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Autore: Hikari93    27/01/2012    5 recensioni
[Seto X Jono]
«Ti va un’offerta di lavoro?»
«Cosa?» spalancai ridicolmente la bocca.
Lui scosse il capo. «L’avevo detto che avevi problemi di udito… ti serve un lavoro sì o no?»
La domanda era diretta e la risposta anche. Era indubbio che avessi bisogno di soldi. Il mio ultimo lavoro, ovvero consegnare i giornali, era finito nel momento esatto in cui avevo mandato in malora la maggior parte dei quotidiani, dato che ero caduto rovinosamente dalla bicicletta. Il mio ego mi diceva di rifiutare, ma quel minimo di coscienza mi consigliava di accettare. «Di che si tratta?» Sempre meglio informarsi, prima.
«Niente che ti ammazzerà Katsuya, lo scoprirai a tempo debito. Ma voglio una risposta adesso. Accetti?» Mi porse la mano.
Ci riflettei su, ma mi pareva di avere una sola possibilità, anziché due, almeno se volevo sopravvivere dignitosamente. Strinsi la mano al mio peggior nemico, preparandomi al peggio.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Joey Wheeler/Jounouchi Kazuya, Seto Kaiba
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Di colazioni e acquisti producenti

 
 





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Quando ebbi finito di stropicciarmi gli occhi, seduto sul letto, gettai uno sguardo alla sveglia al mio fianco, e fu solo opera di un miracolo se non piansi di commozione e orgoglio per me medesimo; i numeretti sul display erano uno zero, seguito da un cinque, poi da un altro zero e un due.
Miracolo, gente: Katsuya Jonouchi si era svegliato prestissimo.
Avevo pensato, infatti, che concedendomi qualche ora di sonno in meno, avrei avuto più tempo per organizzare quanto dovevo. Seto mi aveva informato dicendomi che di mattina dovevo dedicarmi alle mie solite mansioni, mentre di pomeriggio avrei potuto fare quel che volevo. Però, se avessi terminato prima, avrei potuto muovermi più presto, no?
Quindi, bando alle ciance, mi precipitai giù – scendere un numero consistente di scale doveva essere veramente salutare per la circolazione sanguigna, ecco perché Kaiba mi aveva confinato all’ultimo piano. Eh sì, mi voleva proprio bene! – e subito studiai cosa mai potesse esserci da sbrigare. Mmm… considerando che avevo pulito per tutto il giorno prima e anche per tutto quello prima ancora, non mi sorpresi nel constatare che ogni minimo oggetto in “Villa Kaiba, sezione cucina” luccicava e brillava quasi di luce propria.
Opera mia, modestamente.
E allora cosa potevo fare? O meglio, provando a pormi la domanda diversamente, Seto cosa voleva che facessi? Mah, da come mi aveva parlato solo ventiquattro ore prima, sembrava che ci fosse chissà quanto lavoro da sbrigare, e invece…
Magari per ingannare il tempo avrei potuto addentrarmi nell’intricato dedalo di corridoi di casa Kaiba, rischiando così di perdermi o, peggio, di finire vittima di una qualche creatura mitologica stile Drago Bianco Occhi Blu. Tutto all’ultima moda, ovviamente; per esempio una qualche statua robotizzata che, a un mio passo falso, si sarebbe messa in azione da sola e, non riconoscendomi come il suo padrone o il fratellino del suo padrone, mi avrebbe sputacchiato contro qualche fiammata bianco lucente, carbonizzandomi.
Non era molto allettante l’idea di essere cotto a puntino come un… pollo al forno?
Però avrei potuto preparare qualcosa per colazione, così, tanto per sentire un abbozzo di complimento dal padrone di casa – ah, ah, ah, ma che vana speranza!
Meno male che ingraziarmi Seto non era una mia priorità, un mio scopo o qualcos’altro di simile, altrimenti avrei dovuto rinunciarvi in partenza.
Lasciando le fantasie assurde ai visionari, l’idea della colazione era buona; e volevo esagerare, gliela avrei portata anche a letto! Del resto non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione sia – era una fissa ormai – di entrare nella sua stanza – possibilmente senza rischiare di perdere l’uso del braccio per una stretta troppo forte che impediva il passaggio del sangue – che di vederlo in pigiama.
Sì, esatto, in pigiama.
Perché la divisa firmata KaibaCorp – quella bianca svolazzante con tanto di microfono fashion per farsi passare i compiti in classe – lo rendeva invulnerabile all’apparenza, mentre un normale pigiama – e non ditemi che ci stanno stampate sopra la K e la C perché potrei avere un collasso – lo classificherebbe come individuo quasi normale.
Frattanto, comunque, avrei dato un’occhiata negli stipi, sperando che le pentole di ieri, sistemate alle meno peggio, non mi cadessero addosso.
Temetti quasi di prendere la scossa quando toccai la maniglia di quella porta con le dita. La abbassai piano, come se potesse esplodere da un momento all’altro. Mi affacciai di un poco, in modo da poter guardare all’interno della camera e scorgere un Seto profondamente addormentato e, soprattutto, senza quella corazza di freddezza e presunzione che indossava costantemente.
Oh, beh.
Sicuramente il mio intento non era quello di trovare Seto già in piedi – erano le sei del mattino –, con indosso già i suoi pantaloni neri aderentissimi, ma tanto aderenti che per un vergognoso istante mi chiesi se non si fossero fusi con la sua pelle, e a torso nudo.
Mi lanciò una semplice occhiata che non seppi interpretare e indossò la maglia come se niente fosse. Ma logicamente, insomma! Eravamo due maschi, stessa specie, non c’era niente da nascondere, voglio dire… uguali!
«Mi sorprende vederti già in piedi» disse.
Sapessi quanto sono sorpreso io, che almeno uno scopo ce l’ho!
«Senti Seto, fai sempre le ore piccole?» chiesi fingendomi indifferente.
Avanzai di qualche passo e poggiai ciò che avevo preparato – sul classico, una tazza bollente di tè, sicuramente più appropriata per Seto di una tazza di latte, più alcuni biscotti che, dopo minuti e minuti di fatica, avevo trovato miracolosamente in uno dei millemila cassetti – sulla sua scrivania. Allungai l’occhio verso una foto incorniciata, della quale, però, non distinguevo il soggetto, visto che era completamente abbassata. Che fosse in disordine? Qualcosa in disordine nell’ordinatissima camera dell’ancor più ordinatissimo presedente della KaibaCorp? Sa-cri-le-gio!
«Tu, piuttosto… quale insolito motivo ti ha portato a non poltrire fino alle dieci?»
Era comica la nostra mancanza di interazione. Non eravamo capaci di portare avanti un discorso normale, quello che fanno tutte le persone civili, perché entrambi tendevamo a uscircene con argomenti tutti nostri, fuori traccia, e continuavamo a seguire il nostro personale filo conduttore del discorso, ignorando l’altro.
Sì, proprio comico.
«Avevo pensato di potermi anticipare qualcosa, così da avere più tempo nel pomeriggio» spiegai e nella spiegazione uno sbadiglio mi fece spalancare ridicolmente la bocca. E per coronare il tutto mi stropicciai anche gli occhi, similmente ai bambini.
«Dormire in piedi non è retribuito, bonkotsu» mi avvisò ghignando.
«Peccato» risposi calmo, invece che farmi prendere dall’istinto e dirgliene di tutti i colori come facevo spesso. «Sarebbe stato bello ottenere soldi tanto facilmente» aggiunsi anche. «Ti rifaccio il letto?» domandai subito, prima che potesse parlare, non senza un leggero fastidio allo stomaco.
«No, vattene pure.»
Il solito sgarbato, puff!
«Tanto meglio» dissi e mi voltai per uscire, quando il mio sguardo si posò sulla colazione che gli avevo lasciato e, di conseguenza, sulla foto rovesciata. Fui tentato di sollevarla, ma non mi sembrava giusto. Non senza il permesso di Seto, perlomeno. «Oh, qualcosa di disordinato in questa stanza tanto perfetta, Seto» esordii giocoso, quasi volto a prenderlo in giro. Non potevo essere diretto, porgli una domanda tanto per semplice curiosità, così come non potevo confessare, nemmeno a me stesso, che avevo voglia di conoscere Seto un po’ più profondamente. Ma se lo avessi fatto sarei stato tagliato fuori da quella commedia teatrale che rappresentava alla perfezione il nostro rapporto: scambio di battute, comicità, insomma sì, una vera e propria commedia. C’erano dei copioni da rispettare, dei ruoli, e il mio non era quello di soffermarmi a comprendere Seto Kaiba. Non lo era mai stato, anche se avrei voluto che lo fosse almeno per una volta.
Okay, lacrimuccia.
«Una foto» osservai genialmente toccandone la cornice. La sfiorai con lentezza estenuante, pronto a fermarmi nel caso in cui Seto me lo avesse chiesto.
Ma non successe.
Ehy, ehy, pronto Seto! Sto toccando qualcosa che ti appartiene con le mie manacce da schifoso pezzente bonkotsu. Non fa niente?
L’immagine ritraeva Seto e Mokuba diversi anni prima, intenti a giocare una partita a scacchi. A colpirmi furono l’abbigliamento di entrambi e lo sfondo, il posto: niente sopraccitate divise svolazzanti “tendenti al mantello”, niente super tecnologia, niente ricchezza. Quelli nella foto non erano Seto Kaiba e Mokuba Kaiba, non quelli che avevo conosciuto da sempre. Soprattutto in Seto si vedeva un certo cambiamento: gente, il riccastro sorrideva. Evidentemente, dopo questa rivelazione alquanto scioccante, in ogni parte dell’universo conosciuto e sconosciuto – certe notizie arrivano ovunque, eh! Le questioni che riguardano la KaibaCorp superano le conoscenze della scienza – si stava abbattendo un cataclisma. A breve sarebbe arrivato anche qui.
«Ho detto che puoi andare» ripeté autoritario.
Capita l’antifona.
Mi trattenni e non gli chiesi niente riguardo alla foto, anche perché sapevo che, se davvero volevo riuscire a sapere qualcosa in più, non era Seto colui che dovevo interrogare.
Inoltre, Mokuba sarebbe stato un interlocutore molto più piacevole di Seto.
* * *
Jonouchi aveva chiamato poco tempo prima, e che lo avesse fatto da una cabina telefonica o che Seto gli avesse permesso di utilizzare il suo, di telefono, non lo sapevamo. A quanto pareva, Kaiba gli aveva concesso il permesso di organizzare il solito festino per Natale, per cui aveva avvisato per confermare la sua possibile partecipazione.
Peccato che certe cose andrebbero organizzate un po’ prima. Giusto quel po’ di tempo necessario per evitare una fila chilometrica al supermercato.
Fila che, ovviamente, io trovai.
«Accidenti» mormorai, e fermai i miei passi di colpo. Presi seriamente in considerazione l’idea di andarmene e di spiegare a Yugi che… mmm… che… insomma, avrei inventato qualcosa. La manovra di inversione di marcia venne bloccata dall’urto con qualcuno. «Oh, scusa» dissi. Guardai in basso – avevo sentito un tonfo – e la vidi. «Mana, sei tu.» Le porsi la mano.
Si rialzò. «Grazie mille. Come mai anche tu qui?»
Mi resi conto con una certa noia di essere ancora lì, con tutta quella gente. Sicuramente il mio stato d’animo traspariva dal volto, perché Mana scoppiò a ridere all’improvviso.
«Quel broncio è buffissimo» spiegò, ilare, in risposta alla mia espressione perplessa, e non potei fare a meno di sentirmi in imbarazzo.
«E’ la Vigilia, stasera organizziamo qualcosa tra amici» risposi tentando di sviare il discorso da quello che era stato il mio broncio buffissimo. Anche Yugi mi ripeteva spesso che a volte mettevo su espressioni alquanto simpatiche. «E tu, Mana? Hai programmi per questa sera?» le domandai.
Scosse il capo. «Sono qui per quotidiani sostentamenti.»
«E allora ti andrebbe di venire a casa di Yugi?» Avevo parlato di getto, senza pensare. Senza nemmeno chiedere a Yugi se potevo – conoscendolo, però, non ce n’era minimamente bisogno. «Non è bello passare la Vigilia da soli» mi sentii in dovere di spiegare, come per giustificare la mia proposta.
I suoi occhi si illuminarono di luce viva e, in un gesto impulsivo, mi prese le mani tra le sue. «Davvero?» domandò. «Davvero, davvero, davvero, davvero?»
«Certamente» risposi un po’ titubante. Sebbene la conoscessi, non mi aspettavo tutto questo entusiasmo. Ma ne fui immensamente felice. «Ti dispiacerebbe aiutarmi con la spesa? Diciamo che… non è una delle mie attività preferite» conclusi sorridendo.
Lo scintillio nelle iridi della mia interlocutrice era tutt’altro che un buon segno. Mana era semplicemente un mito, una personalità unica nel suo genere. Sempre piena di energie, disposta a farsi in cento per gli altri, di buona compagnia, solare, e anche una bellissima ragazza.
Già.
Mi sorrise per un istante infinitesimo prima di scattare verso gli scaffali più vicini, lasciando dietro di sé la fantomatica scia di polvere in stile cartoon.
«M-Mana?» provai a chiamarla sbalordito, un braccio – inutilmente – proteso in avanti.
«Se non ci sbrighiamo non ce la faremo nemmeno per stasera!» E si perse tra le chissà quante persone. Sperai con tutto il cuore di non aver peggiorato la situazione.
Però, nonostante tutto, lei mi faceva sorridere.
Sempre.
Ovviamente, dopo aver evitato che lei facesse a botte con un energumeno enorme che ci era passato davanti, io e Mana percorremmo la strada di casa insieme. Il bivio arrivò troppo presto, e troppo presto dovemmo separarci. Ci salutammo come due amici e quando stavo per voltarmi, sentii una stretta al braccio.
«Atem» disse lei, un po’ imbarazzata come non l’avevo mai vista prima «grazie di tutto.» Mi diede un bacio sulla guancia, e i suoi capelli lunghi mi solleticarono il viso.
«Sciocchezze, non c’è bisogno di ringraziarmi. A stasera!»
Ma con Mana, ero pronto a metterci la mano sul fuoco, non si sapeva mai cosa aspettarsi.
«Atem!» mi chiamò di nuovo, con voce più alta, tant’era che quasi mi preoccupai. Non feci in tempo a voltarmi che la incontrai, la vidi molto vicina a me, parte di me. Era il suo sapore quello che per un istante troppo breve avevo avuto sulle labbra. Un bacio rapido, un nonnulla che mi trasmise un tutto. «A stasera» concluse lei, le mani intrecciate dietro la schiena, le labbra che le tremavano.
E prima che potessi domandare alcunché, Mana si girò. Fu lenta ad andarsene, a camminare, lo faceva come se non fosse successo nulla. E, intanto, osservavo la sua schiena farsi sempre più lontana.
Fu un gesto involontario quello di passarmi la lingua sulle labbra.
Era un sapore buonissimo.
 
«Hai comprato tutto?» domandò Yugi non appena entrai.
«Mh, sì.»
«Sei distratto» osservò.
Negai.
«E’ successo qualcosa.» E non era una domanda.
«Assolutamente…» conclusi con un “no” nello stesso momento in cui Yugi disse “sì”.
Non ero sorpreso che Yugi mi avesse già scoperto. Innanzitutto, non era bravo a tenermi tutto dentro ma lo manifestavo anche nei piccoli gesti; però, lui era il mio migliore amico, era una catena indistruttibile quella che ci univa, un legame che ci permetteva di capirci a vicenda, e subito. Non esageravo nel dire che ci comprendevamo similmente a una mamma col proprio figlio. O, almeno, era quello che l’esperienza mi aveva fatto ritenere vero.
«Ho incontrato Mana» spiegai, consapevole che non ne avrei parlato con nessun’altro, se non lui.
«Non preoccuparti, non aggiungere altro, ho già capito.» Strizzò l’occhio. «Sei cotto a puntino, Atem.»
Esattamente.

 
 
 


 




 
Allora… beh! Cx
Ho pensato – e spero di aver fatto bene – di aggiungere anche un altro punto di vista! UwU
Così, per movimentare un po’ la cosa! ^___^
Mi scuso se la storia procede a rilento, ma a me piace fare le cose con calma – e forse TROPPA calma. >___>
Beh, grazie a tutti coloro che mi seguono e alla mia sensei che continua a betarmi i capitoli facendo un lavoro eccezionale! *.*
   
 
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