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Autore: _Velvet_    26/01/2012    1 recensioni
"La gente è così priva di senso, a volte. Seguono il gregge, il capogruppo senza nemmeno pensarci. Credono bianco, ma il giorno dopo il capo dice che tutto è stato sempre nero, hanno sempre creduto nel nero.
E loro lo accettano così, senza nemmeno pensarci.
Non lo trovi... spaventoso?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3, Side A.
Manchester, 16 marzo 1978.
 
Gli occhi mi bruciavano dalle lacrime, appena ripresi contatto con il mondo reale. Avevo pianto dentro quello che una volta era il the. Scoprii però che le mie riflessioni avevano occupato poco più di un minuto di tempo, anche se a me erano parsi molti di più. Il ragazzo era ancora lì fuori. Sembrava piuttosto indeciso se entrare o meno, ma visto che il tempo peggiorava sempre più e un vento gelido proveniente da est aveva iniziato a soffiare per le strade, si decise ad entrare.
Avevo il cuore a mille. Se non fosse stato lui, probabilmente ne sarei stata quasi sollevata.
Invece era lui.
***
Gli occhi furono la prima cosa che notai per accertarmi che fosse veramente Ian. Due occhi così non si possono dimenticare. Sì, erano i suoi. Occhi azzurro chiaro, limpidi; avrei potuto leggerci attraverso, se lo avessi voluto.
Entrò sbattendo la porta: il vento fuori era davvero terribile e le nuvole si stavano spaventosamente ingrossando.
-Ermh, salve... esordì con un filo di voce. –Volevo sapere, avete qua in negozio “Idiot” di Iggy Pop? Sa, sono mesi che lo cerco, ma sembra finito in ogni negozio in cui entro.
-Certo, ora controllo, ma dovrei averlo di sicuro.
Risposi meccanicamente, con un sorriso.
Mi dressi verso il magazzino, e intanto valutai attentamente la situazione: Sì, quello era davvero Ian, non c’erano dubbi. Ora, come comportarsi? Dovevo conoscerlo meglio, ne avevo il bisogno.
Trovai facilmente il disco e riemersi verso la zona principale della bottega.
Lo sguardo luminoso che fece il ragazzo appena mi vide tornare con il vinile sotto braccio non lo dimenticherò mai. Ora che ci penso, fu una delle pochissime volte che lo vidi sorridere.
Mentre pagava, non poté fare a meno di complimentarsi per la scelta dei gruppi proposti. Mi chiese se fosse opera mia. Risposi che, sì, in parte era opera mia, in parte del ero proprietario del negozio, in signor Hammett.
-Oh, quindi non è tuo il negozio?
-Io ci lavoro part-time. Durante il giorno di solito studio all’università.
-Anche tu? Io studio storia inglese e letteratura. Strano, non ti ho mai notato alle lezioni. Piacere, Ian.
Mi tese la mano e mela strinse con una stretta sicura, sincera.
-Sono un persona con il dono dell’invisibilità. Io seguo i corsi di letteratura contemporanea, storia e psicologia. Mi chiamo Christiane. Ci siamo già visti alla festa di Karen, una mia amica..
-Ora che mi ci fai pensare me la ricordo. Pensa, sono venuto alla festa solo per caso.
Senti, ti andrebbe di prendere un caffè dopo le lezioni, qualche volta? Sai, mi farebbe piacere la tua compagnia.
 
Senza nemmeno aspettare una risposta, uscì sulla strada con il vinile sotto braccio.
 
 
Capitolo 3, Side B.
Manchester, 20 marzo 1978.
 
Erano passati quattro giorni da quando Ian era entrato nel negozio. Quattro giorni di inferno. Quattro giorni in cui non aveva fatto altro che pensare, pensare e pensare. Mi nutrivo di ragionamenti e di aria, ormai.
Lo vidi una volta sola all’università, era circondato da ragazzi simili a lui, cappotti neri e lunghi, pantaloni neri. Se li avessi visti da lontano, avrei potuto credere che si trattasse dell’ennesimo gruppo di filo-nazisti che erano spuntati come funghi a Manchester. Invece erano solo musicisti, amanti della letteratura, amanti della poesia, ragazzi sensibili che si trovavano a combattere con la morte progressiva della propria città natale.
Manchester stava morendo lentamente insieme all’industria pesante.
Non lo avevo avvicinato in quella occasione perché mi rendo conto di avere paura della gente. Ho paura di chi non conosco, ho paura della folla.
Eppure sentivo che avrei dovuto parlargli. Avrei dovuto chiedergli di uscire, di andare in un bar a bere una tazza di Irish Coffee.
Una parte di me, però sapeva benissimo che era un miraggio. Sì, qua a Manchester avevo avuto la possibilità di ripartire da zero, ma il mio cervello ricordava. Non riuscivo ad avere fiducia nella gente, non dopo quello che era successo.
***
Sentii qualcosa sfiorarmi la spalla destra. Mi voltai rapidamente, giusto in tempo per riconoscere il viso inconfondibile di Ian. Si sedette di fianco a me sulla panca di pietra lungo il viale dell’università senza dire una parola.
Non sapevo assolutamente cosa dire per iniziare una conversazione, quando dalla sua bocca uscì una frase secca, quasi formale.
-Spero di non infastidirti se mi siedo qua.
Il suo sguardo era duro, impenetrabile. Tuttavia, mi sentivo a mio agio con la sua personalità ferma. Era una barriera che non potevo superare, mi dava un limite. Ciò mi dava la sicurezza che non avevo mai avuto guardando qualcuno negli occhi. Sembravano dire: questo è il limite, non andare oltre perché non puoi.
Il semplice fatto di avere una regola mi aiutava tantissimo. Avevo bisogno di impormi dei freni mentali, non potevo semplicemente fare senza pensare: fare senza pensare è come far battere il cuore senza però respirare.
 
-No, non mi disturbi affatto.- Stetti un attimo in silenzio, poi chiesi:- Come mai oggi non sei con loro?
Piegai la testa verso i ragazzi vestiti di nero.
-Ah, gli hai notati. Beh, non siamo esattamente amici. Non nel vero senso della parola. Devono giudicarmi particolarmente interessante, ma io per loro non provo quasi nulla.
Sai, -disse con un sorriso malinconico- penso quasi di avere paura delle altre persone. Non so perché tu mi ispiri talmente tanta fiducia da parlarti così, liberamente. Sugli altri non riesco a mantenere il controllo, anche se sarebbe così facile essere il loro leader e indurli a fare ciò che dico.
Le gente è così priva di senso, a volte. Seguono il gregge, il capogruppo senza nemmeno pensarci. Credono bianco, ma il giorno dopo il capo dice che tutto è stato sempre nero, hanno sempre creduto nel nero.
E loro lo accettano così, senza nemmeno pensarci.
Non lo trovi... spaventoso?
 
I suoi occhi si alzarono verso i miei. Sì, era davvero spaventato, glielo si leggeva in faccia.
Prima che avessi il tempo di replicare, si alzò di scatto e se ne andò verso il gruppo con cui passava i pomeriggi di solito.
Notai che aveva lasciato sulla panca un foglietto spiegazzato. C’era scritta sopra un’unica frase: “Mi sento fatto a pezzi”.
Alzai lo sguardo dal foglio giusto in tempo per vedere l’ultima occhiata piena di sofferenza che mi lanciava, una muta richiesta d’aiuto.
Capii che non ero l’unica che aveva bisogno di qualcuno che fosse rimasto fuori da tutto, qualcuno che non seguiva gli altri perché gli altri non volevano che i miserabili li seguissero.
 
 
 
   
 
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