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Autore: Estelle Williams    29/01/2012    5 recensioni
Dopo aver perso i suoi poteri, Zick parte con suo padre per raggiungere un misterioso maestro in grado di ridargli la sua forza, lasciandosi alle spalle Odmill, la sua vecchia vita ed Elena. Sono trascorsi otto anni, e dopo aver finalmente fatto ritorno a casa e riabbracciato la sua migliore amica, i due ragazzi dovranno fare i conti con un misterioso passato, e con un nemico molto più grande e pericoloso di quanto possano immaginare...
Spero di avervi incuriosito ^^
P.S. Mi scuso in anticipo con i lettori se c'è qualche particolare che non quadra.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kaelya camminava svelta. Il rumore delle foglie secche calpestate dai suoi passi si perdeva nell'eco della notte. Quello era l'unico rumore che si sentiva nel bosco. Normalmente, ogni notte si potevano ascoltare il verso dei gufi, il vento che sfiorava le foglie degli alberi, lo scroscio del fiume. Non quella notte. In quel momento, era come se il bosco non fosse popolato, ma disabitato e triste. Come se ogni animale, ogni singola foglia fosse stata travolta dalla freddezza che quella ragazza che camminava così velocemente emanava. Il mantello che la riparava  svolazzava nell'aria, quasi non toccava terra. Camminava, sicura del percorso da seguire. Fu solo quando si trovò davanti ad uno strano albero, che si fermò. Rivolse lo sguardo verso l'alto. Nel cielo c'erano miriadi di stelle, che facevano da cornice alla luna piena. Vederla così, grande e bella, avrebbe mozzato il fiato a chiunque. La sua luce, però, inondava la chioma dell'albero, creando una penombra inquietante.
Kaelya sorrise.
É ora” pensò.
Si tolse il cappuccio, scoprendo la sua zazzera castana. I suoi occhi neri brillavano nel buio, colmi di eccitazione.
-Fede a Proxima- disse
Fu solo quando ebbe pronunciato quella frase, che dal retro dell'albero spuntò una figura. L'ombra l'avvolgeva, ma si distingueva chiaramente la sagoma di una donna. Avanzò lentamente, venendo pian piano illuminata dalla luce. Si tolse il cappuccio, lasciando così intravedere il suo volto, un ovale perfetto. I lunghi capelli erano biondi, quasi bianchi, legati in una treccia. Gli occhi erano di un azzurro ghiaccio, e ogni sguardo era capace di gelare chiunque. Alla luce della luna, la pelle chiara sembrava anche più chiara, ed esaltava la sua bellezza inquietante, quasi glaciale.
-Sempre e dovunque- rispose. Anche la sua voce aveva un che di raggelante, ma era dolce e suadente.
-Hai novità per me?- disse
-Nulla per ora- rispose Kaelya -ma sono sulle tracce del medaglione-
-Il tempo ormai stringe. Ciò di cui abbiamo bisogno può trovarsi da qualsiasi parte-
-Non preoccuparti, Desmen. So quel che faccio-
-Sarà meglio così. La nostra signora è stata chiara.-
-Metti forse in dubbio le mie capacità?- chiese, con una nota di stizza.
-Ma certo che no- disse- Entrambe conosciamo le vostre straordinarie doti..-
-Che cosa vorresti dire?-
-Assolutamente niente, ma sai... in questo mondo si dice che i lupi perdono il pelo ma non il vizio-
-Ascoltami bene, io...-
Non riuscì a continuare la frase. Sentì le forze venir meno, mentre un dolore acuto le trafisse il ventre, quasi fosse stata colpita da una lancia. Alzò lo sguardo. Desmen aveva una mano tesa verso di lei, e sorrideva. Quando la abbassò, il dolore svanì.
-Volevi dire qualcosa?-
Kaelya restò un attimo in silenzio.
-No- rispose, abbassando lo sguardo. La ragazza sorrise.
-Tu, piuttosto, hai notizie di loro?- disse infine, rialzandosi.
-Non ancora. Ho provato a consultare le gemme, ma non dicono nulla. Sono incomprensibili-
-Beh, non è un buon segno? Significa che abbiamo ancora un vantaggio-
-Sarà, ma non riesco a togliermi di dosso la sensazione che stia per succedere qualcosa...-
-È solo una sensazione. Io non le darei tanta importanza-
La ragazza era perplessa. Kaelya era una combattente, si affidava soprattutto al suo istinto, e per di più era molto impulsiva. Non si fidava di lei, ma era l'unica alleata che si ritrovava, e doveva tenersela stretta. Sospirò.
-D'accordo- disse -Ma stavolta cerca di non sbagliare-
-Tranquilla. Non è nella mia natura-
E detto questo, si alzò il cappuccio e corse via. Desmen la vide allontanarsi, agile e veloce. Non riusciva a togliersi di dosso quel presentimento. Sarebbe successo qualcosa, qualcosa di importante Lo sentiva.
-Forse dovrei darle più ascolto- si disse per tranquillizzarsi. Si alzò il cappuccio sulla testa.
-Non temete, maestra. Niente fermerà la vostra ascesa-
Poi sparì nell'oscurità della notte.
 
Nella tenda regnava il caos. C’erano cose sparse ovunque, per terra e sui mobili, e Zob stava tentando inutilmente di raccoglierle e infilarle nelle due grandi valigie che erano aperte sul letto. Erano solo due persone, ma senza un aiuto non avrebbe mai finito.
“Ma dove si sarà cacciato?”
-Zick!-urlò- Vuoi darmi una mano o hai deciso di farmi sgobbare oggi?-
-Eccomi!-
Dal fondo entrò un ragazzo. Aveva almeno 18 anni, e il suo fisico da adolescente era appena sbocciato in quello di un uomo. I capelli blu notte gli arrivavano alle spalle, incorniciando il suo volto pallido.
-Scusa, papà- disse – ma tutti gli altri mi hanno bloccato per salutarmi e...-
-Non importa, figliolo. Ora però mi passeresti quei vestiti?- disse Zob, indicando la montagna  affianco al letto dove si trovavano le valigie. Zick ubbidì.
Diede una parte del mucchio al padre, mentre lui si occupò del resto.
Stettero per un po' in silenzio. Fu Zob a romperlo.
-Allora... come ti senti?-
-In che senso?-
-Insomma... sei contento di tornare a casa?-
-Ma certo... felicissimo- disse, poco convinto.
-Sicuro?-
Ci fu un attimo di silenzio.
-Si- rispose.
Zob non ne era tanto convinto, ma non disse nulla. Il sole era appena tramontato quando finirono. Sebbene ci avevano messo poche ore, erano esausti.
Zick si stiracchiò.
-Beh, papà. Io me ne andrò a letto-
-D’accordo. Domani dovremo partire presto, quindi ti consiglio di riposare.-
-Già. Ehm… posso chiederti un favore?-
-Certo-
-Potresti andare a dormire nell’altra tenda? Sai, ho bisogno di familiarizzare con questo posto per l’ultima volta-
Zob restò interdetto, ma alla fine annuì ed uscì, mormorando un “buona notte” sotto voce.
Una volta rimasto solo, Zick si stese sul letto. Cominciò ad osservare il soffitto, illuminato dalla tenue luce bianca della lanterna. Ripensò a ciò che aveva detto a suo padre poche ore prima. Andava tutto bene? Lui aveva risposto di si. Ma in verità era agitato. Certo… da quando aveva messo piede al campo aveva desiderato tornare a casa, ma ora… ora era diverso. Erano passati 8 anni, e in quel tempo non aveva avuto più notizie di Odmill. La città era cambiata? E le persone che conosceva? Sarebbero state felici di riaccoglierlo fra di loro? Mentre la sua testa si riempiva di domande, Zick si abbandonò alla stanchezza.
 
Si trovava in un posto buio. Non riusciva a distinguere nulla. C’era silenzio, e la cosa non lo rassicurava affatto.
-C’è nessuno?- disse. Nessuna risposta.
-C’è nessuno?-ripetette, stavolta gridando.
L'eco della sua voce si propagò per il luogo, e all'improvviso si accese una luce. Era un globo minuscolo, che diffondeva una debole luce azzurrina. Cercò di alzarsi in piedi, ma una fitta di dolore gli attraversò la gamba. Indossava degli strani vestiti, macchiati di sangue in alcuni punti.
Cominciò ad osservare quel globo luminoso. Gli sembrò di percepire un piccolo movimento.
-Ma che...-
IL globo cominciò a sciogliersi, trasformandosi in una nebbiolina che cominciò a circondarlo.
Era paralizzato. Il fumo cominciò a sfiorargli la pelle, e constatò che era freddo. Ogni tocco gli gelava il sangue nelle vene. Cercò di divincolarsi.
-È inutile, Zick...-
-Chi parla?-
-Non puoi sfuggirmi...-
-Chi sei?-
-L'unica cosa che può risolvere i tuoi problemi... Tutto ciò che devi fare è stare fermo, e le mie piccole scie faranno tutto il resto...-
Le nebbie lo avvolgevano sempre di più. Voleva liberarsi, ma si fermò. Quella voce era così suadente che non riusciva a non ascoltarla.
-Ecco. Così, bravo...-
Si sentiva sprofondare in un abisso senza fine, mentre la voce misteriosa continuava a  ripetere la stessa cosa.
-Vieni da me... vieni da me...-
 
Zick si svegliò di soprassalto. Aveva la fronte sudata, e la pelle era ancora percossa  dai brividi.
Sentì una voce in lontananza che lo chiamava.
-Zick! È ora di andare, prendi l'altra valigia e raggiungi la spiaggia!-
Il ragazzo rispose a suo padre.
-Si, va bene-
Si mise le scarpe in fretta e furia, afferrò la valigia e uscì dalla tenda. Gli ci volle una buona mezz'ora per raggiungere la spiaggia. Sebbene in quegli anni fosse diventato più robusto, portare quel macigno era un'impresa.
Appena arrivato, Zob gli venne incontro.
-Era ora, figliolo- gli disse- di questo passo avrei cominciato ad invecchiare-
-Beh, provaci tu a portare quella- disse, indicando la valigia.
-Dai, scherzavo. E poi ho anche approfittato di te prendendo la valigia più leggera-
-Oh, bel padre che sei-
Entrambi risero di cuore.
-Buongiorno, Zob-
I due si voltarono. Davanti a loro c'era un uomo. Aveva il volto segnato da qualche ruga, e i lunghi capelli bianchi erano legati in una coda. Portava una casacca di lino e delle brache, infil                                       ate in un paio di stivali di pelle.
-Buongiorno, Karaban- rispose Zob
-Ciao, Zick-
-Buongiorno, Maestro-
Zick si soffermò a guadarlo. Il suo sguardo non era severo come al solito. Sembrava quasi... triste.
-Dovete partire subito?-
-No, ci vorranno almeno altri venti minuti-
-Bene, bastano e avanzano-
Il ragazzo lo guardò perplesso.
-Zob, posso rubarti tuo figlio per un po' di tempo?-
-Ma certo, Karaban. Fà pure-
-Ma papà...-
-Tranquillo, figliolo. Qua ci penso io-
Zick sospirò. Poi seguì il maestro.
I due percorsero il sentiero della foresta, poi si fermarono davanti ad uno strano albero.  Era un vecchio salice, di cui il tempo aveva piegato il tronco. Karaban spostò un gruppo di foglie.
-Vieni- disse.
Il ragazzo obbedì. Entrò in quella capanna naturale, e rimase senza fiato. Davanti a lui c'era un lago. Era piccolissimo, ma la sua acqua risplendeva di un tenue verde. Sulla sua superficie galleggiavano degli strani fiori, simili a ninfee, ma con tre petali.
-Che posto è questo?- chiese.
-Un posto il cui accesso è consentito solo ai puri di cuore- rispose il maestro.
-Come voi?-
-Come te-
Zick lo guardò. Karaban gli sorrise.
-Sai Zick, in questi anni il tuo dom si è rafforzato molto, ma ci sono casi in cui questo non basta. Il potere dei domatori è una forza antica, ma c'è qualcosa di molto più potente, e solo in pochi la possiedono. Io credo che tu sia uno di quelli.-
-E... come farò a liberarla?-
-Oh, Zick. Io posso insegnarti a migliorare la tua difesa e i tuoi attacchi, ma non posso insegnarti a trovare te stesso. Quando sarai pronto, saprai come fare.-
Zick distolse lo sguardo dal maestro e contemplò quello spettacolo. Non sapeva il perchè, ma gli sembrava di averlo già visto.
-Maestro?-
-Si?-
-Grazie mille-
-Per che cosa?-
-Per tutto. Senza di voi avrei dovuto rinunciare al mondo dei mostri per sempre. Inoltre, mi avete aiutato molto in questi anni, e io ve ne sarò eternamente grato. Per me è stato un onore avervi come maestro-
-E per me è stato un onore averti come allievo-
Si sfilò qualcosa dalla tasca. Era una piccola ampolla, con il collo decorato con piccoli fregi dorati. Karaban ne tolse il tappo, poi si avvicinò al laghetto e vi immerse la boccetta. Quando gli sembrò di aver raccolto abbastanza acqua, tolse la mano e la chiuse con il tappo. Poi porse l'ampolla a Zick.
-Quest'acqua è molto speciale- disse- basta un solo sorso, e potrai curare qualsiasi ferita. Prendila, e fanne buon uso-
Zick non sapeva cosa dire. Strinse con forza l'ampolla e sorrise al suo maestro.
 
Era l'alba. Avevano viaggiato tutta la notte, e Zick aveva deciso di uscire dalla sua cabina per prendere un po' d'aria. Una brezza leggera gli inondò il viso e si sentì subito meglio.  Nella sua testa risuonavano ancora le parole che Karaban gli aveva detto qualche ora prima...
-Fa buon viaggio, ragazzo. Non dimenticarti mai di queste terre, perché queste terre non si dimenticheranno di te-
Il maestro gli sarebbe mancato, ma non riusciva ancora a credere di stare tornando a casa. Il cielo era di un arancio chiaro, lo stesso di quella mattina di otto anni prima, quando tutto era iniziato.  Istintivamente mise una mano nella tasca dei pantaloni. Ne tirò fuori un piccolo oggetto. Era un ciondolo, e appeso ad esso c’era una pietra marroncina di forma ovale.
“Gli antichi credevano che portasse fortuna
Così gli aveva detto Elena il giorno in cui gliela aveva data. L'immagine di lei, sul pontile, lo aveva accompagnato per tutto quel tempo, e ora si chiedeva se anche lei fosse cambiata, ma soprattutto se lo avesse perdonato.
Strinse con forza la pietra e guardò l’orizzonte. In lontananza, si scorgeva un piccolo faro, e dietro di esso case e palazzi. Zick sorrise.
Bentornata, Odmill”.
 
Angolo dell'autrice:
Ciao gente!!! Sebbene in mostruoso ritardo, ecco il secondo capitolo. Sppero che vi piacca ^^
Ringrazio molto chibisaru81, AngelVidel14 e Annie_talia97 per le loro recensioni.
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate. A presto!!!
  
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