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Autore: StewELLEcurtiS    02/03/2012    0 recensioni
Mi malidissi per aver pensato che la sua voce era maledettamente attraente e dolce, mi maledissi anche perché avevo una voglia assoluta e incontrollata di guardare il suo viso e il suo corpo perfetto. [...] Si avvicinò a me, ed averlo così vicino non mi faceva sentire affatto a mio agio. Il suo fiato incredibilmente fresco e piacevole soffiava sulle mie labbra e pensai seriamente di poter svenire da un momento all’ altro, i suoi occhi verdi inchiodavano i miei in modo prepotente e non riuscivo a guardare altrove nonostante mi imbarazzava tremendamente sostenere il suo sguardo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MMMM...Buonsalve!!! Non sono brava a fare presentazioni ma prima che qualcuno inizi a leggere ho bisogno di precisare alcune cose sulla storia. Dunque, è la prima volta che cerco di inventarmi qualcosa di originale e spero solo che vi piaccia, poooooi.... inserisco la storia nel soprannaturale ma dico subito che vuole più essere una storia d' amore che una sui vampiri quindi non aspettatevi sgozzamenti o lotte sanguinolente perchè non sarà così. Detto ciò vi lascio il primo capitolo... non so se pubblicherò con regolarità i capitoli perchè non sono tutti pronti quindi posterò ogni volta che avrò un' idea buona in mente (si accettano suggerimenti, comunque! :] ).

Ok...mi sto appesantendo quindi buona lettura e sarei molto felice se mi lasciaste un parere... :)

 

 

 






Io e mia zia viaggiavamo verso Denver con i finestrini dell’auto abbassati, i Rolling Stones questa volta non ci facevano compagnia come in tutti gli altri viaggi in auto, e nessuna delle due cantava a squarciagola "i can’t get no", nessuna delle due rideva o fumava o faceva cose che, qualsiasi meta noi stessimo raggiungendo, a noi sembravano normali. Stavolta ero troppo arrabbiata, furiosa con lei perché potessi permetterle di alzare il volume dello stereo.

La vecchia Cutlass di nonno scivolava sull’asfalto cigolando e borbottando in continuazione. Ormai era davvero vecchia, mia zia aveva pensato di sostituire qualche pezzo ma erano introvabili ormai. Forse se fossimo state meno egoiste e l’avessimo venduta a qualcuno che se ne intendeva di auto d’ epoca l’ avrebbe tirata a lucido e fatta funzionare perfettamente, forse la Cutlass avrebbe avuto ciò che si meritava. Ma io e mia zia amavamo quell’ auto vecchia e scolorita, con la pelle dei sedili sgualcita e che odorava ancora di tabacco e menta, amavamo anche quell’ odore: ci ricordava il nonno. E comunque la nostra auto faceva sempre una porca figura quando ci andavamo in giro.

Viaggiavamo in silenzio e immusonite, ascoltando i lamenti della nostra auto.

La ragione di quel viaggio era ancora più deprimente del viaggio stesso.

Stavo tornando a casa dopo una festa a cui Robin mi aveva costretto ad andare, Celeste mi aspettava sveglia e quando mi chiusi la porta alle spalle la vidi seduta sul tavolo della cucina, mentre si mordicchiava le unghie. Mi chiamò a sedere vicino a lei e mi disse così, di botto, che mio padre voleva che mi trasferissi in un collegio privato in Colorado, perché così avrei potuto sfruttare il mio "potenziale" (che per altro, non sapevo neanche io quale fosse) e perché avrei iniziato a prepararmi per il College. Ma questa era la sua spiegazione, io sapevo che era perché mio padre non sopportava l’ idea che stessi con mia zia, che considerava letteralmente svitata… veramente considerava letteralmente svitata tutta la famiglia di mia mamma, perché era con loro che stavo da quando lei era morta e mio padre si era risposato con una Barbie di Beverly Hills.

Pensavo a uno scherzo assurdo, non volevo crederci. Lasciare Los Angeles per i capricci di mio padre… eppure non potevo oppormi, perchè se potevo ignorare i suoi ordini, come avevo fatto da sempre, da quando avevo sei anni, non potevo ignorare mia zia Celeste e zio John, fratello di mamma, che si erano schierati nettamente dalla sua parte. E anche se non riuscivo a capire il motivo di quella decisione, non ce l’avevo completamente con loro.

Quella domenica mattina, tra le lacrime, dissi addio a mio cugino Cameron, che era il mio migliore amico, ai suoi occhi azzurri e alla sua pelle abbronzata e piena di tatuaggi, e a suo fratello Taylor, identico a lui ma senza tatuaggi e ai loro amici che col tempo erano diventate le persone migliori che avessi mai conosciuto. Salutai Robin, l’ unica amica che avevo trovato a scuola. Abbracciai per interminabili minuti i due meticci di mio zio e l’ enorme cane lupo che io e mia zia avevamo adottato quando era cucciolo. Mi ero scervellata per cercare un modo di portare il mio gatto Frank, con me, ma gli animali non erano permessi al dormitorio, quindi mi costrinsi a regalarlo a Robin, perché mia aveva chiesto di lasciarle qualcosa che potesse farla sentire vicina a me e convinta che sapesse prendersene cura al meglio glielo affidai con il cuore.

Cercai di dimenticare le cene chiassose con tutta la famiglia al completo e i martedì del film, sola con mia zia.

Celeste aveva passato da un bel pezzo il cartello che diceva "benvenuti a Denver, Colorado" e ormai da dieci minuti gironzolava per la strada guardandosi intorno, per la prima volta dopo essere entrate in macchina parlò: "Vedi un segnale che ci indichi il dormitorio?", domandò con voce incerta.

Io mi guardai un po’ intorno prima di parlare e poi le risposi con un no, così bruscamente che mi pentii immediatamente del tono che avevo usato. Riabbassai di nuovo lo sguardo sui mie jeans.

"Uh! Eccolo…", fece mia zia con una piccola esclamazione.

E di fronte a me c’ era un cartello per indicare la Denver Private High School.

Mi venne una stretta allo stomaco quando lo vidi.

Celeste svoltò nella direzione che indicava il cartello e dopo pochi metri raggiungemmo un edificio colossale, di mattoni rossi e beige, sopra l’ enorme portone in legno c’ era un cartello, altrettanto colossale con la scritta Denver Private High School "Colunbine", in lettere cubitali, come ad evidenziare l’ esibizionismo dell’ istituto che già si intuiva nella forma dell’ edificio.

Lo odiai subito. Non mi erano mai piaciuti quelli che ostentavano troppo le loro possibilità.

La scuola era circondata da un cancello di ferro, pieno di abbellimenti e rampicanti che gli si attorcigliavano intorno.

Mia zia parcheggiò l’ auto di fronte al cancello e scese giù, io la seguii con un groppo in gola. Appena aprii lo sportello l’ aria dolce e frizzante di Denver mi assalì, c’ era un vento caldo e leggero, ma mentre in altre circostanze mi sarebbe piaciuta l’ accoglienza che Denver mi aveva fatto, adesso la trovavo fastidiosa.

Aprii il bagagliaio in cui avevo fatto entrare per miracolo la mia sacca blu che avevo riempito con i pochi vestiti che avevo, il volume glielo davano i tutti i libri che ci avevo messo dentro e i cd. Dai sedili posteriori, mia zia presa la custodia con la chitarra che mi ero portata dietro. Senza fatica trascinai questa e il mio zaino attraverso l’ erba verde e curata del giardino che si doveva attraversare prima di arrivare all’ entrata dell’ istituto.

Ad aspettarci, all’ ingresso, c’ era una donna, molto più alta di me e Celeste, era magra e il suo fisico era molto asciutto, era stretta in un tailleur con gonna blu e al collo portava un foulard lilla che si abbinava ai bracciali e alle ballerine che portava ai piedi. Quando ci vide sul suo viso apparve un grande sorriso di cortesia, e le rughe accentuate dall’ espressione svelavano i sessant’ anni che molto probabilmente aveva. Il suo viso era incorniciato da un caschetto mogano con frangetta, e le sue labbra sottili erano colorate di bordoux.

"Salve!", esclamò quando arrivammo vicino a lei, "Lei deve essere la signorina Doreen…", disse a mia zia, che annuì sorridendo.

"E tu devi essere… Emma! Non è vero?".

Annuii anch’io, ma con meno entusiasmo.

"Io sono la vicepreside Colman! Vedrai Emma, qui ti troverai benissimo…", annunciò compiaciuta, convinta di aver ragione. Ma io ne dubitavo parecchio. Ambientarmi non faceva parte delle mia capacità.

"Seguitemi", disse la vicepreside attraversando il portone.

Noi obbedimmo. La vicepreside passò per l’ entrata principale dell’ istituto: una grande stanza illuminata da due enormi vetrate e abbellita da vasi colmi di fiori. Poi si diresse al piano di sopra dove stavano le camere degli studenti.

"E questa è la tua camera".

La vicepreside aprì una delle porte metalliche con una scheda che mi consegnò e mi lasciò qualche secondo per osservare la mia nuova camera da letto.

Aveva pavimenti in parquet che di tanto in tanto erano abbelliti da tappeti di pelliccia verdi e fucsia. La stanza era divisa in due parti, ognuna occupate da un letto a una piazza e mezzo, abbelliti da trapunte colorate che avevano un’ aspetto davvero soffice, ai lati dai letti c’erano comodini spaziosi dove su uno era posta un’ enorme lampada enorme a forma di cuore che emanava una luce rossa. In più ognuna delle due parti aveva una scrivania in legno chiaro con sopra una mensola divisa in scomparti che, presumevo, avrebbe dovuto fare da libreria, con la scrivania era inclusa una poltrona da lavoro in pelle. Sul muro di fronte ai letti era posto un armadio a quattro ante, abbinato al resto della mobilia. Inoltre, la stanze era abbellita da accessori che dovevano essere della ragazza che abitava già lì, tipo: la lampada, i tappeti, le tendine lilla e azzurre glitterate che coprivano le finestra della camera, vari poster appiccicati alla parete delle parte di camera abitata, che rappresentavano più o meno locandine di film tipo Colazione da Tiffany e ritratti come quelli di Audrey Hepburn o Marilyn Monroe. Sulla scrivania era poggiato un portatile della Apple e un’ altra lampada nella stile di quella sul comodino, solo che questa era a forma di stella. L’ altra parte di camera era spoglia. Vicino la scrivania della parte "abitata" stava una poltrona rossa a forma di mano. Sulla poltrona stava seduta una ragazza che presumevo sarebbe dovuta essere la mia coinquilina. Sedeva composta con le mani giunte sulle ginocchia, indossava un abitino color lavanda a mezze maniche, leggermente scollato, che evidenziava le sue forme floride. La gonna a campana copriva poco sopra le ginocchia. I suoi capelli dorati e lisci erano abbelliti da un cerchietto dello stesso colore del vestito. Il suo abbigliamento mi fece sentire subito troppo disordinata. Appena ci vide saltò dal divano esclamando un "oh!" e venne verso di noi con passo veloce, facendo svolazzare la sua gonna.

"Emma, vero?", disse porgendomi la mano e agitandola su e giù. "Io sono Beth, ma puoi chiamarmi B, davvero… Oh! E lei deve essere sua zia, no? sono molto felice di conoscervi, non vedevo l’ ora che arrivassi, Emma. Vedrai, ci divertiremo, sono sicura!".

Io mi limitai ad annuire e a sorridere in un modo che potesse sembrare convincente.

"Bene. Beth è molto socievole, quindi credo che farete subito amicizia. Io adesso vi lascio. Vorrete scusarmi ma ho delle faccende da sbrigare", la vicepreside salutò me e mia zia, incaricò la mia inquilina di mostrarmi il campus e se ne andò.

Beth si mostrò entusiasta dell’ incarico affidatogli e mi sorrise, poi uscì dalla camera con la scusa di dover andare a prendere dei libri da una ragazza che alloggiava vicino a noi. Forse aveva capito che era arrivato il momento che io e Celeste ci salutassimo.

Mia zia si voltò verso di me, con aria triste. Con una lunga unghia leccata di rosso scostò dalla sua guancia una ciocca di capelli che qualche giorno fa si era tinta di nero corvino. Mi guardò dritta negli occhi.

"Ti voglio bene, Emma", disse con voce tremante.

Io mi allungai per abbracciarla e lei mi strinse forte. Sapevo che le dispiaceva abbandonarmi lì , ma sia io che lei eravamo state costrette. Nessuna delle due poteva disobbedire a mio padre. Era ancora il mio tutore legale. Abitavo con mia zia per una scelta che io e lui avevamo preso insieme, non perché fossi stata legalmente affidata a lei.

Dopo avermi lasciata mi baciò sulla guancia, e intanto la mia compagna di stanza rientrò. Così mia zia si chiuse la porta alla spalle e io mi preparai a non vederla più.

"Deve essere davvero dura per te", esordì Beth quando si accorse che avevo gli occhi lucidi. "Sai, per me è stato diverso. Stare a casa mia era un tormento, i miei litigano in continuazione… venire qua è stato un sollievo".

La guardai inespressiva. Non poteva nemmeno immaginare come mi sentivo in quel momento. Lontano da casa mia, dalle persone a cui volevo bene…

Pensai che fosse solo una stupida ragazzina viziata e piena di soldi.

"Comunque", riprese lei con un sorriso. "Vuoi che ti porti a fare un giro?", chiese con gli occhi che le luccicavano.

Io scossi la testa. Se in quel momento avessi parlato sarebbe stato solo per coprirla di insulti.

"Ok, magari domani allora…", disse dondolandosi sui piedi.

"Si…".

"Comunque, questa è la tua parte di camera…", disse indicando con le mani la parte della camera spoglia.

"Ho diviso l’ armadio in due parti prima che tu arrivassi, così puoi mettere subito le tue cose apposto".

La ringrazia e dopo mi disse che l’ unico favore che dovevo farle quella sera e subito era di conservare le mie scarpe in una scatola che lei stessa mi diede. Io lo feci, naturalmente dubitando del fatto che il suo cervello fosse del tutto apposto, ma avevo già capito che era un tipo logorroico e l’ ultima cosa che volevo era che iniziasse a spiegarmi il perché di quella richiesta assurda. Per il resto lasciai le valige com’ erano sul pavimento. Decisi di sistemarle il giorno dopo.

"Ah, Emma!", Beth mi chiamò. "Ci sono due armadietti in bagno, te ne ho liberato uno", sorrise.

Molto probabilmente era una qualche maniaca dell’ ordine, ma in fondo non doveva essere una cattiva compagna di stanza.

La ringrazia di nuovo, come prima, e filai in bagno con il mio beauty case in mano.

Il bagno della camera era molto grazioso. Sopra il lavabo c’ era uno specchio ampio, c’ era anche una vasca da bagno, piccola e con la tendina, anche questo doveva essere merito di Beth perché sopra c’ erano disegnati dei fiorellini lilla su uno sfondo color crema. Aprii un armadietto a caso e beccai quello vuoto al primo colpo. Ci sistemai dentro il mio spazzolino e il dentifricio e tutto il resto…

Anche nel bagno c’ era un tappeto come quelli in camera, solo che questo era azzurro.

Ritornai da Beth che si era seduta sul letto con una rivista in mano, Cosmopolis, credo… mi guardò un po’, dopodiché mi chiese se anch’io non volessi una rivista ma risposi di no e le dissi che avevo con me i libri che mi interessavano e i passatempo che mi piacevano, quindi iniziò a chiedermi cosa leggessi e ciò che mi piaceva fare di solito, ma non avevamo molto in comune su questi punti, perché lei leggeva riviste di moda, nel tempo libero faceva volontariato nell’ ospedale di Denver, che l’ aiutava a prendere crediti per la borsa di studio e andava a correre nel campo della scuola. Mi parlò di quello che si faceva il venerdì sera al campus. Mi disse che di solito facevano dei festini ma che lei non ci andava di solito perché andava a finire che si ubriacavano tutti e che qualcuno vomitava o faceva sesso in qualche posto. Per il resto della serata restammo a parlare del più e del meno. Ed entrammo abbastanza in confidenza per essere due sconosciute. Forse era colpa della parlantina che aveva, ed era davvero molto socievole. Le mie risposte a monosillabi non scalfivano i suoi tentativi di conoscermi, anzi, sembrava la invogliassero a farmi ancora più domande… questo mi irritò per i primi dieci minuti ma poi ci feci quasi l’ abitudine ed iniziai ad ascoltarla seriamente e ad aggiungere qualche parola alle mie frasi.

Poi decise che era tardi perciò andò in bagno e uscì fuori con i capelli raccolti in una coda alta e spalmata in faccia aveva una crema verdastra, mi disse che l’ aiutava a rilassare la pelle. Siera infilata un pigiamino composto da top, rigorosamente lilla e i bordi fucsia e un pantaloncino dello stesso colore. Si infilò nel letto e si coprì fin su la testa nonostante il clima della camera fosse abbastanza caldo.

Io andai in bagno a farmi una doccia veloce e mi infilai la maglietta dei Velvet Underground che Cameron mi aveva regalato.

 

Il mio primo giorno di scuola fu a dir poco traumatizzante!

Mi ero preparata psicologicamente all’ idea che sarei rimasta sola e osservata per tutto il giorno, per cui quello che mi accadde fu parecchio destabilizzante, emotivamente parlando.

La notte prima, presi sonno solo dopo essermi rigirata nel letto almeno tre milioni di volte e dopo aver avuto una crisi di pianto, con tanto di singhiozzi, che svegliò la mia compagnia di stanza e la costrinse a consolarmi, e anche se io le dicevo di tornarsene a dormire e di non preoccuparsi lei continuò ad accarezzarmi la testa e a farmi bare acqua e zucchero per evitare che svenissi. Se non altro, apprezzai molto quello che fece per me, anche se lo fece in modo molto superficiale, ma non potevo pretendere altro da una che conoscevo da tre ore. Probabilmente doveva essere sola in camera da un bel pezzo per scaricare tutte le sue manie premurose su di me…

Mi svegliò una canzone pop a volume massimo, con tanto di vocalizzi sulle ultime sillabe delle parole. Pregai che Beth non avesse gusti musicali così pessimi.

Aprii gli occhi, lentamente e con la musica che mi trapanava i timpani. Poi piano piano il volume iniziò a diminuire e una voce la sovrastò: "Buon giorno studenti della Denver, e buon giorno ai novellini del primo anno!", esordì una voce carismatica, da ragazzino, "Oggi e lunedì ed è il primo giorno! Siete pronti ad iniziare un nuovo annooooo?".

Sotterrai la testa nel cuscino. Non poteva esserci anche un DJ che ogni mattina dava il buon giorno a tutti gli studenti del dormitorio…

"Adesso, a tutti gli amanti del rock che stanno ancora sotto le coperte, un’ invito a muovere le chiappe! Per voi, i Beatles, coooon… Revolution!".

E partì una delle canzoni preferite da me e Celeste.

Allora non erano del tutto idioti in questa scuola…

Mi stiracchiai, tra uno sbadiglio e l’ altro e cercai di rendere meno traumatico di quanto non fosse già stato il mio risveglio, ma Beth, che non avevo sentito fin ora iniziò a muoversi avanti e indietro nella camera, sbattendo i talloni sul parquet.

"Emma! Emma!", mi chiamò con voce nervosa, "Emma svegliati!", disse continuando a camminare per la stanza, "Emma, sei sveglia? Spero di si perché è già tardi!".

Con la coda dell’ occhio guardai la sveglia elettronica posata sul comodino.

"Manca un’ ora alle lezioni…", borbottai.

"Appunto!", disse lei "è tardi! Molto!".

Io roteai gli occhi al cielo. Se avessi passato tutte le mattine così mi avrebbero presto rinchiusa in una stanza con le pareti imbottite per l’ esaurimento.

Mi sedetti sul letto e la osservai mentre tirava fuori e ammucchiava vestiti nell’ armadio allo stesso tempo.

Era davvero nevrotica.

"Questa va bene, secondo te?", disse mentre tirava fuori dalla sua parte di guardaroba una t-shirt fucsia con dei glitter sparsi sopra, e a giudicare dalle dimensioni doveva starle molto stretta. "Oppure è troppo… uh! Guardatemi, è il primo giorno di scuola e voglio che mi notiate!? …si, eh?" fece la domanda e si rispose ancora prima che potessi afferrare il senso delle sue parole. "Meglio questa, no?", aveva in mano un top blu a pois.

Non la risposi, tanto lo avrebbe fatto da sola. E infatti…

"No! metto questo!". Agitò nelle mani un vestito a fiori sui toni del rosa e si precipitò in bagno.

Io mi diressi verso la valigia che dovevo ancora disfare e tirai fuori un paio di jeans, i soliti jeans, e la t-shirt degli Joy Division (anche questa me l’ aveva regalata Cameron), me li infilai e cercai un paio di scarpe nel "contenitore delle scarpe" che Beth mi aveva imposto di usare subito. Afferrai un paio di Converse e me le misi ai piedi.

Intanto lei uscì dal bagno con addosso quel vestito assurdo e ai piedi un paio di infradito rosa. Si era truccata come se andasse a una serata di galà e pettinata in modo altrettanto vistoso.

Mi fece un sorriso a trentadue denti e io risposi con uno che speravo sembrasse accondiscendente…

Andai in bagno a lavarmi i denti e la faccia e a sistemarmi come potevo i capelli, ma come al solito non ci riuscii e rinunciai all’ impresa. Ultimamente ero ritornata al mio castano chiaro dopo avermeli tinti di nero, viola, biondo e rame. Quando avevo finito di farmi la tinta Cameron mi disse che con quei capelli sembravo essere davvero una brava ragazza. Pensai di tingermeli di un altro colore…

Quando uscii dal bagno la mia compagna di stanza stava sistemando dei libri in una borsa fucsia enorme.

"Sai?", disse "Mi piace molto il tuo stile… è… chic trasandato… è figo".

"Ah", rimasi perplessa da quella specie di complimento, dato che io e la moda eravamo due poli opposti, "Beh… grazie".

Lei sorrise di nuovo.

"Se sei pronta andiamo a fare colazione…".

"Si…".

Presi il mio zaino sbrindellato da dove lo avevo lasciato la sera e uscimmo dalla stanza.

I corridoi erano già pieni di ragazzi. La mia nuova, quasi amica di tanto in tanto salutava qualcuno con il suo mega sorriso e agitava la mano.

Le stavo dietro, se non altro per non perdermi, ma il suo passo era frenetico, come lei d'altronde.

Capii di essere entrata in sala mensa quando vidi tanti tavoli di alluminio rotondi distribuiti per la stanza, erano apparecchiati e su ognuno c’ era un enorme vassoio colmo di ogni tipo di pietanze. Seduti, i ragazzi mangiavano e ridevano insieme, sembravano così… felici e soddisfatti. E non ostante sembravano tutti usciti da uno spot pubblicitario di qualche briosche per la colazione, emanavano uno strano senzo di noia e monotonia.

Beth prese posto su uno dei tavoli in fondo alle sala e mentre sedeva mi disse: "Posizione strategica!", fece l’ occhiolino e io non capii molto, se non che fosse vittima di qualche deficienza mentale.

"Come?".

"Vedrai", mi liquidò lei, e mi sorpresi per la velocità con cui mi diede la risposta.

Intanto, cominciò a mangiare. Afferrò dei pancake e li mise nel piatto, inzuppandoli con dello sciroppo d’ acero.

Io presi un muffin dal vassoio e del caffè già distribuito in delle tazze con sopra stampato il logo della scuola.

Beth iniziò a parlare di qualcosa riguardante le lezioni, ma non la ascoltai molto. Mi limitai ad annuire mentre mandavo giù i bocconi del muffin. Lei non sembrava fare caso alla mia scarsa attenzione, probabilmente aveva solo bisogno di parlare… non di essere ascoltata.

"O mio dio!", esclamò lei tra un intercalare e l’ altro, riuscendo ad attirare la mia attenzione.

"Eccoli. Ecco perché ci siamo sedute qua".

Mi voltai dalla parte in cui erano sgranati i suoi occhi a cuoricino, e capii all’ istante il motivo per cui si era agitata tanto.

Seduti al tavolo dietro il nostro, direttamente di fronte a lei, c’ erano seduti tre ragazzi.

Se ci fosse stata Robin con me, avrebbe detto che sembravano usciti da un catalogo di Abercrombie, e io le avrei dato ragione.

La pelle dei ragazzi era chiarissima, quasi trasparente, tranne quella di uno, più ambrata.

Il primo che notai fu quello vestito da punk, il più alto e magro tra loro, indossava una t-shirt bianca con sopra il logo di una band che di sicuro conoscevo, le gambe fasciate da un paio di jeans neri e aderenti, ai piedi portava un paio di Converse uguali alle mie. Dei ciuffi di capelli neri gli cadevano sulla fronte e coprivano in parte due occhi azzurri e allungati. Dalla manica sfilacciata della sua t-shirt veniva fuori un tatuaggio colorato che copriva tutto il braccio del ragazzo, mi ricordai immediatamente che Cam aveva un tatuaggio così, e dovetti costringermi a non piangere. Inoltre, per coronare il tutto, il ragazzo portava un piercing su un lato del labbro inferiore, che lo rendeva ancora più sexy di quanto non fosse già.

Poi, seduto di fianco a lui, il secondo ragazzo divorava una ciambella in un piatto. Questo aveva lineamenti più rozzi ma era ugualmente bello. Portava una camicia a quadretti blu, che copriva il suo fisico scolpito e pieno di muscoli. Rideva. Probabilmente a una battuta fatta dal ragazzo vestito da punk, e scuoteva i riccioli castani che gli sfioravano le spalle.

Poi i miei occhi caddero sul terzo ragazzo, che sorrideva, mostrando una fila di denti bianchi e perfetti, circondati da labbra rosee e carnose, con i margini all’ insù. Dovetti ricordarmi di respirare quando lo vidi.

Sentii Beth, vicino a me, fare una risatina nervosa e mi voltai con gli stessi occhi sgranati che avevo visto a lei un attimo prima.

"Chi sono?", interrogai.

Lei rise di nuovo coprendosi la bocca con una mano.

"Quello alternativo è Adam, poi c’ è Sam, che è quello con la carnagione più scura, e l’ altro è Evan Rockingam… sono fratelli, o qualcosa del genere… non si somigliano così tanto. Comunque sono tutti e tre uno schianto! Li adoro! Cioè, tutti li adorano, ovviamente", sospirò sognante e addentò un’ altra forchettata di pancake, io riportai la mia attenzione sul sorriso sghembo di Evan Rockingam, che mi faceva andare il cuore assurdamente in tilt. Di nuovo, ripresi fiato a fatica. Evan Rockingam aveva il fisico di un nuotatore professionista, sopra i jeans portava una camicia bianca e le maniche arrotolate fino ai gomiti mettevano in mostra un’ avambraccio scolpito, anche lui portava un paio di All Star. Tra i tre, che non sembravano andare molto d’ accordo con spazzole e gel, lui, era quello con i capelli più curiosi e… sconvolti, i ciuffi biondo cenere sembravano vivere per conto proprio.

Mentre ero troppo impegnata a osservarlo, però, Evan Rockingam piantò ad un tratto i suoi occhi verdi su di me. Il suo sorriso si spense in meno di un secondo, il tempo che impiegai ad abbassare lo sguardo e ad arrossire per la vergogna di essere stata sorpresa a squadrarlo dalla testa ai piedi come una stolker.

"Beth", chiamai la mia compagna di stanza provando a cercare un argomento per distrarmi ma lei mi interruppe prima ancora che iniziassi a pensare.

"Oddio!", speravo sul serio che fosse un’ esclamazione dovuta al fatto che avesse qualcosa di cui parlare, ma non fu così.

"Evan ti sta fissando!", esclamò sorpresa.

"Come?", chiesi tra i denti.

"È così! Ti sta fissando… oddio! Riesci a rendertene conto? È tipo… incantato".

"Beth, smettila, per favore!", sussurrai.

"Ok…", sembrò rassegnarsi lei, e abbassò la voce.

Io la ringraziai con lo sguardo, mentre per tutto il resto del tempo trascorso in mensa non ebbi più il coraggio di guardare al tavolo dei Rockingam.

Beth alla prima ora aveva chimica, così mi diede delle veloci istruzioni grazie alle quali raggiunsi velocemente l’ aula di storia.

Quando entrai, il professore era già in classe. Fortunatamente l’ aula non era ancora piena, forse fu per questo che mi evitò di presentarmi ad alta voce. Si limitò a consegnarmi una lista con i testi e mi disse di sedermi dove preferivo.

Mi sistemai in fondo alla classe, al penultimo banco, cercando di evitare gli sguardi indiscreti dei pochi studenti che erano già in aula.

Abbassai lo sguardo cercando di ignorarli e iniziai a scarabocchiare sul quaderno.

Pochi secondi dopo, quando alzai lo sguardo, vidi avanzare verso di me la sagoma di quello che doveva essere Adam Rockingam. Rimasi di nuovo a bocca aperta quando lo rividi, e da vicino faceva del tutto un altro effetto.

Quando mi vide con lo sguardo verso di lui, mi rivolse un leggero sorriso e andò a sedersi al banco dietro al mio.

Cercai di concentrarmi sulla lezione di storia, ma il mio nuovo professore era un tantino buffo nel raccontare gli eventi più importanti della rivoluzioni inglese,perché gesticolava e cambiava tono di voce come se stesse raccontando la favola di cappuccetto rosso a dei bambini di sei anni, cercai di seguire ugualmente senza mettermi a ridere, non volevo che mi trovasse impreparata nel caso in cui mi facesse una domanda, se non altro per non fare una brutta figura.

Ma non appena iniziai ad afferrare il filo del discorso sentii un colpetto leggero colpirmi sulla nuca, sopra i capelli.

Mi voltai con un sopracciglio sollevato.

Di fronte a me, Adam Rockingam,che mentre sorrideva rilassato giocherellava con i denti e le lingua con il suo piercing argentato. Stavo per mandarlo gentilmente a fanculo, non ostante la sua bellezza fosse disarmante, ma poi mi indicò un foglietto accartocciato a terra, vicino la mia sedia, facendomi capire di prenderlo.

Dopo qualche secondo di incertezza, e dopo essermi assicurata che il professore non guardasse, mi chinai ad afferrarlo.

La aprii senza fare troppo rumore e lessi una calligrafia disordinata ma perfettamente in riga:

Sei nuova?

Mi voltai verso il ragazzo per fare cenno di si, poi piegai il foglio in due e lo posai sul banco.

Dopo qualche secondo sentii un altro colpetto alla nuca, mi voltai di nuovo verso Adam, che aveva una mano alzata come per scusarsi e indicò la seconda pallottola di carta per terra, la raccolsi:

Ho notato la tua maglietta degli Joy division, bella! =)

Ps: nascondi i bigliettini se non vuoi che il prof li veda e li legga davanti a tutti… lo dico per risparmiarci l’ umiliazione.

Sorrisi, per il consiglio e prendendo anche l’ altro bigliettino li infilai nella tasca posteriore dei jeans.

Cercai di riprendere a seguire la lezione ma di nuovo, mi distrasse, stavolta la palla accartocciata cadde sul mio banco, e rotolò dritta sotto i miei occhi.

La scartai, sorpresa dall’ insistenza di quel ragazzo:

Come ti chiami?

, era scritto.

Io girai lo stesso foglietto e scrissi il mio nome con una matita.

Glielo lanciai piano, dopo essermi assicurata che il professore non sospettasse niente di strano e mi voltai per guardare la traiettoria del biglietto. Gli finì direttamente nella mano che aveva sollevato per prenderlo al volo, lo guardai un po’ stupita per sottolineare la sua prontezza di riflessi.

Riportai la mia attenzione di fronte a me prima di poter vedere una reazione del ragazzo.

Sentii il suo banco strisciare sul pavimento fino ad appiccicarsi alla mia sedia.

"Piacere, Emma. Io sono Adam", mi sussurrò all’ orecchio.

Ebbi i brividi quando lo sentii così vicino, e la sua voce era calda e leggermente roca.

Non mi voltai a guardarlo. Ero diventata rossa, naturalmente, e non avevo intenzione di mostrargli il mio imbarazzo.

A parte questo, l’ ora continuò in modo monotono. Non riuscii più di tanto a concentrarmi sulla lezione e non vedevo l’ ora che suonasse la campanella, se non altro per sapere se Adam mi avesse parlato.

Finalmente, dopo una quantità di tempo incalcolabile, sentii lo squillo della campana e ripresi a respirare.

Misi a posto i libri nello zaino lentamente, e con una certa soddisfazione vidi che Adam mi si parò davanti mentre mi alzavo dal posto.

"Ciao!", esclamò sorridendo, "scusa se ti ho disturbato prima…".

"Oh… non fa niente… non ero molto interessata", ammisi.

"Bene, siamo d’ accordo su un’ altra cosa", disse sorridendo.

E rimasi di nuovo senza fiato, dopo aver visto il suo sorriso perfetto che metteva in mostra dei denti bianchissimi.

Mi vennero di nuovo i brividi.

"Che lezione hai adesso?", chiese mentre ci avviavamo nei corridoi.

Presi l’ orario che avevo ripiegato nella tasca come i bigliettini e diedi un’ occhiata veloce.

"Filosofia".

"Ah! Sei nel corso avanzato?", chiese lui sorridendo.

"Più che altro cerco di mantenere il passo…".

Sorrise.

"Eccoci…", disse quando arrivammo all’ ennesima porta arancione del corridoio.

"Grazie, sei stato gentile", gli dissi.

" Ah! Stasera alla 116 danno una festa per l' inizio dell' anno. Dovresti esserci! ", e prima di avviarsi dalla parte opposta alla mia mi fece l' occhiliono. 

  
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