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Autore: SuperTeleGattone    28/02/2012    4 recensioni
Dicono sia meglio aver amato e poi perduto, che non aver mai amato.
Già,
dicono. Lo dicono e non avvertono. Scaltri, non avvertono: non c’è faro rosso o sirena, ché sì, sarà meglio, meglio in entrambi i corsi. Sì, presto e bene in cima e, sì, presto e bene sul fondo. Sì, presto e bene, il meglio, solo il meglio a chi ha amato. Ogni meglio a chi ama… e basta.
Una medaglia avvitata in petto agli invalidi di guerra: partiti e poi caduti; partiti consci di cadere; partiti solo per cadere.
Il meglio, sì, solo il meglio all’amore non corrisposto.
Meglio entro il quale:
io ti amo, e tu… tu?
Sì. No. Forse. Forse, soltanto, non lo sai.
Tu non lo sai… e va bene. Va bene così.
In breve: un’enorme, melensa, infantile dichiarazione d’amore a quel babbeo di Naruto Uzumaki. Niente di più e tanto di meno. Avvertenze: lauto, lauto fanghérlismo, notice me, senpai! Ultime dai campi: lavori in corso e pulizia dell’ambaradan, ci scusiamo per il disagio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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– Angolo dell’autrice –

__Ohi, già coi barboncini? Bah, ignoratemi, passate oltre e ignoratemi… Ehm, bentornati o benvenuti, signori. Secondo capitolo e seconda tornata di paturnie. A questo giro, si parlerà quasi esclusivamente della Voooops! Ehi, ehi, non dovevo spoilerare? Oppure sì? (O magari non frega un fantastico cappero a nessuno, che dici?) Scusate davvero le eventuali gaffe; son parecchio stordita. Bene, adesso me ne vado, me ne vado, niente paura.
__Unica premessa/suggerimento/cortesia verso quella povera derelitta dell’autrice: il titolo del capitolo è un omaggio all’omonimo brano di Franco Battiato, ossia “La cura”, appunto; una delle più alte e immense canzoni (d’amore? Di fede? Di morte? Di astrofisica? Di Sanità? Boh?) mai scritte da anima mortale. Ora, casomai figuri nel vostro campionario multimediale o in qualsiasi altra forma sensibile, ecco, così, io la butto lì… magari ascoltatela, mentre leggete. Giusto per darmi un po’ di gioia, e anche perché Battiato fa sempre bene all’anima. Senza contare, poi, magari qualcuno sarà pure in grado di spiegarmi che acciderba ci faceva il sommo, nei campi del Tennessee. Mah, misteri delle correnti gravitazionali…

Grazie mille comunque e buona lettura.

__P.S. Per le note (che son tre e pure troppe, per ’sta bischerata), più le sacrosante risposte ai gentilissimi commenti, vi rimando come sempre allo zoccolo del capitolo. E come sempre, merci una mandria (io con delle recensioni? Per davvero? Sto fanghérlando, sappiatelo).











Quello     o c h e
no n   o c è
La cura



 
 
__Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
__Dai turbamenti che, da oggi, incontrerai per la tua via
__Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
__Dai fallimenti che, per tua natura, normalmente attirerai
 
__Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
__Dalle ossessioni delle tue manie
__Supererò le correnti gravitazionali
__Lo spazio e la luce, per non farti invecchiare
__E guarirai da tutte le malattie
 
__Perché sei un essere speciale
__Ed io avrò cura di te
 

__“La cura”, Franco Battiato
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
__Forse sembrerà patetico; patetico, imbarazzante e discretamente inquietante; forse lo sembrerò io, patetica, imbarazzante e discretamente inquietante; forse lo sono e basta. Forse; di certo. Però, anche solo osservarti, da lontano, da vigliacca, comunque mi basta.

[O sono io a farmelo bastare, chissà.]__

__Rimango qui, ferma, a guardare, e davvero: va bene. Abitudine, indole o disgraziata pigrizia, qualunque cosa sia, anche così va bene. Forse, perché può dirsi non abbia fatto altro in tutta la vita; forse, perché posso dire di non volere altro, davvero altro della vita; forse ho solo paura. Forse; di certo.
__Eppure così com’è, anche così com’è [patetico, imbarazzante e discretamente inquietante], va bene. Davvero, va bene. Sto bene.
__Anche se tu non mi vedi, non mi guardi e, forse, nemmeno sai.
__Anche se tu vai avanti, corri, cadi, ma comunque provi.
__E inciampi, e cadi, e rotoli indietro.
__Ma ti rialzi, e riprovi, e rotoli, e daccapo, ancora.
__Daccapo e poi ancora, ancora.
__Ancora, ancora e ancora.
__Per quante volte necessarie, per ogni no, non ci siamo, si riprova e si continua; avanti fino al coprifronte; fino alla Tecnica superiore della moltiplicazione del corpo; fino al sogno. Per camminare a testa alta e stare là, con loro. Per esserlo davvero: accettato.
__Stare tra la mischia e i sigilli improvvisati, sentire urlare il proprio nome in mezzo a tanti, tanti altri… Uno può desiderare questo, anche solo questo.
__Uno può non volere altro.
__Trovare un posto, un posto tuo, là in mezzo; come tanti, come tutti, uno fra molti.
__Un bambino e niente più, oltre quello.

[Fa’ finta di niente e non lo guardare.]__

__Appena un bambino, non quello.

[È lo spirito della Volpe.]__

__Quello con cui hai perso tutto.

[Non lo devi guardare.]__

__Per cui hai perso tutto.

Tutto quanto.

__E io non lo so. Non so davvero cosa accada oltre quella linea.
__Amore? Si può dire, laggiù? Lo si può dire, senza che questo faccia male?
__Non lo so. Non lo so davvero, se si riesca a formare sulla lingua; se soltanto si possa anche pensare, in silenzio; se da qualche parte una via affinché sorga ci sia, con la mano presso lo stomaco e la voglia di scappare.
__Io non lo so davvero.
__E nemmeno ho la presunzione di esserne in grado; di potervi arrivare là.
__Là, ove sta il Nove Code.
__Nove code, sì, tanto grandi da sconvolger le montagne. Nove code, sì, ben nove, invisibili a me e ai miei occhi. Proprio ai miei occhi… Il mio Byakugan pare avere più di un punto cieco.
__E ti domando scusa; scusa; scusa.
__Perché non lo vedo e, non vedendo, non capisco né posso capire. Non riesco in molto, e in altrettanto non riuscirei né potrei comunque; in questo, però, so che mai è la sentenza. Mai. Né per intero né in una striscia.
__Com’è laggiù? Come si cammina? Come si respira? Come si vive? Cosa può significare esserlo davvero, legati a qualcos’altro?
__Io non lo so. Così ti domando scusa; scusa; scusa.
__Perché, forse, solo non voglio sapere. Perché, forse, guardare laggiù e capire… farebbe male. Vedere [vederti] ancora tu, nonostante tutto [nonostante quello], e insieme [dentro], un altro. Ancora tu, eppure cavo [cavo, capisci?], con dentro un altro. Farebbe male. Troppo.
__C’è una linea, laggiù, ed è ben lieta di istruire, se si è curiosi di apprendere come si viva oltre la sua lama: vieni, vieni pure, vieni a scoprire quanto può far male. Ed io, forse, ho solo paura. Farà male, sai? Paura, e anch’io la voglia di scappare, con la mano presso lo stomaco. Davvero male. E sono una codarda, una meschina codarda che non sa e così può continuare a chiederselo: come si viva; come si respiri; come si cammini dall’altra parte; come sia esserlo davvero, legati. Oltre me sarà male. Così lo immagino soltanto. Solo male. Come sia esserlo.

Una Forza Portante.

__Forza portante, già.
__Eppure… perché? Sarò anche ingiusta, sì, ingiusta e di parte, cattiva con tutto il resto del mondo; però, però, merda… perché? Perché proprio tu?
__Forza Portante. Che titolo altisonante. Parrebbe quasi un onore indossarne le vesti: consacrarsi alla patria; caricarsi del suo peso; morirne, prono, sotto. Un onore, sì, esser sigillo e confinato insieme. A tali vertici di sacrificio sono votati i ninja.
__Forza Portante. Forza laddove quanto estratto è sforzo, e portante laddove si è calice, schiavo curvo a reggere la potenza di un cielo di fuoco sulle spalle. Da passivo ad attivo per incensare catene e ferro intorno ai polsi: sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri! Muori per noi, e per noi sarai eroe!
__Forza Portante. Forze, nove in tutto. Nove forze a portare nove croci. Nove corpi su nove altari. Così si consumano i sacrifici: il grano più giovane e tenero del villaggio, vestito di fiori e corde, gettato nella gola del mostro.
__La linea, laggiù, è confine e lama per entrambi: Jinchūriki1 e Bijū2. Colossi di chakra entro l’argilla di ragazzi, affinché la nazione possa salirne in cima, a groppa di titani allacciati in terra tramite la carne di un’unica persona.
__Questo per una ragione, un fine superiore, è la parola di chi manda altri sull’ara: il bene del villaggio, la pace del paese, l’equilibrio fra i cinque grandi assi. Sulla bilancia i pesi sono chiari e crudeli: la maggioranza misura più del singolo, e per una giusta causa, una vita soltanto è un prezzo che si può versare. Perché necessità. Una vita, anche una soltanto. E sarai felice, sì, felice di bruciare nella gloria delle fiamme.
__Forze Portanti, sulla carta.

[Vasi, in concreto.]__

Ostie, alla fine.

__E poi, via alla recita: uomo morto che cammina; presto o tardi impazzirà, impazzirà, ve lo dico io; impazziscono tutti, i Jinchūriki, tutti; è la natura del mostro ed è la sorte del custode; accadrà anche a lui, presto o tardi, anche a lui.
__Si scaraventa loro addosso un lastrone con la pretesa sia retto in silenzio, composti e quieti: così devono i ninja [si resiste in silenzio]; tanto ci si aspetta [su, da bravo, sta’ buono], e tanto è sovrumano [buono, mentre muori].
__Non è possibile chiederlo, e non è possibile non avvistarlo. No, non si può. Muori in silenzio? Come si può non capire, come?

[Da che pulpito, però!]__

__Perdonami. Perché è vero.
__Come se io, poi, ti capissi. O potessi.
__Sono davvero una stupida, sciocca arrogante…
__Forse, sono ancora troppo superficiale; forse, uno vede solo quanto vuole, virtù oculare o meno. Per questo, io mi fermo qui e non vado oltre, quando si tratta di te; quando si tratta di quello.
__Perché è facile assumerti forte, resistente a tutto senza contraccolpo, immune a tanto, sotto la luce che irradi. Come nelle fiabe: l’eroe splendente e invincibile, contro cui nulla può il drago. E la fiaccola, che è intensa e calda, abbaglia: credimi, dice, affidami tutto e credimi, perché ce la posso fare. E forse ce la farà anche. Tuttavia la fatica, il dolore, non li può estinguere. Eppure quella fiaccola non si straccia: evidentemente può reggere, può reggere ancora.
__Resiste lei e resisti tu: così devono, i ninja. Dà quindi un riverbero quasi giusto, l’issarti una pira accesa sulle schiena: perché tu sei forte e tu solo puoi riuscire.
__Chi può ha un onere nell’impero shinobi: deve. E tu, tu che hai fibra e braccia, sei tenuto a portare; ti è richiesto come saldo al mondo; ti pregheranno con grida alte e forti, un’onda levata a supplicare una pozza: salvaci, salvaci, muori per noi e salvaci! Tu, che sei più e più di noi tutti, devi fare, devi darti, devi: tale è la grandezza di un eletto. Nella gloria, sì, nella gloria delle fiamme.
__Giusto. Davvero giusto.
__A ben guardare, forse, il mostro non è quello che, carcerato, ti ringhia dentro; forse, il mostro, quello vero, non ha code o artigli ma arti, quattro, e dita, venti. L’orco nero che divora i bambini, non cercarlo sotto i ponti o nelle fosse, ma fuori, quaggiù, dopo la porta: il Villaggio della Foglia.
__Una casa che è un albero [albero con radici di zagaglia]; una dimora celata nel pelo verde di un continente di fuoco [zagaglie dentro la terra del Primo Hokage]; una dimora di guerrieri e maghi [terra di patrioti e assassini]; una dimora, casa degli eroi [assassini in nome della patria]; come nelle fiabe [come i mostri].
__La Volontà del Fuoco regna ed etèrna, ma chiama un tributo: qualcuno da ardere.
__Un orco che divora i bambini, come nelle fiabe.
__Bada, però, ché verrà, sì, verrà per bollirti e mangiarti quando tu sarai ancora, ancora vivo. La morte è incidentale; il pasto, quello no, quello è e quello sarà. Tu sia cosciente o annebbiato, il cranio fracassato o le viscere ancora in corpo, quanto preme è consumare: la tua testa per il suo stomaco. Così è e non c’è scelta. Detta lui le regole e disciplina lui le posizioni: come dico io è, e come dico io si fa, come un bambino. Un tiranno tra i tiranni, come nelle fiabe. Il più prepotente dei prepotenti, come un dio.
__In questo modo l’orco, l’uomo nero, o forse solo l’uomo, l’uomo soltanto gioca, sì.

A fare Dio.

__Come un bambino. Come un tiranno. Come un mostro.
__Così è la Volontà del Fuoco, e così fa: brucia. In olocausto.
__Come un mostro. Come un Moloch. Come un dio.
__Questa, la voce per cui vivere, lottare e dunque, poi, morire.
__Eccoli, eccoli tutti, come in un gioco e come nelle fiabe: il villaggio, l’eroe e l’orco.
__Ma, forse, sono ancora troppo superficiale; forse, vedo solo quanto voglio vedere e, oltre, non so andare. Con quale diritto, poi, potrei giudicare? Credo forse di vederle, le origini, i fili di questo arazzo? Ti pensi tanto capace, portatrice del Byakugan? Chi sei tu, dunque, per parlare, per fiatare, per stare qui? Dimmi: di fronte alle Forze Portanti, ai Cercoteri, ai mostri e agli dèi, tu chi è che sei?
__Nessuno. Di fronte alla Foglia e al Fuoco, a una voragine nera e viva, io non sono nessuno. E non so niente. Non sono e non posso parlare, anche appena parlare, se manchevole di pertinenza.
__Dovrei parlare e poter parlare di quanto conosco, però… come posso, se non credo di conoscere nulla? Nulla invero e nulla appieno. Cosa posso dire del mondo e delle briglie del potere; della giusta causa e della mia, di causa; dei limiti all’arbitrio e della linea tra bene e male? Cosa posso, cosa so dire io?
__Nulla. Io non so nulla. E così tanto nulla, che quel poco pesato come noto si estingue, e non lascia niente.
__Dovrei parlare solo di quanto conosco, sicché non parlo. Non parlo, non posso, non so, non, non, non… Se l’azione davvero ha piede nella parola, questo star ferma, qui, non può certo stupire.
__Dovrei parlare solo di quanto so, perciò non replico. Eppure…
__Sarò anche nessuno; saprò anche nulla, e così tanto nulla, che quel poco pesato come noto si estingue e non lascia niente; sarò anche superficiale, e stupida, e sciocca, e arrogante, però, però… dannazione, non m’importa! Non m’importa e m’importa; perché non capisco e non posso capire, non voglio; non c’è senso o parità in questo mondo, se tu, se quello… se la linea… se non v’è uscita.
__E così, scusa; scusa; scusa.
__Perché non ti capisco, né ti posso capire. E non so bene se questo sia un mio freno o di costituzione. Però, giuro, giuro, te lo giuro: mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace… Perché vorrei capire, capirti: come cammini? Come respiri? Come vivi? Come stai, laggiù?
__Lo vorrei davvero. Lo sa il cielo, se vorrei. Vorrei riuscire almeno in questo. Non sono in grado né in coraggio di sorreggerti, sì, ma quantomeno spostarmi e vedere com’è il cielo dal tuo angolo, questo, giusto questo, vorrei poterlo fare.
__Vorrei poter capire.
__Non ho idea cosa determini sentire un’altro in fondo a se stessi. E nemmeno m’illudo di potercela avere: rivendicare come familiare qualcosa che non ho mai neanche intercettato, sarebbe… crudele, ecco cosa. E inutile. La beffa al di là del danno.
__So cosa provi, so come ti senti, so quanto faccia male.
__No. Non so cosa provi o cosa puoi provare. Per te stesso. E per quello. Se rabbia, frustrazione, paura o dolore… Non lo so davvero; posso immaginarlo appena.
__Forse li avverti anche tutti, questi viandanti: uno e l’altro, prima uno, poi l’altro e, a volte, uno di fianco all’altro. Non è sempre facile [è difficile] distinguere la sete dal caldo [si assomigliano tanto]; quello che c’è fuori [quello che vedo], da quello che c’è dentro [quello che sento]; io, da mio [si sovrappongono].
__In mezzo, però, resti comunque tu, volente o nolente.
__Temo nessuno abbia mai domandato il permesso, giungendo presto col comando in mano. È stato forzato. Forzati. Entrambi. Con lui, il Kyūbi, imprigionato in te e tu, anche tu, imprigionato a lui. Lui in e tu a. Si è costretti in un luogo, e si è legati a qualcuno, scontenti da ambo i lati.
__C’è una linea, sì, che è confine e lama, una corda a cappio doppio: strattona il lembo di sinistra, e si accorcerà quello di destra; tira qui, e il nodo si stringerà là; assedia uno, e impiccherai anche l’altro. Sulla fune la treccia è speculare, e nel male alla carne, più di tutto, riemergere puntuale: la parità.
__Due sono le sostanze e due, le volontà a loro proprie. Distinguerle non dovrebbe esser difficile, poiché distinte, nella materia, lo sono già: una è vento e l’altra è fuoco, e ciascuna dovrebbe averne uno suo, di dentro. Eppure, sovente, non si riesce e c’è solo fatica. Fa male essere legati per davvero, strangolati.
__In due, per andare, o si procede di pari passo, o si tira ognuno per il proprio lato; o si collabora [io con te] e ci si solleva, o ci si oppone [io contro te] e ci si ostacola. O ci si aiuta, o ci si annienta. Come una corda. A cappio doppio.
__E… maledizione! Perché non lo so! Non lo so davvero, cosa questo voglia significare. Posso anche pensare, fantasticare, sviscerare l’incubo in una litania infinita di accuse e suppliche, ma non posso… non riesco… a capire.
__Com’è il cielo, oltre quella linea?
__Non lo conosco. Non ti conosco io, di là da quella. Tu, lì, come stai?
__C’è una linea, laggiù, e la vedo bene; non vedo quanto abita oltre quella. Una linea che è confine e lama, per voi; una linea che è sentenza e limite, più di così non potrai andare, per me.
__Non ti so capire e, per questo, non ti so nemmeno aiutare… Ma tu, tu come stai? Come cammini, come respiri, come vivi, lì? Condannato o incidentato? Abbandonato o anche giusto accompagnato?
__Solo, del resto, temo tu non lo sia mai stato. Volente o nolente.
__Servono due capi a una fune e due a un laccio: si è in due in un legame. In due, in e a, insieme. E lui, se non già parte di te, lo è sempre stato: con te. Volente o nolente.
__Amico, nemico; aiuto, veleno; dono, maledizione; io davvero non so come lo chiami o possa chiamarlo. Eppure, a dispetto del nome, con lui hai fatto tanta strada. Come un commilitone: tu coprimi le spalle, e io coprirò le tue! Si va insieme, come cavallo e cavaliere: insieme, in marcia, in marcia!
__A ben pensarci, prima del maestro Iruka e del maestro Kakashi, prima di Sasuke-kun e Sakura-san, prima di Gaara-sama e di tutti i Jinchūriki, prima del sommo Jiraiya e di madamigella Tsunade, prima dei ragazzi del villaggio e dell’eroe di Konoha, prima e prima ancora, io credo… ci fosse lui.

Lui con te.

__Con, in, a.
__Non per tua scelta, immagino, e nemmeno per una sua, credo. Forse, muso a muso, nemmeno vi siete piaciuti. Vi siete, però, trovati, capitati; inciampati l’uno nell’altra, letteralmente. Sulle prime, credo non avessi molto in simpatia nemmeno Sasuke-kun; del resto, in brigata, non ci si sceglie i compagni di branda. Compagni, sì, a stare insieme per forza, e a forza, chissà non si finisca per dire: beh, poteva andar peggio, tutto sommato, non è poi così male, ah, che soggetto, ma grazie, grazie al cielo, grazie davvero di averti al fianco.
__Durante il gioco, capita di rovesciare le carte in tavola. Una mano dopo l’altra, e tutte, tutte, una ad una, via: cambiano tutte. Se ne vanno, ma tranquillo, poi tornano. Come nei sigilli: è la successione a determinare il cambio in meglio o in peggio, il verso. Presto e bene, in cima o sul fondo. Una sequenza, il dove nel quando, e tanto può cambiare; il dove giusto nel quando giusto, e tutto, tutto può cambiare.
__E chissà… chissà, che anche questo non possa. Cambiare.
__Nel viaggio, beh, il tempo non manca. Quello che manca, o meglio, che aspetta, è l’occasione: il giusto dove lungo la strada. Lui è già là, al suo posto, sul sentiero e oltre il ponte: lo stregone che attende il viandante. Serve solo il tempo di arrivare.
__Incontrerà tanti ostacoli, l’eroe partito dal villaggio. Ci sarà il cavaliere caduto, figlio di un cavaliere anche lui caduto, caduto per la casa prima che per il re; il cavaliere che crede nel fato, scolpito, e non nel destino, in moto. Ci sarà l’emissario di un monarca duro e spietato, mandato per passar a fil di spada i suoi nemici; l’emissario dal volto bianco e dal mantello nero, con un fratello anche lui passato sul suo filo. Ci sarà il mostro mangia-uomini, nascosto nella foresta; un animale ferito e solo, che solo, però, non è sempre stato; un cucciolo che piange. Ci saranno le traversie e ci saranno le maldicenze, voci sulla follia dell’impresa e su quella del ragazzo, un buffone che volle credersi eroe. Ci sarà la campagna: la famiglia da tutelare, un caro fratello, smarrito, da ritrovare; un amico e un antica maledizione, sopra tutto il suo casato, da arrestare. Ci saranno fatiche e prove, tele di rovi, dolore e a un certo segno, sì, anche disperazione.
__Nel punto giusto, però, là sul sentiero e oltre il ponte, ci sarà lui: lo stregone. L’occasione per voltare.
__Perciò, chissà che un giorno, tu non lo possa incontrare. Il mago. Lo spirito magico, araldo di un grande potere. Uno spirito terribile, dalle sembianze di una gigantesca Volpe a nove code.

Kyūbi no Yōko.

__Genio di fuoco senza fumo. Genio di fuoco, prigioniero di una lampada. Genio di fuoco, dispensatore di desideri, pronto a fare del garzone un sultano. Come nelle fiabe.
__Mi auguro possa, sì, come Androclone e il leone: non domarlo o piegarlo, ma quietarlo. Trarne la spina. E lui, grato, ti offrirà il suo dorso, come il cavallo al cavaliere. Addomesticarlo, forse. Come la volpe e il piccolo principe.3
__Che strano… Perché, se ci pensi un attimo, anche lui era biondo e anche lui era solo… E così lei. Entrambi.
__Per questo, io me lo auguro. Ve lo auguro. Che, prima o poi [nemico o amico], tu possa addomesticarlo ed esserne addomesticato [così comprendi]. Offrire comprensione [guardalo negli occhi], il cuore sul palmo [porgigli i tuoi], e riceverne in risposta [non scappare]. A una mano aperta [pugno contro pugno].
__Il bimbo e il leone. Come nelle fiabe.
__Sto cominciando a esserne un po’ invidiosa, sai? Della Volpe, intendo. Ma devo proprio essere una scema per… per pensare una cosa simile. Già, proprio una scema… Dico io: la Volpe a Nove Code! Non Sakura-san [Sakura-chan!], la ragazza con cui sei cresciuto e che ti ha visto crescere [ehi, Sakura-chan!], la donna della vita [Sakura-chaaan!]; non Sasuke-san, lontano e costante [Sa’ske!], ricorrente [oh, Sas’ke!], la spinta al moto [Ohi, teme!]; no, no, nessuno, nessuno dei due, macché! Giusto io, scema come sono, potevo uscirmene invidiosa della Volpe a Nove Code.
__Cielo, devo veramente esser matta; devono avermi fatta tutta alla rovescia, per giungere a certe assurdità…
__Eppure, tu forse riderai, o ti indignerai, o ti arrabbierai perfino; però, non posso fare a meno di provare invidia nei suoi riguardi. Sì, anche nei riguardi di un demone.
__Vedi, se mi fermo e penso a lui, a lui che, tutto questo tempo, tutto questo mondo, lo ha vissuto e visto dentro e attraverso te, con te… Ecco, se mi fermo e ci penso, mi viene naturale. È più forte di me. E non posso che sorridere e invidiarlo. Davvero.
__Non lo conosco e non so cosa si provi, perciò non dovrebbe avere senso. Eppure, lo invidio: consumare tanto tempo con te, è una cosa che gli invidio. Sì, lo invidio a un demone. A un compagno. Davvero.
__Tu guarda che testa… E che scema. Già, proprio una scema… Ancora, sempre troppo superficiale; vedo quanto credo vi sia, dove non riesco a capire; mi fermo qui e non vado oltre, quando si tratta di te.
__Così mi sento: una scema e una stupida, debole, e impotente, e amareggiata, e arrabbiata… e rassegnata. Come di fronte a mio padre. Come di fronte a Neji-niisan. Come da bambina.
__Mentre tu, invece, no. Non ti rassegni. Puoi essere amareggiato e arrabbiato, sentirti da schifo, ma no: non lo accetti. Non lo hai mai accettato e, credo, mai lo accetterai. Un fuoco che è pira e fiaccola intensa e calda. Un fuoco che è volontà carnivora. Un fuoco chiamato necessità.
__Sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri, la gloria delle fiamme, l’eletto con il peso dell’umanità intera sulle spalle! Pirotecnico, molto e davvero, tuttavia… no, io non lo credo. Buono, sì, senza dubbio, ma la tua mano, il tuo pugno, ce li dovremo sudare. Andare sull’ara? Volentieri: a randellar il sacerdote e tutto il tempio; a dir la tua in muso al Moloch! Di certo, non per cuocer come agnello! O forse sì, anche cuocere, sì, bruciare, eccome, ma di un fuoco che arda di sé e sé solo; di un fuoco, né pira né fiaccola, che sia tuo, tuo e solo tuo. Di una volontà, ardente o splendente poco importa, ma tua. Prima di ogni cosa, tua.
__La tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja. E così si onora una scelta, non giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché tua. È necessità. La tua.
__Alcuni la invocano a testa bassa, poiché contro quanto è, ed è da sempre eterno e immobile, nulla può nessuno: fato lo consacrano. Altri invece non si chinano, ma tengono ben levato il capo, davanti. Del resto chi ha molta strada da fare, e fare davvero, dall’argilla e dalla terra come un artigiano, non può trattenersi ai soli propri piedi: destino lo battezzano. Ed è adesso, adesso che si fa, adesso!
__Sostare, e da sempre, credo ti vesta stretto, stretto e male, con fastidio. Meglio andare, dove, dove, chissà dove, poco importa dove, ma per prima cosa andare, andare, andare! Andare, con la franchezza un poco grezza di uno starnuto.
__La strada, la via che si segue, la si sceglie, non la si trova. Si crea, un passo davanti all’altro. La volontà, non la casualità, qualifica… E anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa stringe i denti per tenersi assieme. Testardo, insiste ancora a brillare. Così si va, vai avanti.

[Si cade in avanti.]__

__Vai e non cambi via.

[Non si fugge indietro.]__

__Non ti arrendi.

Non ti sei [mai] arreso.










Supererò le correnti gravitazionali__
 Lo spazio e la luce per non farti invecchiare__
Ti salverò da ogni malinconia__
 
Perché sei un essere speciale__
Ed io avrò cura di te__
Io sì, che avrò cura di te__
 
“La cura”, Franco Battiato__
 

 

La cura
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 


– Angolo dell’autrice –

__Urgh, emo. Così emo. Eeemooo (I must be emo!). Hinata-hime, perdonami se puoi… Ehm, bene: siamo a due terzi dell’ambaradan, per cui, ’sta roba piaccia o faccia altamente ributtare, è comunque in dirittura d’arrivo. Ora, però, i tributi!
__Il titolo del capitolo va all’omonima canzone di Battiato, della quale ho spudoratamente riportato i bei testi. Al netto del mio subdolo invito all’ascolto, la suddetta è stata anche più biecamente sfruttata come (passatemi il termine, per carità) manifesto (vota arancio) di quanto, credo, voglia essere (bevi arancio) o poter essere (mangia arancio) Hinata per lo scemo giallo (arancia arancio). Almeno, dal mio punto di vista (ma abito in campagna io, per cui non è che ci sia tutto ’sto gran panorama). Onestamente, in quanto organismo puerile e quasi monocellulare, temo di avervi propinato l’interpretazione più, più… boh. Romantica? Trita? Da “Baci Perugina”? Scegliete voi. Altro, altro, altro? Uhm (si scaccola), ah! Così, giusto a fine puramente informativo…

– SPOILER – WARNING – SPOILER – DON’T FEED PHIL – SPOILER –

__Giuro, quando ho scritto questo sgorbio, tutta la faccenda del magico duo Naruto&Volpe (lui a parlarle come un amicone, a dirle che prima o poi farà qualcosa per tutto l’odio e la carognaggine che suddetta si porta appresso, e loro due a darsi, perdinci, il pugnetto! Come neanche Jack Black in “School of Rock”!) ancora non era successa. O almeno, io la ignoravo proprio. (Tiriamocela un po’ meno, vuoi?) Ohè, una ci prova, dai. Pensare, poi, che non ci becco mai. Solo mi ha fatto specie ’sta cosa, quasi tenerezza: insomma, l’avete visto? Kurama è… coccolone! It’s so fluffy! Sembra morbido da morireee! E i fan malati di “Cattivissimo me” posson capirmi bene (si becca una teriosfera).

– FINE SPOILER –

__Allora, siamo agli sgoccioli, gente: al prossimo giro si chiude la baracca, per cui alé! Gioiamo tutti! Ah, e non temete: il clima non sarà ancora così sul depresso andante; poi migliora, giuro. Almeno nell’umore, se non nello stile. Di nuovo: grazie infinitissimamente per aver letto, seguito o anche solo smadonnato. Davvero, non credo basti mai ripeterlo: grazie per la gentilezza.

Grazie grazissime.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.

– Note –

__1 Jinchūriki: termine originale con cui si indicano le Forze Portanti. Alla lettera, credo possa tradursi come “forza del sacrificio umano” o giù di lì.
__2 Bijū: come sopra. È l’espressione originale con cui, genericamente, chiamano i vari demoni/bestie con le code/cuccioli cerca famiglia (réclame: “Adotta anche tu un Cercoterio e portalo sempre con te!”).
__3 Come la volpe e il piccolo principe: riferimento a “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Dunque… Questo accenno, insieme a una carovana di altri (Androclone e il leone, i tòpoi e tutto il disegno delle fiabe occidentali), è un bello e grosso anacronismo culturale; difatti, credo nessuno possa rientrare nel mondo super-ninjoso e pseudo-nipponico di babbo Masashi. Nondimeno, mi sono arrogata la licenza poetica di farceli comunque stare. Condonatemi la scivolata: non sono proprio riuscita a eliminarli, malgrado tutto.

– Le epistole dell’autrice –

__Perdonate l’ignüranza abissale: non sono un luminare in campo di galateo virtuale, perciò non so se, rispondendo in questa sede, sto adottando la norma comportamentale deputata al contesto. In sostanza: non so se sto facendo una cazzabubbola. Invero: non so esattamente cosa sto facendo… Comunque sia, spero di non sbagliare, offendere o irritare nessuno. (È un po’ tardi, sai?) Hm. Ah. Shimatta! (~ ̄▽ ̄)~ Be’, vi prego solo di chiudere un occhio, in caso di scortesia o scorrettezza. Magari chiudeteli tutti e due, così, giusto per sicurezza. E chiudete pure le narici, se ci riuscite (non si sa mai, dopo il 3-D, s’inventino pure l’odorama). Ma ora (inizia a sbavare), veniamo a noi…
 
__A _sweetygirl_: ciao, ragazza (ohi, posso darti del tu?), piacere mio! Innanzitutto, grazie mille per la lettura e la pazienza. Miseria, era ’na mazzata, eh? Pensa, poi: questa non era neanche la bestia più cicciona, sigh! Scusami tanto.
__Oh mamma, non so cosa dire, ed è… grandioso! Cioè, non fraintendermi: sono imbarazzata e, credimi, è una cosa assolutamente positiva, perché quello che hai scritto mi ha tanto lusingato. Sul serio, grazie davvero per il tuo commento, mi ha dato un piacere che solo la domenica mattina o i carboidrati post-estate sanno darmi (annuisce verso il portatile; il portatile si impalla). Soprattutto, mi ha fatto stra-piacere la sensibilità con cui hai saputo cogliere la, ehm, coralità della faccenda: ossia che non c’è solo Naruto (fai sul serio? Dopo venti pagine?), ma un’infinità di, di… roba, ecco. Perdona la mia dislessia ma, davvero, la bravura con cui hai maneggiato questa bestiaccia qua mi ha colpito proprio (in testa, oh, sarebbe tanto meglio). Complimenti a te, a te!
__Qualcuno che investe un poco di tempo e tanto fegato nel leggere qualcosa; che gli dà ospitalità, una chance… ohi, fa un piacere enorme, enorme davvero. Per cui sono io a dover e voler ringraziare te, davvero davvero (abbraccia il portatile; il portatile si auto-distrugge). Sarebbe fantastico riuscire a spiegarmi meglio, e ringraziarti in maniera comprensibile, ma son davvero un’impedita in queste cose (a esprimermi, a far passare due concetti, a iniziare una frase senza finir per rane), scusa. A ogni modo, sappilo: mi hai fatto un sacco felice! Come i carboidrati!
__Grazie infinite di tutto; al di là dei complimenti, che sono e restano sempre corroboranti per lo spirito, chiaro. Grazie, grazie e grazie, davvero!

__A SunliteGirl: ehi, ciao! Tanto piacere, ragazza. Per prima cosa, grazie infinitissimevolmente per la cortesia e il tempo sput-, ehm, speso dietro a questo parto trigemellare. Sul serio, non è proprio robetta da cinque minuti, perciò grazie infinite.
__In secondo luogo, grazie mille per l’apprezzamento e i commenti positivi. Cavoli, mi hanno (hai) fatto stra-felice! No, sul serio, è meraviglioso che (ti) sia arrivata così bene, perché l’hai proprio presa in pieno, bravissima (o ti ha preso lei, non so chi fosse al volante, e comunque sono sobria, agente, lo giuro!). Parliamoci chiaro: non è affatto facile, non solo leggere e sorbirsi tutta una sequela infinita di paranoie e piagnistei vari, ma addirittura riuscire a entrarci tanto bene (senza perdere i sensi, sopratutto).
__Per quello, credo occorra un’attenzione e un impegno, da parte di chi legge, pari a quello di chi scrive. Nel senso (occhio, adesso sforno la vaccata del giorno): penso che per arrivare a qualcuno sia necessario muoversi da entrambi i lati… no? (Et voilà: detto, fatto.)
__A ogni modo, grazie davvero; e sono abbastanza sicura che, dopo tante scempiaggini, avrai velocemente cambiato opinione in merito alla bontà filosofica della cosa (viene morsa dal manuale di Estetica). Intanto, incrocio gli alluci e prego questo capitolo possa esserti piaciuto altrettanto. Come avrai ben notato, però, niente orangitudine manco qua, mi spiace. E mi spiace anche di più, perché… Be’, diciamo che, fermandomi agli eventi ante-guerra, ho azzoppato proprio gli unici momenti in cui c’è, succede qualcosa (grugniti e risate) e qualcosa di concreto (altre risate). Udite, udite: si parlano! Gridiamo al miracolo, fratelle e sorelli! La cosa, tuttavia, è stata composta prima di questi lieti eventi (delirium ridens), perciò mi son dovuta piegare al clima di terrore regnante incontrastato dal quattrocentovattelappesca in poi. Mi spiace un sacco venir meno alle tue speranze, scusami; non temere, però: toccato il fondo del barile, si riprende quota, perciò non ci sarà sempre da potarsi le vene o invocare una trasfusione di Nutella. Ma un barattolo tientelo comunque vicino, non si sa mai.
__Grazie ancora infinite per la lettura, la pazienza e la cortesia nel recensire; sei stata super-gentile, sul serio serio. Grazie, grazie davvero, ragazza.
 
__A Gisella: Tanto, tanto piacere, Gisella. Gisella, oh Gisella! Ma che nick da favola hai? Come la Giselle del balletto! (Sprigiona bollicine.)
__Bene, per cominciare: oh mamma saura, grazie! È una gioia sapere ti abbia colpito tanto, e in bene, per fortuna. Grazie, grazie davvero, sei una quaterna a poker, te! Ora puoi colpirmi tu, se credi. Vai tranquilla, ho la testa grossa e il baricentro di un birillo: andrò giù in men che non si dica!
__Scusa, io faccio tanto la scema (sono tanto scema), ma i ringraziamenti no, loro non ne han colpa, poverini: quelli son sinceri. Mi hai fatto straaa-felice, in sostanza. E grazie di cuore, perché riuscire a restituire Hinata (al di là del favore implicito che questo personaggio e la coppia a esso associata riscuotono), o comunque, riuscire a rendere un personaggio non tuo (attenzione: autocompiacimento in decollo), credo sia la recensione e/o l’apprezzamento più lusinghiero di tutti (three, two, one: injection!). Almeno per me, eh. Per cui grazie mille e di cuore, soprattutto per il tempo (sapete, non ho la minima idea di quanto ci si metta a leggere. Faccio schifo, lo so. E puzzo. Scusate).
__Spero solo di non deluderti o annoiarti (barra assassinarti) con il seguito. Facciamo gli scongiuri, va’. A parte questo, grazie ancora, Gisella. Una gioia: sei stata ed è stato una gioia. Grazie grazie.

__Chiedo venia, solo un’ultimissima cosa (pioggia di “ma-va’-a-quel-Bel-Paese!”): ecco, volevo ringraziarvi globalmente, perché sono pienamente convinta che, ove la cosa sia o possa esser piaciuta (credendoci, sì), parte di responsabilità sia pure vostra, mi spiace. Penso, infatti, che per (passatemi il termine e una patatina, grazie) arrivare, raggiungere, beccare qualcuno occorra una spinta da entrambi i lati. Insomma, si tratta d’incontrarsi a metà strada, suppongo (famo â romana, aò). Perciò, grazie a voi per aver letto (e non vi ho appena intortato su come una cicisbea con quest’uscita lecchina. No, proprio no).
__Mi scuso già adesso, qualora possa non aver risposto ad altri, eventuali (seh!) commenti seguiti la pubblicazione di questo capitolo; e prometto che, se mai qualche nuova anima pia avrà la forza di leggere o recensire queste malate righe, mi adopererò nel successivo (o in altre vie, tipo messaggi, versamenti, assegni scoperti, ospitate televisive, ecc.) per rispondere a tanta cortesia. Come credo sia doveroso e giusto, del resto. E perché ogni scusa è buona per andare fuori-corso.

Grazie mille (come ai carboidrati).


  
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