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Autore: taemotional    25/02/2012    1 recensioni
[Seguito di BLOSSOM] "Tanaka Koki era ormai in carcere da 5 mesi per tentato omicidio. Dopo essere stato giudicato colpevole in seguito a un processo, ora non scontava più la sua pena a Parigi: lo Stato del Giappone aveva chiesto l’estradizione per il concittadino e dopo appena due mesi era stato trasferito nella prigione di Sugamo, situata in un distretto della sua città natale, Tokyo."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Junnosuke, Koki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Kamenashi camminava rapido nell’atrio avvicinandosi al bancone informazioni.
Un uomo in divisa lo guardò storto. Era così abituato a vedere persone chiuse in una cella che quell’avanzare spedito gli fece uno strano effetto.
“Buon giorno, oggi è giorno di visite, giusto... signor Nakamaru?” concluse leggendo l’etichetta sulla divisa.
L’uomo annuì e chiese quale fosse il nome del carcerato.
“Tanaka Koki” rispose, e gli sembrò che, nel pronunciare quel nome, avesse tolto un enorme macigno dal suo stomaco.
“Sì...” rispose la guardia annotando qualcosa su un’agenda “Ma non credo che parlerà... da quando è stato trasferito qua due mesi fa non ha mai detto una parola”
Kamenashi annuì, “Non importa, basta che mi ascolti”
L’uomo in divisa lo guardò più attentamente: lo sguardo di quel ragazzo era determinato, senza alcuna ombra d’incertezza. Gli venne la curiosità di sapere cosa volesse dire a quel carcerato, armato di una fermezza simile. Ma si trattenne, e, spingendo un pulsante, parlò in un microfono: “Akanishi, vieni all’ingresso”, disse fermo e attese l’arrivo dell’altra guardia continuando a scrutare quel giovane.
“Sì? Maru-chan?” chiese la guardia entrando da una porta di ferro alle spalle di Kamenashi.
L’uomo dietro al bancone sbiancò e lanciò un’occhiataccia a quel ragazzo così sfrontato.
“Akanishi!” gridò, e il ragazzo si mise sull’attenti con aria di scusa “Accompagna questo signore nella sala visite e porta Tanaka Koki, cella 707, ala B”
La guardia di nome Akanishi rispose in maniera affermativa e condusse con sé Kame, dietro quella porta grigia.
“Maru è così freddo che mi vengono i brividi solo a guardarlo...” commentò quella guardia mentre percorrevano un corridoio scandito regolarmente da porte identiche di ferro.
Kamenashi lo ignorò, in quel momento non poteva distrarsi.
“Ma poi... fuori dal lavoro non è così eh! Te l’assicuro!” continuava quel giovane “Dovresti vedere come si scalda facilmente!”
Riuscirò a vederlo? Riuscirò a parlargli? E se non dovesse rivolgermi la parola?, pensava intanto Kamenashi, e nella sua mente rivide di nuovo il momento in cui Tanaka gli aveva dato il primo colpo. Poté sentire il dolore vivido nella sua memoria. Iniziò a respirare più intensamente. Posso farcela...
“Aspetta qua” disse ad un certo punto Akanishi, e sparì dietro un’altra porta, identica a tutte le altre.
Dopo qualche minuto riapparve, e gli fece cenno di entrare, mentre lui sarebbe rimasto fuori ad attendere.
Kamenashi fece un profondo respiro ed entrò.
Koki era seduto su una sedia, separato dalla stanza in cui si trovava lui da un vetro bucato all’altezza della bocca.
Quando Tanaka lo vide, sussultò.
Kamenashi si avvicinò e si sedette sulla sedia di fronte. I due si guardarono per un tempo infinitamente lungo.
Infine Kame sospirò, “Ti aspettavi Ueda?” chiese in francese. Tanaka non annuì, né scosse la testa. Dovette chiudere gli occhi: quella voce gli stava rimbombando nella testa come quel giorno.
Lui è a casa, sai? Sta bene, ha di nuovo il suo lavoro, ma non è riuscito a venire”
Tanaka riaprì gli occhi e lo guardò.
Dentro di lui... ti ha perdonato, per quello che hai fatto... e ti chiede scusa, per quello che ti ha fatto lui
Tanaka rimaneva in silenzio. Kamenashi braccava i suoi occhi e gli impediva di distogliere lo sguardo.
Io...” iniziò, toccandosi le gambe “...ho lavorato duramente per lui, per guarire le mie gambe e la sua anima tormentata...”
Tanaka addolcì lo sguardo.
“Ti perdono, per quello che è successo” concluse Kamenashi sorridendo “Ecco... è tutto” poi, alzandosi, fece per andarsene.
“Aspetta!”
Kame si voltò a guardarlo. Tanaka distolse lo sguardo.
“Non sono ancora riuscito a perdonare me stesso” sussurrò Koki “...ma sapere del vostro perdono è importante per me... forse, in questi due anni, riuscirò a redimermi...”, silenzio, “Per il momento, vi chiedo scusa”
“Fra due anni, ci rincontreremo?” chiese Kamenashi.
“Credo di sì... io sarò una persona migliore”
“Spero valga lo stesso per me” concluse l’altro e s’incamminò verso la porta. Agli occhi di Tanaka apparve improvvisamente come un’altra persona. Quella non era la schiena che aveva macchiato.
“Quando rivedrò Ueda?” chiese col fiato mozzato.
Kamenashi temporeggiò, con la mano appoggiata alla maniglia.
“Gli dirò che lo aspetti” e uscì sorridendo.

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13 Aprile – Oggi il mio compagno di cella riceve una visita. Che bello, significa che là fuori c’è qualcuno che lo vuole vedere. Sensei, perché lei mi ha abbandonato?
**
14 Aprile - Finalmente il ragazzo ha parlato. Dopo tre mesi di silenzio ha parlato e mi ha rivelato il suo nome: Tanaka Koki. Gli ho chiesto come si scrive. Dice che ‘Koki’ è scritto con l’ideogramma di ‘sacro’. Proprio un bel significato, ho subito pensato. Ci trovavamo in una delle solite lezioni di pittura. Lui fino a ieri non era mai voluto venire, sebbene fossero lezioni obbligatorie per il programma ‘riabilitazione carcerati’, o una cosa simile. Quando lo vidi entrare, la sua figura quasi stonò con l’ambiente. Gli sorrisi e lui si sedette sul cavalletto accanto al mio senza dire nulla. Decisi che non lo avrei guardato per non metterlo in difficoltà.
“Signori, il tema di oggi è libero” aveva detto l’insegnante “Potete scegliere di disegnare quello che volete. E, come ogni volta, se avete delle domande venite pure. Divertitevi.” Sono proprio incapace nel disegno, e quando ieri l’insegnante ci lasciò campo libero, rimasi un quarto d’ora buono senza fare nulla. Il mio compagno di cella invece era già all’opera. Decisi di non guardare nemmeno il suo disegno. Alla fine voltò lo sguardo verso la mia tela. Avrei voluto sotterrarmi: era orribile, come ogni volta, ma lui non disse nulla al riguardo. Invece mi chiese: “Come ti chiami?” Io rimasi allibito, anche la sua voce, udita per la prima volta, stonava con il viso sempre corrugato. Gli dissi il mio nome e lui volle sapere gli ideogrammi. A quel punto iniziò a scriverli in basso, sul suo disegno. Lo guardai: aveva fatto un mio ritratto.
**
Sera - Tanaka oggi ha voluto parlare. Ha voluto sapere della mia vita e mi ha raccontato della sua. Non deve essere stato facile per lui con un trauma del genere. Quand’era piccolo la zia lo picchiava in continuazione. Per questo, a diciotto anni, si è trasferito in Francia. Là ha incontrato un ragazzo e ha avuto una relazione con lui. Sarà stata quella la persona che ieri l’ha voluto incontrare? Spero di sì, perché, a quanto dice, non si erano lasciati in una bella maniera. Io gli ho un po’ parlato della mia sensei. Ha voluto sapere quando era morta: “Cinque anni fa” gli risposi. Restò un po’ addolorato. Forse aveva captato nelle mie parole il dolore che ancora provo. “E’ stata come una madre per me” ho aggiunto e lui ha annuito. Sembra capirmi al volo, forse perché siamo simili. Mi ha anche chiesto perché scrivo sempre su questa agenda rossa. Perché scrivo? Forse per lei. Perché finché era in vita non gli ho mai dato ascolto. Mi diceva: “Junnosuke, hai scritto oggi?” E io rispondevo di no, perché non mi piaceva scrivere. Poi, a sedici anni, il giorno della sua morte, ho provato un enorme vuoto dentro di me. Per giorni non sono più riuscito a mangiare né bere, il cibo non poteva colmare quella voragine. Ho raccontato tutto questo a Tanaka. Lui mi ha ascoltato. Era da quattro anni che non incontravo una persona che mi ascoltasse in quel modo. Alla fine mi ha detto: “Io non sono mai stato affezionato a nessuno”. Ho provato pena per lui. Perché non ha mai amato il ragazzo con cui stava in Francia, lo feriva e continuava a fargli del male perché pensava che quello fosse affetto. Pensava: “Io non lo amo, ma voglio provarci.” Voleva bene a sua zia. Quando era piccolo pensava: “Anche lei mi vuole bene, per questo mi bastona. Questo è voler bene.” Sebbene non l’abbia mai vista, odio quella donna.  

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Taguchi posò sul letto il diario e si stiracchiò. Tanaka era seduto sul suo stesso letto, dalla parte opposta, e aspettava che l’altro finisse di scrivere.
Erano ormai passati due mesi dal giorno in cui Kamenashi era andato a trovare Tanaka e, da quel momento, Junno aveva ridotto poco a poco il tempo da dedicare al suo diario. Come se non ci fosse più bisogno di scrivere, come se ora avesse un’occupazione più importante.
“Cos’hai scritto oggi?” domandò Koki, come ogni volta.
Junno riaprì il diario, e lesse: “1 Giugno – Dopo una settimana, ha smesso di piovere. L’estate si avvicina...”
“Sì, sì!” commentò ironico Tanaka “Fammi il sunto!”
Junno richiuse il diario e rise.
“Okay! Fammi pensare... ho scritto tutto quello che mi veniva in mente... sai come scrivo no? Tipo ‘brain storming’! Non c’è mica un filo narrativo che collega le frasi!”
Tanaka lo guardò interrogativo, “Parla come mangi!” gridò.
“Sssh!” lo ammonì l’altro “Altrimenti Akanishi ci sgrida come l’altra volta, quando hai fatto l’imitazione di quel comico francese!”
“Ah sì! Te la rifaccio?”
“No, grazie, non faceva ridere!”
“Perché non capisci la comicità francese...”
“E tu hai dimenticato quella giapponese!” replicò Junno ridendo, poi, portandosi vicino all’altro, prese a fargli il solletico.
“Fermo fermo!” disse Tanaka cercando di allontanarlo e di tenere moderata la voce allo stesso tempo “Ho sentito dei passi fuori!”
Junno si bloccò e drizzò le orecchie, “Io non sento nulla...” sussurrò, allungando il collo.
Tanaka alzò leggermente gli occhi e fissò il viso dell’altro, lo sguardo fermo sulla porta. La sua mano era poggiata sul proprio petto.
Taguchi lo guardò di colpo.
“Perché il tuo cuore sta accelerando i battiti?” chiese, percependo quel pulsare al di sotto delle dita.
Gli occhi di Tanaka scivolarono lentamente sulle labbra, poi, con un guizzo, tornarono agli occhi. Marroni, caldi, rassicuranti.
“Perché c’è questa atmosfera strana?” chiese ancora Taguchi con un sussurro, mentre la mano sul suo petto strinse la canottiera e il viso si avvicinava involontariamente.
“Non lo so...” e con un impeto Junno gli morse le labbra. Tanaka non si ritrasse. La mano di Junno percorse tutta la sua canottiera e andò a confondersi tra i suoi capelli. Le loro lingue si cercavano con voluttà...
Durò poco: improvvisamente, la porta della cella si spalancò.
Taguchi si lanciò all’indietro rosso in viso e sbatté la nuca sull’armadio di fianco al letto.
“Cosa...” iniziò Akanishi, poi spalancò la bocca e rimase muto.
Cosa? Cosa...! Niente!” buttò fuori Taguchi senza criterio, massaggiandosi la testa, “Vero Koki?”
Tanaka non rispose, fissava un punto fisso davanti a sé, con la mente ancora catapultata a qualche secondo prima e con le labbra ancora schiuse.
“Comunque...” continuò la guardia ritrovando la facoltà della parola “Ero venuto a dirvi che l’insegnante di arte ha avuto dei problemi e quindi non ci sarà lezione”
Poi lanciò un’occhiata strana a Taguchi e se ne andò senza aggiungere altro.
Il rumore della porta di ferro che sbatteva fece tornare in sé Tanaka, che guardò l’altro.
“I-io...” balbettò Junno, ancora rosso in viso “Scusa...”
Per qualche giorno Tanaka tornò a isolarsi nel suo silenzio.

<<>> 

Sera - Cosa ho fatto?
**
2 Giugno – La sua voce già mi manca.

<<>> 

Akanishi bussò, poi entrò nella cella. Da quel giorno aveva preso quest’abitudine di avvisare, prima di catapultarsi dentro. Eppure, da quel giorno, non era più successo nulla.
“Signori,” disse “Ho due notizie, una buona, l’altra un po’ meno. Quale volete sapere prima?”
Taguchi e Tanaka, che erano seduti sul letto del secondo, si guardarono interrogativi.
“Non lo so...” iniziò Tanaka “Quella buona?”
“Bene!” rispose Akanishi “Di là c’è qualcuno che ti aspetta, Koki-san!”
Tanaka si alzò poco convinto e si portò fuori dalla cella trascinando i piedi a causa del sonno.
“Mah!” commento Akanishi, stupendosi della poca gioiosità per la notizia “Non immagino allora come prenderà la cattiva notizia”
Taguchi alzò gli occhi dal diario, c’era scritto: “5 Novembre - Buon compleanno, Koki! Questa mattina...”
“Sarebbe?” chiese.
“Lo Stato vuole che tu venga trasferito nel carcere minorile, nell’attesa che tu raggiunga la maggior età”
Il cuore di Junno perse un battito.
“Eh...? Ma manca poco...” disse con voce flebile “Non posso restare...?”
Akanishi scosse la testa.
“E se poi, quando torno, non verrò più inserito in questa stanza? Con Koki...?”
Akanishi non sapeva che rispondere. La possibilità che si potessero rincontrare era bassissima. Si dispiacque per loro. Gli ricordavano i primi tempi con Nakamaru. Anche lui al tempo era stato trasferito per un anno in un altro carcere. Lontani.
“Vedrò di fare il possibile parlando con Maru-chan”
Taguchi chinò il viso e un’ombra gli passò sugli occhi.
“Chi sta per incontrare Koki?”
“Un ragazzo di nome Tatsuya Ueda”
 
Tanaka si sedette sulla sedia dietro al vetro, come sette mesi prima. Non sapeva chi sarebbe entrato. Immaginò di rivedere i genitori, chissà che fine avevano fatto, non aveva loro notizie da quando si era trasferito in Francia, tre anni prima.
Poi la porta grigia cigolò, e si aprì lentamente. Qualcuno entrava. Il cuore di Tanaka smise di pulsare.
Ueda sorrise.
“Ciao Koki” lo salutò semplicemente, mentre si sedeva oltre quella lastra trasparente.
La familiarità con cui gli si era rivolto lo commosse. Dovette trattenere le lacrime.
“Come stai?” continuò Ueda dopo qualche secondo di silenzio in cui i due non si guardarono. Tanaka volse leggermente il viso verso di lui e poggiò una mano sul vetro.
Ueda notò quel movimento e fissò le sue dita.
“Un anno fa, queste dita, seppur indirettamente, ti hanno fatto del male...” iniziò Tanaka.
“Ti ho perdonato” lo interruppe l’altro e poggiò la mano in corrispondenza della sua, poi sorrise “Lo spazio che in Francia ci separava non è mai stato più ridotto, vero?”
Tanaka sorrise.
“Mi dispiace” gli disse.
“Questo è poco rilevante... se dentro di te non hai perdonato te stesso”
Tanaka fissò i suoi occhi caldi, come quelli di Junno.
“Non so... ma sto cercando di ricominciare”
“Allora hai perdonato te stesso?” la voce di Ueda era ferma. L’anima di Tanaka si tranquillizzò nel sentirla.
“Posso davvero perdonarmi?”
“Certo”
“Posso ricominciare?”
“Certo”
Sorrisero.
 
Tanaka rientrò nella sua cella di corsa e si fiondò su Taguchi abbracciandolo.
“C-cosa?” balbettò Junno non sapendo come reagire a quel contatto improvviso. Tanaka sorrideva sul suo collo.
“Junno, mi piaci!”
A Taguchi mancò l’aria e i suoi polmoni faticarono per ricominciare a lavorare.
“Koki...” riuscì solo a dire, la voce rotta “...mi trasferiscono. Domani.”
Tanaka vide tutto buio. Non poteva abbandonarlo, non poteva restare da solo... non di nuovo. Guardò i suoi occhi, marroni, caldi, rassicuranti...? Sì, continuava a esserci quella purezza che lo aveva salvato in quei mesi, che lo aveva ripescato dal baratro della colpevolezza. Portò le dita sulle sue guancie, le lacrime che le avevano scavate non lo avevano macchiato. Potevano essere facilmente portate via. E un istinto profondo fece incontrare le loro bocche.
“Perché piangi?” soffiò Tanaka, tra un tocco di labbra e un altro, mentre lo spingeva sul proprio letto.
Junno teneva gli occhi chiusi. Quel buio non lo spaventava, se era Koki a guidarlo. Percepì di essere arrivato al bordo del letto e lasciò che il suo corpo si distese su di esso.
“Non sto piangendo...” disse, trattenendo un gemito perché l’altro aveva iniziato a toccarlo da sopra la stoffa dei pantaloni. Non poteva piangere. Non aveva pianto nemmeno per la morte della sensei...
“E’ vero, non piangi...” disse l’altro, affondando le labbra su quel collo che aveva guardato così tante volte “...e domani non te ne andrai”
Junno annuì, gli occhi ancora serrati. E’ vero, non se ne sarebbe andato, perché loro due non erano nemmeno là. Erano fuori da quella cella, distesi su un prato verde. Ed era tornata l’estate.
Cercò tentoni la mano di Tanaka e lo costrinse a infilarla nei suoi pantaloni.
“Ti prego...” sussurrò, il viso arrossato. Faceva proprio caldo, il sole splendeva allo zenit.
Tanaka sorrise, e iniziò a toccarlo, prima dolcemente, poi andando sempre più in profondità. Junno ansimava, l’altro lo liberò dai pantaloni e slip, e prese il suo fallo ormai eretto e gonfio con la bocca.
Taguchi spalancò improvvisamente gli occhi e trasalì.
“Va tutto bene...” si permise di dire Tanaka, poi tornò a leccare e succhiare. Anche ad occhi aperti, la realtà non era poi così male. Strinse i suoi capelli, che si erano decisamente allungati in quei mesi, e lasciò che le sue membra si distendessero.
“Koki... anche tu mi piaci...” disse con fatica, respirando affannosamente.
Tanaka lasciò andare il suo sesso e tornò a tormentargli la bocca. Non c’era bisogno di averlo detto, lo sapeva già. Eppure quelle semplici parole lo eccitarono all’inverosimile.
“Facciamo l’amore?”
Il cuore di Junno esplose nel petto. Annuì imbarazzato, e lo aiutò a spogliarsi.
Tanaka si posiziono tra le sue gambe.
“Farà male... scusa” gli disse, e iniziò subito a spingere. L’altro venne colto di sorpresa e si lasciò sfuggire un grido.
I capelli neri di Tanaka ondeggiavano violentemente sulla fronte, Taguchi si portò una mano alla bocca tappandola.
E quei gemiti soffusi, attutiti, regolari non fecero altro che alimentare il loro piacere.
 
Respiravano entrambi affannosamente, quando Tanaka uscì dal corpo dell’altro e si distese al suo fianco abbracciandolo.
“Ora vorrei fare un bagno con te” sussurrò Tanaka “Ma queste carceri fanno schifo, e non c’è nemmeno una doccia privata”
“Sarebbe eccitante farlo nei bagni pubblici!”
“Eh?”
Taguchi rise piano, “Anche ora stiamo rischiando che ci scoprano”
“Ho chiesto ad Akanishi di fare la guardia”
Junno arrossì di colpo.
“Dici che ci ha sentiti?”
“Credo proprio di sì... vogliamo andare a vedere se si è eccitato?”
“Ma che dici!”
“Shhh... parla piano, altrimenti capisce che abbiamo finito e se ne va”
“Koki?”
“Nh?”
“Se non dovessimo rivederci, promettimi che faremo il bagno insieme, tra un anno”
“Farò di tutto per tornare da te”
Junno passò un dito sulla sua fronte portando via qualche gocciolina di sudore.
“Porterai il mio diario con te? Voglio che tu lo legga”
Tanaka sorrise.
“Sì”
 
<< Innocenza è il fanciullo e oblio,
 un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto,
un sacro dire di sì. >>


3 Marzo 2011
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Commento: Uff!! anche questa è finita! Spero vorrete leggere anche BLOSSOM 3!! Grazie e tutti per aver letto fin qui! <3
   
 
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