Capitolo 20
Ogni
tanto ci avevo provato a teletrasportarmi dove si trovava Nick, ma
l’avevamo capito subito che era troppo difficile e rischioso:
uno, non sapevo mai dove andavo a finire perché non
conoscevo il luogo; due, prima o poi avrei finito per apparire
improvvisamente di fronte a qualcuno e non sarebbe stato bello.
Quindi avevo lasciato perdere, arrendendomi al fatto che dovevo stare
lontana da Nick per i mesi in cui i Jonas Brothers promuovevano il loro
nuovo album e suonavano ogni sera in una città diversa del
mondo.
Io potevo pure avere il dono del teletrasporto, anche fra dimensioni,
ma ero certa che Nick avesse visto molti più paesi di me nel
corso della sua carriera.
Comunque
questo allontanamento forzato non fu solo una sofferenza,
perché riuscii a concentrarmi di più sulla scuola
e la mia media magicamente si risollevò, tanto da darmi
qualche speranza di essere ammessa all’esame finale della
highschool. Inoltre, ebbi anche più motivazioni per aiutare
le persone nell’altra dimensione: in poche parole, per non
sentirmi troppo sola e non pensare a quanto mi mancasse, mi davo al
“volontariato” e trasportavo di qua e di
là la gente.
Le
cose sotto quel punto di vista andavano benissimo, perché
ormai io, mio fratello e Fiore ci avevamo preso l’abitudine e
portare la gente a casa non era più un problema per noi.
L’aeroporto dimensionale funzionava benissimo, gestito da
quelle persone che, vuoi perché lì si erano
rifatte una nuova vita o non avevano niente da spartire con
l’altra dimensione, non avevano intenzione di tornare a casa.
A
volte era persino capitato che qualcuno aspettasse di essere portato a
casa e poi una volta arrivato là si rendesse conto che non
c’era più niente di suo, che era stato cancellato
come se non fosse mai esistito, e per non causare altro dolore si
presentava a casa nostra e chiedeva di essere riportato
nell’altra dimensione.
La maggior parte delle volte il nostro lavoro andava a buon fine, ma
c’erano anche quei tristi casi che ogni volta ci facevano
cadere una pietra sul cuore.
Il
nostro era un servizio assolutamente gratuito, ma era ormai diventata
un’abitudine per i “trasportati” fare
un’offerta di qualsiasi genere all’aeroporto
– cesti di frutta, torte e pasticcini, denaro, case che
sarebbero rimaste inabitate, altre proprietà – che
poi venivano distribuite fra il comune del paesino e tutti i dipendenti
della grande struttura.
Per
me era arrivato ad essere un vero e proprio lavoro che a volte mi
impegnava fino alla sera tardi, e nonostante mi fossi sempre rifiutata
di ricevere un compenso dal comune del paesino in cui agivo, ma in cui
si erano riversate tantissime persone anche da altri paesi per
richiedere i moduli per tornare a casa, il sindaco in persona aveva
aperto un conto corrente a mio nome in banca, su cui depositava ogni
mese il mio “stipendio”.
Comunque,
in quei mesi che precedettero il giorno fatidico, la mia vita divenne
più abitudinaria e furono poche le cose che la sconvolsero,
come per esempio un ritorno improvviso ad Hollywood di Nick e dei suoi
fratelli a causa di un piccolo concerto organizzato a Los Angeles da
uno dei loro innumerevoli sponsor.
Fu
una serata che non avrei dimenticato facilmente, perché dopo
il concerto eravamo andati in un locale molto esclusivo per fare il
nostro “after party” e per la prima volta avevo
visto Joe ubriaco. Nick mi aveva detto che non succedeva spesso,
perché tutti e tre erano attenti a quelle cose, ma quando
accadeva… c’era da divertirsi. E come aveva
ragione! Joe aveva ballato sui tavoli, aveva rovesciato addosso ad Ale
un bicchiere ancora mezzo pieno e le aveva sparate grosse, tanto che
l’avremmo preso in giro per l’eternità.
La
seconda cosa che spezzò la calma piatta – e un
po’ malinconica – che avevo vissuto in quel
periodo, fu la scomparsa, seppur di soli due giorni, di Edoardo, il
fratello minore di Ale.
Accadde un giorno qualunque: uscì di casa per andare a
scuola e non vi ritornò per tutto il giorno. Non aveva
avvisato nessuno, i suoi genitori e sua sorella stettero in piedi tutta
la notte ad aspettarlo e quando all’alba non lo videro ancora
tornare, chiamarono la polizia per denunciarne la scomparsa.
La
mia migliore amica mi chiamò al cellulare alle cinque e
mezza del mattino, facendomi carambolare giù dal letto, e
non ci fu nemmeno bisogno di spiegarmi tutto quanto: in quattro e
quattr’otto la raggiunsi e rimasi con lei per tutto il tempo,
liberandomi dal suo abbraccio stritolatore solo una volta, per chiamare
Nick al cellulare ed avvisarlo dell’accaduto.
Sarebbe
dovuto passare un altro giorno perché Edoardo si facesse di
nuovo vivo a casa, in uno stato di shock e di semi-mutismo. Preoccupati
e spaventati da ciò che avrebbe potuto essergli accaduto, i
suoi genitori avrebbero voluto portarlo all’ospedale, ma lui
si rifiutò, dirigendosi in cucina, prendendo dalla credenza
un po’ di cose da mangiare e una bottiglia di Coca Cola e
rifugiandosi nella sua camera.
Non
aveva detto nulla a proposito della sua strana sparizione e non
sembrava intenzionato a parlarne, nemmeno con sua sorella, con cui si
era quasi sempre confidato. Avevano solo due anni di differenza e il
loro rapporto era sempre stato buono, ma il comportamento che ebbe
quella sera fu davvero incomprensibile, a me come a lei.
Ale aveva provato in tutti i modi a farlo aprire, rassicurandolo, ma
non era riuscita a cavare un ragno dal buco. Io, che avevo seguito
tutto da dietro la porta, avevo sbirciato all’interno della
camera sentendo uno strano silenzio e avevo visto Ale alzarsi e
raggiungermi sconsolata e con i segni delle lacrime ancora sulle
guance. L’avevo consolata e prima di accompagnarla in cucina
incontrai per un attimo solo lo sguardo di Edo: sembrava
così impaurito, confuso e solo… Un’idea
mi aveva attraversato il cervello come un lampo a ciel sereno, ma
l’avevo subita catalogata come improbabile e non ci avevo
pensato oltre.
Se avessi fatto meglio a pensarci, se avessi almeno provato a parlare
con lui, l’avrei scoperto solo qualche mese dopo.
***
La
mattina del fatidico giorno, mi alzai dal letto con delle orribili
occhiaie sotto agli occhi: non avevo dormito tutta notte e quelli erano
i disastrosi risultati.
Scesi in salotto e trovai mia madre seduta sul divano, che accarezzava
con sguardo perso le rose color rosa pallido cucite sulla vita del mio
vestito da sposa. Mi appoggiai alla parete con la spalla, chiedendomi a
che cosa stesse pensando.
«Mi
ricordo come se fosse ieri il giorno in cui io e tuo padre ci siamo
sposati», disse all’improvviso, come se mi avesse
letto nel pensiero. Potei soltanto immaginare il sorriso commosso che
aveva sul viso, dato che mi dava le spalle.
«E adesso sei tu a doverti sposare… tesoro,
è passato così tanto tempo da
allora…».
«Ma
voi siete sempre rimasti gli stessi, nel bene e nel male».
Si
voltò e mi guardò negli occhi, sistemandosi gli
occhiali sul naso. Mi fece cenno di raggiungerla e mi sedetti sul
bracciolo del divano per stringerla in un abbraccio.
«Non piangere, mamma…».
«Ti
ho vista crescere sotto i miei occhi, sbocciare come un fiore, e sono
così orgogliosa di ciò che sei
diventata… amore, ho una cosa da darti».
La
guardai mentre si alzava e raggiungeva la cucina, prendeva una
scatoletta infiocchettata da sopra il tavolo e me la portava.
«Tutte le donne della mia famiglia l’hanno
indossata al loro matrimonio e ora tocca a te».
Aprii
la scatoletta con le mani un po’ tremanti e al suo interno
tolsi la carta velina un po’ ingiallita che conservava
gelosamente una collana di piccoli diamanti quadrati che univano
diamanti a goccia di diverse dimensioni, tra cui il più
grande si trovava al centro.
Il fiato mi si mozzò in gola e a stento riuscii a dire:
«È bellissima…».
Mia
madre si alzò e la tirò fuori dalla scatola. La
luce del sole del mattino si infranse nei diamanti e ne vidi i riflessi
sul suo viso. Si mise alle mie spalle e mi disse di sollevare i capelli
per mettermela al collo.
«Ma
sono ancora in pigiama, mamma…», provai ad
obbiettare, ma non me lo permise: «Voglio solo vedere come ti
sta».
Allora me l’allacciò al collo e posò le
mani sulle mie spalle per voltarmi ed osservarmi.
Una
lacrima le sfuggì dall’occhio destro.
«Oh tesoro…».
L’abbracciai
delicatamente e posai la guancia contro la sua, sentendomi davvero
felice di aver preso la scelta migliore, quella di sposare Nick.
Quando
mia madre si calmò, misi qualcosa sotto i denti e intanto
mio padre e mio fratello si svegliarono, raggiungendomi in cucina. Con
Davide avevo parlato pochissime volte del matrimonio, ma quella mattina
bastò uno sguardo per capire che era contento per me.
Poi
arrivò la parrucchiera, amica di mia madre, che mi avrebbe
acconciato i capelli per la funzione. Così fui costretta a
dedicarmi alla parte più noiosa di quella giornata: la
preparazione della sposa.
Dovetti indossare il mio abito e appena me lo vidi addosso, esattamente
come la prima volta in cui l’avevo provato, sentii mille
brividi corrermi sulla schiena.
Mentre
la parrucchiera si occupava dei miei capelli, mia madre ebbe
l’idea di farmi il trucco, ma per fortuna arrivò
Ale appena in tempo ad evitare il disastro.
La mia migliore amica era paradossalmente ancora più agitata
di me, ciononostante rese il mio viso perfetto, delicato e luminoso
come baciato dalla luna, e limando e lucidando le mie unghie, sempre un
po’ trascurate, le rese bellissime, facendo una semplice
french bianca e dipingendo dei piccoli fiori rosa chiaro sugli angoli.
Quando
finalmente uscii dal bagno, mio padre e mio fratello stentarono a
riconoscermi.
«Bocciolino,
sei bellissima», disse mio padre, anche lui con un
po’ di occhi lucidi, nel suo completo grigio così
elegante e così insolito per i miei occhi.
Abbassai
il capo, imbarazzata, e sussurrai dei ringraziamenti. Mio fratello
avrebbe voluto abbracciarmi, ma Ale glielo vietò
severamente, dicendogli che avrebbe
sicuramente rovinato la sua
opera d’arte. Allora Davide si limitò a sorridermi.
«Okay,
allora siamo pronti?», domandò mia madre,
porgendomi il bouquet.
La
guardai da capo a piedi e anche lei si accorse che era ancora in tuta
da ginnastica. Si portò le mani nei capelli e corse a
cambiarsi.
***
Nick
fu uno dei primi, insieme alla sua famiglia, ad arrivare
all’anonima chiesetta della cittadina in cui abitava la sua
futura sposa, dove avevano deciso di sposarsi, quel giorno addobbata
con un’infinità di fiori bianchi.
Pian
piano aveva visto la panchine riempirsi e aveva salutato più
parenti ed amici che poteva, poi, quando fu quasi l’ora, si
riservò un momento di solitudine per calmare il cuore che
gli batteva nel petto a velocità folle.
Si
rifugiò nella stanza in cui solitamente si preparavano il
prete e i chierichetti e si portò le mani sul viso.
Non
poteva fare a meno di essere agitato, anche se sposare Ary era la cosa
che desiderava di più al mondo. Erano entrambi
così giovani, avevano tutta la vita davanti e in quel
momento più che mai ebbe paura di non farcela, di non
riuscire a conciliare il suo amore per lei e ciò che sarebbe
venuto dopo la loro unione in matrimonio e la sua vita da musicista,
così frenetica e che lo portava assiduamente lontano da casa.
Forse aveva avuto ragione Ary, quella volta in cui gli aveva detto che
era troppo giovane per sposarsi. Forse sarebbe stato meglio annullare
tutto, rimandare tutti gli invitati a casa e rispedire indietro tutti
quei fiori dal profumo dolce.
Sentì
la maniglia della porta abbassarsi e Joe comparire sulla soglia. Il
chiacchiericcio di tutti gli invitati raggiunse le orecchie di Nick
insieme alle parole di suo fratello:
«Ale mi ha mandato un sms, dice che stanno
arrivando».
«Oh,
perfetto», mormorò Nick, lasciandosi andare ad un
tremito e ad un sospiro di nervosismo.
Joe
fece un sorrisino e raggiunse il fratello, appoggiandosi al muro al suo
fianco. «Ci stai ripensando, per caso?».
«No,
io… no, non credo…».
«È
solo la fifa pre-matrimonio. O hai paura che Ary scopra quello che
abbiamo fatto per il tuo addio al celibato?».
Nick
sogghignò. «Io
non ho fatto proprio niente, sei tu che dovresti aver paura che Ale lo
scopra».
Joe
diventò paonazzo. «Ero mezzo ubriaco, sai come
divento…».
«Ti
sembra una buona scusa? Ti sei messo a ballare sul cubo con una
spogliarellista! Io e Kevin non riuscivamo più a tirarti
giù!».
I
due fratelli si guardarono negli occhi per qualche secondo in silenzio,
poi scoppiarono a ridere contemporaneamente.
«Forza,
andiamo», disse Joe, dandogli una pacca di conforto sulla
schiena. «O vuoi che Ary arrivi prima di te
all’altare?».
Nick,
decisamente più tranquillo, seguì il fratello
maggiore e si sistemò di fronte all’altare, vicino
al prete che avrebbe recitato la funzione, con il quale,
nell’attesa, scambiò qualche parola.
Inoltre,
Nick adocchiò la madre e il fratello di Ary entrare in
chiesa e raggiungere i loro posti in prima fila, insieme ad Ale, che si
mise seduta accanto a Joe.
Quella che tra poco sarebbe diventata sua suocera gli sorrise raggiante
incrociando il suo sguardo, anche se aveva gli occhi già
umidi di lacrime. Nick ricambiò e finalmente un pesante
silenzio cadde su tutti i presenti, che si voltarono verso
l’entrata della chiesa.
***
Prima
di scendere dall’auto, osservai la facciata della chiesa che
da bambina avevo frequentato ogni domenica e nella quale ora mi sarei
sposata.
Sentii
i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e mi portai una mano
sul petto, percependo le pulsazioni appena sotto la pelle, come se
stesse spingendo per fare un buco e scappare via. Anche io avrei voluto
farlo, avrei voluto teletrasportarmi nell’altra dimensione ed
iniziare a correre sulla spiaggia, con i piedi nell’acqua del
mare e bagnandomi tutto il vestito, ma al solo pensiero che io e Nick
stavamo per unirci in quel legame così forte ed intimo,
scossi il capo e mi costrinsi a cacciar via tutta la paura.
Mio
padre aprì la portiera dell’auto e mi porse la
mano per aiutarmi a scendere. L’afferrai saldamente e
controllai che le rose sul mio vestito non si fossero spostate, poi
respirai profondamente ed iniziai a salire i gradini che portavano
all’entrata.
***
La
vide alla fine della navata, che camminava a braccetto con suo padre.
Rimase sempre più senza fiato man mano che si avvicinava,
mentre i particolari del suo vestito, del suo viso, dei suoi capelli,
diventavano più chiari.
Il corpetto color rosa pallido e ricamato finemente con temi floreali
metteva in risalto le sue forme equilibrate e la gonna di seta bianca,
con i drappeggi trasparenti fermati da piccole rose dello stesso color
rosa pallido, era semplicemente incantevole.
I capelli biondi erano raccolti in uno chignon, anche se qualche
ricciolo le ricadeva sulle spalle nude, ed erano adornati da piccole
roselline che richiamavano quelle sul suo vestito.
Infine, aveva un po’ di mascara sulle ciglia e un
po’ di ombretto sulle palpebre, che era un misto fra
l’argento e il rosa pallido che richiamava il colore del suo
vestito. Per il resto il suo viso era bello come al solito, anche se
più luminoso e vivo, nonostante il trucco acqua e sapone. Ma
non c’entrava nulla il trucco, perché quando Nick
le tolse il velo dal viso rimase ancora più incantato dalla
luce che aveva negli occhi: era felice, per quello era ancora
più bella.
In
quegli occhi Nick lesse le stesse sue paure, ma scorse anche la
certezza che il loro futuro non doveva incutergli alcun timore,
perché insieme avrebbero superato qualsiasi ostacolo.
Si sorrisero, trattenendosi per non scoppiare a ridere a causa della
loro stupidità, e si scambiarono poche parole colme
d’imbarazzo e d’amore, poi il prete
iniziò ufficialmente la celebrazione.
***
La
funzione era durata più di quanto mi aspettassi e avevo
dovuto sforzarmi parecchio per non sbadigliare quando ne sentivo la
necessità. Per fortuna al mio fianco c’era sempre
stato Nick: un solo sguardo e tutto poteva prendere una sfumatura
diversa, dall’emozionante al divertente.
Quando finalmente era arrivato il momento clou, ossia quello dello
scambio delle fedi e della promessa, tirai un sospiro di sollievo. Mio
fratello Davide aveva fatto da paggetto, attraversando la navata
centrale per portarci le fedi, e mi aveva fatto così tanta
tenerezza quando era arrossito che avrei voluto mollare tutto e correre
ad abbracciarlo.
Però alla fine mi ero trattenuta, perché mancava
ancora la parte più importante, quella del
«Sì, lo voglio», la parte che fece
scoppiare a piangere mia madre, la madre di Nick, Ale e persino Joe.
Era stata davvero dura non scoppiare a ridere nemmeno dopo aver visto
le sue lacrime, ma fortunatamente ce l’avevamo fatta giusto
il tempo necessario per sentir dire: «Ora può
baciare la sposa» e reprimere quella risata l’uno
sulle labbra dell’altro.
Uno scroscio d’applausi ci aveva accompagnati fino
all’esterno della chiesa e una volta fuori fummo inondati da
una pioggia di chicchi di riso che ci finirono tra i capelli e tra i
vestiti.
Il
fotografo che mio padre aveva ingaggiato ci girava intorno,
scontrandosi con la concorrenza: il padre di Nick, il quale aveva
voluto essere il fotografo d’eccezione per
quell’occasione.
Avremmo dovuto fare pure due album fotografici, come se i due matrimoni
che avevamo programmato non fossero stati abbastanza. Io e Nick,
infatti, avevamo deciso che il nostro matrimonio sarebbe stato
celebrato in due luoghi diversi: il primo nella nostra dimensione
d’appartenenza, il secondo nella dimensione nella quale ci
eravamo incontrati ed era nata la nostra storia, quella che ci aveva in
qualche modo adottati.
Il
tempo di andare al ristorante, mangiare e festeggiare ancora con i
nostri parenti e i nostri amici, e ci preparammo per andare
nell’altra dimensione.
Con noi sarebbero venute le persone strettamente necessarie,
perché non era necessario che tutti assistessero ad entrambe
le celebrazioni e poi perché avrebbe dovuto pensarci solo
Davide a riportarle indietro. Quindi vennero solo Kevin, Joe, Ale e
ovviamente mio fratello.
Con
delle scuse i diretti interessati si allontanarono dalla festa, con i
miei familiari come complici, e facendo attenzione a non farci vedere
ci teletrasportammo nell’altra dimensione, alla villa dei
Jonas.
Erano quasi le quattro del pomeriggio e fuori dalla villa
c’erano già due auto che attendevano il nostro
arrivo.
«Ci
vediamo là», disse Nick, prendendomi fra le
braccia e baciandomi in una specie di casquet.
Il cuore mi rimbombò nelle orecchie, pensando che ormai
eravamo marito e moglie, e ricambiai al bacio come se fosse stato il
primo.
«Forza
Nick, andiamo. Avrai tempo di spupazzartela durante la luna di
miele!», gridò Joe, trascinandoselo dietro
tirandolo per un braccio.
I
nostri sguardi non si separarono, nonostante il rossore che si era
impadronito delle nostre guance. Lo guardai uscire dalla porta, andare
all’auto ed allontanarsi lungo il sentiero nella fitta
vegetazione.
«Signorina,
lei è pronta?», domandò
l’uomo che evidentemente doveva essere il mio autista.
«Ahm…
sì, però dovrei chiederle un favore».
L’uomo
si accigliò, in attesa, ed io sorrisi.
Scesi
dall’auto ringraziando ancora una volta l’autista,
entrai nel cimitero e camminai tra le tombe, tenendo un po’
sollevato il vestito per non sporcarlo d’erba. Raggiunsi la
sua tomba e sorrisi amaramente, guardando la foto che la ritraeva bella
e felice, coi capelli rossi che le incorniciavano il viso chiaro.
«Ciao,
Charlotte», sussurrai con le lacrime agli occhi. Ma non
dovevo piangere, non potevo. Così tirai su col naso ed
accennai un altro sorriso.
«Probabilmente già lo sai, ma io e Nick ci stiamo
per sposare. Beh, tecnicamente siamo già sposati,
però nell’altra dimensione. Comunque…
volevo passare a dirtelo di persona e a salutarti… Ci
manchi, lo sai? Ogni tanto Nick ti pensa. Lui non lo
ammetterà mai, però io lo so che qualche volta lo
fa: i suoi occhi cambiano, si allontanano… Se hai tempo, da
lassù o da dove ti trovi adesso, potresti guardarci. Saresti
stata la prima invitata al matrimonio, anche se non so se tu saresti
venuta. Mi avrebbe fatto davvero piacere. Vorrei che tu… che
tu fossi ancora qui».
Tirai
di nuovo su col naso ed abbassai lo sguardo, incontrando i fiori del
mio bouquet. Non avrei dovuto farlo, ma lo feci comunque: li posai
sulla sua tomba, sicura che lei sarebbe stata la persona più
adatta a riceverli, perché se li meritava.
Dopo quella mia breve fermata,
l’autista mi portò fino alla chiesa del paesino e
rimasi scioccata quando vidi tutte le persone del posto riunite nelle
strade, nella piazza e di fronte alla chiesa: stavano aspettando solo
noi, perché tutti avrebbero voluto partecipare al
matrimonio, ma non era possibile stare tutti riuniti nella piccola
chiesa.
Salutai
con la mano tutti quelli che riuscivo a riconoscere nella folla,
sentendomi una vera principessa, e quando l’autista si
fermò e fece faticosamente il giro dell’auto per
venire ad aprirmi la portiera il boato che dall’interno avevo
sentito in modo solo attutito, mi colpì le orecchie,
facendomi temere per il mio povero udito. Ma c’era
così tanta gioia in quelle urla, così tanto
entusiasmo in quegli applausi e in quei fischi, che non potei fare
altro che sorridere imbarazzata e sollevare una mano per salutare
ancora la folla.
Strabiliante come fossi divenuta importante per loro, mentre nella mia
dimensione ero appena diventata “qualcuno” sposando
Nick Jonas dei Jonas Brothers.
Vidi
Alessandro, che avrebbe sostituito mio padre, farsi spazio tra la folla
per venire a prendermi e gli sorrisi raggiante.
«Wow, sei proprio sexy in giacca e cravatta!»,
dissi.
«Cosa?
Non sento niente!», gridò lui, porgendomi il
braccio. All’interno della chiesa era già iniziata
la musica di accompagnamento alla marcia nuziale.
«Te
lo dico dopo!».
Il
matrimonio si ripeté ancora una volta, ma fu bellissimo
vedere riunite tutte le persone che avevo conosciuto durante
l’avventura in quella dimensione parallela, che mi avevano
aiutata nei momenti difficili e che amavo.
C’erano
le due cheerleader amiche di Charlotte, c’erano Fiore e
Alessandro, c’era il sindaco (che qualche mese prima mi aveva
eletta cittadina onoraria), c’erano tutti i dipendenti
dell’aeroporto dimensionale, e c’era persino il
gigante buono che dopo la sconfitta della vecchia megera era diventato
il migliore amico di tutti i bambini del paese.
La
festa che i paesani ci avevano organizzato era completamente
all’aria aperta, nella piazza principale, dove
c’era un piccolo palco su cui suonava una band di musica
blues e persino una zona in parquet dove ballare. Ovviamente, io e Nick
dovettimo aprire le danze.
Non
mi ero mai divertita tanto in vita mia e il momento in assoluto
più bello fu quando Nick sorprese tutti e salì
sul palco, scambiando qualche parola con la band.
Con un cenno del capo mi invitò a seguirlo ed io, un
po’ impacciata a causa del vestito, mi aggrappai alle sue
mani per paura di inciampare. Nick mi sorresse come solo lui sapeva
fare e mi fece sedere accanto a lui sul lungo sgabello di fronte al
pianoforte.
Mi
guardò dolcemente e avvicinò la bocca al
microfono per sussurrare: «Solo per te, amore. Ti
amo».
Già
in quel momento avrei voluto scoppiare a piangere, ma mi trattenni per
tutta la durata della bellissima canzone che aveva scritto solo ed
esclusivamente per me. Finalmente anche io ne avevo una ed era la
più bella che avessi mai sentito: rappresentava il cuore di
Nick, la sua intera anima… e io ne facevo parte.
Uno
scroscio di applausi e di fischi ci investì quando anche le
ultime note si dispersero nel vento ed io gli gettai le braccia al
collo, stringendolo fortissimo a me.
«E
questa è solo una fra le tante che ho scritto per te, lo
sai», mormorò con le labbra premute sul mio
orecchio.
«Tu
sei pazzo, ma ti amo da morire Nick. Grazie, grazie di tutto».
Lui
rise e mi prese il volto fra le mani, poi mi baciò, facendo
aumentare di diversi decibel i suoni di gradimento prodotti dalla
folla.
La
festa durò ancora a lungo, tanto che quando la notte prese
il sopravvento sul giorno e la luna piena iniziò a brillare
nel cielo blu, quasi nessuno era già tornato a casa.
Da tradizione, noi ce saremmo dovuti andare per primi e così
facemmo, salutando con un cenno della mano Ale e Joe che si scatenavano
sulla pista da ballo, dando una pacca sulla spalla a Kevin e rivolgendo
sorrisi e ringraziamenti a chiunque incontrassimo sulla nostra via.
Nick corse ad aprirmi la portiera dell’auto bianca, sulla cui
cappotta c’era disegnato un cuore enorme, e mi fece salire;
poi raggiunse il posto di guida e partì alla volta della
villa dei Jonas, mentre io ancora mi intrattenevo a salutare tutti
quelli che potevo sporgendomi dal finestrino.
Lentamente
le luci e i suoni della festa si affievolirono alle nostre spalle e
rimanemmo soli. Guardai il profilo di Nick e sorrisi, portandomi un
dito alle labbra.
«Che
c’è?», mi domandò, contagiato
dalla mia ilarità.
«Niente,
stavo giusto realizzando che adesso siamo marito e moglie».
Un
po’ scettico, sollevò il sopracciglio.
«E ti fa ridere?».
«Non
rido perché lo trovo divertente, ma perché tutta
la gioia che ho dentro deve pure esternarsi in qualche modo!».
Nick
si limitò ad allargare ancora di più il suo
sorriso e a scuotere il capo.
Mi
accorsi che aveva preso il sentiero sbagliato e gli posai una mano sul
braccio per avvertirlo, ma non ebbi nemmeno il tempo di parlare,
perché lui disse subito: «Non ho sbagliato strada.
Fidati di me».
Interdetta,
unii le mani sulla gonna del vestito e rimasi in silenzio ad osservare
il suo viso tranquillo e sereno baciato dalla luce della luna, gli
occhi luminosi fissi sulla strada.
Prese
un sentiero leggermente in discesa, questo voleva dire che ci stavamo
avvicinando di più alla spiaggia. Ben presto tra la fitta
vegetazione vidi il profilo del mare che brillava e riuscii persino a
scorgere, strizzando gli occhi, il fianco di una casa, o di un capanno
da spiaggia, fatto di tegole chiare e porte vetrate.
Nick
parcheggiò meglio che poté, tirando anche il
freno a mano, e si voltò verso di me per dirmi qualcosa, ma
io lo precedetti: «Dove siamo?».
Lui
sorrise come se avessi detto la cosa più divertente del
mondo, poi scese dall’auto e fece il giro per aprirmi la
portiera. Quel giorno gli altri l’avevano fatto
così tante volte per me che avrei finito per abituarmici!
«Mademoiselle»,
disse porgendomi la mano, «se vuole
seguirmi…».
L’afferrai,
anche se non del tutto convinta, e camminai dietro di lui stando
attenta a dove mettevo i piedi. Per fortuna ad un certo punto, tra gli
arbusti e i cespugli in fiore, intravidi un sentiero composto da grosse
pietre posizionate a mo’ di scalini.
Raggiungemmo la struttura in legno immersa nella natura e senza nemmeno
darmi il tempo di capire, Nick mi prese in braccio e mi
portò all’interno della casa facendo scorrere una
delle portefinestre.
«Che…
che vuol dire tutto questo?», domandai quando mi
lasciò tornare con i piedi per terra, anche se ancora non
avevo sciolto la presa intorno al suo collo.
«Che
siamo arrivati a casa», rispose candidamente, ad un soffio
dalle mie labbra.
Mi
voltò verso il salotto e rimasi senza fiato: il pavimento e
parte delle pareti erano in legno, vi era un grande divano ad L color
del grano e di fronte ad esso, oltre allo schermo piatto della TV, vi
erano diverse finestre che davano sul mare che luccicava sotto i raggi
della luna.
«Mio
Dio, è… è magnifico».
«E
non hai ancora visto la camera da letto», sussurrò
ad un soffio dal mio orecchio. Sentii la faccia andarmi a fuoco
all’istante, anche a causa della malizia che avevo percepito
in quelle parole.
Mi
portò con sé al piano superiore e quando
arrivammo nella camera da letto pensai davvero di morire.
Amante com’ero della libertà, dell’aria
aperta e del mare, quella stanza era un mio sogno divenuto
realtà. L’unica parete che poteva definirsi tale
era quella a cui si appoggiava la testata in legno del letto
matrimoniale, per il resto erano tutti finestroni che facevano entrare
un sacco di luce e davano su una grande terrazza in legno che
probabilmente circondava tutto il secondo piano e dalla quale si poteva
godere di una vista fantastica sul mare, gli scogli e la spiaggia.
«Ma
non è tutto», disse, tirandomi fuori dallo stato
di trance in cui ero caduta. «Vieni, qui
c’è il posto che preferisco».
Tenendo
forte la sua mano lo seguii fuori, sulla terrazza, e rimasi incantata a
guardare il panorama fino a quando non mi strattonò un
po’ e mi costrinse a camminare. Raggiungemmo la parte opposta
della terrazza e ci fermammo sotto una tettoia: era un angolo protetto,
molto intimo, con una panca dai cuscini viola da un lato e di fronte la
splendida vista che era capace di affascinarmi ogni volta che vi posavo
lo sguardo.
«Allora,
che ne dici?».
Sollevai
gli occhi fino ad incrociare i suoi e non riuscii ad emanare alcun
suono. Lui mi rivolse un sorriso tenero e portò le mani ai
lati del mio viso, dove si preoccupò anche di asciugare una
lacrima di cui non mi ero nemmeno resa conto.
Mi spinse delicatamente verso la panca e mi fece sedere, poi si
inginocchiò di fronte a me, tenendomi le mani strette nelle
sue.
«Ricordi
quando mi hai detto che saremmo tornati alla villa quando avremmo
voluto non essere trovati da nessuno, quando avremmo voluto rifugiarci?
È stato in quel momento che mi è venuta in mente
l’idea per questa casa, una casa solo nostra, dove poter fare
davvero quelle cose, dove stare da soli, io e te».
«È
bellissima, Nicky», mormorai tirando su col naso.
«Ma come hai fatto?».
Lui
sorrise: si aspettava quella domanda. «Tuo fratello mi ha
dato una mano, anzi forse due… Ha fatto da tramite tra me e
l’architetto che abita qui e in questo modo io ho potuto
vedere gli schizzi della casa, fare delle modifiche dove le ritenevo
necessarie ed essere sempre aggiornato durante la costruzione. Avrei
voluto renderti partecipe, siccome è la nostra
casa, ma volevo anche che fosse una sorpresa… Spero solo di
aver fatto le scelte giuste».
Scossi
il capo e gli accarezzai i riccioli che gli ricadevano sulla fronte,
accennando un sorriso. «È dannatamente perfetta,
anche se…».
«Cosa?»,
mi domandò con gli occhi sgranati.
Ridacchiai
e mi avvicinai al suo viso, le labbra ad un soffio dalle sue.
«Ha bisogno soltanto di un po’ di
personalità di Nick e Arianna Jonas. E con questo non ti
autorizzo ad appendere i poster degli Yankees in salotto, sia
chiaro».
Nick
scoppiò a ridere e mi strinse in un abbraccio, posando la
fronte nell’incavo della mia spalla nuda.
«Ora che ci sei tu, sembra ancora più
bella», sussurrò.
Gli
posai un bacio fra i capelli e mi appoggiai alla sua testa, immergendo
gli occhi nel bagliore della luce lunare riflessa sul mare e
lasciandomi cullare dal respiro delle onde che si infrangevano a riva.
***
Mi
lasciai cadere seduta sul letto ed incrociai le gambe, nascoste dalla
gonna vaporosa del vestito da sposa. Mi portai le mani sulla nuca e con
un po’ di fatica sciolsi lo chignon che mi aveva tirato i
capelli per tutto il giorno. Chiusi gli occhi e sospirai sollevata
quando li sentii scivolarmi sulle spalle.
Nick,
che fino a quel momento mi aveva guardata appoggiato con una spalla
alla finestra scorrevole che dava sulla terrazza, si
avvicinò e si mise seduto dietro di me. Mi
accarezzò i capelli, raccogliendoli dietro le mie spalle, e
mi posò un bacio leggero sul collo.
«Sei
stanca?», mi domandò in un sussurro.
«Tutte
le persone normali sono stanche dopo il giorno del
matrimonio… noi ne abbiamo fatti due!».
«Già,
hai ragione», ridacchiò.
«Tu
non sei stanco?», gli domandai, voltandomi ed accarezzandogli
il mento con un dito.
«Un
po’», confessò ed iniziò a
togliermi le roselline dell’acconciatura dai capelli.
«Però potrei stare
sveglio a guardarti dormire
per tutta la notte, sei troppo bella».
Gli
sorrisi e mi accucciai contro di lui, il viso a pochi centimetri dal
suo. Aprii la bocca per dirgli qualcosa, ma me la scordai quando le
nostre labbra si sfiorarono involontariamente e i suoi occhi non
avevano alcuna intenzione di schiodarsi dai miei.
Pensai di morire, col cuore che mi batteva così forte nel
petto, ma non accadde nulla.
C’era silenzio, il silenzio del mare, del vento, della luna e
della natura che circondava la casa.
E
ora? mi domandai mentre un
brivido mi correva lungo la schiena.
Era
la nostra prima notte insieme da sposati, la prima notte della nostra
luna di miele, e mi ero immaginata molte volte come l’avremmo
trascorsa, ma in quel momento il mio cervello era diventato poltiglia
nel cranio e l’imbarazzo che mi avvolgeva dalla testa ai
piedi era quasi insopportabile.
Sapevo che quella sarebbe stata anche la prima volta di Nick, ma per i
maschi sembrava così semplice… io, io cosa avrei
dovuto fare?
«Ary?».
Improvvisamente
tornai a vedere i suoi occhi e sentii la mia faccia andare in fiamme.
«S-Sì?», balbettai, come una vera
deficiente.
Lui
sorrise amorevole. Realizzai ciò che stava per dire un
momento prima che aprisse bocca e gli posai un dito sulle labbra,
impedendogli di pronunciare quell’assurda frase. Erano mesi
che aspettavo quel momento, non potevo rimandare ancora solo
perché avevo… paura. (Paura di che, poi?)
Mi
alzai dal letto e gli diedi le spalle. Mi morsi le labbra, guardando il
soffitto bianco con gli occhi socchiusi, e mi dissi di calmarmi. Non
avevo di che temere, se c’era lui con me.
«Nick…»,
mormorai infine, senza girarmi.
Lui mi raggiunse, anche se notai qualche tentennamento. Gli porsi le
mani e quando afferrai le sue le guidai verso la cerniera del mio
corpetto.
Mentre la tirava giù lentamente, accostò il viso
al mio e mi baciò lo zigomo, la guancia e la mandibola.
Sentii
il vestito cadermi di dosso ed atterrare in maniera soffice sul
parquet. Rigida come un manico di scopa, feci attenzione a non pestarlo
e mi voltai verso Nick, coprendomi il seno con un braccio.
«Te
l’ho mai detto che sei adorabile quando
arrossisci?», mi sussurrò, gli occhi luminosi e
che trasudavano dolcezza.
«Più
o meno tutte le volte», risposi con un fil di voce. Mi
scostò il ciuffo di capelli bianchi dalla fronte e mi
avvolse in un abbraccio delicato, come se avesse paura di farmi male.
Io mi strinsi a lui con più forza e, prendendola dai
fianchi, gli tirai fuori dai pantaloni dello smoking la camicia bianca,
per poi infilare le mani sotto di essa e raggiungere la sua schiena.
Nick
indietreggiò un po’ alla volta e, anche se me
n’ero accorta, rimasi del tutto spiazzata quando si
lasciò cadere sul letto ed io finii sdraiata sopra di lui,
ad un palmo dal suo viso.
«Ciao»,
mi sussurrò con un sorrisino divertito, passandomi
nuovamente la mano fra i capelli per spostarseli dal viso.
Non
risposi, incantata dai suoi occhi, ma dopo qualche secondo iniziai a
sbottonargli la camicia, rendendomi miseramente conto di quanto le mie
mani stessero tremando.
«Ary,
ti amo, lo sai… ti amo oggi e ti amerò domani
allo stesso modo, non è obbligatorio, se vuoi
possiamo…».
«Shhh»,
avvicinai le labbra alle sue e le baciai. Nel frattempo finii di
slacciargli la camicia e lui se la tolse, sollevandosi un
po’, senza però interrompere quel bacio avido.
Mille
brividi mi attraversarono il corpo quando tornò con la
schiena sul materasso e il mio petto nudo aderì al suo, ma
fui certa che fosse capitata anche a lui la stessa cosa,
perché quando posò le mani sulla mia schiena non
erano più sicure come poco prima.
Ciononostante ci mise poco a riprendere il controllo di sé e
con una mossa delicata mi fece sdraiare sul letto, sotto di lui.
Mi guardò intensamente negli occhi ed io ricambiai lo
sguardo, per poi lasciarmi andare ad un sorriso. La tensione stava
scemando, la sentivo svanire pian piano, sostituita da un amore
profondo ed infinito che stava conquistando tutti i miei organi vitali.
Gli
passai una mano fra i capelli, invitandolo ad appoggiare la fronte alla
mia, e chiusi gli occhi respirando profondamente.
«Sarà bellissimo, già lo so»,
sussurrai. «Ti amo così tanto, come potrebbe non
essere bello?».
Nick
sorrise e mi accarezzò il naso col suo. «Sono del
tuo stesso parere».
«E
allora cosa stiamo aspettando ancora?».
Nick
mi baciò sulle labbra e con un mio piccolo aiuto
finì di spogliarsi, poi mi fece scivolare sotto le lenzuola
candide.
***
Mi
svegliai lentamente e trovai la stanza piacevolmente ombreggiata,
nonostante fossi certa che quella mattina il sole splendesse luminoso
nel cielo.
Mi girai nel letto e mi stiracchiai, prendendo lentamente possesso
delle mie articolazioni. Sospirai felice, socchiudendo di nuovo gli
occhi: non mi ero mai sentita così bene in vita mia e sapevo
perfettamente chi ringraziare.
Mi
voltai e vidi la sua parte di letto sfatta e vuota. Brontolai parole
incomprensibili persino a me, pensando che sarebbe stato davvero tutto
perfetto se lo avessi trovato al mio fianco al risveglio. Mi sovvenne
però anche l’unico motivo plausibile per cui si
era alzato – prepararmi e portarmi a letto la colazione
– e mi sciolsi in un sorriso, indecisa se tenergli il broncio
o meno.
«Oh
Nick», biascicai rotolandomi fra le lenzuola, senza riuscire
a spegnere quell’espressione felice che mi illuminava il
volto. Decisamente non gli avrei tenuto il broncio.
Alla
fine mi alzai dal letto e mi infilai la vestaglia di seta chiara che
trovai sulla cassapanca ai piedi del letto. Mi accorsi che mio abito da
sposa era stato appeso ad un ometto ed era appoggiato al paravento dai
temi marini nell’angolo della stanza. Lo accarezzai con la
punta delle dita e mi si bloccò il respiro quando pensai
alla collana che mi aveva dato mia madre, tanto che mi tastai il collo
alla sua ricerca. La vidi sulla piccola scrivania accanto alle porte
vetrate e sospirai sollevata, poi uscii in terrazza a respirare
l’aria salmastra e a godere della luce del sole che mi
riscaldò la pelle.
Mi
appoggiai alla ringhiera e guardai il mare, perdendo lo sguardo nelle
diverse tonalità del suo blu e lasciando che il vento mi
scompigliasse i capelli. Abbassai gli occhi ed incontrai
l’azzurro della piccola piscina rettangolare posta di fronte
al salotto e la cucina, fino a quando non vidi Nick uscire proprio
dalle porte vetrate della cucina con un vassoio tra le mani. Mi tirai
indietro per non fargli notare la mia ombra, ma proprio quando stava
per salire le scale di pietra che l’avrebbero riportato in
terrazza tornò indietro parlando tra sé.
Probabilmente si era dimenticato qualcosa. Decisi allora di andargli
incontro.
Scesi
le scale in fretta, a piedi nudi, e notai un altro angolo molto carino
che Nick la sera prima non mi aveva mostrato: proprio tra le porte
vetrate della cucina e la piscina vi era una tettoia, sotto la quale
c’erano due sedie a sdraio di legno e un tavolino, su cui
Nick aveva lasciato il vassoio con la nostra colazione.
Mi
sedetti su una sedia e come se nulla fosse presi un bicchiere di succo
d’arancia, visto che si era dimenticato proprio del
caffè. Sentii i passi di Nick alle mie spalle e quando si
arrestarono rimase in silenzio per qualche istante, mentre io sorridevo
di nascosto.
«Ary»,
esclamò infine, con un po’ di nervosismo nella
voce. «Io… pensavo che dormissi. Mi dispiace, non
avrei voluto che tu ti svegliassi da sola…».
A
quelle parole il mio sorriso si allargò e voltai il viso
verso di lui, trascinando l’altra sedia di fianco alla mia ed
invitandolo a sedersi con un cenno del capo.
Lui non si tirò indietro e, dopo aver messo le due tazze di
caffè sul vassoio, appoggiò i gomiti alle
ginocchia, sporto verso di me, guardingo.
Io posai il mio bicchiere di succo d’arancia ancora mezzo
pieno sul tavolino e gli cinsi il viso con le mani, accarezzandogli gli
zigomi con i pollici.
«Ti
amo», sussurrai prima di posargli un bacetto sulle labbra.
Lui
sorrise e rispose al bacio dandomene altri due, mentre con una mano mi
sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Tutto
bene?», mi domandò con gli occhi che gli
brillavano.
Chiusi
gli occhi e sospirai serenamente, la fronte contro la sua.
«Sì, tutto benissimo».
«Hai
dormito?».
«Oh
mio Dio, Nick, mi ricordi mia madre quando fai così.
Sì che ho dormito, come un pascià!».
«Mi
fa piacere», ridacchiò.
«Perché io, come ti avevo già detto,
non sono riuscito a chiudere occhio: sono rimasto tutta la notte a
guardarti dormire, talmente eri bella».
I suoi occhi erano ipnotici, non riuscivo a deviarli; non ci fu nulla
da fare nemmeno quando aggiunse: «Ho anche pensato e
ripensato a quello è successo ‘sta notte e, ti
giuro, pensavo di morire ogni volta…».
Ero
rossa come un peperone, sentivo la mia faccia andare letteralmente a
fuoco, ciononostante risposi: «L’ho provata anche
io, la sensazione di morire: ad ogni tuo bacio sulla pelle, ogni volta
che mi sfioravi, in ogni momento. Tu non sai quante volte ho sognato
questa notte, eppure… ciò che è
successo non è nemmeno lontanamente paragonabile a tutte le
mie fantasie».
Nick
premette le labbra contro le mie. «Ti amo da morire, lo sai
vero?».
«Sì,
lo so». Gli infilai le mani tra i capelli e ricambiai il
bacio.
Facemmo colazione
all’aperto, in quell’angolo di paradiso che sarebbe
diventato, ben presto, il mio preferito di tutta la casa. Ce la
prendemmo comoda, perché non avevamo orari da rispettare e
potevamo fare tutto quello che volevamo: per quindici giorni, il mondo
avrebbe dovuto seguire solo i nostri desideri.
Ci furono momenti in cui non smettevamo un attimo di parlare e le
nostre voci addirittura si sovrapponevano, in cui ridevamo fino a farci
venire mal di pancia, oppure momenti in cui il silenzio ci avvolgeva e,
mano nella mano, restavamo incantati a guardare il mare, la costa
rocciosa e le onde infrangersi sulla battigia.
All’incirca
all’ora di pranzo, quando avevamo ormai deciso di rifugiarci
di nuovo nella nostra camera e poi chissà, sentimmo il
campanello suonare.
Ci guardammo con tanto d’occhi, increduli, e Nick si diresse
alla porta, mentre io mi stringevo di più nella mia
vestaglia di seta.
Fu
una vera sorpresa per entrambi trovarci di fronte Davide, mio fratello,
perché sia io che Nick pensavamo che fosse già
tornato nell’altra dimensione con Joe, Kevin e Ale.
«Scusatemi
tanto ragazzi, non avrei mai voluto disturbarvi, ma… credo
ci sia un problema».
«Che
tipo di problema?», domandai dalla soglia della cucina,
preoccupata.
Davide
fece un passo di lato e dietro di lui scorsi la figura di un ragazzo
che avevo già visto. Quando lo riconobbi, provai un tuffo al
cuore e un’altra sensazione strana, come…
sì, come se avrei dovuto aspettarmelo.
«Edoardo»,
mormorai.
«Come?»,
Nick strabuzzò gli occhi. «Edoardo… il
fratello di Alessandra?».
Annuii
con un movimento lento del capo e mi strinsi al suo fianco, guardando
ancora una volta quel ragazzo dagli occhi verdi, nei quali lessi la
stessa paura, lo stesso abbandono e lo stesso rifiuto nei confronti
della sua natura che avevo provato anche io, esattamente come lui,
quando avevo scoperto di avere quello strano dono.
Sapevo
che la sua vita da quel giorno in poi sarebbe cambiata, ma sapevo anche
che questa poteva riservargli delle sorprese ed offrirgli delle
occasioni che, proprio com’era successo a me, potevano
renderla più bella.
The
end
____________________________________________
Oh, che tristezza
ç_ç
Buonasera! Questo capitolo lunghetto è, come
avete sicuramente notato e come già sapevate, l'ultimo!
Come vi è sembrato? :3
Pff, direte che sono perfida perchè ho lasciato una
questione in sospeso proprio sul finale, ma sapete... mi piace lasciare
un po' in sospeso... non si sa mai ;)
Spero davvero che vi sia piaciuto comunque.
Voglio ringraziare tutti, ma davvero tutti
quelli che hanno seguito questa FF nata da un sogno, presa come un
gioco e poi diventata sempre più importante col tempo :) Non
è molto impegnativa e la mia conoscenza dei Jonas
è pessima, ma diciamo che ne sono soddisfatta :)
Mi scuso ancora per gli enormi periodi di silenzio che vi ho fatti
patire, ma sono orgogliosa delle persone che ci sono sempre state con
recensioni o altro ;)
Quindi, che dire... Ad un'altra FF! :D
Ricordo che c'è la mia
pagina facebook (il link in
blu), dove potrete trovare me, ovviamente xD ma anche anteprime, news
sulle mie FF e molte cose che riguardano le mia fanfiction, tra cui
foto e video... *w*
Okay, mi dileguo u.u Baci a tutti!
Ary