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Autore: Anna    06/03/2012    4 recensioni
Me ne sto seduta qui...
in una sala d'attesa di uno dei tanti ospedali di Londra e attendo...
in effetti non so cosa io stia realmente aspettando; non so nemmeno cosa è successo.
[]
Ricordo di averlo odiato fin da primo momento; lui che, fregandosene delle regole, era tutto quello che più inconsciamente desideravo essere: libero...
L'ho affrontato come un nemico sin da quando mi ha trattata alla stregua di una serva, l'ho amato non appena ha fissato i suoi occhi nei miei...
Prima AU, buona lettura.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Epilogo

 

-La situazione è molto grave signor Malfoy- dice uno dei suoi medici una volta entrati nella stanza.

Non so esattamente come ci sono entrata, so solo che ad un certo punto ho avvertito la stretta di Draco farsi più forte ed ho seguito i suoi passi senza nemmeno rendermene conto.

Mi sento ancora più oppressa dall’odore di medicinali insopportabile in questa stanza, sebbene ci siano molte meno persone e sia più spaziosa e ben illuminata.

Voglio uscire!

Sono in piedi accanto al letto, reggendomi in piedi solo grazie alla stretta di lui nella mia mano, steso in quel letto dal bianco spettrale;

non mi ha lasciata un attimo…

Sento le sue dita pulsare allo stesso ritmo delle mie.

Mi vergogno… dovrei essere io a rassicurarlo in questo momento, dovrei dirgli che andrà tutto bene, ma non trovo la forza, non ho la voce. Sto lottando già con tutta me stessa per non sprofondare nel buio che sento risucchiarmi, sempre più insistente….

-La decisione spetta a lei, l’intervento comporta notevoli rischi, ma le consigliamo di decidere in fretta; il tumore preme sul lobo temporale destro e, se vogliamo avere almeno una possibilità per fare qualcosa, dobbiamo operare prima che sia troppo tardi.-

Draco prende un profondo respiro, non so dove trovi l’aria o la forza, i miei polmoni sembrano pieni di piombo.

Non riesco a vedere la sua espressione, non voglio voltarmi, ma la sua mano si fa improvvisamente più fredda facendomi tremare… eppure, quando si volta verso di me, è completamente padrone della situazione.

L’indifferenza che ho provato per tutta la vita adesso non so che fine abbia fatto.

Sulla sua liscia e perfetta fronte, al di sotto dei chiari capelli è evidente una piccola increspatura, il segno involontario della sua preoccupazione e quello che mi dà la nausea è che non riguarda la sua operazione o la possibilità che ha di vivere o morire, ma è legata a me. Ha paura per me…

Perché sono così incapace? Così debole? Chissà quale espressione ho in volto adesso…

Stringe appena le labbra e punta sul medico uno sguardo indecifrabile, glaciale.

So già cosa sta per chiedere, cosa sta per dire… ma io non sono pronta, non voglio ascoltare. La mia mano trema e lui la stritola quasi nella sua, in un dolore di cui abbiamo bisogno, in un dolore che mi fa sentire che lui è ancora qui accanto a me.

-Se non mi opero, quanto tempo mi resta?-

I medici si scambiano un’occhiata che mi spaventa. –Non lo sappiamo con certezza,- risponde il chirurgo –l’aneurisma può esplodere da un momento all’altro e senza alcun tipo di avvertimento-

-Quanto?- urlo io con una voce che non mi appartiene, con un’ansia che non ho mai provato e che mi blocca il respiro

-Una settimana, forse due- sussurra infine l’uomo, vinto.

Ma io non riesco più a guardarlo; l’aria, la forza, la vita… tutto mi scivola via e cerco di trattenerlo nella mia stretta, graffiandogli il palmo della mano con le unchia, ma lui non se ne lamenta, né si scosta, anzi mi stringe con lo stesso bisogno.

Mi lancia uno sguardo di sottecchi e irrigidisce la mascella…

-Procedete.-

 

 

L'ospedale è ormai affollato in questo caldo pomeriggio, deve essere appena iniziato l'orario delle visite.

Il corridoio è lungo e abbastanza spazioso, ma se mi giro intorno vedo solo persone angosciate, come me... ogni tanto dall'altro lato della sala vedo qualcuno sorridere e piangere di gioia, ma quella felicità sembra una bolla di sapone che riesce ad accogliere ed illuminare solo le persone coinvolte, senza riuscire a raggiungere gli altri, senza arrivare a me nel reparto di neurochirurgia...

Como posso volere che al loro posto ci sia io?

Sono egoista fino a questo punto?

 

Sono ormai trascorse diciannove ore da quando sono entrata in questo edificio, ne mancano ancora due alla fine dell’intervento.

Le scarpe alte che avevo indossato per farmi bella ieri sera, giacciono abbandonate al mio fianco, scomode.

Sento su di gli occhi ansiosi dei miei amici, venuti qui per darmi il loro conforto, attenti a sorridermi e ad incoraggiarmi ad ogni attimo, ma anche se ora sono più distanti da me, riesco a sentire le loro parole colpirmi con fitte di delusione...

-Capisco che sia dispiaciuta, ma andiamo non lo conosceva nemmeno!- dice Ginny

-Forse sta fingendo...- insinua il fratello -e poi non ha nemmeno pianto, se le importasse davvero qualcosa si sarebbe già messa a piangere, ma lei non prova mai niente...-

Sospiro rendendomi conto solo ora che i miei compagni di sempre, quelli che credevo mi conoscessero, che andassero oltre la maschera che portavo davanti a tutti, sono uguali a tutti gli altri.

Sento questa consapevolezza gravarmi sulle spalle mentre mi sento spingere in un oblio di vuoto, completamente sola e abbandonata.

Lancio un'occhiata alla porta alla mia destra con le scritte di non entrare per le persone non autorizzate, è lì dentro da cinque ore…

Non mi ha chiesto insicuro cosa fare quando siamo rimasti soli ed io non ho avuto il coraggio di rassicurarlo, sono stata una vigliacca!

Sono scappata di fronte alla paura di perderlo; eppure lui ha continuato a stringermi la mano e quando sono tornati a prenderlo mi ha guardata come ha sempre fatto, cercando di comunicarmi quello che tanto non riusciva a dire.

Le labbra mi tremavano quando lui ha alzato il busto verso di me e mi ha baciata lievemente, come un soffio di vento che non riesce a dare sollievo.

Quando gli ho lasciato la mano ho sentito la forza che mi ancorava a questa terra scivolare via con lui, insieme alle mie preghiere più sincere.

 

Respiro a fatica cercando di concentrarmi su qualsiasi cosa che non sia quella dannata sala operatoria.

Sto contando i fili e i punti di una delle tende poco lontane da me, quando un cigolio attira la mia ttenzione più degli altri rumore che mi arrivano come ovattati.

Vedo il dottore uscire da quella porta togliendosi la cuffietta azzurra con espressione indecifrabile.

Non riesco a focalizzare bene il suo viso, cerco di respirare, devo farlo, ma non ricordo bene come si fa e la testa è pervasa da un fastidioso ronzio che mi impedisce di ragionare.

-Mi dispiace- dice lui in un sussurro mentre le mie gambe cedono e mi ritrovo seduta, di nuovo ad osservare quel rilievo ora sfocato.

-Posso…?- la voce mi muore in gola e il mento mi trema, respiro forte e ci riprovo ma l’uomo che l’ha visto spegnersi sotto i suoi occhi mi viene in aiuto.

-Lo faccio portare in camera, solo un paio d’ore. Non posso fare di più.-

Apro la bocca per parlare, ma ancora non ci riesco e mi limito ad annuire.

-Mi ha chiesto di dirle… che non ha mai avuto intenzione di ingannarla,-

Chiudo gli occhi per evitare che la disperazione che ancora mi tiene legata a lui, scivoli via dai miei occhi tremanti.

-Mi ha detto di dirle…- ripete lui –che gli dispiaceva-

Mi porto una mano alla bocca, per trattenere le urla di orrore che sento voler uscire. Non sono pronta a lasciar andar via questo dolore, non posso accettare il fatto che sia finita.

Sento i passi di qualcuno avvicinarsi a me e alzo la mano nella sua direzione per fermarlo, per pregarlo di lasciarmi sola.

La mano mi trema e la serro a pungo conficcandomi le unghie nella carne, ferendomi.

Ma quel dolore mi serve, mi dà la forza di alzarmi e raggiungere la stanza testimone del nostro ultimo attimo insieme.

Resto in piedi nella stanza vuota, dove poco prima c’era il letto le piastrelle sono più chiare, ed io resto a fissarle inebetita.

Quando la porta si apre annunciando il cigolio del letto che ospita il suo corpo non mi muovo di un millimetro.

Il suo volto è coperto da un lenzuolo bianco, una delle infermiere mi guarda dispiaciuta e con lentezza lo abbassa, forse timorosa di una mia reazione, ma io non mi muovo. Stringo i pugni e aspetto che lei esca senza distogliere lo sguardo dalle mattonelle ai miei piedi.

 

Tutto è stranamente immobile nella stanza, sapevo che le persone da morte non si muovevano più, ma constatare l’immobilità della sua figura mi sconvolge.

Come si può dare per scontato il rassicurante respiro che ci fa sollevare e abbassare la gabbia toracica? Come ritenere irrilevante il battito del cuore che pulsa sotto la pelle?

Come può essere così fermo?

Chiudo gli occhi e mi porto le mani al viso prima di trovare il coraggio di guardare il suo viso.

Mi meraviglio dell’effetto che mi fa: non riesco a provare niente…

Non trovo il coraggio di toccarlo, so che la sua pelle sarà fredda in confronto al calore che lo riscaldava mentre mi toccava.

Il suo viso non rimanda alcuna espressione, se non quella di abbandono sul bianco cuscino che sembra enfatizzare il suo pallore con le palpebre chiuse su quegli occhi magnetici che tanto erano capaci di farmi perdere la cognizione della realtà.

Delicatamente, come se potesse spezzarsi ad un mio movimento più brusco, poggio una mano sul materasso morbido e mi distendo al suo fianco senza toccarlo.

Il profilo sensuale della sua bocca, sembra aver perso tutto il fascino di cui era intriso.

Con mano tremante mi ritrovo a sfiorarlo trattenendo un gemito nel sentire le labbra troppo cedevoli al mio tocco; faccio scendere la mano fino al collo e poi al petto immobile prima di posarmi sul suo cuore fermo.

Come a deridermi, il mio sembra battere sufficientemente per entrambi per quanto lo senta rimbombare dolorosamente nel mio torace e stringo la mano a pugno prima di poggiare la guancia sulla sua rigida spalla.

Non una lacrima lascia i miei occhi, mi limito a fissare il suo profilo.

Quando un secolo dopo lo portano via da me, sento la stretta di qualcuno che mi solleva delicatamente dal letto, il profumo dolciastro di Ron mi invade le narici, ma non ho niente da dirgli mentre mi porta via da quella stanza.

 

Il silenzio in macchina sembra cullarmi, ho le spalle poggiate contro lo sportello e Ginny accanto a me si sforza di guardare fuori dal suo finestrino per non girarsi ed essere costretta a guardarmi.

Quando mi lasciano sotto casa, scalza e con in mano uno scatolo di compresse per dormire datogli dal medico e una busta, si raccomandano di prendermi cura di me.

Li fisso inespressiva e dopo un lungo istante di imbarazzo, mi sorridono e corrono via verso le loro vite.

Hanno fatto il loro dovere, hanno sprecato già troppo del loro tempo prezioso.

Mi volto e inizio a salire le scale per il mio appartamento, gli scalini sono freddi e le calze chiare che porto devono essersi ormai sporcate irreparabilmente, ma non me ne curo.

Arrivata davanti alla porta mi rendo conto che non posso entrare ed apro la busta che mi hanno dato. Il rumore mi stupisce… non sento niente.

Ci sono le mie scarpe, la borsetta e un biglietto.

Prendo il foglio e inizio a scorgerlo mentre un sorriso triste mi allarga le labbra.

Il medico di Draco raccomanda ai miei amici di non lasciarmi sola in questo momento e di controllare l’uso degli antidepressivi e dei sonniferi che mi ha prescritto.

Non l’avranno neanche letto…

Apro la borsa e ne sfilo le chiavi ritrovandomi nel caos che abbiamo lasciato solo il giorno prima, indaffarati dal nostro amplesso che ci ha fatto arrivare in ritardo alla cena.

Inspiro ed espiro profondamente, rilassata e in pace finalmente.

Per una volta sono felice che non abbiamo adempiuto ai loro doveri.

Stringo il tubetto di pillole in una mano, mentre la busta scivola ai miei piedi cospargendo il pavimento con il suo contenuto, ma non vi bado.

Mi dirigo verso il letto ancora sfatto. Lo osservo per qualche istante prima di stendermi nella solita posizione, poggiando una mano sul punto che occupava lui, freddo.

Una lacrima scivola sul cuscino e penso che forse ora i miei amici mi crederebbero, considererebbero normale il mio dolore, ma ormai non importa più. Ci sono tipi di sofferenza che lasciano stravolti… questo loro non lo sanno.

Chiudo gli occhi e mi copro con le lenzuola, nel movimento la confezione di medicinali rotola vuota sul pavimento.

Sorrido.

Sono pronta ad amarti Draco, come non ho avuto il coraggio di fare in vita, il mio stupido orgoglio non mi fermerà stavolta.

E staremo insieme… per sempre.

 

Spazio Autrice:

Finalmente l’ho finita!!!

Che fatica terminare questa fic, scrivo cose troppo malinconiche! L

Ammetto che la mancanza di commenti mi ha un po’ delusa e invogliata a non continuare, ma è più forte di me: non riesco a lasciare le cose incompiute! Ringrazio tanto chi ha letto la storia e un particolare grazie a Valengel, l’unica anima pia che mi abbia degnato di considerazione *-*  

Alla prossima!!!

   
 
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