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Autore: Lady Bracknell    24/09/2006    9 recensioni
Era completamente assorto. All’inizio pensò fossero solo i suoi baci, o il modo in cui gli passava la mano fra i capelli e lungo il collo, la squisita sensazione che derivava dal suo tocco, ma col passare dei minuti si rese conto che non era una sola cosa che lo assorbiva in quel modo – non era il suo tocco, il suo sapore o profumo, oppure i suoi deliziosi baci – era semplicemente lei.
Genere: Romantico, Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ma Ciao!!! Sono stata abbastanza veloce? So che siete impazienti e vi chiedo scusa se ci ho messo tanto, ma leggendo vi accorgerete che in effetti il capitolo è lunghino…

Gustatevelo con calma, perché non ho la più pallida idea di quando riuscirò a pubblicare il prossimo, il mio pc è andato in palla e non riesco a connettermi ( ora sto sfruttando quello di Little Fanny ), però riesco comunque a lavorare!

 

Ho tradotto a Lady Bracknell le vostre recensioni e ne è stata molto felice.

Mi ha chiesto di ringraziarvi e ha detto di essere contenta che ai fan italiani di questa coppia piaccia la sua storia…

 

E vi ringrazio anch’io per tutti i commenti positivi alla mia traduzione, non sapete quanto mi facciano piacere! GRAZIE!

 

 

4. Out of question

 

 

“Cosa ne pensi di Tonks?” chiese Sirius.

 

“Non cominciare,” rispose Remus, non prendendosi nemmeno la briga di alzare gli occhi dal libro che stava leggendo.

 

“Cominciare cosa?” disse Sirius. “Era una semplicissima domanda.”

“Per quanto ti riguarda, nessuna domanda riguardante una persona del sesso opposto è semplice,” disse, “Ricordo fin troppo bene la questione Celestia Fox. È cominciato tutto con un semplice ‘cosa ne pensi di Celestia Fox?’ ed è degenerato in un piano dettagliato per farci finire insieme.”

 

“Era per il tuo bene,” protestò Sirius. “E lei ti piaceva, no?”

 

Remus sospirò, sconfitto, capendo d’aver scelto un esempio sbagliato.

“Penso che Tonks sia un elemento importante per l’Ordine.” Acconsentì.

 

“E ti piace.”

 

“No.”

 

“Credi che io non ti conosca abbastanza per capire quando ti piace qualcuno?”

 

Remus voltò pagina, anche se non aveva ancora finito di leggerla. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che le allusioni di Sirius gli mettessero strane idee in testa, specialmente quando tali idee erano già lì; forse non completamente formate e definitivamente non bene elaborate, ma comunque lì, in tutta la loro vaga impulsività.

“Credo che Azkaban ti abbia fatto perdere la testa.” Asserì.

 

“Allora perché continui a flirtare con lei?”

 

“Non lo faccio.”

 

“Sì che lo fai.”

 

“Non lo faccio.”

 

“Lo fai.”

 

“No.”

 

“Sì.”

 

Remus sospirò, rifiutandosi di continuare ancora questo gioco infantile. Guardò Sirius negli occhi.

“Quando?” disse, inarcando un sopracciglio con aria di sfida.

 

“Tutto il tempo,” rispose Sirius,  gesticolando vagamente alla tavola, come fosse coperta di esempi.

“Tenti sempre di infastidirla.”

 

“Io non tento di infastidirla.” Precisò Remus, tornando al suo libro. “Lo faccio e basta.”

 

“E per te, questo è flirtare.”

 

Remus voltò un’altra pagina non letta, con grande cura.

“Non sto flirtando con Tonks.” Disse cautamente.

 

Per un piccolissimo istante pensò che Sirius gli avesse creduto.

“Ho visto il modo in cui la guardi.” Commentò quest’ultimo, evidentemente divertito.

 

“Forse hai bisogno di una visita oculistica?” suggerì Remus. “Ha metà dei miei anni. Solo perché tu hai il senso della morale di un ermellino arrapato, questo non vuol dire che per me sia lo stesso.”

 

“Primo,” sbottò Sirius indignato. “Io non ho il senso della morale di un ermellino arrapato. Tu pensi ch’io l’abbia perché tu hai il senso della morale di un ermellino castrato. Secondo, ha almeno tre quarti dei tuoi anni.”

 

Avrebbe dovuto immaginare che Sirius non avrebbe ceduto tanto facilmente. Chiuse il libro e gli sorrise cordiale.

“Che non ha alcuna importanza, visto che non mi piace.”

 

“E’ un peccato,” commentò Sirius, “Perché tu piaci a lei.”

 

“Non mi fregherai in quel modo.” Disse Remus. “Non un’altra volta.”

 

“Allora c’è qualcosa su cui poterti fregare.”

 

“No.”

 

Sirius si mostrò evidentemente e sinceramente deluso.

“Eri molto più divertente una volta.”

 

“Vuoi dire che ero molto più facile da manipolare.” Lo corresse Remus.

 

Sirius sorrise.

“Beh, sì, anche quello.” Disse.

 

La porta si aprì e Tonks entrò in cucina. Remus pensò che Sirius aveva probabilmente pianificato ogni cosa, il suo provvidenziale arrivo giusto in tempo per origliare le sue insinuazioni e qualsiasi appassionata confessione sarebbe riuscito a strappargli.

“Ehilà!” disse.

Tonks guardava alternativamente l’uno e l’altro, in cerca di una spiegazione di quel silenzio evidentemente teso, e Remus sentì lo sguardo di Sirius su di sé.

 

Svignarsela gli sembrò l’opzione migliore.

“Credo che andrò di sopra.” Annunciò, indicando il libro.

Si alzò e si avviò verso la porta, lanciando un “Non iniziare” a Sirius e guardandolo con aria severa, mentre chiudeva la porta dietro di lui.

 

Aveva appena mosso un passo nel corridoio e stava per tirare un sospiro di sollievo quando Tonks chiese: “Non iniziare cosa?”

 

Remus pregò mentalmente Sirius affinché non rispondesse, ma , naturalmente, non fu ascoltato.

“Gli piaci.” Disse Sirius.

 

Remus socchiuse la porta quanto bastava per infilare la testa nello spiraglio.

“No, non è vero.” Disse, e ritirò la testa.

Aveva appena chiuso la porta quando la voce di Sirius, carica di soddisfazione, lo raggiunse.

“Te l’ho detto. Gli piaci.”

 

Remus sospirò e spalancò la porta.

“Non è vero,” esclamò. “Senza offesa.” Aggiunse poi.

 

“Perché dovrei essere offesa?” chiese Tonks, incrociando le braccia al petto e squadrandolo in un modo che gli fece pensare che, in realtà, lo fosse veramente.

“Non è che io stia sveglia la notte sperando disperatamente di piacerti.”

 

“Ecco,” mormorò, più a se stesso che a qualcun altro, ed uscì.

 

“Gli piaci.” Commentò di nuovo Sirius.

 

Remus aprì di nuovo la porta e gli lanciò addosso il libro che lo colpì direttamente alla nuca.

Mentre Sirius palpava cautamente il punto dell’impatto, Remus sorrise a Tonks, come per scusarsi.

“E questa ti sembra la reazione di un uomo che non è innamorato di te?” sbottò Sirius, massaggiandosi la testa. Remus iniziò a massaggiarsi la fronte e tornò in cucina. Si chinò a raccogliere il suo libro, e quindi scelse la sedia accanto a Tonks, giusto per provare che non gli piaceva, e, sospirando, vi si sedette.

 

“E va bene,” disse infine, “Ma ricordati che te la sei cercata.”

 

‘Che cosa?’ tentò di dire Sirius, ma la sua bocca non emise alcun suono. Tentò di nuovo e poi lanciò uno sguardo glaciale a Remus. Sillabò qualcosa che sembrava molto ‘Oh Moony, andiamo...”

 

Remus appoggiò le mani sul tavolo, giocherellando con la bacchetta.

“A meno che tu non abbia intenzione di dire qualcosa di sensato,” spiegò, “Penso sia meglio che tu non parli affatto.”

 

Sirius lo guardò implorante, e quando in cambio ottenne solo uno sguardo deciso da parte di Remus, incrociò le braccia stizzito e lo fissò imbronciato.

 

“Per quanto tempo hai intenzione di lasciarlo così?” chiese Tonks.

 

“Sa benissimo come funziona.” Disse. “Scioglierò l’incantesimo quando prometterà di comportarsi bene. Farai il bravo?”

 

Sirius fece un gesto con la mano che fece ridacchiare Tonks.

“Ancora un po’, allora.” Convenne Remus, infilando la bacchetta in tasca. Si voltò verso di lei. Se doveva rimanere bloccato lì per un po’, voleva sfruttare quel tempo al meglio.

“Qualcosa da bere?” chiese. “C’è del tè o credo ci sia anche della Burrobirra da qualche parte.”

 

“Non farti troppi problemi.” Disse lei, inarcando un sopracciglio. “Non devi cercare di impressionarmi o chissà cosa.”

 

Punto sul vivo, distolse lo sguardo. Pensava che il fatto che lei si fosse offesa o turbata quando aveva detto che non gli piaceva fosse stato superato. Apparentemente no.

“Nessun problema.”

 

“Burrobirra allora.”

 

I loro sguardi si incrociarono e lei sorrise e lui immaginò che probabilmente era stato perdonato.

“Sirius?” domandò, alzandosi e dirigendosi verso la dispensa. Lui fece un altro gestaccio.

“Molto bene,” disse.

 

Frugò fra le mensole chiedendosi da quando ci fosse tutto quel disordine. Alla fine trovò due bottiglie e le aprì, porgendone una  a Tonks mentre tornava a l suo posto.

 

“Immagino non sia la prima volta che lo fai,” commentò, prendendo la bottiglia.

 

“Quand’eravamo a scuola era l’unico modo perché avessimo un po’ di pace e tranquillità,” disse Remus. “Sai com’è fatto. Tutto chiacchiere e pettegolezzi. E naturalmente tutti i suoi consigli sulle ragazze...” alzò gli occhi al cielo per enfatizzare le sue parole. “Era una lotta continua nella speranza di trovare un momento per se stessi.”

 

Sirius diede un colpo sulla tavola per attirare la loro attenzione. ‘Non è vero!’, gli occhi sgranati per l’irritazione. Tonks rise.

“Lo sai, lasciava che le sue ragazze facessero i compiti per lui,” insistette Remus, sfruttando il suo vantaggio. Sirius si alzò in piedi e si appoggiò alla tavola, sporgendosi verso di lui. ‘Smettila!’, sillabò, puntandogli un dito contro. “Non ricordo come riuscisse a convincerle,” disse Remus lentamente, godendosi il timore crescente sul volto di Sirius ed il crescente interessamento di Tonks. “Ah,sì. Solitamente lui...”

 

Sirius diede un altro colpo alla tavola e lo guardò malissimo. Remus lottò per non scoppiare a ridere. Stuzzicare Sirius lo faceva sempre divertire in modo spropositato.

‘Non oseresti’ sillabò Sirius.

 

“Ne sei sicuro?” lo sfidò Remus. Sirius arricciò le labbra, pensieroso, e quindi si sedette, incrociando le braccia e fissandolo imbronciato, avendo apparentemente, ed abbastanza correttamente dedotto che, probabilmente, avrebbe osato.

 

‘Va bene,’ sillabò.

 

“Sei pentito?” chiese Remus, e Sirius annuì a malincuore. “E prometti che farai il bravo?” chiese ancora. Sirius alzò gli occhi al cielo e poi annuì. Remus estrasse la bacchetta e la puntò al collo di Sirius.

 

Si portò le mani alla gola e fece alcuni suoni di prova.

“Era assolutamente ingiustificato,” disse, “Mi vendicherò, lo sai?”

 

“Non vedo l’ora,” rispose Remus, “La vuoi quella Burrobirra, ora?”

 

Sirius annuì come uno scolaretto appena rimproverato e Tonks ridacchiò. Remus prese la bottiglia dalla dispensa e gliela porse.

“Voglio sapere come convinceva le ragazze a fare i compiti per lui!” disse Tonks.

 

Sirius lanciò un’occhiataccia a Remus attraverso la tavola.

“Magari un’altra volta,” disse Remus, tentando disperatamente di non sorridere.

 

“Dovrai passare sopra il mio cadavere!” esclamò Sirius. “Non dimenticare che pure io conosco tutti i tuoi sporchi segreti, Moony.”

 

“Sirius,” commentò Remus impassibile. “Sappiamo entrambi benissimo che non c’è niente nel mio passato che sia remotamente imbarazzante come le tue trascorse vicende.”

 

Sirius si voltò verso Tonks e la guardò negli occhi mentre si sporgeva verso di lei.

“Lo sai, io e James eravamo etichettati da tutti come i maggiori combinaguai. Quello che nessuno sa, è che era lui,” e qui indicò Remus, “Quello che sviava tutto il gruppo.”

 

“Davvero?” chiese lei.

 

“Sì,” rispose.

Sorrise leggermente a Remus e poi fece il meno convincente degli sbadigli che Remus avesse mai visto.

“Oh, cielo,” disse, “Sono esausto. Pensò che sarò costretto ad augurarvi la buonanotte e lasciarvi soli. Spero davvero che non vi sentiate troppo imbarazzati o a disagio.”

 

Aggiunse un altro falso sbadiglio tanto per gradire, si alzò,  raccolse la sua Burrobirra dal tavolo e se ne andò.

 

“Che cos’erano tutti quei discorsi?” chiese Tonks.

 

“Niente, è solo che Azkaban gli ha fatto perdere la testa.”

 

“Oh,” mormorò, non sembrando affatto convinta. “Immagino che tocchi a te intrattenermi, ora.”

 

Lui incrociò il suo sguardo e sorrise.

“Credevo ne avessi avuto abbastanza l’altra sera del mio concetto di intrattenimento.”

 

“Se sei troppo noioso,” commentò, “Posso sempre andarmene a giocare con Fierobecco.”

 

Rise brevemente, chiedendosi se davvero sarebbe potuto essere più divertente di un dannato ippogrifo. Remus riprese in mano il vecchio libro che aveva tirato a Sirius, ed iniziò a scorrere il sommario sul retro della copertina e giocherellando con il dorso consumato.

“Cosa stai leggendo?” chiese Tonks, indicando il libro con un cenno.

 

“Jane Eyre,” rispose.

 

“Di cosa parla?”

 

“Robot.”

 

“Davvero?”

 

“No.”

 

Si chiese se sarebbe mai stancato di questo gioco, mentre la sua espressione variava da divertito e speranzoso interesse a profonda irritazione. Non sapeva esattamente perché lo divertisse tanto dare risposte così sciocche a domande tanto semplici. Immaginò avesse qualcosa a che fare col fatto che ci cascava sempre, non importava quanto la sua risposta fosse ridicola., e lui sperava avrebbe continuato a cascarci.

 

“Di cosa parla in realtà?”

 

E naturalmente, per quanto potesse arrabbiarsi, lo perdonava sempre per averla stuzzicata, cosa che lui trovava infinitamente accattivante.

“Di un sacco di cose,” rispose. “Principalmente, è una storia d’amore e mistero.”

 

Tonks lo guardò curiosa, evidentemente non soddisfatta della risposta, così lui continuò.

“Parla di una ragazza che cresce in un orfanotrofio e in seguito diventa governante.” Disse. “Va a lavorare per un uomo chiamato Mr Rochester, e si innamora di lui”

 

“Sembra un po’ da ragazza,” commentò.

Lui ridacchiò,  gli piaceva la sua capacità di dire esattamente quello che pensava e di arrivare subito al punto senza tanti giri di parole.

 

“Sì,” disse, sorseggiando la sua Burrobirra, “Immagino che dal modo in cui te l’ho descritto possa sembrarlo.”

 

“Ma non lo è?”

 

“No, in realtà.” Disse, “Anche se lui è innamorato di lei, Mr Rochester non si comporta molto bene con la povera Jane...” si mosse a disagio sulla sedia. Tutto ad un tratto la storia gli era sembrata familiare, e si pentì di non aver scelto Frankenstein, piuttosto. “Ed inoltre ha un segreto, che lei alla fine scopre e le si spezza il cuore.”

 

“Com’è?”

 

“Mmm.”

 

“Mi piacerebbe?”

 

“Questo dipende interamente, immagino, da che tipo di libri ti piacciono. Cosa leggi generalmente?”

 

Si mangiucchiò la pelle attorno alle unghie e gli sorrise imbarazzata.

“Non è che sia una lettrice accanita.” Mormorò quasi in tono di scusa. “Non in questo periodo, troppo impegnata la maggior parte del tempo, troppo occupata a cercare di recuperare un po’ di sonno il resto di esso.”

 

“Sì,” concordò lui. “Ho notato la tua tendenza a prendere sonno all’improvviso quando non si provvede con adeguate distrazioni.”

 

“Ero stanca,” brontolò. “E se tu non mi avessi lasciato usarti come cuscino o coperto non avrei mai dormito così tanto!”

 

“Ho capito,” mormorò, “Dovrò tenere la cavalleria per me, la prossima volta,”

 

“Che ne dici se tieni per te soltanto il tuo cappotto e le tue spalle?” disse, e lui rise.

“Beh,” disse infine, facendo scivolare il libro verso di lei. “Magari fra un sonnellino e l’altro puoi dare un’occhiata al primo capitolo e vedere che ne pensi, se è troppo femminile per me o no.”

 

“Ma lo stai leggendo tu!” protestò.

 

“L’ho già letto.” Disse. “Diverse volte.”

 

Lei prese il libro e gli sorrise sorniona.

“Ti capita spesso di leggere libri del genere?”

 

“Sì,” rispose. “Preferisco di gran lunga i corsetti ai robot.”

 

Lui bevve un sorso di Burrobirra e lei aspettò un po’ prima di chiedere:

“Credevo non volessi parlare della tua vita sessuale?”

 

Sospettava che prima o poi sarebbe tornata sull’argomento. Rispose con un incrocio fra un gesto stizzito ed una protesta indignata, e lei fece una risata roca, battendo le mani soddisfatta mentre lui iniziava a tossire poiché gli era andata di traverso la Burrobirra.

 

Quando si fu ripreso abbastanza le lanciò un’occhiata accigliata e lei distolse lo sguardo, con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Lui notò le bottiglie vuote.

“Ne vuoi un’altra?” disse.

 

“Intendi tentare di soffocarmi?”

 

“No,” rispose. “Non sarei mai così infantile.”

 

“Allora va bene.” Acconsentì. Lui si alzò ed iniziò a frugare fra il disordine disastroso della dispensa finché non trovò quello che cercava.

 

Riemerse un momento dopo e le passò una delle bottiglie. Lei la osservò sospettosa.

“Non è che l’hai scossa o qualcosa del genere, vero?”

 

“Perché me lo chiedi?” disse, “Non ti fidi di me?”

 

“Qualche ragione particolare per cui dovrei?”

 

“Sicuro.” Rispose. “Un uomo noioso non può essere altro che degno di fiducia. O, perlomeno, prevedibile.”

 

Guardò lui e poi la bottiglia, e sembrò prendere una decisione. Afferrò la bottiglia che lui aveva tenuto per sé, e gli porse quella che le aveva dato. Gli offrì un sorriso falsamente dolce e gli fece cenno con la testa di aprirla. Lui lo fece, non successe niente e lei parve vagamente delusa. Prese la sua bottiglia e l’aprì.

 

Fece un gridolino sorpreso quando il contenuto della bottiglia schizzò dappertutto, spruzzandola in viso.

 

Lui si dondolava sulla sedia, scosso da risate incontrollabili. La vista dei suoi capelli rosa fradici ed il liquido schiumoso che gocciolava dal suo naso era ancora più divertente di quanto si fosse aspettato. Si aggrappò al tavolo per non perdere l’equilibrio, ridendo a più non posso.

 

“Tu, bastardo!” gridò. “Come diavolo hai fatto a saper...”

 

Si asciugò le lacrime dagli occhi. Lei rimase lì seduta, gocciolante a guardarlo storto. Cosa che lo fece ridere, se possibile, ancora di più. Gli tirò addosso quel poco di Burrobirra che era rimasta nella bottiglia fino a che non smise di ridere, ma quando lui alzò lo sguardo, lei stava sorridendo.

 

“E’ un pessimo scherzo.”

 

“Dici?” disse lui. “Pensavo fosse piuttosto buono.”

“Buono?”

“E’ tutta colpa tua,” disse. “Se ti fossi fidata di me, ora non saresti bagnata.”

“Oh, grazie professore,” commentò acida. “La prossima volta che vuoi darmi una lezione, potresti farlo in una maniera  un po’ più ortodossa?”

“No,” rispose. “Dove starebbe il divertimento altrimenti?”

Mentre lei prendeva la bacchetta ed iniziava ad asciugarsi i vestiti, lui evocò un asciugamano per i suoi capelli e glielo porse.

“Che gentiluomo.” Commentò.

“A volte.”

Lui si alzò per procurarle un’altra bottiglia.

“Oh, no!” esclamò, vedendo la bottiglia che le stava porgendo. “Non ci casco di nuovo.”

“Non lo farei di nuovo.”

“Non lo faresti?”

“Penso sia stata sufficiente la prima volta.”

Gli lanciò uno sguardo cinico, quindi prese la bottiglia e la stappò, fremendo appena nel farlo, non fidandosi totalmente della sua assicurazione che non l’avrebbe rifatto.

“Come sapevi cosa avrei fatto, comunque?” chiese passandosi una mano fra i capelli ormai asciutti, prima di far sparire l’asciugamano.

“Non te lo dico,” scherzò, sopprimendo un ghigno.

Sorseggiarono la birra in silenzio per un po’.

“Visto che me lo devi, posso farti una domanda?”

“Certo.”

Per un attimo sembrò ripensarci, poi scosse leggermente la testa e la sua espressione diventò decisamente più risoluta.

“Perché non ti piaccio?” chiese. “Sono molto piacevole.”

 

Lui si appoggiò allo schienale della sedia e la osservò pensieroso. Si trattenne dal dire qualcosa di stupido, sapendo che avrebbe dovuto scegliere con cura le parole.

“Oserei dire che lo sei.”

 

“Cosa significa?”

 

“Niente,” rispose.

 

“Non credi che io sia piacevole?”

 

Lei lo fissava tanto attentamente quanto lui guardava lei ed il pensiero lo innervosiva un po’. Distolse lo sguardo prima di rispondere.

“Sono sicuro che molti ti trovino attraente.”

 

“Ma tu non sei uno di loro?”

 

“Non ho detto questo.”

 

“Allora ti piaccio?”

 

“Non ho detto neanche questo.”

 

La guardò, e la vide fissarlo come se stesse attentamente soppesando se sorridere o saltargli addosso e strangolarlo.

“Allora ti piaccio o no?”

“Credevo di essermi espresso prima a riguardo.”

 

“Sì,” disse, “Ma quello era prima, e avresti potuto dirlo solo perché c’era Sirius.”

 

“Sì,” acconsentì. “Potrei.”

 

Lei si lasciò scappare un sospiro esasperato e lui non seppe resistere e insistette.

“Comunque.” Iniziò, “Sono troppo vecchio per te.”

 

“Allora ti piaccio!” esclamò.

 

“Non l’ho detto.” Replicò. “Ho detto che sono troppo vecchio per te, il che è vero.”

 

“Non penso che tu lo sia.” Protestò. “E comunque, se non ti fossi piaciuta, me lo avresti semplicemente detto.”

 

Remus sorrise fra sé. Non poteva darle torto.

 

Anche se sapeva che non doveva flirtare con Tonks, ma proprio non riusciva a farne a meno.

“Non necessariamente.” Disse, passandosi una mano sul mento, nel tentativo di nascondere il sorriso malizioso. “Potrei essere stato semplicemente gentile.”

 

“Non ti curavi tanto di essere gentile, poco fa.”

 

“E tu l’hai presa davvero bene.” Disse, inarcando un sopracciglio. “Ho deciso di non fare lo stesso errore due volte.”

 

Lei incrociò le braccia al petto, assomigliando sempre più ad una adolescente scontrosa.

“Dai mai una risposta chiara a qualcuno?”

 

Lui non seppe resistere.

“Può essere.”

Lei lo guardò seccata, ma lui intuì che stava disperatamente cercando di non ridere.

 

“Sei esasperante.” Disse, “Se avessi qualcosa da lanciare, ora te lo tirerei addosso.”

 

Lieto di essere d’aiuto, Remus sorrise, prese la bacchetta, evocò un cuscino e glielo tirò. Lei ridacchiò e quindi iniziò a picchiarlo col cuscino.

 

Avendo subito ingiurie peggiori negli anni da Malandrini infuriati, non alzò nemmeno le mani per difendersi, cosa che lei trovò ancora più esasperante.

“Avevi detto che me l’avresti tirato addosso, non che mi avresti picchiato!”

 

“Ti spiace evitare la pedanticità?” sbottò, colpendolo di nuovo e facendogli cadere i capelli negli occhi.

 

Lui afferrò il cuscino e la guardò negli occhi da sopra di esso attraverso la frangia, cercando disperatamente di non sorridere.

“La parola,” mormorò lentamente, “E’ ‘pedanteria’.”

 

“Gah!”

 

I suoi occhi lampeggiavano seccati, e strappò il cuscino dalle mani di Remus, colpendolo tre volte sulla testa. Lui rise. Così lei lo colpì di nuovo. Per lo meno Remus suppose fosse per quello.

“Hai finito?” chiese.

 

“No.” Rispose. Lo colpì un altro paio di volte sulla spalla e poi si accasciò sulla sedia.

 

“E adesso?”

 

“Sì,” disse. Strinse al petto il cuscino e gli lanciò uno sguardo imbronciato da sopra di esso.

 

Lui guardò altrove, consapevole del fatto che, se avesse incontrato il suo sguardo, sarebbe scoppiato  a ridere, e chissà come sapeva che lei non l’avrebbe presa bene. Bevette un altro sorso di Burrobirra.

“Diventi sempre così irascibile quando qualcuno non ti vuole dire se gli piaci o no?”

 

Lei prese la sua bottiglia e bevette un lungo sorso.

“Solo non capisco perché non vuoi rispondere a quella maledetta domanda.”

 

“Io ho risposto alla maledetta domanda,” precisò. “Solo non ho detto sì o no.”

 

Lo fissò come se stesse per colpirlo di nuovo, e quando non lo fece, fu abbastanza sorpreso.

Pensò che se lo sarebbe meritato.

“Perché non lo fai?” chiese lei.

 

I muscoli del suo viso si contrassero leggermente contro la sua volontà, permettendo ad un mezzo sorriso di formarsi. Rifletté alcuni istanti e poi si sporse verso di lei, consapevole del fatto di essere più vicino a lei di quanto fosse mai stato.

 

“Di sicuro,” disse, incontrando il suo sguardo e scrutandola per qualche indizio di quello che stava pensando. “Una domanda molto più interessante è,” tacque un istante, non del tutto certo di volerglielo chiedere. “... perché ti interessa tanto saperlo?”

 

“Non è vero.”

 

La sua risposta affrettata, sconsiderata gli disse tutto quello che voleva sapere.

“Allora perché l’hai chiesto?”

 

Tonks sgranò gli occhi comprendendo infine.

 

“Tu credi di piacermi.”

 

“Non oserei mai supporre una cosa del genere.” Disse, le labbra contratte in un sorriso divertito. Non aveva immaginato che fosse così ovvio, nonostante sembrava avere la capacità di leggergli la mente, di quando in quando.

 

“Beh, non è così.” Precisò lei.

 

“Lo so.”

 

“Bene.”

 

Tonks studiò la tavola, un piede che giocherellava con la gamba della sedia.

“E anche se fosse,” disse, “Fossi in te non mi monterei la testa perché lo sanno tutti che ho dei gusti eccessivamente cattivi in fatto di uomini.”

 

“Giusto,” concordò lui, cercando disperatamente di nascondere un ghigno.

 

“Quindi se fosse così, e non lo è, non sarebbe un complimento.”

 

“Sono contento che l’abbiamo chiarito.”

 

Finì la sua Burrobirra, si alzò in piedi, pensando che una ritirata strategica fosse la mossa migliore, a quel punto. “Credo che me ne andrò a dormire.”  Disse.

 

“Oh.”

 

Si chiese se fosse davvero delusa  o se a lui parve tale perché era quello che voleva sentire. In ogni caso, pensò fosse meglio andarsene.

 

Era quasi fuori dalla porta, quando lei, inaspettatamente, disse: “Anche se fosse, non mi interesserebbe, comunque.”

 

Si fermò e si voltò verso di lei.

“No?” chiese, inarcando un sopracciglio.

 

“No,” disse, “Perché sei davvero molto irritante.”

 

Remus sorrise.

“Perché stai sorridendo?” chiese lei incuriosita.

 

“Perché mi hai elevato da noioso a irritante,” le spiegò, “E’ un progresso.”

 

Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, lui si voltò ed aprì la porta.

“Buona notte,” disse, ed uscì.

 

È sorprendente, pensò, quante cose possano venir fuori da una semplice domanda.

 

Mentre si infilava sotto le coperte e fissava il soffitto, si chiese cosa ne avrebbe fatto delle risposte.

 

 

 

 

 

FINE!  Del capitolo, non allarmatevi...

Adoro l’ultima frase di questo chappy! È fantastica! Spero vi sia piaciuta, insieme a tutto il resto.

Io vi saluto, ma ci sentiamo presto!

Ciaoooooooooooooo! NONNA MINERVA

  
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