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Autore: Mary P_Stark    17/02/2012    1 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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33.

 

 

 

 

 

Il suono delle trombe delle porte a ovest della città di Rajana, furono il primo segnale dell’arrivo della famiglia reale di Karton.

Il veloce formicolare di paggi, domestici e guardie, fu il secondo.

Seduto comodamente su uno dei merli del muro di cinta di palazzo, lo sguardo perso sull’orizzonte leggermente velato di nebbia, Aken lanciò uno sguardo al soldato di ronda che gli stava al fianco e, ammiccando, sentenziò: “La mia regale sorella è infine giunta, a quanto pare.”

“Così sembrerebbe, Vostra Altezza” annuì l’alabardiere prima di allungargli una mano per aiutarlo a scendere dalla merlatura, così da rimettere i piedi sul più sicuro ponte di pietra su cui lui si trovava.

Atterrando sulle pietre scure con un lieve fruscio di pelli, Aken ringraziò il soldato per l’aiuto prima di ripercorrere il camminamento verso la porta in legno che conduceva all’interno del maschio occidentale del maniero.

Da lì, imboccò le scale che lo avrebbero portato fino al corpo principale del castello.

Discesi i gradini di roccia a due a due, Aken si ritrovò ben presto al quarto piano del maniero, dove si trovavano le camere della famiglia reale.

Fermo sul ballatoio da cui si poteva scorgere l’ampio ingresso dabbasso, trovò il fratello Ruak, intento a scrutare la servitù mentre deponeva i tappeti rossi all’entrata e drappeggiava le bandiere dello Stato di Karton accanto ai portoni d’entrata.

Messosi al suo fianco per ammirare quello spettacolo di efficienza e perfetta sincronizzazione, Aken disse al fratello: “Spiegami ancora una volta perché si ostinano a farlo all’ultimo minuto.”

“Perché dicono che, altrimenti, il tappeto si ricoprirebbe della sottile patina di polvere che proviene dal cortile, e questo inficerebbe sul bel color amaranto di cui è composto quel mostruoso serpentone che stanno distendendo con tanta facilità” gli spiegò Ruak con un mezzo sorriso divertito.

“Oh, dèi! Non sia mai che succeda!” esclamò Aken, fingendosi inorridito prima di scoppiare a ridere e chiedergli: “Ma hai detto loro che non farebbe alcuna differenza? Si sporcherà in ogni caso.”

Con una spallucciata, il sovrano si limitò a dirgli: “Non mi hanno ascoltato. Pretendono che tutto sia perfetto, e chi sono io per dire loro di no?”

Aken si liberò in una risata che coinvolse anche il fratello, abbigliato quel giorno con un semplice completo tunica e pantaloni nero e oro.

I sottili ricami dorati che impreziosivano il colletto e le maniche della severa e lunga tunica al ginocchio, brillavano timidi alla luce delle lanterne appese alle pareti.

“Come mai così informale, fratello?” gli chiese con un mezzo sorriso Aken, mentre iniziavano a discendere le scale per raggiungere l’atrio di palazzo.

“Era nostro padre ad amare le frivolezze. Io preferisco i vestiti più sobri” spiegò succintamente Ruak, lasciando che la mano scivolasse leggera sul mancorrente in ferro brunito.

Quando raggiunsero infine il pian terreno, l’orda perfettamente coordinata della servitù era ormai rientrata nelle rispettive stanze di competenza.

Nell’enorme atrio così allestito, restarono soltanto gli alabardieri in alta uniforme, oltra al paggio che avrebbe presentato l’entrata dei reali di Karton.

Renke e i bambini erano fuori nel cortile, in quel momento, mentre Eikhe, Antalion e Liana, silenziosi come ombre, attendevano nell’atrio l’arrivo dei parenti di Aken.

Scusandosi con Ruak, che si avviò all’esterno per andare a controllare che i figli non finissero con lo sporcarsi prima dell’arrivo degli zii, Aken raggiunse la sua famiglia.

“Come mai vi siete nascosti qui?”

“Non ci siamo nascosti. Abbiamo evitato di venire travolti dalla servitù” precisò Eikhe, sorridendogli nell’afferrare la sua mano protesa. “Se avessimo anche solo tentato un qualsiasi movimento, ci avrebbero sicuramente steso assieme a questo gigantesco tappeto.”

Come darle torto?

Aveva ben visto anche lui con quanta maniacale - e militare - precisione si fossero mossi i domestici.

Qualunque cosa si fosse trovata sulla loro strada in quel momento, loro l’avrebbero travolta senza tanti complimenti, fosse anche la nuova Eroina del Regno.

Appoggiato alla colonna e con le gambe intrecciate al pari delle braccia, Antalion chiese al padre: “Come dovremo comportarci, in questo caso?”

“Sono d’accordo con Ruak di incontrare Melantha e la sua famiglia nel Salottino Azzurro. Preferisco evitare questo genere di eventi non meno di voi” riferì Aken, guardandosi intorno prima di individuare un lacchè.

Fattogli segno di avvicinarsi, gli disse: “Riferisci a Sua Maestà che lo attenderemo nel Salottino Azzurro, come da accordi.”

“Sarà fatto, Vostra Altezza” annuì compito il giovane prima di sgattaiolare via a un’andatura a metà strada tra il passo veloce e la corsa, pur senza apparire trasandato o scomposto.

“Ma come fanno?” esalò Liana, facendo tanto d’occhi. “Glielo insegnano a scuola, per caso? Non uno che abbia una cadenza di corsa diversa dall’altro. Vanno tutti a quella velocità.”

“Si chiama efficienza sul lavoro, Liana, e qui a palazzo è, o meglio, era vitale, se non volevi incorrere in una tirata d’orecchi da parte di mio padre” ghignò Aken con una certa acredine nel tono di voce. “Ora che c’è mio fratello al governo, le cose cambieranno, ma è dura togliere un’abitudine quando è molto radicata.”

“Ah” borbottò la ragazza, continuando a osservare perplessa la figura ormai lontana del lacchè.

“Vogliamo andare?” propose a quel punto il principe, non avendo altro da fare in quel posto in particolare, se non continuare a osservare l’atrio tirato a lucido.

All’unisono, annuirono e lo seguirono in fila indiana per raggiungere il salotto al primo piano, ove avrebbero incontrato in separata sede la famiglia reale di Karton.

Aken non sapeva davvero cosa aspettarsi né, tantomeno, quali sarebbero state le reazioni delle due donne che maggiormente lo preoccupavano; Eikhe e Melantha.

Di certo, il loro primo incontro non era stato dei più idilliaci e, il proseguo della loro ‘relazione’, non era stato meraviglioso.

Dire che si erano guardate in cagnesco per la maggior parte del tempo, era un eufemismo.

Sì, Eikhe le aveva regalato quell’occhio di lupo, prima di partire, e Melantha l’aveva tenuto al pari di una reliquia, ma trovarsele entrambe in una stanza, era altro affare.

Sperava soltanto che, con la maturità, Melantha si fosse ammorbidita, e che Eikhe non avesse intenzione di fargliela pagare per gli sgarri subiti in passato.

Quando aprì la porta del salotto, vi trovò ad attenderli la regina, come sempre vestita di scuro e con il viso oscurato da  una veletta color blu notte.

Non era un abito da lutto, ma ci si avvicinava davvero molto.

Salutatala con un bacio e una stretta gentile alla spalla, Aken le sedette al fianco sul divanetto color cielo mentre la sua famiglia si accomodava sulle poltroncine nei pressi dell’enorme porta finestra che dava sul cortile.

Preoccupato, il principe chiese: “Madre, non ti senti bene? Ti vedo più pallida del solito.”

Un esile sorriso tese le sue labbra esangui e Anladi, scuotendo debolmente il capo, si limitò a dire: “Non preoccuparti per me, tesoro. Va tutto bene.”

Non del tutto convinto, Aken le strinse con forza una mano ricoperta di fine pizzo scuro e domandò nuovamente: “Non me la dai a bere così facilmente. Ti ripeto; cosa succede?”

Anladi sospirò pesantemente mentre le sue dita stringevano convulsamente quelle del figlio e, flebili, le parole scivolarono dalla sua bocca formando una frase che sconcertò all’inverosimile Aken.

“Tuo padre è entrato in coma questa notte. Stamani, ho ricevuto un messaggio dal falconiere reale di stanza a Elion, che mi informava delle sue condizioni di salute. Il medico ha indetto le quaranta ore di preghiera per il deposto regnante, ma ho preferito non dire nulla a Ruak, né desidero che tu gli dica alcunché, almeno finché Melantha non sarà qui.”

Se Antalion e Liana mostrarono il loro dispiacere con il pallore dei loro volti e le bocche atteggiate a un mesto broncio, Eikhe si affrettò ad alzarsi per raggiungere Aken.

Avvertendo la mano dell’amata sulla sua spalla, si volse a mezzo per sorriderle.

“Sto bene, tranquilla.”

Eike accennò un sorriso prima di inginocchiarsi accanto a lui, poggiare il capo sulle sue ginocchia e, in un sussurro, dire: “Se tu lo vorrai, intoneremo il canto delle donne-lupo per le anime in transito.”

La carezza che scivolò sui suoi capelli stretti in una treccia fu leggera come le ali di una farfalla, quasi come la voce che uscì dalla bocca di Aken.

“Grazie.”

Non disse altro, e a Eikhe non servì udire altro.

Con un bacio leggero al ginocchio di Aken, Eikhe si risollevò prima di fare un cenno ai due giovani, già pronti a seguirla.

In fretta, presero uno dei candelabri poggiati sopra il camino e lo posizionarono verso est, dove il sole reclina ogni sera dietro i monti.

Inginocchiatisi l’uno accanto all’altro, inclinarono verso terra i loro volti e cominciarono a cantare sommessamente.

Anladi e Aken si alzarono per raggiungerli mentre Eikhe, preso un bastoncino dal fuoco sfrigolante nel camino, iniziò a dire con la sua brillante voce di contralto:

 

“L’alba è ormai lontana, dispersa oltre le nubi che si addensano

nel cielo all’imbrunire.”

 

Con uno svolazzo compiuto con mano abile, Eikhe accese la prima delle tre candele del candelabro, dopodiché si piegò su se stessa fino a poggiare il capo sulle ginocchia, in posa penitente e sottomessa.

Liana fu la seconda a intonare il canto e, preso esempio da Eikhe, afferrò un secondo stoppino e disse con voce sottile e leggermente tremante:

 

“L’imbrunire avvolge ogni cosa, dal palazzo del ricco signore al misero

tugurio del povero contadino.”

 

Come in precedenza, anche Liana accese con gesto elegante la seconda candela, prima di sistemarsi in posa postulante non meno di Eikhe.

Dopo un momento passato a osservare le figure ricurve e immobili delle due donne, prese il suo stoppino e recitò con voce baritonale e magistralmente intonata:

 

“Contadino o ricco signore, l’ala di Haaron scenda su di te con clemenza

e sia aperto per te un regno di luce, ove la tenebra non possa mai

mettere piede. Sia questo il mio augurio per te, anima che ti

accingi a seguire la via ultima e più difficile tra tutte.”

 

Dopo aver recitato la frase di rito, anche Antalion accese la candela e si piegò in avanti, prostrandosi dinanzi al candelabro acceso e alle fiamme ardenti del camino.

Silenzioso spettatore assieme alla madre, Aken tratteneva a stento lacrime che si era ripromesso non avrebbe mai e poi mai versato per il padre.

Non perché non l’avesse amato, ma perché l’Arkan che lui conservava nel cuore non era lo stesso uomo che stava rendendo l’anima agli dèi in quelle ore.

Quell’uomo tanto adorato, lui lo aveva perso anni addietro, forse nel momento stesso in cui la sua vera madre era morta, e Arkan lo aveva definitivamente chiuso fuori dalla sua vita.

Lui era stato niente più che un oggetto per perpetrare il suo dominio, per il padre, da quel giorno in poi.

Le lacrime per quel vecchio Arkan, che lo prendeva in braccio e lo coccolava durante le infreddature, o dopo un brutto sogno, le aveva già piante a suo tempo.

Per questo Arkan, non ve n’erano più, anche se si sentiva male al solo pensarlo.

Dopo un minuto circa dal momento in cui anche Antalion si era piegato in avanti per prostrarsi di fronte al Signore dei Morti, i tre figli del branco si levarono in ginocchio.

All’unisono, soffiarono sulle tre candele, lasciando che il fumo scuro e lieve si innalzasse sopra di loro, formando una leggera nuvoletta opaca.

In quel mentre, le trombe suonarono a festa nel cortile di palazzo e Aken, aiutando Eikhe a rimettersi in piedi, sussurrò: “Sono giunti.”

***

Quando la porta del salottino si aprì, un bambino sui sette anni entrò trotterellando prima di fermarsi di botto nel notare persone che non conosceva assieme alla nonna e allo zio.

Bloccato a metà dell’entrata, il bimbo si volse per guardarsi alle spalle, dove lo attendeva paziente il padre, il principe Mynias che, sorridendogli beffardo, gli chiese: “Cosa ha frenato la tua baldanza, Kregan?”

Sollevato il mento con fierezza, Kregan dichiarò impettito: “Nulla, padre. Ma si conviene che un principe, quando entra in una stanza già occupata, saluti i suoi ospiti, prima di proseguire.”

Cercando di trattenere un risolino, il principe annuì con enfasi e, con un gesto elegante della mano, indicò i presenti strizzando l’occhio ad Aken.

“Ebbene? Saluta i nostri gentili ospiti.”

Raddrizzatosi e sistematosi la corta tunica blu scuro a ricami argentati che indossava, il principe Kregan, terzogenito del regno di Karton, disse con voce ben impostata: “Ben trovata, nonna Anladi e zio Aken. Sono lieto di vedervi e di salutare i vostri ospiti.”

Con una calda risata di gola, Mynias si decise a entrare, dando una pacca sulla spalla al figlioletto.

Allungata poi una mano in direzione del vecchio amico che, nel frattempo, si era levato dal divano, esordì dicendo: “E’ un piacere rivederti, Aken, e devo supporre dal tuo vestiario, e dalla gentile signora che vedo accanto alla finestra, che la tua Cerca abbia avuto buon fine.”

“Direi di sì” ammiccò Aken, prima di veder entrare nel salotto i due gemelli, Berhen ed Elren, e Melantha, che teneva in braccio il piccolo Aken.

Dietro di loro, si trovavano Ruak e la sua famiglia, che pensarono a chiudere la porta alle loro spalle.

Con una breve riverenza, Melantha sorrise al fratellastro prima di dire: “Ben trovato, fratello. Sono lieta di rivederti dopo tanto tempo e…”

Interrompendosi non appena lo sguardo le cadde su Eikhe e due giovani che non conosceva, accentuò il suo sorriso mescolandolo con l’aperta sorpresa. “… e sono affascinata nello scoprire che ho un nipote già così grande e così affascinante. O sono due?”

Antalion si limitò a sorridere impacciato prima di reclinare il capo ossequioso mentre Eikhe, muta, la scrutava dubbiosa, indecisa sul da farsi.

Pensò Melantha a riempire quel vuoto imbarazzato.

Lasciato al marito il piccolo Aken, si avventurò oltre la selva di persone che le dividevano e, una volta di fronte a lei, allungò  una mano – cosa più che mai inusitata, tra la nobiltà – e disse sommessamente: “Sono Melantha, figlia di Arkan di Rajana. Non ci hanno mai presentate formalmente.”

Vagamente sorpresa da quel gesto davvero inaspettato, Eikhe tentennò solo un attimo prima di riscuotersi e allungare una mano verso di lei per stringere quella della donna. “Io sono Eikhe di Nestar, molto piacere, Altezza.”

Quando le loro mani si incontrarono, Eikhe trovò ad attenderla  una stretta vigorosa, sicura di sé e, a sorpresa, gli occhi si posarono su un oggetto che mai si sarebbe aspettata di vedere.

Piccolo e solitario, l’occhio di lupo che, tanti anni addietro, Eikhe aveva donato a Melantha, pencolava da un bracciale in argento intrecciato e di mirabile fattura.

“Lo hai tenuto?” mormorò sorpresa la figlia sacra, vedendo annuire la principessa.

“Non l’ho mai tolto, e Mynias può esserne testimone” le sorrise appena la donna, ammiccando all’indirizzo del marito, che assentì.

L’attimo dopo, Melantha si aprì in un sospiro di sollievo, esalando: “Dèi, ero terrorizzata da questo momento! Non sapevo come l’avresti presa, se mi avresti insultato – come meritavo, aggiungo – o se mi avresti mandato contro uno dei lupi che ho visto nel cortile di addestramento dei cavalieri!”

Un coro generale di risate scaturì dopo l’uscita a sorpresa di Melantha mentre Eikhe, sempre più sgomenta, esalò: “Oh… cielo… no, non l’avrei mai fatto!”

“Meno male!” sospirò Melantha, prima di tornare seria e voltarsi in direzione del nipote per dire: “Assomigli davvero molto a tuo padre, ma gli occhi sono tutti di tua madre. Qual è dunque il tuo nome, giovane figlio del branco?”

Vagamente sorpreso, il ragazzo disse: “Il mio nome è Antalion, Altezza.”

Un ‘ma che le è successo?’ comparve a caratteri cubitali sul viso di Eikhe mentre osservava il suo compagno e Aken, facendo spallucce, non seppe che rispondere.

Avvicinandosi alla moglie con un gran sorrisone sulle labbra, Mynias avvolse con un braccio la vita sottile di Melantha e, rivolgendosi a Eikhe, asserì: “Finalmente posso conoscere la donna che ha stregato il mio vecchio amico, e posso dire che ha davvero buon gusto. E’ un onore conoscerti, Eikhe. O dovrei chiamarti Eroina del Regno?”

“Eikhe basta e avanza, Altezza” replicò con un sorriso la donna.

“Cognato, mia cara. E la splendida fanciulla con voi, chi è? La sorellina di Antalion, forse?” chiese Mynias, strizzando l’occhio ad Aken.

“Una nostra amica di nome Liana” spiegò la figlia sacra, mentre la ragazza si inchinava compita.

“I tuoi sudditi nascondono bellezze sopraffine, mio caro Ruak. Sono un po’ invidioso” commentò a quel punto Mynias, facendo sorgere un nuovo accesso di risa tra i presenti.

Dopo quell’inizio davvero insolito, la famiglia si accomodò, chi sui divani, chi sulle sedie presenti nel salotto.

Mentre tè e pasticcini venivano serviti, un pacco venne consegnato alla coppia reale di Karton da un valletto in livrea, che si dileguò un secondo dopo senza il minimo rumore.

Melantha e Mynias si scambiarono un’occhiata d’intesa, prima di ricominciare a parlare del più e del meno con la famiglia.

Berhen, l’erede dei reali di Karton e sua sorella gemella Elren, invece, dialogavano con interesse assieme al cugino e a Liana.

Spostatisi sul balcone assieme ai cugini più piccoli – con l’eccezione di Aken, rimasto in braccio alla madre – Berhen si chiuse le porte finestre alle spalle e disse: “Lasciamo alle loro chiacchiere gli adulti.”

“Come preferisci, Altezza” concesse Antalion, con una scrollata di spalle.

“Dovrei chiamarti anch’io Altezza, visto che sei figlio di Aken, ma credo che non te ne importi un accidente di quel titolo, o sbaglio?” chiosò furbamente Berhen, ammiccando al cugino con aria saputa.

Trovandosi al volo con quel giovane dai capelli color cannella - stretti in una coda di cavallo - e gli occhi attenti di un falco, Antalion annuì complice e dichiarò: “Da cosa si capisce?”

“Dal fatto che, nonostante tu ti trovi a palazzo da un po’, almeno da quel che mi è dato sapere, non indossi abiti come i nostri ma quelli che, sicuramente, usi alla tribù dove vivi” rispose flemmatico Berhen.

Elren sorrise al cugino come per scusarsi dei modi del gemello, e soggiunse: “Non badare alle parole di mio fratello, cugino Antalion. Da grande, vorrebbe fare il Capo Coordinatore del Servizio di Spionaggio di Karton, e non il principe regnante, perciò non fa altro che ficcare il naso dove non dovrebbe.”

Facendo tanto d’occhi, Antalion esalò: “Capo… cosa?”

Scoppiando a ridere, Berhen fissò con autentico affetto la sorella gemella prima di spiegare al cugino: “Devi sapere che Karton ha uno dei servizi di spionaggio più sviluppati di tutti i regni del nord del continente di Medrasta. Io vorrei solo occuparmi di una cosa che mi riesce bene, dopotutto. Non mi sembra una grande pretesa, dopotutto.”

“Peccato che papà non lo sappia ancora” ci tenne a precisare Elren, mentre Kregan, il terzogenito, ridacchiava divertito.

Meriton e Staryn fissarono dubbiosi il cugino Berhen che, spallucciando, chiosò: “E dai, non sarà mica la fine del mondo, no? Di altri eredi, papà ne ha finché vuole!”

Liana inclinò il capo con aria divertita a fissarli tutti e, poggiandosi contro il parapetto del balcone, asserì ironicamente: “A quanto pare, il trono sta scomodo a molti, nonostante siate nati in diverse famiglie reali.”

Berhen ammiccò maliziosamente al suo indirizzo e replicò sommessamente: “Che attrattiva può avere, un misero trono se, stando sul campo, potrei incontrare bellezze come te, gentile Liana?”

Antalion mosse un passo con fare piuttosto incisivo e, guardando dall’alto al basso il cugino, che superava di mezza testa, dichiarò serafico: “La bellezza in questione è già impegnata, grazie.”

“Ho capito l’antifona, cugino” ridacchiò Berhen, prima di dargli una pacca sul braccio ed esalare subito dopo: “Dèi, con un braccio simile potresti ridurmi la testa a un colabrodo!”

Arrossendo leggermente, Antalion ridacchiò del suo commento mentre Liana, avvolgendo la vita dell’amico con un braccio, si limitava a dire: “La vita nei boschi fortifica, principe.”

Elren la fissò con autentica curiosità prima di dirle: “Nostro padre ha spesso dei contatti con alcune Signore di diversi villaggi di donne-lupo che si trovano nei nostri territori, e io ho potuto imparare da una di loro le arti della guarigione. Ho studiato l’uso delle erbe medicinali che si possono trovare nella foresta, oltre all’erboristeria pura e semplice.”

Sinceramente sorpresa, Liana esalò: “Mia madre è una guaritrice, e anch’io so un po’ di erboristeria e di medicina.”

“Allora, se tu fossi così gentile da acconsentirlo, vorrei che tu mi spiegassi l’utilizzo della radice di edherna. Non ho avuto molto tempo per studiarla, e il suo uso mi rimane in parte oscuro” si eccitò subito Elren, afferrandole con foga una mano e guardandola con eccitati occhi azzurro cielo.

“Oh, dèi, salvateci da una lezione di erboristeria, vi prego!” esalò falsamente disperato Berhen, passandosi una mano sul volto abbronzato.

“Possiamo andare a giocare coi lupi, mentre loro chiacchierano” propose speranzoso Meriton, fissando il cugino Antalion con occhi sgranati e sorriso ammirato.

Ridendo, Antalion annuì e, dopo aver lanciato uno sguardo a Liana per capire se a lei andasse bene restare sola con la principessa Elren, rientrò insieme ai suoi numerosi cugini.

Dopo aver salutato le rispettive famiglie, se ne andarono al campo di addestramento, dove i loro lupi erano rimasti per non intralciare i lavori dei domestici.

Mentre Liana ed Elren parlavano fittamente sulla balconata e gli altri ragazzi, seguiti da una Naell eccitata, si dirigevano verso il cortile, Melantha sorrise a Eikhe e disse: “Ho imparato a mie spese che la superbia non porta a nulla, e Mynias mi ha fatto capire che valevo come persona, e non solo come principessa. Sono contenta che anche i miei figli l’abbiano compreso.”

Con un sorriso comprensivo, Eikhe guardò i due reali e dichiarò: “Hanno avuto dei bravi insegnanti, evidentemente.”

“Era una nostra speranza” ammise Mynias, prendendo in braccio il pacco precedentemente portato dal paggio. “Un dono da parte nostra, con la speranza che possa essere ben accetto.”

Aken aiutò Eikhe a prendere il pesante involto, dicendo all’amico: “Non c’era bisogno di nessun dono.”

Rivolto un sorriso a Ruak, che se ne stava in piedi alle spalle del divano ove erano accomodati Aken, Eikhe e Anladi, Mynias ribatté: “C’era, invece. Quando ho saputo che avevi un figlio già adulto, tramite i buoni uffici di tuo fratello - che ci ha anche avvisati della tua presenza qui - abbiamo pensato di portarvi qualcosa, visti tutti i regali che tu, a tua volta, avevi fatto ai miei alla loro nascita.”

“Sciocchezze” ridacchiò Aken, scartando l’involto con un po’ di curiosità.

Dinanzi agli occhi sorpresi e confusi di Eikhe, pezze su pezze di pelli diverse, e tra le più pregiate che avesse mai visto, scivolarono tra le sue mani.

Con voce resa incerta dall’imbarazzo, esalò: “Ma… sono stupende… e sono davvero troppe! E costosissime!”

Teli di pelli di daino bianco si inframmezzavano a stole di volpe grigia e cervo maculato e, mentre la donna continuava a osservarli con reverenziale ammirazione, Melantha intervenne imbarazzata: “Beh, mi sono ricordata della volta in cui mamma mi disse che i tuoi abiti, e la tunica che Aken indossava al suo ritorno dalla missione, li avevi confezionati tu, così ho pensato che un dono del genere avrebbe potuto andare bene. Spero di non essermi sbagliata.”

Il viso di Eikhe si aprì in un largo sorriso mentre si sollevava per scrutare Melantha e, allungata una mano nella sua direzione, le disse: “Possiamo anche non esserci comprese all’inizio, ma so che ora sei cambiata, come anche io, del resto. Hai scelto in maniera oculata, e apprezzo moltissimo questo dono. Grazie.”

“Grazie a te” replicò Melantha stringendo la mano di Eikhe.

“Continuo a credere che Mynias abbia nascosto nelle segrete del castello la vera Melly, e che qui abbia portato una concubina molto somigliante a mia sorella” sogghignò Aken, guadagnandosi uno schiaffetto sul braccio dalla madre, e un’occhiataccia da parte di Melantha.

Ghignando, Mynias si servì un pasticcino e brontolò: “Concubine? Vorrai scherzare, spero! Melly mi ha fatto togliere quella legge dopo solo sei mesi dal nostro matrimonio. Non potrei averne neppure se volessi.”

“Prevenuta, la sorellina” ridacchiò Aken.

Melantha mise un adorabile broncio mentre Renke, scrutando curiosamente il marito, chiedeva: “Non ho controllato ma… c’è qualcosa del genere nel nostro statuto?”

Ruak si limitò a ridere, coinvolgendo tutti gli altri. Tranne Renke.

***

“Come avranno preso la notizia?” sussurrò Eikhe all’orecchio di Aken, mentre gli massaggiava la schiena con movimenti circolari delle mani.

“Non saprei. Mamma ha voluto parlare loro in privato, perché non se la sentiva di parlarne ancora davanti a me. Forse, temeva di fare riaffiorare il dolore” fece spallucce Aken, afferrandole una mano per baciargliela.

“E che tipo di dolore è?”

“E’ mancanza di dolore, credo. Mi sento un po’ ipocrita, onestamente, ma non so cosa farci. Lui non è più il padre che ho conosciuto e amato” sospirò Aken, reclinando indietro il capo fino a scivolare sui seni nudi e bagnati della compagna.

L’acqua nella vasca dove si trovavano fluttuò leggera attorno a loro, al movimento del suo imponente corpo.

Avvolgendogli il collo con le braccia, Eikhe allora lo baciò teneramente su una guancia punteggiata di barba, prima di dirgli: “Il tuo cuore ha subito molti lutti, Aken, ed è stanco di soffrire. Non fargliene una colpa, se ora non vuole piangere per un uomo che, come dici tu, hai perso ormai da tempo. Ciò che ora si trova a Elion è un corpo vuoto, non contiene più lo spirito che instillò in te l’amore.”

“Da dove ti viene tanta saggezza?” cercò di ironizzare Aken, pur non avendone voglia.

“Dai miei molti lutti” fece spallucce lei, aprendosi in un sorriso. “Tutto quel dolore, però, non potrà mai annullare la gioia che provo avendoti al mio fianco.”

“E’ così anche per me” annuì lui, voltandosi per averla di fronte, mentre lo sciabordio dell’acqua si schiantava contro i fianchi della vasca e i loro corpi caldi e umidi. “Ti amo, e non smetterò mai di amarti.”

Socchiudendo gli occhi a fissarlo con tutto l’amore che aveva dentro, Eikhe gli prese il viso tra le mani per avvicinarlo al proprio e, sulle sue labbra tumide, sussurrò: “Finché il sole sorgerà e calerà oltre le montagne, finché l’inverno tornerà a lambire le nostre terre, finché il vento soffierà nella valle che ci ha ospitati, io ti amerò.”

Baciatolo con tenerezza, Eikhe lo attirò a sé con la fermezza di ogni donna innamorata e Aken, portandola con un gesto veloce sopra di sé, la fece sedere in grembo e le sussurrò tra un bacio e l’altro: “Sei sicura che si possa?”

“Non sono così avanti con la gravidanza” emise un risolino lei prima di cercare la sua erezione nel rimestio d’acqua che galleggiava attorno a loro, e accompagnarlo dove desiderava tanto andare.

“Mooolto bene” ansò lui, baciandola sul collo per poi iniziare a muoversi dentro di lei con spinte lente e penetranti.

Chiusi gli occhi lentamente, Eikhe si lasciò andare alle carezze leggere del compagno, mentre il dondolio sonoro dell’acqua si alternava ai suoi mugolii di piacere e a quelli di Aken.

Il suo respiro si fece sempre più accelerato, all’unisono con gli affondi del compagno che, deliziandosi con il sapore mielato della pelle di Eike, alternava lunghe spinte a baci infuocati.

Sussurrando più e più volte il nome di Aken, Eikhe affondò le unghie nelle sue spalle, quando sentì ormai prossimo il momento in cui avrebbe ceduto alla passione più accecante.

Prese con foga le sue labbra, soffocò nella sua bocca l’urlo di piacere che le eruppe dalla gola quando raggiunse l’acme assieme a lui e infine si accasciò contro di lui.

Mentre il rollio dell’acqua andava rallentando attorno a loro, Aken continuò a massaggiarle la schiena e le braccia, scivolando piano fuori da lei per riprendere a baciarle i seni.

Eikhe lo lasciò fare, sfiorando i suoi capelli bagnati e le poderose spalle muscolose e segnate dal pesante lavoro invernale che aveva svolto al villaggio.

“C’è così tanto ardore, in te, mio caro, che dubito fortemente potrai mai invecchiare” sussurrò la figlia sacra, inarcandosi verso di lui quando le carezze si fecero più audaci.

“Sei tu a mantenermi giovane, tesoro” ridacchiò Aken prima di guardarsi intorno, scrutare la selva di candele che avevano acceso nel bagno e aggiungere: “Sai una cosa, però?”

“No, dimmi” si interessò lei, abbracciandolo prima di guardarsi a sua volta intorno per comprendere cosa lo avesse bloccato.

Scostandola da sé, Aken le stampò un bacio sulle labbra e dichiarò: “Voglio tornare a casa.”

“Non avrei saputo esprimermi meglio, sai?” ridacchiò lei, tornando ad abbracciarlo strettamente. “E sei giunto a questa conclusione facendo l’amore con me in questa vasca enorme?”

“Qualcosa del genere” ammise lui, sollevandosi scrosciante dalla vasca e attirandola in piedi a sua volta.

Divorandola con lo sguardo alla luce altalenante delle candele, dorata e perfetta ai suoi occhi, identica a come l’aveva vista quella volta nella casamatta, tanti anni prima, sussurrò: “Il nostro amore è nato e cresciuto nelle avversità. Non è fatto per gli agi di un castello.”

“Come ho detto prima, non avrei saputo esprimermi meglio” sussurrò lei, avvolgendogli il collo con le braccia per poi levarsi in punta di piedi. “Pensi che Ruak se la prenderà?”

“Il mese è quasi passato. Non siamo venuti meno alla nostra parola, e Hyo-Den ci aspetta” replicò Aken, stringendola a sé prima di portarla fuori dalla vasca per avvolgerla in un pesante asciugamano profumato.

Eikhe si limitò ad annuire e, lasciando cadere l’asciugamano, se ne tornò in camera sotto lo sguardo famelico di Aken.

Dopo aver spento le candele nel bagno, decise che, quella sera, si sarebbe concesso una doppia porzione di dolce, visto quant’era buono quel dolce.

  
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