Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    02/03/2012    1 recensioni
Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.
«Tante grazie!», gridai, fuori di me.
«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 20

 

Ogni tanto ci avevo provato a teletrasportarmi dove si trovava Nick, ma l’avevamo capito subito che era troppo difficile e rischioso: uno, non sapevo mai dove andavo a finire perché non conoscevo il luogo; due, prima o poi avrei finito per apparire improvvisamente di fronte a qualcuno e non sarebbe stato bello.
Quindi avevo lasciato perdere, arrendendomi al fatto che dovevo stare lontana da Nick per i mesi in cui i Jonas Brothers promuovevano il loro nuovo album e suonavano ogni sera in una città diversa del mondo.
Io potevo pure avere il dono del teletrasporto, anche fra dimensioni, ma ero certa che Nick avesse visto molti più paesi di me nel corso della sua carriera.

Comunque questo allontanamento forzato non fu solo una sofferenza, perché riuscii a concentrarmi di più sulla scuola e la mia media magicamente si risollevò, tanto da darmi qualche speranza di essere ammessa all’esame finale della highschool. Inoltre, ebbi anche più motivazioni per aiutare le persone nell’altra dimensione: in poche parole, per non sentirmi troppo sola e non pensare a quanto mi mancasse, mi davo al “volontariato” e trasportavo di qua e di là la gente.

Le cose sotto quel punto di vista andavano benissimo, perché ormai io, mio fratello e Fiore ci avevamo preso l’abitudine e portare la gente a casa non era più un problema per noi.
L’aeroporto dimensionale funzionava benissimo, gestito da quelle persone che, vuoi perché lì si erano rifatte una nuova vita o non avevano niente da spartire con l’altra dimensione, non avevano intenzione di tornare a casa.

A volte era persino capitato che qualcuno aspettasse di essere portato a casa e poi una volta arrivato là si rendesse conto che non c’era più niente di suo, che era stato cancellato come se non fosse mai esistito, e per non causare altro dolore si presentava a casa nostra e chiedeva di essere riportato nell’altra dimensione.
La maggior parte delle volte il nostro lavoro andava a buon fine, ma c’erano anche quei tristi casi che ogni volta ci facevano cadere una pietra sul cuore.

Il nostro era un servizio assolutamente gratuito, ma era ormai diventata un’abitudine per i “trasportati” fare un’offerta di qualsiasi genere all’aeroporto – cesti di frutta, torte e pasticcini, denaro, case che sarebbero rimaste inabitate, altre proprietà – che poi venivano distribuite fra il comune del paesino e tutti i dipendenti della grande struttura.

Per me era arrivato ad essere un vero e proprio lavoro che a volte mi impegnava fino alla sera tardi, e nonostante mi fossi sempre rifiutata di ricevere un compenso dal comune del paesino in cui agivo, ma in cui si erano riversate tantissime persone anche da altri paesi per richiedere i moduli per tornare a casa, il sindaco in persona aveva aperto un conto corrente a mio nome in banca, su cui depositava ogni mese il mio “stipendio”.

Comunque, in quei mesi che precedettero il giorno fatidico, la mia vita divenne più abitudinaria e furono poche le cose che la sconvolsero, come per esempio un ritorno improvviso ad Hollywood di Nick e dei suoi fratelli a causa di un piccolo concerto organizzato a Los Angeles da uno dei loro innumerevoli sponsor.

Fu una serata che non avrei dimenticato facilmente, perché dopo il concerto eravamo andati in un locale molto esclusivo per fare il nostro “after party” e per la prima volta avevo visto Joe ubriaco. Nick mi aveva detto che non succedeva spesso, perché tutti e tre erano attenti a quelle cose, ma quando accadeva… c’era da divertirsi. E come aveva ragione! Joe aveva ballato sui tavoli, aveva rovesciato addosso ad Ale un bicchiere ancora mezzo pieno e le aveva sparate grosse, tanto che l’avremmo preso in giro per l’eternità.

La seconda cosa che spezzò la calma piatta – e un po’ malinconica – che avevo vissuto in quel periodo, fu la scomparsa, seppur di soli due giorni, di Edoardo, il fratello minore di Ale.
Accadde un giorno qualunque: uscì di casa per andare a scuola e non vi ritornò per tutto il giorno. Non aveva avvisato nessuno, i suoi genitori e sua sorella stettero in piedi tutta la notte ad aspettarlo e quando all’alba non lo videro ancora tornare, chiamarono la polizia per denunciarne la scomparsa.

La mia migliore amica mi chiamò al cellulare alle cinque e mezza del mattino, facendomi carambolare giù dal letto, e non ci fu nemmeno bisogno di spiegarmi tutto quanto: in quattro e quattr’otto la raggiunsi e rimasi con lei per tutto il tempo, liberandomi dal suo abbraccio stritolatore solo una volta, per chiamare Nick al cellulare ed avvisarlo dell’accaduto.

Sarebbe dovuto passare un altro giorno perché Edoardo si facesse di nuovo vivo a casa, in uno stato di shock e di semi-mutismo. Preoccupati e spaventati da ciò che avrebbe potuto essergli accaduto, i suoi genitori avrebbero voluto portarlo all’ospedale, ma lui si rifiutò, dirigendosi in cucina, prendendo dalla credenza un po’ di cose da mangiare e una bottiglia di Coca Cola e rifugiandosi nella sua camera.

Non aveva detto nulla a proposito della sua strana sparizione e non sembrava intenzionato a parlarne, nemmeno con sua sorella, con cui si era quasi sempre confidato. Avevano solo due anni di differenza e il loro rapporto era sempre stato buono, ma il comportamento che ebbe quella sera fu davvero incomprensibile, a me come a lei.
Ale aveva provato in tutti i modi a farlo aprire, rassicurandolo, ma non era riuscita a cavare un ragno dal buco. Io, che avevo seguito tutto da dietro la porta, avevo sbirciato all’interno della camera sentendo uno strano silenzio e avevo visto Ale alzarsi e raggiungermi sconsolata e con i segni delle lacrime ancora sulle guance. L’avevo consolata e prima di accompagnarla in cucina incontrai per un attimo solo lo sguardo di Edo: sembrava così impaurito, confuso e solo… Un’idea mi aveva attraversato il cervello come un lampo a ciel sereno, ma l’avevo subita catalogata come improbabile e non ci avevo pensato oltre.
Se avessi fatto meglio a pensarci, se avessi almeno provato a parlare con lui, l’avrei scoperto solo qualche mese dopo.

 

***

 

La mattina del fatidico giorno, mi alzai dal letto con delle orribili occhiaie sotto agli occhi: non avevo dormito tutta notte e quelli erano i disastrosi risultati.
Scesi in salotto e trovai mia madre seduta sul divano, che accarezzava con sguardo perso le rose color rosa pallido cucite sulla vita del mio vestito da sposa. Mi appoggiai alla parete con la spalla, chiedendomi a che cosa stesse pensando.

«Mi ricordo come se fosse ieri il giorno in cui io e tuo padre ci siamo sposati», disse all’improvviso, come se mi avesse letto nel pensiero. Potei soltanto immaginare il sorriso commosso che aveva sul viso, dato che mi dava le spalle.
«E adesso sei tu a doverti sposare… tesoro, è passato così tanto tempo da allora…».

«Ma voi siete sempre rimasti gli stessi, nel bene e nel male».

Si voltò e mi guardò negli occhi, sistemandosi gli occhiali sul naso. Mi fece cenno di raggiungerla e mi sedetti sul bracciolo del divano per stringerla in un abbraccio.
«Non piangere, mamma…».

«Ti ho vista crescere sotto i miei occhi, sbocciare come un fiore, e sono così orgogliosa di ciò che sei diventata… amore, ho una cosa da darti».

La guardai mentre si alzava e raggiungeva la cucina, prendeva una scatoletta infiocchettata da sopra il tavolo e me la portava.
«Tutte le donne della mia famiglia l’hanno indossata al loro matrimonio e ora tocca a te».

Aprii la scatoletta con le mani un po’ tremanti e al suo interno tolsi la carta velina un po’ ingiallita che conservava gelosamente una collana di piccoli diamanti quadrati che univano diamanti a goccia di diverse dimensioni, tra cui il più grande si trovava al centro.
Il fiato mi si mozzò in gola e a stento riuscii a dire: «È bellissima…».  

Mia madre si alzò e la tirò fuori dalla scatola. La luce del sole del mattino si infranse nei diamanti e ne vidi i riflessi sul suo viso. Si mise alle mie spalle e mi disse di sollevare i capelli per mettermela al collo.

«Ma sono ancora in pigiama, mamma…», provai ad obbiettare, ma non me lo permise: «Voglio solo vedere come ti sta».
Allora me l’allacciò al collo e posò le mani sulle mie spalle per voltarmi ed osservarmi.

Una lacrima le sfuggì dall’occhio destro. «Oh tesoro…».

L’abbracciai delicatamente e posai la guancia contro la sua, sentendomi davvero felice di aver preso la scelta migliore, quella di sposare Nick.

Quando mia madre si calmò, misi qualcosa sotto i denti e intanto mio padre e mio fratello si svegliarono, raggiungendomi in cucina. Con Davide avevo parlato pochissime volte del matrimonio, ma quella mattina bastò uno sguardo per capire che era contento per me.

Poi arrivò la parrucchiera, amica di mia madre, che mi avrebbe acconciato i capelli per la funzione. Così fui costretta a dedicarmi alla parte più noiosa di quella giornata: la preparazione della sposa.
Dovetti indossare il mio abito e appena me lo vidi addosso, esattamente come la prima volta in cui l’avevo provato, sentii mille brividi corrermi sulla schiena.

Mentre la parrucchiera si occupava dei miei capelli, mia madre ebbe l’idea di farmi il trucco, ma per fortuna arrivò Ale appena in tempo ad evitare il disastro.
La mia migliore amica era paradossalmente ancora più agitata di me, ciononostante rese il mio viso perfetto, delicato e luminoso come baciato dalla luna, e limando e lucidando le mie unghie, sempre un po’ trascurate, le rese bellissime, facendo una semplice french bianca e dipingendo dei piccoli fiori rosa chiaro sugli angoli.

Quando finalmente uscii dal bagno, mio padre e mio fratello stentarono a riconoscermi.

«Bocciolino, sei bellissima», disse mio padre, anche lui con un po’ di occhi lucidi, nel suo completo grigio così elegante e così insolito per i miei occhi.

Abbassai il capo, imbarazzata, e sussurrai dei ringraziamenti. Mio fratello avrebbe voluto abbracciarmi, ma Ale glielo vietò severamente, dicendogli che avrebbe  sicuramente rovinato la sua opera d’arte. Allora Davide si limitò a sorridermi.

«Okay, allora siamo pronti?», domandò mia madre, porgendomi il bouquet.

La guardai da capo a piedi e anche lei si accorse che era ancora in tuta da ginnastica. Si portò le mani nei capelli e corse a cambiarsi.

 

***

 

Nick fu uno dei primi, insieme alla sua famiglia, ad arrivare all’anonima chiesetta della cittadina in cui abitava la sua futura sposa, dove avevano deciso di sposarsi, quel giorno addobbata con un’infinità di fiori bianchi.

Pian piano aveva visto la panchine riempirsi e aveva salutato più parenti ed amici che poteva, poi, quando fu quasi l’ora, si riservò un momento di solitudine per calmare il cuore che gli batteva nel petto a velocità folle.

Si rifugiò nella stanza in cui solitamente si preparavano il prete e i chierichetti e si portò le mani sul viso.

Non poteva fare a meno di essere agitato, anche se sposare Ary era la cosa che desiderava di più al mondo. Erano entrambi così giovani, avevano tutta la vita davanti e in quel momento più che mai ebbe paura di non farcela, di non riuscire a conciliare il suo amore per lei e ciò che sarebbe venuto dopo la loro unione in matrimonio e la sua vita da musicista, così frenetica e che lo portava assiduamente lontano da casa.
Forse aveva avuto ragione Ary, quella volta in cui gli aveva detto che era troppo giovane per sposarsi. Forse sarebbe stato meglio annullare tutto, rimandare tutti gli invitati a casa e rispedire indietro tutti quei fiori dal profumo dolce.

Sentì la maniglia della porta abbassarsi e Joe comparire sulla soglia. Il chiacchiericcio di tutti gli invitati raggiunse le orecchie di Nick insieme alle parole di suo fratello:
«Ale mi ha mandato un sms, dice che stanno arrivando».

«Oh, perfetto», mormorò Nick, lasciandosi andare ad un tremito e ad un sospiro di nervosismo.

Joe fece un sorrisino e raggiunse il fratello, appoggiandosi al muro al suo fianco. «Ci stai ripensando, per caso?».

«No, io… no, non credo…».

«È solo la fifa pre-matrimonio. O hai paura che Ary scopra quello che abbiamo fatto per il tuo addio al celibato?».

Nick sogghignò. «Io non ho fatto proprio niente, sei tu che dovresti aver paura che Ale lo scopra».

Joe diventò paonazzo. «Ero mezzo ubriaco, sai come divento…».

«Ti sembra una buona scusa? Ti sei messo a ballare sul cubo con una spogliarellista! Io e Kevin non riuscivamo più a tirarti giù!».

I due fratelli si guardarono negli occhi per qualche secondo in silenzio, poi scoppiarono a ridere contemporaneamente.

«Forza, andiamo», disse Joe, dandogli una pacca di conforto sulla schiena. «O vuoi che Ary arrivi prima di te all’altare?».

Nick, decisamente più tranquillo, seguì il fratello maggiore e si sistemò di fronte all’altare, vicino al prete che avrebbe recitato la funzione, con il quale, nell’attesa, scambiò qualche parola.

Inoltre, Nick adocchiò la madre e il fratello di Ary entrare in chiesa e raggiungere i loro posti in prima fila, insieme ad Ale, che si mise seduta accanto a Joe.
Quella che tra poco sarebbe diventata sua suocera gli sorrise raggiante incrociando il suo sguardo, anche se aveva gli occhi già umidi di lacrime. Nick ricambiò e finalmente un pesante silenzio cadde su tutti i presenti, che si voltarono verso l’entrata della chiesa.

 

***

 

Prima di scendere dall’auto, osservai la facciata della chiesa che da bambina avevo frequentato ogni domenica e nella quale ora mi sarei sposata.

Sentii i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e mi portai una mano sul petto, percependo le pulsazioni appena sotto la pelle, come se stesse spingendo per fare un buco e scappare via. Anche io avrei voluto farlo, avrei voluto teletrasportarmi nell’altra dimensione ed iniziare a correre sulla spiaggia, con i piedi nell’acqua del mare e bagnandomi tutto il vestito, ma al solo pensiero che io e Nick stavamo per unirci in quel legame così forte ed intimo, scossi il capo e mi costrinsi a cacciar via tutta la paura.

Mio padre aprì la portiera dell’auto e mi porse la mano per aiutarmi a scendere. L’afferrai saldamente e controllai che le rose sul mio vestito non si fossero spostate, poi respirai profondamente ed iniziai a salire i gradini che portavano all’entrata.

 

***

 

La vide alla fine della navata, che camminava a braccetto con suo padre. Rimase sempre più senza fiato man mano che si avvicinava, mentre i particolari del suo vestito, del suo viso, dei suoi capelli, diventavano più chiari.
Il corpetto color rosa pallido e ricamato finemente con temi floreali metteva in risalto le sue forme equilibrate e la gonna di seta bianca, con i drappeggi trasparenti fermati da piccole rose dello stesso color rosa pallido, era semplicemente incantevole.
I capelli biondi erano raccolti in uno chignon, anche se qualche ricciolo le ricadeva sulle spalle nude, ed erano adornati da piccole roselline che richiamavano quelle sul suo vestito.
Infine, aveva un po’ di mascara sulle ciglia e un po’ di ombretto sulle palpebre, che era un misto fra l’argento e il rosa pallido che richiamava il colore del suo vestito. Per il resto il suo viso era bello come al solito, anche se più luminoso e vivo, nonostante il trucco acqua e sapone. Ma non c’entrava nulla il trucco, perché quando Nick le tolse il velo dal viso rimase ancora più incantato dalla luce che aveva negli occhi: era felice, per quello era ancora più bella.

In quegli occhi Nick lesse le stesse sue paure, ma scorse anche la certezza che il loro futuro non doveva incutergli alcun timore, perché insieme avrebbero superato qualsiasi ostacolo.
Si sorrisero, trattenendosi per non scoppiare a ridere a causa della loro stupidità, e si scambiarono poche parole colme d’imbarazzo e d’amore, poi il prete iniziò ufficialmente la celebrazione.

 

***

 

La funzione era durata più di quanto mi aspettassi e avevo dovuto sforzarmi parecchio per non sbadigliare quando ne sentivo la necessità. Per fortuna al mio fianco c’era sempre stato Nick: un solo sguardo e tutto poteva prendere una sfumatura diversa, dall’emozionante al divertente.
Quando finalmente era arrivato il momento clou, ossia quello dello scambio delle fedi e della promessa, tirai un sospiro di sollievo. Mio fratello Davide aveva fatto da paggetto, attraversando la navata centrale per portarci le fedi, e mi aveva fatto così tanta tenerezza quando era arrossito che avrei voluto mollare tutto e correre ad abbracciarlo.
Però alla fine mi ero trattenuta, perché mancava ancora la parte più importante, quella del «Sì, lo voglio», la parte che fece scoppiare a piangere mia madre, la madre di Nick, Ale e persino Joe. Era stata davvero dura non scoppiare a ridere nemmeno dopo aver visto le sue lacrime, ma fortunatamente ce l’avevamo fatta giusto il tempo necessario per sentir dire: «Ora può baciare la sposa» e reprimere quella risata l’uno sulle labbra dell’altro.
Uno scroscio d’applausi ci aveva accompagnati fino all’esterno della chiesa e una volta fuori fummo inondati da una pioggia di chicchi di riso che ci finirono tra i capelli e tra i vestiti.

Il fotografo che mio padre aveva ingaggiato ci girava intorno, scontrandosi con la concorrenza: il padre di Nick, il quale aveva voluto essere il fotografo d’eccezione per quell’occasione.
Avremmo dovuto fare pure due album fotografici, come se i due matrimoni che avevamo programmato non fossero stati abbastanza. Io e Nick, infatti, avevamo deciso che il nostro matrimonio sarebbe stato celebrato in due luoghi diversi: il primo nella nostra dimensione d’appartenenza, il secondo nella dimensione nella quale ci eravamo incontrati ed era nata la nostra storia, quella che ci aveva in qualche modo adottati.

Il tempo di andare al ristorante, mangiare e festeggiare ancora con i nostri parenti e i nostri amici, e ci preparammo per andare nell’altra dimensione.
Con noi sarebbero venute le persone strettamente necessarie, perché non era necessario che tutti assistessero ad entrambe le celebrazioni e poi perché avrebbe dovuto pensarci solo Davide a riportarle indietro. Quindi vennero solo Kevin, Joe, Ale e ovviamente mio fratello.

Con delle scuse i diretti interessati si allontanarono dalla festa, con i miei familiari come complici, e facendo attenzione a non farci vedere ci teletrasportammo nell’altra dimensione, alla villa dei Jonas.
Erano quasi le quattro del pomeriggio e fuori dalla villa c’erano già due auto che attendevano il nostro arrivo.

«Ci vediamo là», disse Nick, prendendomi fra le braccia e baciandomi in una specie di casquet.
Il cuore mi rimbombò nelle orecchie, pensando che ormai eravamo marito e moglie, e ricambiai al bacio come se fosse stato il primo.

«Forza Nick, andiamo. Avrai tempo di spupazzartela durante la luna di miele!», gridò Joe, trascinandoselo dietro tirandolo per un braccio.

I nostri sguardi non si separarono, nonostante il rossore che si era impadronito delle nostre guance. Lo guardai uscire dalla porta, andare all’auto ed allontanarsi lungo il sentiero nella fitta vegetazione.

«Signorina, lei è pronta?», domandò l’uomo che evidentemente doveva essere il mio autista.

«Ahm… sì, però dovrei chiederle un favore».

L’uomo si accigliò, in attesa, ed io sorrisi.

 

 

Scesi dall’auto ringraziando ancora una volta l’autista, entrai nel cimitero e camminai tra le tombe, tenendo un po’ sollevato il vestito per non sporcarlo d’erba. Raggiunsi la sua tomba e sorrisi amaramente, guardando la foto che la ritraeva bella e felice, coi capelli rossi che le incorniciavano il viso chiaro.

«Ciao, Charlotte», sussurrai con le lacrime agli occhi. Ma non dovevo piangere, non potevo. Così tirai su col naso ed accennai un altro sorriso.
«Probabilmente già lo sai, ma io e Nick ci stiamo per sposare. Beh, tecnicamente siamo già sposati, però nell’altra dimensione. Comunque… volevo passare a dirtelo di persona e a salutarti… Ci manchi, lo sai? Ogni tanto Nick ti pensa. Lui non lo ammetterà mai, però io lo so che qualche volta lo fa: i suoi occhi cambiano, si allontanano… Se hai tempo, da lassù o da dove ti trovi adesso, potresti guardarci. Saresti stata la prima invitata al matrimonio, anche se non so se tu saresti venuta. Mi avrebbe fatto davvero piacere. Vorrei che tu… che tu fossi ancora qui».

Tirai di nuovo su col naso ed abbassai lo sguardo, incontrando i fiori del mio bouquet. Non avrei dovuto farlo, ma lo feci comunque: li posai sulla sua tomba, sicura che lei sarebbe stata la persona più adatta a riceverli, perché se li meritava.


Dopo quella mia breve fermata, l’autista mi portò fino alla chiesa del paesino e rimasi scioccata quando vidi tutte le persone del posto riunite nelle strade, nella piazza e di fronte alla chiesa: stavano aspettando solo noi, perché tutti avrebbero voluto partecipare al matrimonio, ma non era possibile stare tutti riuniti nella piccola chiesa.

Salutai con la mano tutti quelli che riuscivo a riconoscere nella folla, sentendomi una vera principessa, e quando l’autista si fermò e fece faticosamente il giro dell’auto per venire ad aprirmi la portiera il boato che dall’interno avevo sentito in modo solo attutito, mi colpì le orecchie, facendomi temere per il mio povero udito. Ma c’era così tanta gioia in quelle urla, così tanto entusiasmo in quegli applausi e in quei fischi, che non potei fare altro che sorridere imbarazzata e sollevare una mano per salutare ancora la folla.
Strabiliante come fossi divenuta importante per loro, mentre nella mia dimensione ero appena diventata “qualcuno” sposando Nick Jonas dei Jonas Brothers.

Vidi Alessandro, che avrebbe sostituito mio padre, farsi spazio tra la folla per venire a prendermi e gli sorrisi raggiante.
«Wow, sei proprio sexy in giacca e cravatta!», dissi.

«Cosa? Non sento niente!», gridò lui, porgendomi il braccio. All’interno della chiesa era già iniziata la musica di accompagnamento alla marcia nuziale.

«Te lo dico dopo!».

Il matrimonio si ripeté ancora una volta, ma fu bellissimo vedere riunite tutte le persone che avevo conosciuto durante l’avventura in quella dimensione parallela, che mi avevano aiutata nei momenti difficili e che amavo.

C’erano le due cheerleader amiche di Charlotte, c’erano Fiore e Alessandro, c’era il sindaco (che qualche mese prima mi aveva eletta cittadina onoraria), c’erano tutti i dipendenti dell’aeroporto dimensionale, e c’era persino il gigante buono che dopo la sconfitta della vecchia megera era diventato il migliore amico di tutti i bambini del paese.

La festa che i paesani ci avevano organizzato era completamente all’aria aperta, nella piazza principale, dove c’era un piccolo palco su cui suonava una band di musica blues e persino una zona in parquet dove ballare. Ovviamente, io e Nick dovettimo aprire le danze.

Non mi ero mai divertita tanto in vita mia e il momento in assoluto più bello fu quando Nick sorprese tutti e salì sul palco, scambiando qualche parola con la band.
Con un cenno del capo mi invitò a seguirlo ed io, un po’ impacciata a causa del vestito, mi aggrappai alle sue mani per paura di inciampare. Nick mi sorresse come solo lui sapeva fare e mi fece sedere accanto a lui sul lungo sgabello di fronte al pianoforte.

Mi guardò dolcemente e avvicinò la bocca al microfono per sussurrare: «Solo per te, amore. Ti amo».

Già in quel momento avrei voluto scoppiare a piangere, ma mi trattenni per tutta la durata della bellissima canzone che aveva scritto solo ed esclusivamente per me. Finalmente anche io ne avevo una ed era la più bella che avessi mai sentito: rappresentava il cuore di Nick, la sua intera anima… e io ne facevo parte.

Uno scroscio di applausi e di fischi ci investì quando anche le ultime note si dispersero nel vento ed io gli gettai le braccia al collo, stringendolo fortissimo a me.

«E questa è solo una fra le tante che ho scritto per te, lo sai», mormorò con le labbra premute sul mio orecchio.

«Tu sei pazzo, ma ti amo da morire Nick. Grazie, grazie di tutto».

Lui rise e mi prese il volto fra le mani, poi mi baciò, facendo aumentare di diversi decibel i suoni di gradimento prodotti dalla folla.

La festa durò ancora a lungo, tanto che quando la notte prese il sopravvento sul giorno e la luna piena iniziò a brillare nel cielo blu, quasi nessuno era già tornato a casa.
Da tradizione, noi ce saremmo dovuti andare per primi e così facemmo, salutando con un cenno della mano Ale e Joe che si scatenavano sulla pista da ballo, dando una pacca sulla spalla a Kevin e rivolgendo sorrisi e ringraziamenti a chiunque incontrassimo sulla nostra via.
Nick corse ad aprirmi la portiera dell’auto bianca, sulla cui cappotta c’era disegnato un cuore enorme, e mi fece salire; poi raggiunse il posto di guida e partì alla volta della villa dei Jonas, mentre io ancora mi intrattenevo a salutare tutti quelli che potevo sporgendomi dal finestrino.

Lentamente le luci e i suoni della festa si affievolirono alle nostre spalle e rimanemmo soli. Guardai il profilo di Nick e sorrisi, portandomi un dito alle labbra.

«Che c’è?», mi domandò, contagiato dalla mia ilarità.

«Niente, stavo giusto realizzando che adesso siamo marito e moglie».

Un po’ scettico, sollevò il sopracciglio. «E ti fa ridere?».

«Non rido perché lo trovo divertente, ma perché tutta la gioia che ho dentro deve pure esternarsi in qualche modo!».

Nick si limitò ad allargare ancora di più il suo sorriso e a scuotere il capo.

Mi accorsi che aveva preso il sentiero sbagliato e gli posai una mano sul braccio per avvertirlo, ma non ebbi nemmeno il tempo di parlare, perché lui disse subito: «Non ho sbagliato strada. Fidati di me».

Interdetta, unii le mani sulla gonna del vestito e rimasi in silenzio ad osservare il suo viso tranquillo e sereno baciato dalla luce della luna, gli occhi luminosi fissi sulla strada.

Prese un sentiero leggermente in discesa, questo voleva dire che ci stavamo avvicinando di più alla spiaggia. Ben presto tra la fitta vegetazione vidi il profilo del mare che brillava e riuscii persino a scorgere, strizzando gli occhi, il fianco di una casa, o di un capanno da spiaggia, fatto di tegole chiare e porte vetrate.

Nick parcheggiò meglio che poté, tirando anche il freno a mano, e si voltò verso di me per dirmi qualcosa, ma io lo precedetti: «Dove siamo?».

Lui sorrise come se avessi detto la cosa più divertente del mondo, poi scese dall’auto e fece il giro per aprirmi la portiera. Quel giorno gli altri l’avevano fatto così tante volte per me che avrei finito per abituarmici!

«Mademoiselle», disse porgendomi la mano, «se vuole seguirmi…».

L’afferrai, anche se non del tutto convinta, e camminai dietro di lui stando attenta a dove mettevo i piedi. Per fortuna ad un certo punto, tra gli arbusti e i cespugli in fiore, intravidi un sentiero composto da grosse pietre posizionate a mo’ di scalini.
Raggiungemmo la struttura in legno immersa nella natura e senza nemmeno darmi il tempo di capire, Nick mi prese in braccio e mi portò all’interno della casa facendo scorrere una delle portefinestre.

«Che… che vuol dire tutto questo?», domandai quando mi lasciò tornare con i piedi per terra, anche se ancora non avevo sciolto la presa intorno al suo collo.

«Che siamo arrivati a casa», rispose candidamente, ad un soffio dalle mie labbra.

Mi voltò verso il salotto e rimasi senza fiato: il pavimento e parte delle pareti erano in legno, vi era un grande divano ad L color del grano e di fronte ad esso, oltre allo schermo piatto della TV, vi erano diverse finestre che davano sul mare che luccicava sotto i raggi della luna.

«Mio Dio, è… è magnifico».

«E non hai ancora visto la camera da letto», sussurrò ad un soffio dal mio orecchio. Sentii la faccia andarmi a fuoco all’istante, anche a causa della malizia che avevo percepito in quelle parole.

Mi portò con sé al piano superiore e quando arrivammo nella camera da letto pensai davvero di morire.
Amante com’ero della libertà, dell’aria aperta e del mare, quella stanza era un mio sogno divenuto realtà. L’unica parete che poteva definirsi tale era quella a cui si appoggiava la testata in legno del letto matrimoniale, per il resto erano tutti finestroni che facevano entrare un sacco di luce e davano su una grande terrazza in legno che probabilmente circondava tutto il secondo piano e dalla quale si poteva godere di una vista fantastica sul mare, gli scogli e la spiaggia.

«Ma non è tutto», disse, tirandomi fuori dallo stato di trance in cui ero caduta. «Vieni, qui c’è il posto che preferisco».

Tenendo forte la sua mano lo seguii fuori, sulla terrazza, e rimasi incantata a guardare il panorama fino a quando non mi strattonò un po’ e mi costrinse a camminare. Raggiungemmo la parte opposta della terrazza e ci fermammo sotto una tettoia: era un angolo protetto, molto intimo, con una panca dai cuscini viola da un lato e di fronte la splendida vista che era capace di affascinarmi ogni volta che vi posavo lo sguardo.

«Allora, che ne dici?».

Sollevai gli occhi fino ad incrociare i suoi e non riuscii ad emanare alcun suono. Lui mi rivolse un sorriso tenero e portò le mani ai lati del mio viso, dove si preoccupò anche di asciugare una lacrima di cui non mi ero nemmeno resa conto.
Mi spinse delicatamente verso la panca e mi fece sedere, poi si inginocchiò di fronte a me, tenendomi le mani strette nelle sue.

«Ricordi quando mi hai detto che saremmo tornati alla villa quando avremmo voluto non essere trovati da nessuno, quando avremmo voluto rifugiarci? È stato in quel momento che mi è venuta in mente l’idea per questa casa, una casa solo nostra, dove poter fare davvero quelle cose, dove stare da soli, io e te».

«È bellissima, Nicky», mormorai tirando su col naso. «Ma come hai fatto?».

Lui sorrise: si aspettava quella domanda. «Tuo fratello mi ha dato una mano, anzi forse due… Ha fatto da tramite tra me e l’architetto che abita qui e in questo modo io ho potuto vedere gli schizzi della casa, fare delle modifiche dove le ritenevo necessarie ed essere sempre aggiornato durante la costruzione. Avrei voluto renderti partecipe, siccome è la nostra casa, ma volevo anche che fosse una sorpresa… Spero solo di aver fatto le scelte giuste».

Scossi il capo e gli accarezzai i riccioli che gli ricadevano sulla fronte, accennando un sorriso. «È dannatamente perfetta, anche se…».

«Cosa?», mi domandò con gli occhi sgranati.

Ridacchiai e mi avvicinai al suo viso, le labbra ad un soffio dalle sue. «Ha bisogno soltanto di un po’ di personalità di Nick e Arianna Jonas. E con questo non ti autorizzo ad appendere i poster degli Yankees in salotto, sia chiaro».

Nick scoppiò a ridere e mi strinse in un abbraccio, posando la fronte nell’incavo della mia spalla nuda.
«Ora che ci sei tu, sembra ancora più bella», sussurrò.

Gli posai un bacio fra i capelli e mi appoggiai alla sua testa, immergendo gli occhi nel bagliore della luce lunare riflessa sul mare e lasciandomi cullare dal respiro delle onde che si infrangevano a riva.

 

***

 

Mi lasciai cadere seduta sul letto ed incrociai le gambe, nascoste dalla gonna vaporosa del vestito da sposa. Mi portai le mani sulla nuca e con un po’ di fatica sciolsi lo chignon che mi aveva tirato i capelli per tutto il giorno. Chiusi gli occhi e sospirai sollevata quando li sentii scivolarmi sulle spalle.

Nick, che fino a quel momento mi aveva guardata appoggiato con una spalla alla finestra scorrevole che dava sulla terrazza, si avvicinò e si mise seduto dietro di me. Mi accarezzò i capelli, raccogliendoli dietro le mie spalle, e mi posò un bacio leggero sul collo.

«Sei stanca?», mi domandò in un sussurro.

«Tutte le persone normali sono stanche dopo il giorno del matrimonio… noi ne abbiamo fatti due!».

«Già, hai ragione», ridacchiò.

«Tu non sei stanco?», gli domandai, voltandomi ed accarezzandogli il mento con un dito.

«Un po’», confessò ed iniziò a togliermi le roselline dell’acconciatura dai capelli. «Però potrei stare sveglio a guardarti dormire per tutta la notte, sei troppo bella».

Gli sorrisi e mi accucciai contro di lui, il viso a pochi centimetri dal suo. Aprii la bocca per dirgli qualcosa, ma me la scordai quando le nostre labbra si sfiorarono involontariamente e i suoi occhi non avevano alcuna intenzione di schiodarsi dai miei.
Pensai di morire, col cuore che mi batteva così forte nel petto, ma non accadde nulla.
C’era silenzio, il silenzio del mare, del vento, della luna e della natura che circondava la casa.

E ora? mi domandai mentre un brivido mi correva lungo la schiena.

Era la nostra prima notte insieme da sposati, la prima notte della nostra luna di miele, e mi ero immaginata molte volte come l’avremmo trascorsa, ma in quel momento il mio cervello era diventato poltiglia nel cranio e l’imbarazzo che mi avvolgeva dalla testa ai piedi era quasi insopportabile.
Sapevo che quella sarebbe stata anche la prima volta di Nick, ma per i maschi sembrava così semplice… io, io cosa avrei dovuto fare?

«Ary?».

Improvvisamente tornai a vedere i suoi occhi e sentii la mia faccia andare in fiamme.
«S-Sì?», balbettai, come una vera deficiente.

Lui sorrise amorevole. Realizzai ciò che stava per dire un momento prima che aprisse bocca e gli posai un dito sulle labbra, impedendogli di pronunciare quell’assurda frase. Erano mesi che aspettavo quel momento, non potevo rimandare ancora solo perché avevo… paura. (Paura di che, poi?)

Mi alzai dal letto e gli diedi le spalle. Mi morsi le labbra, guardando il soffitto bianco con gli occhi socchiusi, e mi dissi di calmarmi. Non avevo di che temere, se c’era lui con me.

«Nick…», mormorai infine, senza girarmi.
Lui mi raggiunse, anche se notai qualche tentennamento. Gli porsi le mani e quando afferrai le sue le guidai verso la cerniera del mio corpetto.
Mentre la tirava giù lentamente, accostò il viso al mio e mi baciò lo zigomo, la guancia e la mandibola.

Sentii il vestito cadermi di dosso ed atterrare in maniera soffice sul parquet. Rigida come un manico di scopa, feci attenzione a non pestarlo e mi voltai verso Nick, coprendomi il seno con un braccio.

«Te l’ho mai detto che sei adorabile quando arrossisci?», mi sussurrò, gli occhi luminosi e che trasudavano dolcezza.

«Più o meno tutte le volte», risposi con un fil di voce. Mi scostò il ciuffo di capelli bianchi dalla fronte e mi avvolse in un abbraccio delicato, come se avesse paura di farmi male.
Io mi strinsi a lui con più forza e, prendendola dai fianchi, gli tirai fuori dai pantaloni dello smoking la camicia bianca, per poi infilare le mani sotto di essa e raggiungere la sua schiena.

Nick indietreggiò un po’ alla volta e, anche se me n’ero accorta, rimasi del tutto spiazzata quando si lasciò cadere sul letto ed io finii sdraiata sopra di lui, ad un palmo dal suo viso.

«Ciao», mi sussurrò con un sorrisino divertito, passandomi nuovamente la mano fra i capelli per spostarseli dal viso.

Non risposi, incantata dai suoi occhi, ma dopo qualche secondo iniziai a sbottonargli la camicia, rendendomi miseramente conto di quanto le mie mani stessero tremando.

«Ary, ti amo, lo sai… ti amo oggi e ti amerò domani allo stesso modo, non è obbligatorio, se vuoi possiamo…».

«Shhh», avvicinai le labbra alle sue e le baciai. Nel frattempo finii di slacciargli la camicia e lui se la tolse, sollevandosi un po’, senza però interrompere quel bacio avido.

Mille brividi mi attraversarono il corpo quando tornò con la schiena sul materasso e il mio petto nudo aderì al suo, ma fui certa che fosse capitata anche a lui la stessa cosa, perché quando posò le mani sulla mia schiena non erano più sicure come poco prima.
Ciononostante ci mise poco a riprendere il controllo di sé e con una mossa delicata mi fece sdraiare sul letto, sotto di lui.
Mi guardò intensamente negli occhi ed io ricambiai lo sguardo, per poi lasciarmi andare ad un sorriso. La tensione stava scemando, la sentivo svanire pian piano, sostituita da un amore profondo ed infinito che stava conquistando tutti i miei organi vitali.

Gli passai una mano fra i capelli, invitandolo ad appoggiare la fronte alla mia, e chiusi gli occhi respirando profondamente.
«Sarà bellissimo, già lo so», sussurrai. «Ti amo così tanto, come potrebbe non essere bello?».

Nick sorrise e mi accarezzò il naso col suo. «Sono del tuo stesso parere».

«E allora cosa stiamo aspettando ancora?».

Nick mi baciò sulle labbra e con un mio piccolo aiuto finì di spogliarsi, poi mi fece scivolare sotto le lenzuola candide.

 

***

 

Mi svegliai lentamente e trovai la stanza piacevolmente ombreggiata, nonostante fossi certa che quella mattina il sole splendesse luminoso nel cielo.
Mi girai nel letto e mi stiracchiai, prendendo lentamente possesso delle mie articolazioni. Sospirai felice, socchiudendo di nuovo gli occhi: non mi ero mai sentita così bene in vita mia e sapevo perfettamente chi ringraziare.

Mi voltai e vidi la sua parte di letto sfatta e vuota. Brontolai parole incomprensibili persino a me, pensando che sarebbe stato davvero tutto perfetto se lo avessi trovato al mio fianco al risveglio. Mi sovvenne però anche l’unico motivo plausibile per cui si era alzato – prepararmi e portarmi a letto la colazione – e mi sciolsi in un sorriso, indecisa se tenergli il broncio o meno.

«Oh Nick», biascicai rotolandomi fra le lenzuola, senza riuscire a spegnere quell’espressione felice che mi illuminava il volto. Decisamente non gli avrei tenuto il broncio.

Alla fine mi alzai dal letto e mi infilai la vestaglia di seta chiara che trovai sulla cassapanca ai piedi del letto. Mi accorsi che mio abito da sposa era stato appeso ad un ometto ed era appoggiato al paravento dai temi marini nell’angolo della stanza. Lo accarezzai con la punta delle dita e mi si bloccò il respiro quando pensai alla collana che mi aveva dato mia madre, tanto che mi tastai il collo alla sua ricerca. La vidi sulla piccola scrivania accanto alle porte vetrate e sospirai sollevata, poi uscii in terrazza a respirare l’aria salmastra e a godere della luce del sole che mi riscaldò la pelle.

Mi appoggiai alla ringhiera e guardai il mare, perdendo lo sguardo nelle diverse tonalità del suo blu e lasciando che il vento mi scompigliasse i capelli. Abbassai gli occhi ed incontrai l’azzurro della piccola piscina rettangolare posta di fronte al salotto e la cucina, fino a quando non vidi Nick uscire proprio dalle porte vetrate della cucina con un vassoio tra le mani. Mi tirai indietro per non fargli notare la mia ombra, ma proprio quando stava per salire le scale di pietra che l’avrebbero riportato in terrazza tornò indietro parlando tra sé. Probabilmente si era dimenticato qualcosa. Decisi allora di andargli incontro.

Scesi le scale in fretta, a piedi nudi, e notai un altro angolo molto carino che Nick la sera prima non mi aveva mostrato: proprio tra le porte vetrate della cucina e la piscina vi era una tettoia, sotto la quale c’erano due sedie a sdraio di legno e un tavolino, su cui Nick aveva lasciato il vassoio con la nostra colazione.

Mi sedetti su una sedia e come se nulla fosse presi un bicchiere di succo d’arancia, visto che si era dimenticato proprio del caffè. Sentii i passi di Nick alle mie spalle e quando si arrestarono rimase in silenzio per qualche istante, mentre io sorridevo di nascosto.

«Ary», esclamò infine, con un po’ di nervosismo nella voce. «Io… pensavo che dormissi. Mi dispiace, non avrei voluto che tu ti svegliassi da sola…».

A quelle parole il mio sorriso si allargò e voltai il viso verso di lui, trascinando l’altra sedia di fianco alla mia ed invitandolo a sedersi con un cenno del capo.
Lui non si tirò indietro e, dopo aver messo le due tazze di caffè sul vassoio, appoggiò i gomiti alle ginocchia, sporto verso di me, guardingo.
Io posai il mio bicchiere di succo d’arancia ancora mezzo pieno sul tavolino e gli cinsi il viso con le mani, accarezzandogli gli zigomi con i pollici.

«Ti amo», sussurrai prima di posargli un bacetto sulle labbra.

Lui sorrise e rispose al bacio dandomene altri due, mentre con una mano mi sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«Tutto bene?», mi domandò con gli occhi che gli brillavano.

Chiusi gli occhi e sospirai serenamente, la fronte contro la sua. «Sì, tutto benissimo».

«Hai dormito?».

«Oh mio Dio, Nick, mi ricordi mia madre quando fai così. Sì che ho dormito, come un pascià!».

«Mi fa piacere», ridacchiò. «Perché io, come ti avevo già detto, non sono riuscito a chiudere occhio: sono rimasto tutta la notte a guardarti dormire, talmente eri bella».
I suoi occhi erano ipnotici, non riuscivo a deviarli; non ci fu nulla da fare nemmeno quando aggiunse: «Ho anche pensato e ripensato a quello è successo ‘sta notte e, ti giuro, pensavo di morire ogni volta…».

Ero rossa come un peperone, sentivo la mia faccia andare letteralmente a fuoco, ciononostante risposi: «L’ho provata anche io, la sensazione di morire: ad ogni tuo bacio sulla pelle, ogni volta che mi sfioravi, in ogni momento. Tu non sai quante volte ho sognato questa notte, eppure… ciò che è successo non è nemmeno lontanamente paragonabile a tutte le mie fantasie».

Nick premette le labbra contro le mie. «Ti amo da morire, lo sai vero?».

«Sì, lo so». Gli infilai le mani tra i capelli e ricambiai il bacio.

 


Facemmo colazione all’aperto, in quell’angolo di paradiso che sarebbe diventato, ben presto, il mio preferito di tutta la casa. Ce la prendemmo comoda, perché non avevamo orari da rispettare e potevamo fare tutto quello che volevamo: per quindici giorni, il mondo avrebbe dovuto seguire solo i nostri desideri.
Ci furono momenti in cui non smettevamo un attimo di parlare e le nostre voci addirittura si sovrapponevano, in cui ridevamo fino a farci venire mal di pancia, oppure momenti in cui il silenzio ci avvolgeva e, mano nella mano, restavamo incantati a guardare il mare, la costa rocciosa e le onde infrangersi sulla battigia.

All’incirca all’ora di pranzo, quando avevamo ormai deciso di rifugiarci di nuovo nella nostra camera e poi chissà, sentimmo il campanello suonare.
Ci guardammo con tanto d’occhi, increduli, e Nick si diresse alla porta, mentre io mi stringevo di più nella mia vestaglia di seta.

Fu una vera sorpresa per entrambi trovarci di fronte Davide, mio fratello, perché sia io che Nick pensavamo che fosse già tornato nell’altra dimensione con Joe, Kevin e Ale.

«Scusatemi tanto ragazzi, non avrei mai voluto disturbarvi, ma… credo ci sia un problema».

«Che tipo di problema?», domandai dalla soglia della cucina, preoccupata.

Davide fece un passo di lato e dietro di lui scorsi la figura di un ragazzo che avevo già visto. Quando lo riconobbi, provai un tuffo al cuore e un’altra sensazione strana, come… sì, come se avrei dovuto aspettarmelo.

«Edoardo», mormorai.

«Come?», Nick strabuzzò gli occhi. «Edoardo… il fratello di Alessandra?».

Annuii con un movimento lento del capo e mi strinsi al suo fianco, guardando ancora una volta quel ragazzo dagli occhi verdi, nei quali lessi la stessa paura, lo stesso abbandono e lo stesso rifiuto nei confronti della sua natura che avevo provato anche io, esattamente come lui, quando avevo scoperto di avere quello strano dono.

Sapevo che la sua vita da quel giorno in poi sarebbe cambiata, ma sapevo anche che questa poteva riservargli delle sorprese ed offrirgli delle occasioni che, proprio com’era successo a me, potevano renderla più bella.

 

 

The end

 

____________________________________________

 

Oh, che tristezza ç_ç 
Buonasera! Questo capitolo lunghetto è, come avete sicuramente notato e come già sapevate, l'ultimo! Come vi è sembrato? :3
Pff, direte che sono perfida perchè ho lasciato una questione in sospeso proprio sul finale, ma sapete... mi piace lasciare un po' in sospeso... non si sa mai ;)
Spero davvero che vi sia piaciuto comunque. 
Voglio ringraziare tutti, ma davvero tutti quelli che hanno seguito questa FF nata da un sogno, presa come un gioco e poi diventata sempre più importante col tempo :) Non è molto impegnativa e la mia conoscenza dei Jonas è pessima, ma diciamo che ne sono soddisfatta :)
Mi scuso ancora per gli enormi periodi di silenzio che vi ho fatti patire, ma sono orgogliosa delle persone che ci sono sempre state con recensioni o altro ;)
Quindi, che dire... Ad un'altra FF! :D
Ricordo che c'è la mia pagina facebook (il link in blu), dove potrete trovare me, ovviamente xD ma anche anteprime, news sulle mie FF e molte cose che riguardano le mia fanfiction, tra cui foto e video... *w*

Okay, mi dileguo u.u Baci a tutti!
Ary

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_