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Autore: mrspolla    01/02/2012    0 recensioni
comincia a credere in te stesso, perché tu vali. - la storia verosimile di una ragazza che sta per abbandonarsi ad destino.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non dormii neanche un attimo, e non mi sembrò neanche così strano. Non ricordavo molto la mattina seguente; avevo pensato e ripensato agli insulti che avevo ricevuto, non erano così sbagliati. –cicciona, ippopotamo – per una ragazza che pesa quindici chili in più rispetto a quanto dovrebbe pesare non sono parole sbagliate, alla fine. Avevo ripensato ad Alex, ai sette mesi erano passati, eppure ancora ci ragionavo su. Per quello che mi aveva fatto forse non c’era una ragione. O forse, per gli altri non sarebbe stato tanto profondo quanto lo era stato per me. Sarà stato il primo bacio, il primo amore; ma stavo ancora male. Avevo ripensato a mio cugino, al mio migliore amico e quanto mi sarebbe servito il suo sostegno in quel momento. Dal giorno dell’incidente non l’avevo più sentito presente, io cercavo di esserlo per lui. Alla fine, però decisi di arrendermi. Lui doveva segure la sua riabilitazione, aveva i suoi amici e io non ero ‘del luogo’. Avevo ripensato a Gabriele e al fatto che la sua ragazza non gli lasciava neanche un attimo per me. Lo conoscevo da quanto? Tre, quattro anni. Da quando si era fidanzato io non importavo più. Avevo pensato a quando lei mi mancasse, che non avevo voglia neanche di pensarci. Le volevo così bene e non avrei mai voluto che le cose andassero così. Ma era vero, brava a creare quanto a distruggere. Stavo creando e distruggendo amicizie allo stesso tempo, io. Avevo pensato ad un modo di racimolare soldi per la mia famiglia, pensavo a come avrei potuto risparmiare e di idee ne avevo parecchie. Le avrei proposte magari, se ne avessi avuto l’occasione. Una cosa era certa: era domenica, ed avrei dovuto svegliarmi tardi in teoria. In pratica, non avevo dormito, perciò non c’era ragione per cui dovessi svegliarmi presto o tardi. Sentivo i miei genitori parlare in cucina, il che mi sembrò normale fino a quando non realizzai che quella non era casa mia. Ero al piano di sotto, avevo dormito da nonna; non che fosse una casa così sconosciuta, ma non avevo mai visto i miei in cucina della nonna la domenica mattina. Avevo fame, ma quello non era il momento di pensarci. Mi concentrai e cercai di capirci qualcosa: erano seduti tutti al tavolo, tranne il nonno che se ne stava in piedi con le sue stampelle ben salde. Erano tutti preoccupati, e vedere il nonno preoccupato nelle sue condizioni non era cosa buona. Non era neanche da me, stavo origliando per la seconda volta le conversazioni degli altri.
« Sui termosifoni non possiamo fare nulla, perché è un inverno freddissimo e Salvatore prenderebbe freddo» disse mio padre riferendosi a mio nonno. - «Sulla cucina neanche, se dicessi alle nostre figlie tutto questo, non sai cosa farebbero. Arianna lascerebbe l’università e le serve per il suo futuro.»
Mia nonna cercò di parlare, ma non la lasciarono neanche cominciare. Speravo che non gli dicesse di me, o forse si. In fondo non c’era nulla di male. Ero confusa, quello di sicuro. Per sbaglio o per il mio essere maldestra, feci cadere il vaso accanto alla porta e i miei mi sentirono imprecare. Uscii dalla stanza con nonchalance e mi diressi verso il bagno a testa alta. Aprii la porta, entrai e mi guardai qualche secondo allo specchio, non avevo -nulla da fare- in bagno. Pensai di tirare la catena, ma avrei sprecato acqua. Da quando pensavo a queste cose? Così uscii, andai in cucina e mi sedetti accanto a mio padre. Presi il foglio e la penna che erano sul tavolo e dissi, come con aria da adulta
«Io un paio di idee ce le ho. Possiamo risparmiare sulla mia palestra, pagherò io il mio carro e le bollette di nonna sono mie. » - «e dove troverai i soldi per pagare? » chiese mio padre.
Guardai mia madre, fiera di me e sorrisi. Come una stupida, forse, ma non importava.
«Qualche volta, ti ho chiesto di cambiarmi dei soldi, hai presente? » feci per spiegare - «certo, continua. » rispose.
«Sin da quando ho cominciato a capire, ho messo da parte dei soldi ogni tanto e con il tempo la cifra è salita. Se dovessi aggiungere anche i soldi che ho racimolato per i miei compleanni, invece di comprare cose stupide, arriverei ad una somma di milledue- milletrecento euro. Riuscirei ad assicurargli le bollette per abbastanza tempo. Se stringessi anche un po’ sulle sciocchezze, sui the del sabato sera ad esempio; riuscirei a portarmi anche a millecinquecento.» mi alzai dal tavolo ed uscii.
« non credo di aver capito bene. » disse mio padre, mentre mi chiudevo la porta alle spalle.
Credo si fossero abituati a vedermi scomparire e riapparire, lo facevo sempre. A volte ero nella mia stanza, altre volte al parco, altre volte in bagno; nessuno lo capiva mai. Penso che se avessero voluto, avrebbero capito. Salii al piano di sopra, quel saliscendi mi stava rendendo nervosa.
Presi tutto ciò che avevo nel cassetto, tutto ciò che avevo nel portafogli –segreto- e contai «seicento e settanta, seicentosettanta; più i quattrocento del compleanno millesettanta umh più questi trenta della paghetta siamo a millecento. ».
«E  questi mille e due, che ci compriamo?»
rispose mia sorella Angelica, porgendomi cento euro. 
Ebbi paura, lo ammetto. Non avevo la più pallida idea su ciò che dovevo dire.  Mentii, era la cosa migliore.
«Nulla – risposi altezzosa – sto solo contando i miei risparmi. » feci per andarmene -
«Perché non hai dormito a casa, nanetta? » rispose bloccandomi.
Nanetta, è così che mi chiamava quando voleva farmi arrabbiare. E ci riusciva, giuro. Aveva tre anni e sette mesi in più di me, ma credo fosse l’unica cosa in cui riuscisse a superarmi. Ero più alta di lei, più pesante di lei, i miei voti erano più alti dei suoi, avevo più soldi di lei .… ma non ce ne era mai importato. Eravamo sempre l’una contro l’altra. Senza una ragione; per il computer, per la tv, per uscire, per tornare, per il cibo. Insomma, se io accendevo il computer cinque minuti prima di quando non dovessi farlo lei andava a staccare la spina della corrente; se rientravo cinque minuti dopo del coprifuoco urlava che anche lei sarebbe dovuta tornare dopo. Era puntuale, sempre. Per rientrare e per vendicarsi. Di cosa, non l’avevo mai capito. Le dissi più volte che tra noi non c’era nessuna competizione, ma la creava sempre. Si vantava del fatto di aver amici migliori dei miei, di avere il fidanzato che io non avevo mai avuto.. si vantava di qualsiasi cosa.
«Sai anche tu che il letto di nonna è più comodo.. e la tua assenza rende l’aria molto più respirabile, sorella.» risposi, nervosa spostando il suo braccio con la spalla.
Tornai perciò al piano di sotto, e trovai tutti ancora in silenzio ad aspettarmi. Misi sul tavolo i miei millecento euro e dissi che quelli dovevano servire per le bollette di nonna. Il resto, lo avrei racimolato in fretta. Guardai mia nonna come per chiederle il permesso, poi ricominciai
«ieri sera ho dato a nonna i duecento euro che le servivano»
Mio padre mi guardò incuriosito, non si era mai accorto che conservavo i miei soldi.
«Credo che per sta mattina sia tutto – disse mio padre – andate nelle vostre stanze, o fate quel che volete. Fate in modo che Arianna e Angelica non capiscano nulla com’è sempre stato. Soprattutto tu, Lorena. »
Si alzò e io lo presi per un braccio: «non sono più una bambina, papà. È ora che tutti lo capiate.»
  
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