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Autore: Alkibiades    29/01/2012    0 recensioni
Per entrare in quel luogo, in mezzo al nulla, o meglio, il nulla in mezzo a qualcosa, dovevi aver proprio fame, bisogno di soldi, oppure un cuore grande, enorme, e voglia di rischiare l'omicidio da parte di persone con turbe mentali, idee diverse, sognatori.
In altre parole, per entrare in quel luogo, bisognava essere masochisti.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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25-1-12

Sarebbe stato facile aspettare un messaggio.

Come lasciare che il presente entrasse nella propria vita, la pervadesse, giusto per quei minuti necessari a farti capire che sì, davvero, eri rimasto solo.

Lacrime di pioggia, come le navi erano gl'occhi del mare, le nuvole eran quelli del cielo.

Lacrime.

Nient'altro che lacrime; pensieri, stupidi pensieri, inneggianti a un passato in continua metamorfosi all'interno della testa.

Tanto poi t'andavi a convincere che il passato che avevi in testa, era identico a quello delle cose che erano successe sul serio.

Come mentirsi da sé in mille e uno modi.

Era entrato lì per sfuggire, al passato, solo perché aveva un grande futuro alle spalle. Un futuro perso, disperso, in un mare di complicazioni, urli, pianti, urti, rimpianti.

Perso ma non sconfitto.

A zaffate resuscitava come quei personaggi degli horror di second'ordine che non muoiono mai; onnipresente, onnisciente.

Doloroso.

Sempre, ogni volta, sempre; com'essere su d'un'onda, del resto.

Te ne stai lì, in mezzo al mare della tua tranquillità, e d'un tratto, vieni alzato, sollevato, per tuo volere o no, certo, ma te ne vieni via, strappato e strattonato qua e là con acqua in continua risalita, sperando che qualcuno ti fermi.

Non che non sia divertente, ma si sta meglio con i piedi per terra, o in acqua, è la stessa cosa a quanto dicono.

Finché sei lì sopra, tutto è bello, vedi anche la terra che tanto agognavi perso nella piattezza del tuo mare, e immaginarsi a quale sensazione e sorpresa deve portare l'esserci schiantato apposta, da quell'onda che tanto ti faceva sognare, cosa vuol dire naufragare su di una spiaggia, disperso, alla deriva, su un manto di insignificanti, minuscoli granelli, di stupida, stupidissima sabbia.

In fondo il mare è questo. Acqua, sabbia. Il resto ce lo vede la gente.

Mostri, sirene, fantasmi, navi di pirati, pesci enormi, terre promesse, morti che camminano - che magari nuotano in mezzo al mare anche -, tutte cose così.

E, in realtà, è solo acqua. Acqua e sabbia.

È la gente che vede miraggi dove non c'è nient'altro che semplicità.

E così entrò lì dentro, nel silenzio, in mezzo alla neve abbracciata alla pioggia.

Perché se dici ciò che non pensi, ti dicono ipocrita.

Perché se dici ciò che pensi, sei insensibile.

Perché se non dici ciò che pensi ti dicono bugiardo.

Perché se non dici niente, di marchiano come disinteressato.

Allora cosa potevi fare? Scappare.

Come aveva fatto lui.

Ora si ritrovava in mezzo a gente un poco particolare.

La mattina, si alzava, si vestiva, faceva colazione. 

Il tutto con una colonna sonora, gracchiante e raschiante.

Milites, i Galli sono vicino a noi! Preparatevi alla battaglia che il sole sta per sorgere di nuovo!, al che potevi anche cercare di spiegargli, a quell'uomo, che i Galli erano già stati sconfitti duemila anni prima, Cosa dici stupido optio? Ti farò accusare di insubordinazione, rientra tra i ranghi! È un ordine di Cesare!, e lì, capivi che lui, un ometto di sessant'anni suonati, che a stento si reggeva in piedi, era Cesare: quello dei libri di storia.

Alla battaglia!, e tu rimanevi là a fissarlo, con aria sconsolata. Lui, nel frattempo, si ammantava con le coperte sdrucite e logore, se me metteva a mo' di mantello militare, prendeva un bastone di legno, e usciva.

Aveva dietro di sé, nella sua mente, un esercito invincibile.

E te lo vedevi lì, Soldati resistete! Non possono sconfiggere gl'invitti romani!, volteggiare con un bastone di legno, danzando con una coperta usata da chissà quante altre persone, Siete molto valorosi, o Galli, ma i miei soldati vi schiacceranno!, e là continuava a mulinare fendenti, e più lo faceva, più la tua testa si abbassava e voleva cominciare a pensare.

Ogni sera, poi, tornava dalla sua campagna; Soldati! Un'altra vittoria per Roma! Cuoco, diceva rivolgendosi a te, doppia razione di cibo!, e tu gli spiegavi che per mangiare avrebbe dovuto arrivare prima, perché gli altri avevano già finito anche la sua parte; allora Cesare ridiventava l'omino insignificante di sessant'anni, tutto rattrappito che si stringeva le braccia alle ginocchia sussultando per il freddo e battendo i pochi denti rimastigli, appoggiando il mento sulle ginocchia, piangendo.

Era sempre così.

Avevano Cesare, Napoleone, Ramses, Pericle, Cortés, Von Wallenstein, c'erano un po' tutti.

Uno a turno schizzava e andava a combattere nel prato, incurante del gelo.

Poi, pensavi, questi c'han pure delle famiglie anche, no? E invece no.

Erano abbandonati a se stessi, e te ne stavi lì, a sentire i loro sconclusionati racconti di guerra, dove all'epoca di Ramses usavano le baionette montate sui fucili, dove Cesare girava con la jeep, e loro non sapevano nemmeno di vivere in un sogno.

E lui li ascoltava.

Lui ascoltava sempre, non c'è altro da fare a volte, ascoltare gli altri, ingoiando le proprie parole.

Ascoltava, silenzioso.

Non si ricordava molto bene dell'ultima volta che aveva detto addio, ma ne ricordava il silenzio assordante, e pregava in ginocchio, di non dover più essere trascinato via da quella tristezza imperante, di non dover riprovare tutto quello per una persona.

Curando gli altri, avrebbe curato se stesso.

Anche se non si credeva un generale, uno stratega.

Curando se stesso, avrebbe curato gli altri.

  
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