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Autore: Payne    02/02/2012    2 recensioni
«Abbiamo aspettato» si intromise Hazel, colpevole «Credevamo che facendoti ambientare, tempo qualche giorno l'isola ti avrebbe dato la spinta.»
Aggrottai le sopracciglia, contrariata.
Ma di cosa andavano blaterando?!
«Non vi capisco!» esplosi «Ma che state dicendo?»
«Siamo draghi» tuonò una voce dietro di me. Rabbrividì da capo a piedi, una sensazione sgradevole e piacevole allo stesso momento.
Mi voltai. Drake stava in piedi, accanto al fuoco scoppiettante.
Il resto dei ragazzi si zittì. Mi sembrò che all'improvviso qualcuno avesse spento l'audio, perchè udì solo il battito del mio cuore nella testa.
«E questo è il tuo primo Anno di fuoco, ed ancora non ti sei trasformata nemmeno una volta, come tutti qui, hai passato la Tempesta di Fulmini» proseguì guardandomi fisso «Esattamente ad Imbolc, a metà tra il Solstizio d'Inverno e l'Equinozio di primavera. Sono sicuro, che te lo ricordi»
Mi raggelai all'istante. Ricordavo una temporale, qualche mese fa.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi girai e rigirai tra le coperte, non riuscendo a prendere sonno.

Ero persa a guardare il soffitto, non era dipinto di alcun colore, erano semplici tegole di legno. Tutta la casa era costruita in legno.

L'abitazione era immersa nel silenzio più totale. Ogni tanto, fuori dalla mia finestra, un gufo emetteva i suoi versi.

Mi misi seduta sul letto, le molle cigolarono a quel movimento. Erano le due di notte,ed ancora la stanchezza non mi aveva fatta crollare.

La stanza era piuttosto spaziosa, come mi aveva avvisata la nonna, un tempo era appartenuta a mia madre.

Ma ancora, non riuscivo ad immaginarmi la mamma vivere li. Da sempre, mi era sembrata un tipo pratico, che amava la tecnologia ed il comfort, ogni cosa che sia moderno a lei andava a genio.

Chissà, allora,come doveva essere stata contenta di andarsene andata da qui!

Scostai le coperte leggere e scesi dal letto.

Da qualche parte doveva filtrare della luce, perchè riuscì ad orientarmi bene. Gli oggetti nella stanza erano chiari e ben definiti, raggiunsi la finestra senza cadere o urtarne qualcuno.

L'aprii, e quella emise un cigolio sinistro. Mi bloccai, mordicchiandomi il labbro inferiore. Rimasi in ascolto.

Nulla, non avevo svegliato nessuno.

L'aria tiepida si riversò nella camera, era una brezza piacevole. Niente in confronto a quella che mi aveva colpita sulla barca di Reef.

Respirai a fondo, l'odore fresco degli aghi di pino mi piaceva. L' avevo scoperto appena arrivata sull'isola.

 

 

 

Ad attenderci al porto, c'era un pick up scuro, tutto ammaccato sul tettuccio.

Aveva i fanali accesi, puntati verso di noi.

Ero perplessa. Guardandomi intorno, non vidi neppure una casa vicino alla spiaggia. C'era solo sabbia, scogli e poco più avanti iniziava una distesa d'erba e alberi tipici delle zone di mare.

Feci presente Reef dei miei dubbi a tal proposito.

«Ah! No, non ci sono case in riva al mare» mi rispose « non lo sapevi?»

Scossi il capo, mia madre non mi avevano mai raccontato nulla della sua isola. Ogni volta che provavo a parlare di ipotetici zii e nonni, lei bruscamente cambiava argomento come se avessi detto chissà quale bestemmia!

E all'improvviso, in un bel giorno di inizio estate, mi propose di andarli a conoscere. Meglio dire che fui costretta ad andarci.

«Il paese e a qualche chilometro di distanza» continuò, indicandomi un punto lontano.

Istintivamente, volsi lo sguardo verso le montagne. Ne riuscivo a distinguere le sagome ripide ed imponenti. Allora, non era così buio come credevo dalla barca.

«Esatto» mi sorrise.

«Esatto...» lo guardai confusa. Questo ragazzo era così criptico!

«Non viviamo proprio sulle montagne, ma se guardi attentamente c'è un bosco ai suoi piedi»

Tutte le mie speranze per un estate composta solo di mare, sole e spiaggia si frantumarono come vetro.

Non c'era bisogno di osservare oltre, gli credevo sulla parola.

Fino a quel momento avevo provato ad ignorare l'auto, cercando qualcosa da fare per aiutare Reef. Sapevo chi poteva esserci la dentro. I miei nonni materni, coloro che si sono così affettuosamente offerti di ospitarmi in casa loro.

Reef non sarebbe venuto con noi, doveva sistemare la barca ed assicurarla al molo, prima dell'arrivo del temporale.

Così, mi armai di coraggio e raggiunsi la coppia ferma vicino all'auto.

Mi stupì per quanto sembrassero giovani e...non proprio dei nonni! Non dimostravano più di cinquant'anni, anche meno. Ma sapevo che non era possibile. Feci mentalmente dei conti, ma non ne uscì altro che quello che già sapevo da mia madre,i nonni dovevano avere settant'anni in teoria.

Due potevano essere le spiegazioni, o mia madre era stata concepita in età adolescenziale e non lo sapeva, o la vita sull'isola portava dei benefici al corpo!

Mi fermai di fronte a loro, non sapevo che dire, quindi accennai a fare solo un sorriso imbarazzato.

«Maya!» il nonno si avvicinò a me, stringendomi in un abbraccio caloroso.

Aveva i capelli ramati, proprio come i miei. Finalmente sapevo da chi avevo preso.

Mia madre aveva i capelli castani, esattamente come la nonna, ora che la osservavo bene.

«Non sai quanto siamo contenti che tu sia venuta, andiamo, sarai affamata».

Il nonno mi condusse in auto, era spaziosa e comoda, anche se i sedili erano un poco consumati.

Lanciai un ultimo sguardo al molo, prima che sparisse completamente alla mia vista.

«Ho cucinato la torta al cioccolato, la tua preferita» ci tenne ad aggiungere la nonna.

Mi guardò dallo specchietto retrovisore, i suoi occhi avevano un taglio affilato. Assomigliava molto alla mamma.

«Non vedo l'ora, oggi ho fatto solo colazione»

«A questo rimedieremo subito» sorrise il nonno «Tua nonna ha cucinato per cento persone! Non sapevamo cosa ti piacesse»

La nonna fece una risata imbarazzata, commentando che tanto, tutto quel cibo doveva essere consumato prima o poi.

Sospettai, quindi, che nella settimana a venire avrei mangiato solo avanzi di questa famosa cena.

Ci inoltrammo nel bosco, lasciandoci dietro gli ultimi Pini d' Aleppo, conifere di medie dimensioni che crescono vicino al mare. L'odore di pino e di fresco mi invase le narici. Era uno dei profumi più buoni che avessi mai sentito.

Gli alberi, più ci avvicinavamo al cuore dell'isola, diventavano dei veri e propri giganti, le punte sembravano determinate a toccare il cielo.

«Allora è vero, abitate nel bosco»

Mi misi nello spazietto tra il conducente ed il passeggero davanti. Il mio sguardo vagava. Prima dal nonno, poi dalla nonna.

«Si, tua madre avrebbe dovuto spiegarti qualcosa in più, della tua terra d'origine»

«Che sconsiderata..»

Decisi di non commentare. Evidentemente ai nonni, non era ancora andato giù che la loro figlia se ne fosse andata di casa, si fosse sposata con mio padre, non originario dell'isola, ed avesse fatto una figlia a sua volta e non l'avevano portata a conoscerli.

Certo, mi sarei arrabbiata pure io, se non capissi le ragioni della mamma. Quel posto era così... primitivo!

«Uhm.. e come fate a raggiungere il mare?» eravamo da un bel po in auto ormai, quindi la strada era considerevole fatta a piedi «Sempre che...si possa fare il bagno»

Mi stava sorgendo qualche dubbio.

«Certo che si può fare!» ridacchiò la nonna, dovevo esserle sembrata un po stupida.

«E come ci arrivate?» ripetei insistente.

Non con l'auto di certo, come mi aveva confessato Reef poco prima, le persone che possedevano un auto sull'isola, si potevano contare sulle dita di una mano.

«Abbiamo i nostri mezzi» rispose il nonno enigmatico «Ma ti prometto che, neanche un paio di settimane che passerai qui, avrai tutto molto chiaro»

Sembrava più una minaccia che una promessa.

 

 

Mi persi completamente sullo sfondo davanti a me. Gli alberi ondeggiarono lievemente, sotto gli sbuffi gentili del vento.

C'era una bella vista, la casa aveva due piani, più la mansarda, usata come raccoglitore di ricordi. Foto, oggetti non usati, addirittura vecchi vestiti.

La camera della mamma era al secondo piano e la finestra dava proprio sul bosco.

Non che il bosco fosse lontanissimo, bastava che allungassi una mano e già riuscivo a sfiorare gli aghi dell'abete che cresceva nello spicchio del giardino dei nonni.

Sospirai, inspirando quell'aria salutare, completamente priva di smog. Almeno mi sarei depurata i polmoni prima di rientrare in città!

Il bosco era buio e profondo, sembrava l'infinito. Feci vagare lo sguardo tra un ramo e l'altro, seguendo il volo aggraziato di una civetta a caccia.

Sorrisi tra me, era la prima volta che vedevo un animale selvatico in libertà.

Era totalmente diverso dallo zoo. Quando li osservavo in quei posti, avevo sempre l'impressione che gli animali vivessero in un apatia costante. Infatti, ne a me, ne ai miei genitori, era mai piaciuto andarci.

Era come un carcere.

Pensandoci meglio,non era apatia, la loro. Ma forse, la rassegnazione di una libertà ormai perduta.

Scossi il capo, come a scrollarmi di dosso quei pensieri negativi. Qualche volta anche io mi sentivo così e non riuscivo a capirne il motivo.

Vorrei avere le ali pensai E volarmene via

Un bagliore luminoso attirò la mia attenzione, ritornai con lo sguardo verso un enorme tronco ,che sovrastava tutti gli altri per altezza e massa.

Cinque minuti.. dieci minuti.

Stavo per distogliere lo sguardo annoiata, quando quelle luci ritornarono.

No, non erano luci, ma non sapevo come definirle.

Deglutì, stringendo la presa sul bordo della finestra. Avevo l'impressione che mi stessero guardando, come occhi di un predatore.

Erano due mezze lune fluorescenti, simili agli occhi dei gatti quando li colpisce la luce.

E mi fissavano. Sentii i peli sulla nuca rizzarsi improvvisamente.

Mi morsi la lingua, stavo per gridare, a chiunque fosse, di uscire fuori da li. Odiavo certi giochetti.

Forse degli stupidi ragazzini che erano venuti a fare degli scherzetti alla nuova arrivata sull'isola.

Ma non potevo urlargli contro, avrei svegliato mezzo paese, se non tutto. Quel silenzio era così fitto che anche un bisbiglio poteva risultare rumoroso.

Ma qualcosa dovevo pur farla, altrimenti non mi sarei sentita in pace con me stessa.

Corsi alla scrivania, avevo notato una torcia in mezzo a vecchi quaderni e braccialetti di spago.

Eccola!

Provai ad accenderla, ma niente. La scossi un po e finalmente diede segni di vita, se pur minimi.

Puntai la luce pallida dove avevo notato quegli occhietti luminosi. Non c'erano più.

Provai ad illuminare altrove, ma non c'era più traccia di niente di sospetto. La civetta volò via, sicuramente disturbata dal mio intervento completamente inutile.

Bè, almeno ero soddisfatta di me.

Non c'erano animali pericolosi o maniaci guardoni, ma era la mia mente ad essere stressata.

Mi costrinsi ad andare a letto. Chiusi la torcia e ripiombai nel buio più assoluto.

La posai sotto il cuscino, sdraiandomi sotto le coperte fresche.

Chiusi gli occhi.

Dovevo star già sognando perchè, prima di piombare nell'incoscienza più assoluta, avvertì uno spostamento d'aria sul tetto. Come di un enorme battito d'ali.


 

  
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