«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
Salve
a tutti.
Sono
tornata!
E’
da parecchio che non aggiorno questa mia ultima “fatica”, giunta
quasi al termine.
Ci
tengo parecchio a mandare un saluto particolare ai miei recensitori, più
le mie scuse ovviamente, ed un saluto speciale a chi si aggiungesse fra essi.
Un
caro saluto,
LuNaDrEaMy
aawaa
DESTINAZIONE
FUTURO aawaa
Chap
n.12
-“Sibilla,
raggiungimi nel mio studio. Ho i risultati delle tue analisi.”-.
E’
da circa dieci minuti, che fisso la parete della mia stanza.
Gli
occhi sono fermi, sempre sullo stesso punto.
Il
cuore batte all’impazzata, nella probabilità che l’unica
risposta alle mie domande, sia positiva.
Sì,
sei malata Sibilla.
Sì,
stai morendo.
Ghigno
un po’, non è possibile che sia in procinto della fine; mio padre
da ragazzina inveiva sempre contro di me, con la solita crudeltà:
-“L’erba cattiva non muore
mai!”-.
Ecco,
lui sentenziava che il sangue amaro scorrente nelle mie vene, mi avrebbe tenuta
in vita fino all’eternità.
Ma
quel povero pazzo non sapeva che il mio sangue era il sangue di tutte le
ragazzine della mia età; sangue dolce, sangue impaurito, sangue
papà-non lasciarmi sola.
Era
mio padre. Ma mi odiava.
Lui,
è morto prima di me, me l’ha fatta sotto al naso.
Mi
alzo dal letto, lo sguardo è tornato a muoversi sul mondo.
Mi
vesto lentamente, scandisco i
movimenti uno ad uno, come se non dovessi mai più compierli.
-“Sibilla non sei ancora morta, Sibilla non
sai quale sarà il tuo destino.”-.
Una
voce pulsa nelle mie membra, è distinta, femminile.
Ho
paura.
Non
sembra neanche più la mia coscienza parlante.
Il
mio cuore è un tamburo, lo ascolto rapita; mai nella vita potrò
sentirmi più viva di adesso.
-“Ho
un appuntamento col dottor Willhelm.”-.
-“Prego,
si accomodi signora. Il dottore è in visita, ma la raggiungerà
presto.”-.
Ringrazio
la segretaria con un cenno del capo.
Con
i testa ancora tanti dubbi e paure, mi accomodo su una poltroncina
dell’atrio.
Un
odore di lavanda, si espande dai corridoi; sa di freschezza, di pulito,
l’annuso divertita.
E
mi lascio cullare da quella fragranza, fin quando Frank, non si materializza
dinnanzi ai miei occhi.
-“Cara,
t’aspettavo.”-.
-“Siamo
qui adesso.”-.
-“Sì
certo. Vieni, accomodati.”-.
Mi
fa entrare nel suo studio, sempre in straordinario ordine e perfezione.
Le
foto di sua madre padroneggiano la sua scrivania; stamane sembra che quella
donna mi sorrida, al di là del vetro.
Frank
se ne accorge, restando allibito anch’egli per un secondo.
Poi
sorride, e con delicatezza estrema, mi porge la cartella con i risultati degli
esami.
-“E’
tanto grave?”-. Sussurro a voce roca.
-“No
Sibilla. Non è grave.”-. Trattiene una risata, il che fa ben
sperare.
Mi
distendo con un sospiro, lasciando andare via le tensioni.
Apro
la cartella incuriosita, sfogliando con lo sguardo tutta quella serie di nomi
troppo articolati e difficili da leggere.
-“Non
riesco a capire cosa c’è scritto. Voi medici parlate una lingua
tutta vostra! E per di più sono in un paese straniero!”-.
Mi
lascio andare in una risata, lui si accompagna alla mia, avvicinandomi.
-“Guarda,”-.
Con il dito scorre su una riga, nella cartella ancora fra le mie mani
“qui c’è scritto che diventerai madre, Sibilla.”-.
Lo
guardo. Poi guardo la cartella.
Poi
di nuovo, guardo lui, negli occhi, profondissimi, chiari.
-“Non
stai scherzando, vero?!”-.
-“No,
aspetti un bambino. Vero.”-.
Oh
misera me!
Ho
parlato di morte, mi sono crogiolata in una fine che non esiste, quando io nel
grembo, porto la vita?
Sono
senza parole, ammutolita ed estasiata nella mia sorpresa.
-“Non
sai da quanto tempo, aspetto di ricevere una notizia così
bella!”-.
-“Per
questo, ti ho fatta venire subito qui.”-.
-“Grazie
Frank, grazie davvero.”-.
-“Io
non ho fatto nulla.”-.
Ride,
imbarazzato.
Ha
un qualcosa di infantile, il rossore dipinto sulle sue guance.
L’accarezzo,
sorridendo a mia volta.
-“Ora
vado, a presto.”-.
-“A
presto, cara.”-.
Lascio
lo studio, con il cuore colmo di felicità, lasciando che ella stessa mi
inghiottisca nel suo vortice di incanto
e leggerezza.
E’
ancora presto, le strade sono semi vuote; un leggero vento accarezza le gote,
fresco e mai pungente, dolce e mai aggressivo.
Mi
piace questa terra.
Mi
piace ancor di più sapere che sarò presto mamma.
Quanto
ho sognato questo momento.
Quanto
ho atteso di lasciarmi cullare dalla certezza e non abbandonarmi
all’oblio dell’incertezza.
-“Quanto ho voluto, sentirti dentro di
me.”-. Mi sfioro il ventre, delicatamente.
Sono
una donna, adesso sì che sono una donna.
Passo
dinnanzi a una cabina telefonica, per un attimo quel telefono sembra chiamarmi;
mi attira a se, è come se fosse messo apposta lì.
Simone.
L’istinto
è chiamarlo e dargli la dolce notizia.
Ma
non si può, non ora che avrà ricevuto il plico di fogli, in cui
è steso per bene la fine del nostro matrimonio.
Sono
alle strette, se lo chiamo, questo influenzerà per sempre le nostre vite
e le nostre scelte; ma se lo chiamassi, gli darei semplicemente la gioia di
sentirsi padre…
-“Risponde
la segreteria telefonica del numero…”-.
Aggancio
in completo mutismo, prendo le prime ecografie di nostro figlio, gli allego un
bigliettino e le spedisco; DESTINAZIONE… FUTURO.
“Auf
Wiedersehen”-.
-“Auf
Wiedersehen”-. Saluto la gentile impiegata delle poste, ed esco in
strada.
Ed
è mentre sono per la via del ritorno, che mi imbatto in quel cartello,
stretto, nero, spento.
Spento
come le vita.
Spento
come quel luogo, che racchiude la fine di un uomo.
E
la fine di tanti uomini. Di chi resta, e di chi ci entra. Per sempre.
Friedhof.
Cinquecento
metri sulla destra.
Quel
cartello campeggia con la sua
scritta e le sue croci nere disegnate.
Friedohf.
Cimitero.
Ho
tumulto al cuore.
D’improvviso
non c’è più gioia, solo paura.
E
tremore, ed ansia.
Mi
porto una mano alla bocca, cercando di trattenere lo shock; comincio a correre
più forte del vento, che forte mi spinge per quei cinquecento metri
della fine.