Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Entreri    10/02/2012    4 recensioni
Spesso, prima che albeggiasse, giocavano a carte in silenzio gettando svogliatamente scale e coppie sul tavolo, come se fossero ricordi insignificanti delle loro vite passate che potevano permettersi di dimenticare. La verità, tuttavia, era che Ahmad non credeva fosse giusto dimenticare alcunché e che Lucius, sebbene lo desiderasse, ne era, in fondo, incapace; così gli innumerevoli anni che li separavano dalle loro nascite stagnavano nell'aria insieme al profumo costoso delle donne che avevano costituito il loro pasto.
Cinque e una notte nelle lunghe non vite di Lucius e Ahmad per scoprire se anche i vampiri provano sentimenti.
Prima classificata e vincitrice del Premio Giuria nel Concorso " Anche i vampiri hanno sentimenti... o no?" indetto da BlackIceCrystal sul forum di EFP.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Terza notte.

Gaza, 5 Gennaio 2009

 

L'atrio del palazzo di periferia confessava da subito allo sguardo di chiunque entrasse tutta la propria squallida miseria, malamente arredato da una cassetta per le lettere comunitaria in truciolato di bassa lega e da un portaombrelli in plastica, tentava inutilmente di riconquistare un grammo di dignità tramite una pianta ben tenuta ma di scarso potere estetico. L'intonaco si era crepato in vari punti e la moquette lisa e stinta non sarebbe stata degna di essere calpestata da dei mocassini Bottega Veneta nemmeno nei suoi giorni migliori; questo non impedì al visitatore di incamminarsi lungo la scala dal corrimano traballante fino al pianerottolo altrettanto inospitale e proletario del secondo piano. Afferrò la maniglia e ascoltò attentamente tutti i suoni incomprensibili e le parole gutturali che vagavano nell'aria, rese ancora più estranee dalla cacofonia che l'arabo aveva sempre avuto alle sue orecchie. Erano voci di ragazzi, tuttavia Lucius sapeva che Ahmad era lì, lo sapeva con la stessa inspiegabile certezza che lo portava a trovare sempre coloro che conosceva, non importa quanto andassero lontano o quanto disperatamente cercassero di fuggire da lui, prima o poi raggiungeva sempre una porta dietro la quale attendere di sentire la loro voce.

«Devi meditare ancora molto o pensi di entrare?»

Se non fosse stato troppo stupito per la tranquillità con cui Ahmad gli si era rivolto in latino, probabilmente avrebbe sorriso, mascherando con l'orgoglio di aver avuto di nuovo ragione il piacere di sentire una voce che considerava ancora, nonostante tutto, amica.

Aprì la porta e una flotta di ragazzini schiamazzanti fluì fuori dalla stanza, quasi travolgendolo prima di sciamare via lungo le scale. Non perse tempo a disprezzarli ed entrò, trovandosi faccia a faccia con Ahmad per la prima volta dopo più di duecento anni.

Rimasero a guardarsi in silenzio per quasi un minuto come se non avessero nulla da dirsi, sul volto l'abbozzo privo di imbarazzo di un sorriso.

«Con quella barba sembri un terrorista.»

Ahmad rise perché aveva quasi dimenticato la sicurezza con cui Lucius era solito saltare i convenevoli arrogandosi il diritto di entrare nelle notti degli altri senza chiedere permesso.

«Ti aspettavi diversamente? Tu al contrario mi deludi, ti immaginavo con un giaccone di pelle da motociclista e ti presenti qui come un principe azzurro in completo Armani.»

«Ho anche quello, ma credimi, rende molto più difficile saltare i controlli all'aeroporto.»

«Hai persino tagliato i capelli.»

Nel dirlo si avvicinò sollevando il braccio in un disinvolto invito ad accomodarsi che Lucius accolse prontamente. Fece qualche passo nella stanza e si guardò intorno con rassegnato disappunto. Aveva visitato e soggiornato in molte delle dimore di Ahmad imparando a non aspettarsi più mobili del minimo indispensabile nel regime di massimo risparmio possibile, ragion per cui l'unico tavolino scheggiato e lo sgabello di plastica bianca gli risultarono familiari nonostante non li avesse mai visti.

«Perché vivi sempre, inevitabilmente, in una topaia?»

Ahmad si limitò ad allargare le braccia con un sorriso e, ricordando un secolo e mezzo di recriminazioni simili, fu sul punto di confessargli che trovava piuttosto divertente quel suo lato snobista, considerato che aveva disprezzato ciascuna delle sue case nell'esatta misura in cui tendeva a gravitarvi intorno.

«Se hai intenzione di trasferirti da me di nuovo posso comprare un altro sgabello

«Per Castore no! Non un altro appartamento vuoto. Dannazione Ahmad, cos'hai contro i mobili?»

Ahmad rise, conosceva Lucius da secoli, ma quella era una delle pochissime domande che gli avesse posto seriamente con inequivocabile desiderio di conoscere la risposta e, nonostante la forte tentazione di lasciarlo inappagato, non trovò un vero motivo per negargliela.

«Preferisco possedere solo cose che posso portare facilmente con me.»

Lucius distolse la sua attenzione dal tavolino e fece spallucce come se la risposta non lo soddisfacesse affatto, ma fosse in qualche modo accettabile date le circostanze.

«Allora sbrigati a prenderle. L'autista ci aspetta e c'è un cambio per te in macchina.»

Nel dirlo gli posò distrattamente una mano sulla spalla prima di dirigersi verso la porta, si aspettava, probabilmente, di essere seguito senza troppe storie perché il commento di Ahmad lo colse alla sprovvista.

«Tutto qui?»

«No, dobbiamo anche prendere un aereo fra due ore.»

«Non intendevo questo, Lucius.»

Si voltò verso Ahmad e chinò la testa leggermente a sinistra come gli era proprio nei momenti di grande perplessità, normalmente Ahmad ne avrebbe riso rinfacciandogli l'infantilismo con aria sorniona, ma questa volta non vi fu alcuna benevolenza nella sua espressione o nelle sue parole.

«Non hai altro da dirmi? Qualcosa come: Come stai, Ahmad? Come hai passato questi secoli, Ahmad? Come pensi di fronteggiare l'invasione della striscia, Ahmad? Ho sentito che il mio creatore desidera ucciderti, posso aiutarti in qualche modo, Ahmad?Vorresti seguirmi verso una destinazione qualsiasi...»

«...Londra» lo interruppe Lucius cercando, senza successo, di arrestare quel flusso di sarcasmo tagliente in cui non riusciva quasi a cogliere l'usuale ironica dolcezza.

«quel che è. Vorresti venire, Ahmad? Sei impegnato in altre cose, Ahmad? É troppo chiederti di farmi da spalla ancora una volta, Ahmad?»

«Perché continui a ripetere il tuo nome?»

Non era un vero interrogativo, solo l'appunto infastidito dello studente di retorica, e non era interessato alla risposta, Ahmad lo sapeva, ma gliela diede comunque perché quello, in fondo, era il punto a cui voleva arrivare fin dal principio.

«Per ricordarti che non sei l'unica persona nella stanza.»

«Lo so. Ho dovuto affrontare otto ore di viaggio. Le ho fatte per cercare te».

Ahmad rimase sbigottito perché, sebbene fosse avvezzo alle frasi ad effetto con cui Lucius adescava le ragazzine, quella che aveva pronunciato era quanto di più simile ad una sincera dichiarazione d'affetto che avesse mai udito da lui. Venne colto da un sospetto.

Avanzò verso Lucius che rimase immobile a guardare la sua espressione fiera e indecifrabile farsi sempre più vicina, impegnato a tal punto nel confronto di sguardi che non reagì quando Ahmad gli posò le mani sul petto né quando queste sciolsero i bottoni e si infilarono fra gli abiti, frugandovi minuziosamente come fossero in cerca di qualcosa. Solo dopo aver chiuso la destra intorno ai suoi occhiali da sole Ahmad sorrise.

«Curioso, per un attimo ho pensato che nascondessi un'anima nella tasca interna della tua giacca firmata.»

Lucius avrebbe riso di gusto se, scemata la tensione, non fosse tornato pienamente consapevole della vicinanza di Ahmad. Era profondamente sollevato, tuttavia, per cui non si ritrasse limitandosi a sospirare pesantemente.

«Perché devi starmi sempre così addosso?»

Chiunque altro avrebbe colto il sottile invito a scostarsi, ma non Ahmad che rimase impassibile con gli occhi e le labbra piene di quella benevolenza irridente che gli riservava quasi dal loro primo incontro.

«Non sono io quello che ha fatto otto ore di viaggio per cercarti.»

«Non sono io quello con le mani in mezzo ai tuoi vestiti.»

«Ti dà fastidio?»

No, non gliene dava, non in sé quantomeno; negli anni era divenuto avvezzo ai modi di Ahmad, imparando a leggerli all'interno del codice di condotta che apparteneva loro. A infastidirlo era l'evidente, seppur assurda, impossibilità di far capire al membro di una delle culture più omofobe della terra che alcune delle sue innocenti manifestazioni di amichevolezza, pienamente accettate in quella cultura, erano tacciate come ambigue e guardate con sospetto, se non da tutte le altre, almeno dalla maggior parte di quelle che avevano attraversato insieme.

«No, ma gradirei essere avvisato se avessi intenzione di baciarmi.»

Ebbe la soddisfazione di poter ghignare guardando Ahmad tirarsi indietro con una fugace, impercettibile, smorfia. Anticipò sarcasticamente la sua risposta.

«Se stai per dire che la sodomia è peccato, posso ricordarti che non sei esattamente un uomo? O sbaglio?»

Uno splendido luccichio rabbioso attraversò gli occhi di Ahmad prima che tornasse a sorridere infilando rapidamente gli occhiali da sole rubati dal suo taschino.

«Ora sembri la via di mezzo fra un rapper ed un terrorista.»

Lo sembrava davvero ed era ridicolo quanto bello, anche se questo Lucius, che in tutta la sua vita non aveva mai lodato altri che sé stesso, preferì non dirglielo.

«Vieni con me.»

Né una richiesta né un ordine, piuttosto una curiosa emissione di fiato a metà strada fra i due: un compromesso fra l'incapacità di abbassarsi a chiedere e l'inopportunità del pretendere.

Ahmad desiderò per un attimo rimanere nascosto dietro gli occhiali da sole e non doverlo affrontare a viso aperto, ma al contrario del suo compagno lui era un uomo adulto per cui li sollevò, poggiandoseli sul capo, e lo guardò negli occhi. Non disse nulla, ma Lucius capì lo stesso.

Capì, certo, per la frazione di secondo necessaria a indurirgli l'espressione, poi tuttavia, si comportò come era solito fare con le cose che lo turbavano: fece finta di nulla.

«Dovrò presentarti dei fratelli e dovremo ucciderne altri. Soprattutto dopo tanti secoli sto finalmente per...» ma, qualunque cosa stesse per dire, si interruppe perché lo sguardo di Ahmad, penetrante e dispiaciuto nel contempo, non era tale da lasciarsi ignorare.

«Perché?» lo chiese a bassa voce ma ad Ahmad parve che avesse urlato.

Sorrise mestamente perché già sapeva che Lucius non avrebbe potuto, o forse voluto, comprendere. Lo spiegò lo stesso con la calma paziente con cui affrontava, almeno per lo più, le intemperanze dei suoi amici.

«La Umma ha bisogno di me qui.»

«Quella1 chi?»

Ahmad aggrottò le sopracciglia per un istante prima di avvedersi dell'incomprensione e riderne appena, trovandola significativamente simbolica della difficoltà del discorso che si accingeva ad intraprendere.

«Mi conosci da secoli ed io parlo la tua lingua con un accento indistinguibile dal tuo. Ti è tanto difficile, non dico comprendere, ma quantomeno riconoscere la mia?»

«Irrilevante.»

A ben guardare non lo era affatto, ma Ahmad scelse di lasciar correre perché, sebbene fosse abbastanza idealista da scegliere di combatterla comunque, non era così sciocco da aprire più fronti in una guerra che immaginava persa in partenza.

«Sono certo avrai notato essere in corso l'invasione delle terre della mia gente. Non posso andarmene, è mio dovere combattere.»

Lucius chiuse gli occhi coprendosi le palpebre con indice e pollice della mano sinistra in un gesto che Ahmad aveva imparato ad associare all'estremo tentativo di mantenere la calma.

«Sei consapevole del fatto che questo è assolutamente assurdo, vero? Tu sei nato al Cairo oltre ottocento anni fa; cos'hai a che spartire con gli abitanti della striscia di Gaza?»

«Non è evidente? Sono miei compagni nella fede, sebbene per la maggior parte sunniti, e la comunità dei fedeli deve venire al primo posto in circostanze come questa.»

Stava semplificando, ovviamente, ma non era importante; voleva solo che Lucius capisse e la smettesse di guardarlo con quell'aria allucinata che gli faceva sembrare gli occhi più grandi e luminosi di quanto non fossero già.

«Tu non avresti fatto lo stesso per lo Stato?»

Ahmad sapeva poco di Roma, ma si appigliò comunque a quel poco che aveva appreso, cercando un paragone che gli permettesse di avvicinare anche solo approssimativamente l'altro al suo punto di vista. Contrariamente alle sue aspettative Lucius rise, perché Ahmad ci credeva. Cicerone e tutti gli altri buoni avevano vinto; il mondo credeva alla loro bugia di buoni costumi e gratuito amor patrio. Pensò che avrebbe dovuto raccontarlo al proprio creatore alla prima occasione, lui era sempre stato l'attore migliore di quella recita ipocrita.

Rise, dunque, ma di un riso amaro la cui acredine si trasferì alle parole che lo seguirono.

«Non dire sciocchezze! Ahmad, per Ercole, sono solo vene che tu prosciughi! Non devi loro niente, non sono niente!»

«Lucius...»

Gli si era rivolto con dolcezza, troppa forse, perché l'altro perse violentemente ogni compostezza e, accompagnando le proprie parole con un movimento rapido e deciso degli avambracci, gli gridò contro.

«Non usare quel tono con me! Non sono uno dei tuoi mocciosi!»

Ahmad gli sorrise quietamente con la pacatezza di chi è abituato a mantenere la calma, specie quando chi ha intorno la perde, e si avvicinò a Lucius di quel tanto che serviva per abbassargli delicatamente la mano destra.

«Dici sempre di non gesticolare con entrambe le mani2

La rabbia di Lucius si sciolse suo malgrado in una perplessa contrarietà e dovette constatare per l'ennesima volta come fosse difficile adirarsi davvero con Ahmad. Stancamente lo fissò negli occhi.

«Dimmi solo perché.»

Ahmad si trovò a pensare che Lucius aveva la stessa immatura predisposizione a ricondurre a sé gli altri che caratterizzava i bambini. Come gli allievi della sua scuola coranica non avrebbero mai immaginato la sua vera natura perché incapaci di figurarsi una sua vita lontana dalle loro, così Lucius era incapace di prendere in considerazione Ahmad come indipendente da sé, immerso in un'esistenza propria in cui lui irrompeva come elemento fra altri, sprovvisto di quella centralità e importanza che si attribuiva indebitamente. Avrebbe potuto dargli ogni spiegazione possibile che fosse formulabile, ma non ne avrebbe ascoltata nessuna perché quella che non voleva capire era la verità più profonda sottesa al suo rifiuto; quella che Ahmad si trovò a sussurrare stringendogli la mano.

«Perché io non ti appartengo.»

Lucius non disse nulla; rimase chiuso per un lungo momento in un silenzio immobile come se le parole di Ahmad lo avessero trasformato in una statua di sale dai lineamenti perfetti e lo sguardo ardente.

Le labbra gli formicolarono per l'impulso di contraddirlo urlando e le dita per il desiderio di colpirlo. Non fece nulla, però, perché quello era Ahmad, non Valeria, e se lui avesse cercato di imporsi con la forza non si sarebbe limitato a chiamare un aiuto sempre troppo premuroso nel fornire protezione, avrebbe reagito con la violenta determinazione che lo caratterizzava quando decideva di mettere da parte da gentilezza. Per trascinarlo con sé contro il suo volere Lucius avrebbe dovuto combatterlo e anche se lo avesse vinto, schiacciandone la volontà con la propria, non avrebbe ottenuto quello che era venuto a cercare. Lo voleva, ma non così tanto. Così se ne andò senza aggiungere altro e Ahmad glielo lasciò fare, come se non fosse importante.

Ci sarebbero stati mille motivi per richiamarlo indietro e altrettante cose da dirgli: di smetterla di comportarsi come un bambino viziato incapace di venire a patti con la sconfitta; di crescere e accettare che ci sono cose che non si possono avere, non importa quanto ardentemente le si desideri; di guardare in faccia la verità piuttosto di chiudere gli occhi e farsene pugnalare alle spalle; di accorgersi che, contrariamente a quando si ostinava a credere, non era lui il centro di gravità dell'universo. Tuttavia non disse nulla, certo che le sue parole non avrebbero raggiunto Lucius nella pozza stagnante delle sue amarezze e del suo possessivo egoismo. Perciò si limitò ad osservare la sua figura elegante allontanarsi lungo le scale, anche se non poté esimersi dal lanciargli un'unica raccomandazione prima che svanisse dalla vista.

«Non fare cazzate.»

Lucius non si voltò e non gli rispose, ma alzò la mano in cenno di saluto e Ahmad sospettò che la preoccupazione che aveva tradito con quelle poche parole avesse avuto più successo di quelle che aveva scelto di tacere.



 



1 Ahmad dice “ Umma” la comunità dei fedeli, ma Lucius capisce “ Ulla” ovvero “quella” che è la parola latina più simile. Ovviamente la frase gli pare senza senso.

2 Per gesticolare con entrambe le mani l'uomo romano dovrebbe gettarsi la toga sulle spalle, il gesto era mal visto.

Note:
Grazie di essere arrivati sino a qui. Con questo capitolo ci addentriamo nella seconda parte della storia. Come potete notare mi sono permessa un consistente salto temporale; ci sono diversi motivi, il principale è che ho scritto tutto questo per un concorso che mi dava un tetto di 15 pagine.  Ovviamente sono accadute molte cose fra questa notte e la precedente, nessuna di queste particolarmente rilevante nel raccontare la storia dell'amicizia di Lucius e Ahmad, anche se tutte abbastanza rilevanti per chi volesse raccontare la storia del vampiro Lucius o del vampiro Ahmad presi separatamente l'uno dall'altro. Spero che tutto questo non tolga piacevolezza alla storia.
Questo, tra le altre cose, è il mio capitolo preferito.
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Entreri