. Si trattava dei sig. Joseph Bell, primo
ufficiale di macchina, alto, massiccio, rosso di capelli, di 51 anni e del sig
Albert George Ervine, di 19 anni, snello, robusto, intelligente. Russel fu
colpito e commosso nel trovarsi davanti quelle due persone. Chiese al suo accompagnatore
di presentarglieli e fu con grande commozione, che egli tentò di dissimulare al
meglio, che strinse loro la mano. Ringraziato
il sig Hesket per le spiegazioni, i due uomini lasciarono quel luogo strano e
particolare per riemergere alla base dello scalone di prima classe sul ponte E.
Russel salutò il suo accompagnatore dopo aver concordato di incontrarsi la
mattina seguente alle ore 09.00 al Cafè Parisienne per il seguito della visita
ai locali più interessanti della nave. Veramente stanco e provato, non ebbe
scrupoli a prendere l' ascensore per raggiungere il ponte A. All' interno della
cabina che saliva si accorse che il lift e altri tre passeggeri, lo osservavano
in modo strano, addirittura tenendosi a distanza. Giunto in cabina, guardandosi
allo specchio, capì subito il motivo. La visita alle caldaie lo aveva ricoperto
di uno strato di fuliggine ed i suoi begli abiti erano totalmente impregnati di
un tremendo tanfo di affumicato. Chissa'
cosa dovevano aver pensato di lui! Immediatamente si liberò di quegli abiti e,
nel suo bagno privato, si tolse di dosso tutto quel nerofumo. Solo a quel punto
si rese conto di essere veramente esausto e si risolse ad ordinare il pranzo in
cabina. Si fece portare della carne fredda con asparagi e crema di carote,
premiandosi poi con un ice creem alla cioccolata e vaniglia. Aspettando il
servizio in camera, non poteva fare a meno di provare grande contentezza e
commozione per aver potuto incontrare e stringere la mano al sig. Bell ed al
suo giovane assistente. Forse, assieme ai componenti dell'orchestra del Titanic
e all'operatore alla radio, fra i più coraggiosi a bordo, durante la fase dell'
affondamento. Infatti fu solo grazie al loro sacrificio se la nave ebbe la
corrente elettrica fino alla fine. Sapendo di non avere scampo, l' intera
squadra di tecnici, costituita da 35 persone, scelse di rimanere al suo posto,
evitando l' esplosione delle caldaie e facendo in modo da tenere in funzione le
pompe elettriche, continuando a fornire l' elettricità per la radio e l'illuminazione
che permise di ammainare le scialuppe in relativa sicurezza. Senza il loro
sacrificio, infatti, la nave sarebbe colata a picco almeno un'ora prima, senza
nemmeno aver potuto lanciare un segnale radio di soccorso e con un numero di
vittime molto, molto più alto. Alla fine del gradevolissimo pasto e della ormai
immancabile mezza bottiglia di Chateau Rouzan Secla, first quality, si versò
una generosa razione di brandy e, senza farsi alcuno scrupolo per il tempo
sottratto al suo lavoro, si distese nel suo letto e si fece una profonda
dormita.