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Autore: soul_in the night    20/02/2012    0 recensioni
Siamo noi a scrivere il nostro destino, ma è davvero così quando si hanno solo diciotto anni e una sorellina a cui badare? Diana scapperà a Londra per fuggire da una vita che l'ha sempre fatta soffrire e lì, nella città dei suoi sogni, incontrerà i cinque angeli che la facevano piangere con le loro voci. Conoscerà l'amore e scoprirà la vera se stessa.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era passata una settimana dal nostro arrivo a Londra e già mi sembrava di vivere lì da sempre. Avevo cominciato a lavorare il giorno dopo aver finito di organizzare la casa e in pochissimo tempo avevano già pubblicato un mio articolo in prima pagina. Mi avevano detto che, se avessi continuato così, ben presto avrei avuto una promozione e mi avevano dato un anticipo sullo stipendio, sapendo che avevo bisogno di soldi per sistemarmi. Lavoravo quattro ore al giorno in redazione, per il resto del tempo stavo in casa o portavo mia sorella a fare spese ed esplorare la città. Il direttore del giornale mi aveva anche offerto una grande opportunità: seguire un corso pomeridiano di scrittura creativa e giornalismo, tenuto per migliorare i giovani scrittori. Ovviamente avevo accettato con molto piacere e il capo mi aveva promesso che il giornale mi avrebbe supportato durante la pubblicazione del prossimo libro. A quanto pare i miei primi successi avevano colpito anche oltremanica. 
Avevo assunto una baby sitter per Leila, una donna sulla sessantina, molto gentile e di origini italiane: mi aveva assicurato che si sarebbe occupata della mia sorellina in qualsiasi momento ne avessi avuto bisogno. Non si faceva neanche pagare tanto, diceva che le ricordava la nipote che non vedeva da molti anni. Così aiutava Leila con l’inglese nei momenti in cui non ero in casa.
Quel giorno però toccava a me supportarla, perché non sarebbe stato per niente facile per lei affrontare la nuova avventura. La scuola cui l’avevo iscritta aveva deciso che le sue conoscenze linguistiche erano sufficienti per cominciare a seguire le lezioni e così quel freddo lunedì inglese sarebbe stato il suo primo giorno.
Ci svegliammo la mattina alle sei e mezzo, ancora piene di sonno e senza alcuna voglia di alzarci. Io fui la prima a togliermi le coperte di dosso, andai in cucina e misi a scaldare del latte. Tirai fuori dalla credenza alcuni biscotti che ci aveva portato il giorno prima la signora Magnolia, la baby-sitter, e li misi sul tavolo. Poi, sicché la dormigliona non si era ancora svegliata, la tirai giù dal letto di forza e la portai in cucina.
-Forza piccola, è il tuo primo giorno di scuola-.
Stranamente, al contrario delle sue reazioni nell’ultima settimana, Leila non rispose, né accennò alcuna emozione. Sembrava preoccupata, ma non ero sicura nemmeno di quello. Finita la colazione, la aiutai a prepararsi, assicurandomi che avesse tutto il necessario. Poi, insieme, uscimmo e andammo a prendere la metro. O meglio, l’Underground, come avevo imparato a chiamarlo.
La scuola della mia sorellina era un enorme edificio vittoriano a qualche isolato dal centro. Il cortile era già gremito di bambini che le maestre tentavano di tenere calmi; la campanella sarebbe suonata a minuti, ma arrivate al momento di separarsi, Leila sembrava non volersi più allontanare da me.
-Didi, cosa succede se non piaccio a nessuno? E se non li capisco?- Ecco. Sapevo che sarebbe successo, ero certa che ci fosse qualcosa che la preoccupava. Però doveva stare tranquilla: se c’era qualcuno in grado di fare amicizia in fretta, quella persona era proprio mia sorella.
Le sorrisi con aria rassicurante e la strinsi forte.
-Lele, devi stare tranquilla, ho già parlato con le tue insegnanti: una di loro è italiana e ti starà sempre vicina. Inoltre il tuo inglese è ottimo. Per quanto riguarda gli amici, non hai motivo di preoccuparti. Chi potrebbe mai dire di no a questo splendido faccino?-.
Le diedi un pizzicotto sulle guance e lei rise. In ogni caso, dopo averla vista sul punto di piangere, decisi di accompagnarla fino alla classe e di parlare ancora una volta con le sue maestre. Spiegai loro la situazione difficile in cui ci trovavamo e chiesi loro di starle molto vicino. Me ne andai solo dopo che mi ebbero rassicurata più volte, con l’intenzione di essere di nuovo lì un quarto d’ora prima della fine delle lezioni.
Una volta uscita dalla scuola, mi resi conto di avere ancora due ore di tempo prima di dover essere in redazione, così decisi di farmi un giro della città, sperando segretamente di conoscere qualcuno.
Misi le cuffie nelle orecchie e feci partire la musica. More than this s’insinuò nelle mie orecchie; adoravo quella canzone, anche se mi faceva piangere ogni volta che la sentivo. I miei pensieri cominciarono a perdersi tra le note e le voci di quei cinque angeli, tanto che non mi resi nemmeno conto di essere andata a sbattere contro un ragazzo. La mia borsa finì a terra e io mi piegai a raccoglierla, senza nemmeno guardare con chi mi fossi scontrata. Improvvisamente cinque ombre si piegarono verso di me e io alzai istintivamente gli occhi verso di loro. Inutile negare che quasi mi venne un infarto. Davanti a me c’erano gli One Direction in persona: Harry, Louis, Liam, Niall e, infine, Zayn, che mi porgeva l’iPod. Non ci potevo credere, è ovvio. I miei idoli erano a pochi centimetri da me e mi fissavano preoccupati, come se stessi per svenire. Ed effettivamente avrebbero potuto aver ragione. Non seppi dire per quanto tempo rimasi così, ferma, immobile e con la bocca spalancata. Alla fine però afferrai una delle mani che mi porgevano e mi rialzai. Le mie parole impiegarono più tempo del solito per trasferirsi dal cervello alla bocca, ma alla fine parlai.
-Voi siete… voi siete gli One Direction. Non ci posso credere, io vi adoro-.
Loro sorrisero e io mi fermai a osservarli, come non avrei mai potuto fare con delle foto. Erano tutti bellissimi, molto più di quanto avessi mai potuto immaginare.
Fu Zayn il primo a parlare, con la sua voce dolcissima che avevo sentito più volte nei video.
-È un piacere. Come ti chiami?-.
Stavo per rispondergli, persa nei suoi occhi magnetici, quando improvvisamente mi suonò il cellulare. Fu un po’ imbarazzante sentir suonare “Up all night ” proprio davanti a loro, ma il rossore sparì dalle mie guance non appena vidi il mittente del messaggio.
 
So che siete a Londra, non immaginatevi che sia così facile. Verrò presto a prendervi. Vi troverò.
 
L’aveva saputo. Doveva pur succedere prima o poi e, anche se avevo fatto il possibile per nascondergli la nostra fuga, non poteva passare inosservato il fatto che avevo passato gli ultimi giorni prima della partenza sempre fuori con Leila. Quel messaggio però mi spaventò profondamente e mi costrinse a rendermi conto che una ragazza di appena diciotto anni non può sempre pensare a tutto. Le lacrime cominciarono a rigarmi il volto e in quel momento non seppi far altro che scappare. Gettai il telefonino a terra e mi misi a correre, dalla parte da cui ero arrivata. Non sapevo dove stavo andando, volevo solo allontanarmi da tutto.
Andai avanti finché il fiato resse, poi, sempre con le lacrime agli occhi, presi a camminare velocemente. Infine mi ritrovai a crollare sotto un albero, nel bel mezzo di un parco. Ripresi fiato e subito ricominciai a piangere. Prima di partire non avevo nemmeno pensato alla possibilità che ci cercasse e provasse a riprenderci; credevo che di noi non gli importasse nulla ed effettivamente in diciotto anni aveva sempre confermato i miei sospetti, ma che venisse a prenderci? Come padre aveva diritto di rivolere le figlie, almeno quella minorenne, ma quello che stavo facendo era giusto e legale. Non gli avrei restituito Leila, nemmeno se avesse cercato di prenderla con la forza. Un dubbio atroce mi rose il cuore: e se lei avesse voluto tornare con lui? Cosa avrei fatto in quel caso? Le lacrime tornarono a solcarmi le guance e il mio corpo fu scosso da un singhiozzo.
Improvvisamente una mano gentile si posò sulla mia spalla; alzai lo sguardo e vidi gli occhi scuri di Zayn Malik. Il cantante si sedette al mio fianco e mi abbracciò. Non so perché lo fece, ma quello fu uno dei momenti più felici della mia vita. Mi aveva seguito, si era preoccupato per me. E non era solo. Gli altri quattro arrivarono dopo Zayn, tutti col fiatone. Harry teneva in mano il mio cellulare e Liam reggeva la mia borsa. Non mi ero nemmeno accorta di aver lasciato tutto a terra, davanti a loro.
-È strano, di solito le ragazze non scappano quando ci vedono. Dovremmo preoccuparci?  -.
Eccolo Louis, con le sue solite battute. Non potei non sorridere, ma nel farlo sentii la pelle tirarmi. Dovevo essere conciata proprio male, almeno a giudicare dalle facce di Liam e Niall.
-Va tutto bene?- mi fece Zayn.
Feci di sì con la testa. Non avrei raccontato la mia storia a degli estranei, specie se quelli estranei erano saltati fuori dai poster appesi in camera mia. Mi sforzai di far nascere sul mio volto un sorriso sincero, ma il risultato dovette essere scadente.
-Vediamo se la prossima risposta sarà sincera: come ti chiami?- .
Guardai Zayn: era così bello, molto più di quanto poteva sembrare in foto o in televisione. E aveva capito che mentivo. Era così evidente?
-Diana, mi chiamo Diana-. Lui mi sorrise. Anche il suo sorriso era perfetto.Mi sembrò di perdermi nei suoi occhi profondissimi, solo la voce di Harry, che nel frattempo si era seduto vicino a me e Zayn, mi fece tornare in me.
-Allora Diana, perché sei scappata? Siamo così spaventosi?-
-No, non è questo. Scusatemi… non mi sono sentita molto bene-.
Patetica. Non ero mai stata brava a mentire, figurarsi poi quando tutte le mie forze erano concentrate sulle lacrime che speravo ardentemente di trattenere. I ragazzi risero, mentre riprendevano fiato. Avevo corso per diversi isolati senza fermarmi e loro dovevano essermi stati sempre dietro per non perdermi. In qualsiasi altra situazione sarei stata felicissima di averli incontrati, ma in quel momento avevo bisogno di stare da sola. Dovevo pensare e capire, oltre al fatto che… maledizione, non avevo la più pallida idea di che ora fosse.
Presi di scatto il cellulare che Harry aveva appoggiato al mio fianco e per poco mi venne un infarto: mancava un quarto d’ora alle dieci e io non sapevo nemmeno in che zona della città mi trovassi.
-Se hai paura di essere in ritardo per il lavoro, non preoccuparti. Mentre ti inseguivamo ha chiamato il tuo capo, gli ho detto che ti eri sentita male e che lo richiamerai nel pomeriggio.  Così avrai tempo di spiegarci perché piangevi-.
Non sapevo se ringraziarli o arrabbiarmi perché avevano risposto al mio cellulare. Alla fine non dissi niente e ne rimasi profondamente stupita: da quando avevo conosciuto la musica degli One Direction, mi bastava ascoltare una loro canzone per sentirmi meglio; ora invece, pur avendoli a pochi centimetri da me, non riuscivo a non pensare a quel messaggio. Quel maledetto messaggio che avrebbe potuto rovinare una vita che stavo disperatamente cercando di non far cadere a pezzi. Le lacrime ricominciarono a pungermi gli occhi e mentalmente mi diedi della stupida: in tanti anni, non mi ero mai sentita così debole.
Il telefonino squillò di nuovo; ancora una volta WMYB partì davanti ai ragazzi che la cantavano. Però, mentre rispondevo, mi sentivo più tranquilla, perché sapevo che dall’altra parte della cornetta ci sarebbe stata la mia migliore amica.
-Ele, perché mi chiami a quest’ora? Non dovresti essere a lavoro?- feci, mentre lanciavo ai ragazzi uno sguardo di scuse.
Il sorriso spontaneo che era nato sulla mia faccia, però, morì all’istante. La voce di Elena era diversa dal solito: spaventata, fredda, dura.
-Diana, non potevo non chiamarti. Tuo padre sta impazzendo, vi sta cercando ovunque. Dice che rivuole le sue figlie, che tu non hai alcun diritto di andartene senza il suo permesso. La polizia sta cercando di farlo ragionare, di convincerlo che la tua fuga è la cosa migliore per tutti, ma lui non ascolta nessuno. Proprio ieri la sua convivente l’ha denunciato a uno psicologo, dice che è pazzo. Ho paura sorellina: cosa farei se ti succedesse qualcosa?-
Oddio, non era possibile. Sapevo che era strano, ma fino a quel punto… Non poteva davvero sperare che la polizia gli desse ragione.
-Stai tranquilla, Ele. Non può davvero arrivare fino a qui. Tu rimani molto lontano da lui e cerca di farmi sapere il più possibile. Ti voglio bene sorellina, adesso torna a lavoro-.
-A presto, bellissima-. Era chiaro che non l’avevo convinta, ma non potevo nemmeno spaventarla. Avevo bisogno che rimanesse lucida. Forse alla fine di quella brutta storia, le avrei raccontato che gli One Direction in persona mi erano corsi dietro per consolarmi, ma quello non era il momento giusto. A proposito degli One Direction, mi stavano fissando con aria sempre più preoccupata: non potevano aver capito le parole in italiano, ma il tono era inequivocabile. Dovevano aver realizzato che la mia situazione non era affatto facile. Bloccai il telefonino e riappoggiai la schiena all’albero, alzando la testa al cielo. Cosa potevo dirli adesso? Che ero scappata a Londra con la mia sorellina contro la volontà di nostro padre? E a loro, cosa sarebbe importato? Ero solo un’altra fan con una storia difficile, niente di più. All’improvviso Zayn, che era ancora seduto di fianco a me, prese il mio volto e mi fece girare lo sguardo verso di lui. Amavo quelli occhi, li avevo sempre amati, dalla prima foto che avevo visto. E ora guardavano me con un’intensità sorprendente.
-Diana, cosa ti è successo?- Non volevo dirglielo; non volevo raccontar loro la verità e poi sentire il loro sguardo su di me, tanto simile a quello delle persone che con il tempo hanno conosciuto la mia triste storia. Mi guardai intorno, forse cercando una via di fuga, ma dalle loro faccie capii che non mi avrebbero lasciata andare senza sapere perché continuavo a scappare. Così presi un enorme respiro e…
 

Piacere, sono Soul.
Eccomi tornata con un altro capitolo. Anche questo è abbastanza lungo, ma devo dire che non sono totalmente soddisfatta. Finalmente sono apparsi i nostri cari One Direction. Io al posto di Diana avrei gettato il telefono a terra e li sarei saltata addosso, ma che ci volete fare, lei è fatta così. Comunque, ora si capisce chi sarà il nostro amato protagonista? Credo proprio di sì. Spero di tornare presto con un altro capitolo e ringrazio tutte quelle che hanno letto il primo; sappiate che una recensione non guasta, specialmente se la scrittrice è sicura di aver fatto un colossale disastro. A presto,
Soul xD.

 
  
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