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Autore: Mike72    11/02/2012    2 recensioni
Billie Joe Armstrong è un cantante e chitarrista di fama mondiale, membro della punk band Green Day insieme ai suoi amici di sempre Mike Dirnt e Tré Cool e idolo di milioni di fan. La sua vita, a quanto sembra dalle numerosissime interviste che rilascia, è incentrata esclusivamente sulla famiglia, sulla band e sul comporre canzoni per nuovi album.
Ma sarà vero?
All'alba della mia prima FF suggerisco: dateci una lettura, al massimo avrete perso mezzo minuto.
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Apro gli occhi.

Il soffitto della camera da letto, bianco accecante come da vent'anni a questa parte, sembra ricambiare il mio sguardo perso a contemplare il vuoto.

Sono esausto, nonostante la dormita profonda. Il sonno non mi riposa più. Ogni giorno è diventato una fatica da portare avanti fino a che non cala il buio, quando c'è una plausibile scusa per tornare a dormire. Ogni volta che chiudo gli occhi ho la sensazione di potermi riaddormentare e dormire per altre dieci ore, sebbene questo non accada mai.

Tendo le orecchie, sperando di cogliere ancora qualche suono nonostante la casa sia ormai deserta da circa quattro mesi. Tutto è in uno stato di completo degrado, sembra quasi abbandonata: piatti sporchi di settimane nel lavandino, la lavatrice straboccante di roba mai asciugata, due dita di polvere su tutti i mobili, erbacce ovunque in giardino, alghe nella piscina che sembra diventata una palude.

Perché tutto ciò?

In realtà non lo so nemmeno io.

Mi giro sul fianco sinistro, verso l'armadio, aspettandomi di trovare davanti agli occhi delle cifre proiettate da una sveglia che non c'è. È incredibile, dopo quattro mesi immagino ancora che quella sveglia sia lì al suo posto, come tutte le mattine, e che come tutte le mattine indichi le 9:52.

Ora al posto della sveglia c'è il mio telefono.

Mi giro sul fianco destro, allungo un braccio, lo prendo in mano e lo accendo, cercando di tenere il più possibile tutto quanto sotto le coperte. A Oakland in inverno fa freddo, anche se non sembra.

Good morning, Billie Joe! mi dice il messaggio iniziale.

Buongiorno, penso tra me e me.

Sto diventando pazzo.

Il display del cellulare segna le 9:59 di Mercoledì 17 Febbraio. Fino a prova contraria ancora il giorno del mio compleanno.

Ma quanti anni saranno? Quaranta? Quarantuno? Trentanove?

Non ho voglia di fare il calcolo, e sinceramente non mi interessa neppure saperlo. Sarà comunque una giornata come tutte le altre.

Schifosa come tutte le altre.

« Tanti auguri, Billie, anche se non sai nemmeno quanti anni ti porti addosso » borbotto ad alta voce.

Sto decisamente impazzendo.

Dò nuovamente un'occhiata all'ora sul telefono. Le 10:00 in punto, ora di colazione. Almeno, ora di colazione fino a quattro mesi fa. Da quando sono rimasto solo non la faccio neanche più, la colazione.

Ma poi, perché sono rimasto solo?

Perché la casa è in stato di abbandono?

Richiudo gli occhi, mortalmente stanco. Sento che questa volta potrei davvero addormentarmi di nuovo e dormire per altre sette o otto ore.

O magari per sempre.

O magari potrei risvegliarmi e scoprire che tutto quanto era un maledetto, fottutissimo, orribile sogno.

Voglio comunque farmi del male, prima che succeda qualunque cosa, ricordando il motivo per cui ora la mia casa e (soprattutto) la mia vita fanno schifo.

Vago nella mia mente, alla ricerca di un seppur confuso ricordo. Vado indietro nel tempo di quattro mesi, trovando una cartella immaginaria in cui sono contenute tutte le foto che cercavo. La apro, e immediatamente immagini sparse e confuse si sovrappongono tra di loro alla velocità della luce, creando un video incomprensibile e disordinato. Un po' di ordine, insomma! Dunque, prima veniva quella lì, poi quella... No, aspetta, quella era dopo, e in mezzo ci stava quell'altra... E all'inizio? Cos'era successo all'inizio? Ah, sì, ecco, ora ricordo.

Ora ricordo.

Ora ric...

 

* * *

 

[N.D.A.: È sottinteso che Billie sia appena tornato dall'intervista a San Francisco (capitolo 6).]

 

Billie aprì la porta di casa, entrando nel salotto rinfrescato dal condizionatore e respirando profondamente di sollievo. Vide i suoi figli sdraiati sul divano davanti alla televisione, Jackob che mangiava avidamente da un pacco di Pringles al peperoncino e Joey che teneva una gamba allungata pigramente su di lui.

« Ciao, papà » dissero in coro i due ragazzi.

« Si può sapere cosa guardate? » sbottò Billie senza neanche rispondere, sentendo delle voci urlanti provenienti dalla televisione.

« È la nuova puntata del Jersey Shore! » spiegò Jackob esaltato.

« Davvero? » chiese il padre avvicinandosi interessato al divano. « È iniziato da tanto? Cos'è successo? »

Jackob gli spiegò brevemente che Snooki aveva baciato Ronnie e ci era andata a letto, quindi Sammi si era incazzata di brutto e si stavano per picchiare. Tutto questo in venti minuti di trasmissione. Billie si sedette sulle briciole di Pringles, accanto al figlio che parlava, e incollò lo sguardo allo schermo, deciso a non perdersi un minuto di più del reality.

Dopo circa mezz'ora la puntata del Jersey Shore finì, con Snooki e Sammi che si erano picchiate pesantemente e tutti gli altri che ci avevano messo un quarto d'ora a separarle. In tutto questo, Ronnie era rimasto senza uno straccio di ragazza*.

Billie ci mise qualche minuto per accorgersi che nella mezz'ora passata davanti alla TV non aveva visto Adie da nessuna parte, né ne aveva sentito la voce. Cosa abbastanza strana.

« E vostra madre dov'è finita? »

« È di là al telefono » bofonchiò Joey indicando la cucina con il pollice, senza staccare lo sguardo dall'enorme schermo che tutti e tre avevano di fronte.

Billie si alzò a fatica, spinto dall'estrema necessità di chiedere a Adie che fine stessero facendo tutti i soldi ricavati dai precedenti album, e si avviò in cucina. La porta era chiusa, cosa doppiamente strana.

« E allora cos'è successo? Davvero? Ma è incredibile! »

Billie si fermò, sentendo la voce della moglie che rideva al telefono. Dalla cornetta usciva una voce non distinguibile, ma l'uomo immaginò che fosse una delle amiche del liceo di Adie o la madre, che la chiamava in continuazione.

Ma sarebbe stata più di mezz'ora al telefono con sua madre?

Avvicinò l'orecchio alla porta, sebbene non ce ne fosse bisogno, deciso ad ascoltare la conversazione.

« Mmmh, Giovedì dici? Non lo so, Jase, devo vedere... »

Billie rimase di sasso.

Jase?

Conosceva una sola persona che poteva avere quel soprannome, e di certo lui non l'avrebbe mai chiamata così.

Aprì dunque la porta di scatto, facendo irruzione in cucina e facendo fare alla povera Adie un salto di almeno venti centimetri.

« Billie! Santo cielo, caro, mi hai fatto prendere un colpo... » esalò la donna con una mano sul petto e l'altra che stringeva il telefono. « Com'è andat– »

Billie indicò l'apparecchio con il mento e lei chiuse la conversazione, perplessa, riuscendo a sussurrare qualcosa di incomprensibile prima di schiacciare il fatidico pulsante.

« Chi era? » sibilò lui, sospettoso.

« Nessuno, tesoro... Solo Jason che chiedeva se... se aveva lasciato qui i suoi spartiti dato che non li trova più... Sai, mi ha detto che l'hai chiamato... »

« E cosa devi fare Giovedì? » sibilò lui ancora più sospettoso.

« Oh, per quello niente, mi ha chiesto se andava bene che venga qui a cercarli e io non so se sono a casa, forse... Forse devo andare al cinema con la mia amica Charlotte... »

« Mmh » bofonchiò Billie poco convinto.

Quello sfigato... Ora provava anche a fregargli la moglie? E dire che era anche costretto a portarselo dietro, solo perché era grazie a lui che i Green Day erano in cima alle classifiche Rock di tutto il mondo!

Decise in quell'istante che se avesse beccato di nuovo Adie in una conversazione del genere avrebbe ucciso entrambi.

Aprì il frigo e ne tirò fuori una bottiglia di Heineken, stappandola nervosamente con il cavatappi appoggiato accanto al fornello, e cominciò appena dopo il primo sorso ad urlare addosso alla moglie, chiedendo il motivo per cui il loro conto in banca si stava svuotando. L'aveva sempre detto lui che si faceva troppo shopping in casa.

 

* * *

 

Passarono le settimane, e più trascorrevano i giorni, più Billie si accorgeva che in casa c'era qualcosa che non andava per il verso giusto. I piatti si accumulavano nel lavandino, prima sempre vuoto e pulito come fosse stato nuovo, il cestino della spazzatura traboccava un po' troppo spesso e il telefono squillava in continuazione.

Soprattutto, la telefonata era quasi sempre per Adie.

Ogni volta, ogni singola volta che squillava il telefono, non si faceva neanche in tempo ad alzarsi o ad allungare una mano che Adie era già lì, anche se fino ad un secondo prima era in lavanderia a mettere i vestiti nell'asciugatrice o al piano di sopra a cambiare le lenzuola. Era come se avesse avuto un radar nelle orecchie. E, come se non fosse bastato, appena prendeva in mano il telefono si chiudeva in una qualsiasi stanza e ci restava almeno un quarto d'ora, a discutere con chissà chi di chissà quali cose.

Un'altra cosa che Billie aveva avuto modo di notare era che l'accumulo dello sporco in giro per la casa era dovuto principalmente al fatto che proprio in casa mancava spesso la presenza femminile, ovvero colei che puliva, rassettava, faceva i letti, il bucato, cucinava e se aveva tempo usciva a prendere una boccata d'aria. O, meglio ancora, a fare la spesa.

In poche parole, si parlava ancora una volta di Adie.

Inoltre, quelle due volte su tre che Billie era riuscito ad afferrare la cornetta prima di Adie, con lei trepidante che attendeva che lui gliela passasse, era Jason che rispondeva al "Pronto?", informando il cantante su ciò che stava componendo e poco dopo domandando la presenza di Adie, visto che, a quanto diceva lui, Wynona voleva parlarle. A quel punto Billie passava l'apparecchio alla moglie e lei, immancabilmente, si rifugiava in cucina parlottando fitta fitta.

In poche parole, facendo due più due e riunendo i vari pezzi, risultava che:

  1. Adie veniva cercata costantemente al telefono, non si sa bene da chi e non si sa bene perché;

  2. Sempre Adie non era mai a casa, o perlomeno dava quest'impressione: usciva appena dopo aver dato la colazione al marito, tornava per preparare il pranzo, riusciva, ritornava per cena. A volte usciva anche la sera, dicendo che andava al cinema con questa o quell'amica, ma per il resto nessuno sapeva dove andasse.

  3. Wynona e Adie dovevano avere ottimi rapporti, dato che si parlavano apparentemente almeno due volte al giorno, e ad un tratto avevano cominciato ad uscire insieme molto frequentemente. Cosa che a Billie non risultava.

La situazione quindi puzzava, e anche tanto, ma Billie non aveva alcuna voglia di indagare. Era abbastanza preso dalle prove per il nuovo album, e siccome con Mike e Tré aveva constatato che servivano soldi subito, aveva schiaffato tutti quanti in sala prove tre ore al giorno, tre giorni alla settimana. Se fosse andato tutto secondo i piani verso Gennaio i soldi avrebbero ricominciato ad affluire nelle loro tasche, senza più smettere almeno fino all'anno seguente.

 

* * *

 

Quel giorno, quel fatidico giorno che non avrebbe mai dimenticato, Billie rincasò verso le quattro del pomeriggio, tornando da una mezza giornata passata in allegria a casa di Mike con i suoi due compagni di avventure.

Era appena sceso dalla macchina e si stava avviando verso la porta di casa, con la brezza di inizio Ottobre che gli rinfrescava il viso e gli agitava leggermente i capelli. Passò davanti alla finestra della cucina, rimasta aperta per lasciar entrare un po' d'aria, e appena l'ebbe superata sentì provenire da lì delle voci che discutevano animatamente. Erano indiscutibilmente due persone, un uomo e una donna, e non appena Billie riconobbe i timbri di entrambi si bloccò sul posto. Conosceva più che bene le persone che stavano parlando.

Tornò indietro, fermandosi davanti alla finestra aperta. In mezzo alla stanza, Adie e Jason si fronteggiavano, con solo il bancone e i quattro sgabelli a separarli. Adie appariva spaventata, o perlomeno incredibilmente stupita, mentre Jason era tutto rosso in faccia e sventolava un foglio che a Billie sembrò incredibilmente familiare.

« Jason... Calmati... » balbettava Adie.

« Jason un corno! » urlava il chitarrista sventolando il foglio. « Adie, tu le hai lette le parole di questa canzone! Le hai lette! »

« Sì, Jason, ma... »

« E ricordi il ritornello, » la interruppe Jason respirando profondamente, « lo so che lo ricordi ».

Adie annuì, poi dopo qualche secondo canticchiò timidamente il pezzo della canzone a cui alludeva l'altro. Aveva una voce flebile, tutto sommato intonata, con cui cantò una musica che Billie aveva già sentito, ma non ricordava dove.

Quando smise ci fu un attimo di silenzio, poi Jason riprese a parlare, stavolta con calma.

« Be', immagino che tu abbia capito... »

« Capito cosa, Jase? » chiese Adie perplessa, vedendo che l'altro aveva smesso di urlare.

« Che... Che questa canzone parla di te ».

Billie, che interessatissimo seguiva la conversazione da qualche minuto, ci rimase semplicemente di sasso. O di merda, se pensate di capire meglio il concetto.

Cioè, fermi tutti. Qualcuno metta in pausa, ingrani la retromarcia, torni indietro, blocchi tutto!

Jason aveva scritto una canzone per Adie?

Jason aveva scritto una canzone per Adie?!?!?!

Non poteva essere vero, semplicemente non poteva!

Inutile dire che questa dichiarazione, così esplicita e diretta, senza intermezzi, senza balbettii né altro, aveva completamente spiazzato entrambi i coniugi Armstrong, l'una dentro e l'altro fuori casa.

Adie non sembrava più in grado di dire una parola. Era appoggiata al fornello, le mani che tremavano e stringevano forte il bancone come se stesse per crollare da un momento all'altro, la bocca semiaperta e lo sguardo perso. Jason la guardava dal centro della stanza, ora non più rosso in faccia come prima, il foglio con sopra le parole della canzone ancora in mano.

« Adie... » disse dopo attimi interminabili di silenzio, « Io ti ho visto piangere per lui, ti ho vista con i miei occhi più volte, proprio come dice la canzone. Ogni volta ti ho consolata, quando ho potuto, ti ho consigliato cosa fare e come agire... e ti ho vista sorridere, ed è stato bellissimo. Ma poche volte ti ho vista ridere insieme a lui, fare battute, scherzare, troppe poche volte ti ho vista veramente felice... »

Alle prime parole di Jason, Billie si bloccò un'altra volta. Gli era scattato un meccanismo nel cervello che, sommando la melodia cantata da Adie qualche secondo prima, aveva composto la scena a casa di Tré in cui la "sua ispirazione" aveva cantato una canzone intitolata Why Do You Want Him?. Lui l'aveva preso in giro come al solito, dandogli del romantico, sdolcinato, sentimentale eccetera, e ora veniva a scoprire che quella canzone in realtà era dedicata a... sua moglie?

Da questo, dedusse quindi che indubbiamente Jason parlava di lui quando diceva che Adie aveva pianto per qualcuno.

E con disprezzo, per giunta, ingrato ipocrita del cazzo! Lui gli aveva donato la fama e i soldi che non aveva, lui l'aveva portato sulla via del successo insieme ai Green Day, quando avrebbe potuto benissimo scaricarlo, lui aveva fatto tutto! Lui, lui, lui! Lui, Billie Joe Armstrong! E che dire poi di Adie? Sempre lui, sempre Billie l'aveva sposata e le aveva garantito una vita piena di agi e soddisfazioni, eliminando l'ansia dei problemi economici, del lavoro, del badare ai figli... E lei lo ripagava così? Cedendo alla dichiarazione del primo sfigato che passava per strada?

Con questi pensieri in testa, Billie si diresse quasi al galoppo verso la porta d'ingresso. La aprì, entrò come un uragano in casa e si diresse dritto verso la cucina, senza neanche badare al fatto che Cleveland** lo guardava incuriosito dallo schienale del divano. La porta era chiusa, e Billie non badò neanche a sentire cosa si stessero dicendo gli altri due che la spalancò e fece irruzione nella stanza, attirando su di sé gli sguardi terrorizzati della coppia.

« Billie! » esalò Adie con un gridolino. « N–Non è come sembra... »

« Ah, voglio proprio vedere! » minacciò lui guardandola. « E TU! », abbaiò a Jason, « Giù le mani da mia moglie! »

Jason, infatti, vedendo che la situazione andava rapidamente degenerando, appena aveva visto Billie irrompere furioso nella stanza aveva superato il bancone e gli sgabelli che lo separavano da Adie e le aveva afferrato le mani, che teneva ancora strette e non sembrava aver intenzione di lasciare.

« Adie! » disse guardandola, e la donna si girò angosciata per fissarlo dritto negli occhi.

Anche Billie guardò Jason, e notò che la sua espressione era totalmente diversa da com'era quando lui si era appostato fuori dalla finestra. Era totalmente diversa da qualsiasi espressione che avesse mai visto sulla sua faccia in più di vent'anni che si conoscevano. Jason era determinato, adesso, e pareva che nessuna cosa al mondo avrebbe mai potuto intimidirlo come al suo solito e farlo scendere dal piedistallo su cui si trovava.

« Adie... » ripeté, senza smettere di tenere le mani di lei nelle sue.

Sospirò.

« Ti amo, Adie. Ti amo, ti amo, ti amo. Ti amo adesso come ti amavo vent'anni fa e come ti amerò fino alla morte. Ti ho sempre amata più di chiunque altra e devi credermi quando dico che lui non ti merita. E sai perché lo dico? Perché tutte le canzoni come 2,000 Light Years Away, She, Extraordinary Girl, Last Night On Earth, When It's Time, non sono nate a causa di Wynona o altre, ma solo ed esclusivamente perché esistevi tu ».

Prese un respiro profondo, mentre tutto intorno il silenzio regnava. Non un cinguettio, un fruscio, un rumore per strada. Anche la brezza ottobrina aveva smesso di agitare le foglie del giardino per ascoltare la più bella dichiarazione d'amore mai esistita.

« Adie, » proseguì, « sei tu che ridi insieme a me anche se non posso vederti, sei tu che urli in silenzio, tu sei straordinaria in un mondo ordinario che non mi appartiene, tu sei colei a cui spedisco tutto il mio amore, tu mi sveli quand'è ora di dirti che ti amo... E mi spiace per non essere stato in grado di dirtelo prima. Ho sperato di dimenticarti con Wynona, davvero, e ho riprovato ancora con la nascita di Linda, ma non ce l'ho fatta, e ogni sera da vent'anni mi addormento pensando a te. Perdonami ».

La sua voce si spense, e delicatamente le mani lasciarono la presa su quelle della donna. Sia Adie che Billie erano basiti, stupefatti, increduli e chi più ne ha più ne metta. Adie sembrava avesse perso completamente l'uso della parola: fissava Jason con la bocca semiaperta e la sua espressione era illeggibile. Billie, a sua volta, faceva andare gli occhi dalla moglie al chitarrista e viceversa, come se fosse stato in una specie di trance, incapace di fare altro.

 

[Avete capito ora chi è la ragazza in abito da sposa della visione avuta da Jason (capitolo 4)? ;)]

 

Dopo qualche secondo di silenzio totale, tuttavia, si risvegliò e si accorse dello stato catatonico in cui si trovava. Lo sguardo gli cadde su Jason, che guardava Adie con un lieve sorriso sulle labbra ma non osava più toccarla. Improvvisamente, rendendosi conto di ciò che era appena successo, la rabbia mista all'istinto omicida gli fece contrarre la mascella e serrare i denti. Con un grido e un ringhio si lanciò verso il chitarrista, che si girò verso di lui con occhi terrorizzati.

« Billie! NO! » urlò Adie.

Il marito non la ascoltò e continuò la sua corsa verso un Jason assolutamente sconvolto. Quando questi si rese conto che l'altro a breve gli avrebbe messo le mani addosso, tuttavia, si lanciò dietro al bancone in un tentativo disperato di ripararsi con gli sgabelli. Billie gli corse dietro, mentre Adie si buttava al suo seguito per cercare di fermarlo. Dopo aver girato per due volte intorno alla stanza, con Jason che abbatteva sgabelli nel tentativo di bloccare l'impeto rabbioso e omicida dell'altro, questo si ritrovò braccato contro il bancone. Nel frattempo Adie aveva agguantato il marito per il braccio, esattamente di fronte al chitarrista, e lo supplicava con una vocina isterica di lasciar stare, di non pensare a ciò che era appena accaduto, ma Billie non sembrava la sentisse e guardava Jason con uno sguardo di fuoco.

All'improvviso, un soffio di aria fresca colpì il chitarrista esattamente sul collo, provocandogli un brivido che gli fece rizzare tutti i capelli che aveva in testa. Nello stesso identico istante un'idea gli illuminò la mente, facendogli realizzare che aveva alle sue spalle la finestra ancora aperta. Per un attimo pensò che era un'idea totalmente folle, che non avrebbe mai potuto farlo e si sarebbe rotto il collo, ma vedere Billie che avanzava verso di lui gli fece pensare che se non si fosse dato una mossa il collo ce l'avrebbe avuto rotto comunque. Se non peggio.

Sono pazzo.

Appena l'ebbe pensato, non sapendo assolutamente cosa e soprattutto come fare, decise di seguire l'istinto. Fece leva con le braccia e si sedette sul bancone, trovandosi di fronte alle facce di Adie e Billie che lo guardavano sbigottiti. A quel punto si tirò su in piedi, colpendo con il piede una tazzina da caffè e mandandola a terra in frantumi, alzò la testa e guardò Adie. Lei lo fissava con lo sguardo spaventato, completamente ignara di quello che stava per fare, come del resto lo era lui. La guardò intensamente, fissandosi l'immagine bene in mente poiché sapeva che non l'avrebbe rivista tanto presto.

Poi senza dire una parola si girò e si lanciò fuori dalla finestra spalancata, mettendosi a correre attraverso l'immenso giardino degli Armstrong appena ebbe toccato terra***. I due coniugi non fecero neanche in tempo a rendersi conto di ciò che era appena accaduto che lui aveva già scavalcato il cancelletto d'ingresso e si era dileguato nel nulla.

 

* * *

 

Il taxi frenò, esattamente di fronte agli scalini che portavano al cancelletto della villa. Billie Joe Armstrong aprì la portiera e uscì, trovandosi davanti alla sua dolce casetta che non vedeva da circa tre giorni. Respirò profondamente, contento di essere di nuovo a Oakland. Pagò velocemente il tassista, prese la minuscola valigia che si era portato e si diresse su per le scale, assaporando il momento in cui si sarebbe svaccato sul divano davanti alla TV.

Mentre camminava per il giardino, trascinandosi dietro la borsa, vedere la porta d'ingresso che si avvicinava sempre di più gli fece pensare a quello che era capitato solo la settimana precedente, quando Jason si era dichiarato a Adie di fronte a lui stesso.

Se solo ci ripensava bolliva di rabbia.

Se poi ricordava, con fastidio, ciò che aveva dovuto fare appena dopo che Jason era sparito, gli fumavano le orecchie.

Per la prima volta in vent'anni di convivenza, infatti, aveva dovuto alzare le mani sulla moglie. E questo ovviamente lo seccava parecchio, dato che così era lui che passava per quello che si era comportato male. Neanche il week-end trascorso a New York con Mike e Tré, richiesti insieme a lui per un'intervista, era riuscito a cancellare l'accaduto. Ovviamente ne aveva parlato con i due amici, che l'avevano sostenuto dicendo che aveva fatto solo bene, che Jason era proprio un nano bastardo e che Adie aveva dovuto assolutamente essere rimessa sulla retta via, tuttavia non riusciva ancora a perdonarsi di aver potuto compiere un gesto così plebeo. Non che avesse rimpianto ciò che aveva fatto, per carità, ma aveva dovuto metterci ben un'ora per convincersi di aver fatto la cosa giusta.

Mentre si avvicinava alla porta d'ingresso, ad ogni modo, notò che la casa aveva un aspetto strano. Tutte le finestre che davano sul giardino erano chiuse, comprese quelle del secondo piano, nella piscina c'erano parecchie foglie che non avrebbero dovuto esserci e nessun cane o gatto era sdraiato al sole a riposare come al solito.

Molto strano.

Appena fu arrivato di fronte all'enorme portone suonò il campanello, aspettando che qualcuno gli venisse ad aprire al più presto. Nessuno rispose.

Risuonò, con lieve impazienza, e ancora una volta nessuno venne ad accoglierlo all'entrata.

Doppiamente strano.

Mentre prendeva le chiavi dalla valigia, ora decisamente spazientito, si chiese come diamine fosse possibile che nessuno fosse lì ad aspettarlo, sapendo perfettamente che lui sarebbe ritornato quel giorno.

Aprì la porta, chiusa totalmente con quattro giri di chiave, ed entrò in casa.

« Ehilà? »

Niente. Nessuno venne a salutarlo, nessuna figura femminile uscì dalla cucina, nessuno che potesse assomigliare ai suoi figli scese dalle scale del piano di sopra.

« Adrienne? » chiamò ancora, alzando la voce. « Joseph? Jackob? »

Nulla, nessuna risposta.

Saranno andati a fare un giro.

Alzò le spalle, lasciando la valigia davanti alla porta e andando a svaccarsi sul divano, esattamente come aveva premeditato appena aveva posato piede in terra californiana. Prese il telecomando, pronto ad accendere la TV, quando appena ebbe posato lo sguardo di fronte a sé notò uno strano bigliettino appiccicato sull'apparecchio. Incuriosito, si alzò e si diresse verso il mobile per staccarlo, poi si risedette sul divano.

Era un foglietto semplice, probabilmente preso da un quaderno, su cui c'erano parecchie parole scritte con una calligrafia elegante e minuta, che a Billie sembrò di avere già visto. Le lettere erano ravvicinate tra loro e traballanti, con sbavature d'inchiostro qua e là, il che significava che il tutto era stato scritto di fretta e da una persona in preda al nervosismo.

Billie non aveva nessuna voglia di sapere cosa ci fosse scritto là dentro, visto che il biglietto era anche parecchio lungo, ma pensando che forse vi era spiegato il perché di tutta quella strana situazione si fece forza e cominciò a leggere.

 


Caro Billie,

 

immagino che tu ti stia domandando il perché di tutto questo. Di come mai le finestre siano chiuse, la piscina sia piena di foglie e non ci sia nessuno che prenda il sole, né persone né animali. Tutti in famiglia sapevamo benissimo che saresti tornato oggi da New York, ma per un motivo particolare non siamo in casa. Non è perché siamo al cinema o allo Shopping Mall di Berkeley a fare un giro, e neanche a vedere Joey che suona con i suoi amici o Jackob che fa la partita di Baseball.

Vorrei poterlo dire in un modo meno schietto, ma non ho molto tempo e perciò non posso farlo.

Semplicemente non siamo in casa perché non torneremo mai più a Oakland.

Hai letto bene, non torneremo mai più.

Non credo che tu potrai mai capire quant'è difficile per me scrivere questa lettera, come non hai mai capito niente di tutto quello che ho provato a dirti o farti capire in vent'anni. Però io ci provo lo stesso. Non riesco a trovare un punto d'inizio per ciò che stai leggendo, perché non so neanche esattamente dove arriverò alla fine, ma posso dire che tutto è cominciato poco dopo l'anniversario della morte di tuo padre.

Già da qualche tempo non mi sentivo bene a casa. Non che fosse cambiato qualcosa nel nostro stile di vita, anzi, era invariato come lo era sempre stato da quando vivevamo insieme, ma era qualcosa di diverso, che veniva dall'interno.

Mi sentivo cambiata io.

La vita insieme a te non mi entusiasmava più. Non che l'abbia mai fatto, a dire il vero, ma mentre prima mi sentivo tutto sommato in pace con me stessa, in quei giorni mi sentivo in conflitto con la mia stessa anima. Più che altro, perché mi ero accorta di aver trovato qualcun altro che mi faceva stare meglio di quanto stessi a casa. Forse l'avrai già capito, quella persona era Jason. Durante queste settimane, in cui avevo cominciato ad uscire molto spesso, il telefono squillava sempre per me eccetera, era sempre Jason. Tutto è iniziato quando io ho risposto una volta al telefono, mentre lui cercava te, e siamo stati più di dieci minuti a chiacchierare e scherzare in allegria. Dieci minuti non sono tanti, lo so, ma è più di quanto io abbia mai fatto con te da quando ti conosco. Riassumendo, io e Jase abbiamo cominciato a darci appuntamenti, all'insaputa tua e di Wynona, e all'insaputa di entrambi abbiamo scoperto di stare veramente bene insieme, ognuno in pace con se stesso e con il mondo.

Alla fine, be', vedi tu stesso come sono andate le cose. Casa deserta, tutti spariti... Jason mi ha intercettata al supermercato una settimana fa, mentre facevo la spesa, appena dopo l'accaduto in cui eri presente anche tu. È corso da me e mi ha detto che non dovevo essere spaventata, anzi, e che avremmo dovuto approfittare del fatto che tu saresti stato via un intero week-end per fuggire insieme.

Ha detto proprio così, “fuggire insieme”. Io e lui con Joey e Jackob e se volevamo anche gli animali. Inutile dire che mi ha immediatamente convinta, poiché in quel momento ho scoperto di amarlo anch'io.

Billie, voglio dirti una cosa in questa lettera che non ho mai avuto il coraggio di dirti.

Io non ti ho mai amato.

Non so esattamente perché io ti abbia sposato. Forse semplicemente non avevo nessun altro con cui stare o nessun posto migliore dove andare, diciamo che tu e la California mi sembravate l'abbinamento migliore, in confronto ai miei e al Minnesota.

Detto questo, cerco di chiudere questa lettera, sono le 09:00 e siamo in partenza.

Non provare a cercarci. Nessuno dei nostri amici sa che stiamo partendo né dove siamo diretti, Wynona stessa e Linda lo scopriranno oggi con una lettera del genere da parte di Jason. Non provare a telefonarci, abbiamo tutti cambiato numero di telefono e quello che avevamo prima è stato cancellato.

Sul bancone della cucina c'è la copia delle carte del divorzio che ti ho fatto firmare martedì, mentre guardavi il Jersey Shore, e dato che come al solito non mi stavi considerando hai scritto senza fare una piega. Sappi solo che da sabato non siamo più marito e moglie****.

Detto questo devo proprio andare, dobbiamo partire o troveremo traffico.

Addio,

Adie

 

 

Billie smise di leggere.

Non era possibile. Non era neanche lontanamente possibile.

Adie l'aveva... L'aveva...

Be', l'aveva lasciato.

Se n'era andata.

Aveva preso figli, animali e bagagli ed era sparita nel nulla. Aveva fatto il passo più lungo e azzardato di tutta la sua vita, che Billie non credeva avrebbe mai potuto fare. Per non parlare di Jason.

Rilesse la lettera, provando ad individuare un indizio che gli dicesse che era tutto uno scherzo, che non l'aveva fatto sul serio, ma non ne trovò. La rilesse ancora, più e più volte, imparando a memoria ogni piccola sbavatura e cercando ossessivamente qualsiasi cosa che gli potesse dire da che parte erano andati, dov'erano diretti, ma Adie non faceva riferimento a nulla. Non parlava di macchine, autobus, aerei, navi, di assolutamente niente. Per quanto ne sapeva Billie, tutti avrebbero potuto essere ancora a Oakland come in viaggio verso il Maine o il Cile, dalle due parti opposte del continente.

Dopo qualche minuto di ricerche a vuoto e tentativi d'interpretazione del biglietto, Billie si buttò sull'ultima speranza che gli era rimasta. Prese rapidamente il cellulare dalla tasca, volò sulla rubrica e la scorse febbrilmente per pochi istanti, fino a quando non arrivò al nome “Adrienne”. Appena ci capitò sopra schiacciò su “Chiama” e attese.

Avanti, rispondi.

Nessun suono uscì dal telefono, neanche il tipico tuuuu dell'altro cellulare che squillava.

Rispondi, diamine, rispondi!

Bip!

« Siamo spiacenti, il numero da lei chiamato è inesistente ».

Un altro “Bip”, rapido e istantaneo come il precedente, interruppe la chiamata. Billie non ci poteva credere.

Non era vero, non poteva essere vero.

Mentre l'ansia accelerava il suo battito cardiaco si precipitò di nuovo sulla rubrica e chiamò tutti gli altri: Jackob, Jason e Joey; ma nessuno gli rispose. Ad ogni chiamata passava qualche secondo di silenzio, poi la stessa voce registrata gli diceva che il numero non esisteva più. Così per dodici volte, poiché lui non voleva convincersi che il tutto stesse accadendo veramente.

Abbiamo tutti cambiato numero di telefono e quello che avevamo prima è stato cancellato”... “Nessuno dei nostri amici sa che stiamo partendo né dove siamo diretti”...

Le parole gli rimbombavano in testa, come se la voce stessa di Adie le stesse ripetendo ossessivamente.

Spariti, svaniti nel nulla.

Era rimasto solo.

 

* * *

 

Apro gli occhi.

Diamine, mi sono addormentato di nuovo. E questa volta sul serio.

È stato orribile ricordare tutto quanto. Sembra tutto così incredibilmente... vicino.

Però, fermi tutti, manca ancora una cosa da ricordare.

Già, perché mia moglie può avermi lasciato, d'accordo, può essere scappata con il chitarrista della mia band, d'accordo... Ma qual è la mia situazione adesso?

Be', ve lo dico io.

Poco tempo dopo la scomparsa dei quattro fuggitivi, sebbene io mi fossi raccomandato con Mike e Tré di non parlarne assolutamente con nessuno, la notizia è venuta fuori.

Già, è spuntata come un grillo sulle prime pagine dei giornali di tutta Oakland, e poco dopo anche su quelli del web.

Tutta colpa di quella stupida di Wynona, che non potendo credere al fatto che l'ex-marito l'avesse lasciata con un palmo di naso si è precipitata alla polizia per denunciare la sua scomparsa. Inutile dire che li hanno cercati ovunque, ma di loro non si è vista neanche l'ombra, neanche una punta di un'unghia. Sembrano davvero essere svaniti nel nulla.

Per quanto riguarda i Green Day, be'... Ci siamo ritrovati senza ispirazione. Jason ha fatto sparire tutte le partiture e i testi che aveva scritto, e avevamo provato e ultimato solo la prima canzone. Nel frattempo la casa discografica ci diceva che dovevamo fare in fretta, altrimenti non avremmo visto neanche un soldo, così abbiamo dovuto arrangiarci, io, Mike e Tré. Noi, che non avevamo mai scritto una canzone in tutta la nostra vita.

Be', che dire? Ci abbiamo provato.

Già, ci abbiamo provato, ed è uscito uno schifo. Un vero schifo.

Inutile dire che i fan e soprattutto le radio non l'hanno apprezzato per niente, quest'ultimo album. La nostra popolarità è calata a picco, non abbiamo ricevuto nessun Grammy Award e per di più, poco tempo dopo, si è scoperto il vero lavoro di Jason all'interno dei Green Day.

Proprio così, tutti hanno scoperto tutto quanto.

Non so come sia successo esattamente, diciamo che è accaduto e basta. Adesso i Green Day non esistono più, su Facebook la pagina ufficiale è passata da più di venti milioni di fan a mille scarsi e su Twitter non mi segue più nessuno. Io, Mike e Tré, poco tempo fa il simbolo della riscossa del Punk-Rock, siamo caduti nel dimenticatoio della scena musicale mondiale, buttati in cantina come un divano vecchio e ormai inservibile.

E per di più io sto raschiando il fondo del mio conto in banca.

E dire che solo quattro mesi fa avevo tutto quello che un uomo può desiderare: fama, soldi, famiglia...

Non ho mai più sentito la voce di nessuno di loro, meno che mai di quel bastardo che mi ha rovinato la vita. Nessuno sa ancora che fine abbiano fatto, e probabilmente nessuno lo saprà mai.

Eppure, dopo tutto, li invidio, i quattro fuggitivi. Li invidio poiché credo fermamente che al momento siano le persone più felici al mondo.

Ma perché improvvisamente mi sento le guance bagnate e gli occhi che bruciano?

Stupide, stupide lacrime.

 

 

 

 

 

*N.D.A.: io assolutamente NON guardo il Jersey Shore, Dio me ne scampi. I nomi dei tizi li ho trovati su Wikipedia e ho inventato delle relazioni.

**Cleveland: per chi non lo sapesse, il gatto degli Armstrong.

***N.D.A.: vi ricordo che, abitando in una villa, tutti si trovano al piano terra, quindi non immaginate che Jason si butti dal secondo o terzo piano per salvarsi dalla furia omicida di Billie xD

****Ok, è impossibile che Adie e Billie si separino in così poco tempo, ne sono perfettamente consapevole. Io non ho la più pallida idea di come si svolga un divorzio (se ci vada un incontro con entrambi i coniugi o altro) e mi sono affidata completamente a Wikipedia, che dice che in America ci va un periodo di attesa dai sei mesi ai due anni prima della separazione, quindi perdonatemi se la cosa è totalmente irreale. Diciamo... uhm... licenza poetica?






 

_____________

Mike72's Corner

 

 

Be', miei cari, questa è la fine (possiamo dirlo, no?) di questa FanFic, che ha appassionato moltissimo me mentre la scrivevo e spero anche voi mentre la leggevate ;)

Questo epilogo vi sembrerà incredibilmente drammatico, lo so e mi dispiace, ma devo ammettere che non avevo più idee e visto che già da un pezzo rimuginavo su questa fine ho pensato di darci un taglio. Dieci pagine di Word come conclusione non mi sembra affatto male!

Finisco di stancarvi, dopo questo capitolo eterno non è bene che anche il mio commento sia interminabile. È stato bellissimo, ma si sa, il bel gioco dura poco. Spero di avere presto altre idee frizzanti e originali, e tornerò solo ed esclusivamente se avrò qualcosa di degno da proporvi.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, recensito, seguito e amato questa storia, o anche solo coloro che ci hanno dato un'occhiata e non sono più tornati. Ringrazio i Green Day per avermi dato la possibilità di scrivere questa storia e Billie Joe Armstrong per essersi prestato a fare da protagonista, sebbene abbia dovuto recitare la parte oscura (e spero inesistente) di sé.

Grazie di cuore a tutti quanti.

A presto!

 

Mike72

  
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