Epilogo
-La
situazione è molto grave
signor Malfoy- dice uno dei suoi medici una volta entrati nella stanza.
Non
so esattamente come ci
sono entrata, so solo che ad un certo punto ho avvertito la stretta di
Draco
farsi più forte ed ho seguito i suoi passi senza nemmeno
rendermene conto.
Mi
sento ancora più oppressa dall’odore
di medicinali insopportabile in questa stanza, sebbene ci siano molte
meno
persone e sia più spaziosa e ben illuminata.
Voglio uscire!
Sono
in piedi accanto al
letto, reggendomi in piedi solo grazie alla stretta di lui nella mia
mano,
steso in quel letto dal bianco spettrale;
non
mi ha lasciata un attimo…
Sento
le sue dita pulsare allo
stesso ritmo delle mie.
Mi
vergogno… dovrei essere io
a rassicurarlo in questo momento, dovrei dirgli che andrà
tutto bene, ma non
trovo la forza, non ho la voce. Sto lottando già con tutta
me stessa per non
sprofondare nel buio che sento risucchiarmi, sempre più
insistente….
-La
decisione spetta a lei,
l’intervento comporta notevoli rischi, ma le consigliamo di
decidere in fretta;
il tumore preme sul lobo temporale destro e, se vogliamo avere almeno
una
possibilità per fare qualcosa, dobbiamo operare prima che
sia troppo tardi.-
Draco
prende un profondo
respiro, non so dove trovi l’aria o la forza, i miei polmoni
sembrano pieni di
piombo.
Non
riesco a vedere la sua
espressione, non voglio voltarmi, ma la sua mano si fa improvvisamente
più
fredda facendomi tremare… eppure, quando si volta verso di
me, è completamente
padrone della situazione.
L’indifferenza
che ho provato
per tutta la vita adesso non so che fine abbia fatto.
Sulla
sua liscia e perfetta
fronte, al di sotto dei chiari capelli è evidente una
piccola increspatura, il
segno involontario della sua preoccupazione e quello che mi
dà la nausea è che
non riguarda la sua operazione o la possibilità che ha di
vivere o morire, ma è
legata a me. Ha paura per me…
Perché
sono così incapace? Così
debole? Chissà quale espressione ho in volto
adesso…
Stringe
appena le labbra e
punta sul medico uno sguardo indecifrabile, glaciale.
So
già cosa sta per chiedere,
cosa sta per dire… ma io non sono pronta, non voglio
ascoltare. La mia mano
trema e lui la stritola quasi nella sua, in un dolore di cui abbiamo
bisogno,
in un dolore che mi fa sentire che lui è ancora qui accanto
a me.
-Se
non mi opero, quanto tempo
mi resta?-
I
medici si scambiano
un’occhiata che mi spaventa. –Non lo sappiamo con
certezza,- risponde il
chirurgo –l’aneurisma può esplodere da
un momento all’altro e senza alcun tipo
di avvertimento-
-Quanto?-
urlo io con una voce
che non mi appartiene, con un’ansia che non ho mai provato e
che mi blocca il
respiro
-Una
settimana, forse due-
sussurra infine l’uomo, vinto.
Ma
io non riesco più a
guardarlo; l’aria, la forza, la vita… tutto mi
scivola via e cerco di
trattenerlo nella mia stretta, graffiandogli il palmo della mano con le
unchia,
ma lui non se ne lamenta, né si scosta, anzi mi stringe con
lo stesso bisogno.
Mi
lancia uno sguardo di
sottecchi e irrigidisce la mascella…
-Procedete.-
L'ospedale
è ormai affollato
in questo caldo pomeriggio, deve essere appena iniziato l'orario delle
visite.
Il
corridoio è lungo e
abbastanza spazioso, ma se mi giro intorno vedo solo persone
angosciate, come
me... ogni tanto dall'altro lato della sala vedo qualcuno sorridere e
piangere
di gioia, ma quella felicità sembra una bolla di sapone che
riesce ad
accogliere ed illuminare solo le persone coinvolte, senza riuscire a
raggiungere gli altri, senza arrivare a me nel reparto di
neurochirurgia...
Como
posso volere che al loro
posto ci sia io?
Sono
egoista fino a questo
punto?
Sono
ormai trascorse
diciannove ore da quando sono entrata in questo edificio, ne mancano
ancora due
alla fine dell’intervento.
Le
scarpe alte che avevo
indossato per farmi bella ieri sera, giacciono abbandonate al mio
fianco,
scomode.
Sento
su di gli occhi ansiosi
dei miei amici, venuti qui per darmi il loro conforto, attenti a
sorridermi e
ad incoraggiarmi ad ogni attimo, ma anche se ora sono più
distanti da me,
riesco a sentire le loro parole colpirmi con fitte di delusione...
-Capisco
che sia dispiaciuta,
ma andiamo non lo conosceva nemmeno!- dice Ginny
-Forse sta fingendo...- insinua il fratello -e poi non ha nemmeno pianto, se le importasse davvero qualcosa si sarebbe già messa a piangere, ma lei non prova mai niente...-
Sospiro
rendendomi conto solo
ora che i miei compagni di sempre, quelli che credevo mi conoscessero,
che
andassero oltre la maschera che portavo davanti a tutti, sono uguali a
tutti
gli altri.
Sento
questa consapevolezza
gravarmi sulle spalle mentre mi sento spingere in un oblio di vuoto,
completamente sola e abbandonata.
Lancio
un'occhiata alla porta
alla mia destra con le scritte di non entrare per le persone non
autorizzate, è
lì dentro da cinque ore…
Non
mi ha chiesto insicuro
cosa fare quando siamo rimasti soli ed io non ho avuto il coraggio di
rassicurarlo, sono stata una vigliacca!
Sono
scappata di fronte alla
paura di perderlo; eppure lui ha continuato a stringermi la mano e
quando sono
tornati a prenderlo mi ha guardata come ha sempre fatto, cercando di
comunicarmi quello che tanto non riusciva a dire.
Le
labbra mi tremavano quando
lui ha alzato il busto verso di me e mi ha baciata lievemente, come un
soffio
di vento che non riesce a dare sollievo.
Quando
gli ho lasciato la mano
ho sentito la forza che mi ancorava a questa terra scivolare via con
lui,
insieme alle mie preghiere più sincere.
Respiro
a fatica cercando di
concentrarmi su qualsiasi cosa che non sia quella dannata sala
operatoria.
Sto
contando i fili e i punti
di una delle tende poco lontane da me, quando un cigolio attira la mia
ttenzione più degli altri rumore che mi arrivano come
ovattati.
Vedo il dottore uscire da quella porta togliendosi la cuffietta azzurra con espressione indecifrabile.
Non
riesco a focalizzare bene
il suo viso, cerco di respirare, devo farlo, ma non ricordo bene come
si fa e
la testa è pervasa da un fastidioso ronzio che mi impedisce
di ragionare.
-Mi
dispiace- dice lui in un
sussurro mentre le mie gambe cedono e mi ritrovo seduta, di nuovo ad
osservare
quel rilievo ora sfocato.
-Posso…?-
la voce mi muore in
gola e il mento mi trema, respiro forte e ci riprovo ma
l’uomo che l’ha visto
spegnersi sotto i suoi occhi mi viene in aiuto.
-Lo
faccio portare in camera,
solo un paio d’ore. Non posso fare di più.-
Apro
la bocca per parlare, ma
ancora non ci riesco e mi limito ad annuire.
-Mi ha chiesto di dirle… che non ha mai avuto intenzione di ingannarla,-
Chiudo
gli occhi per evitare
che la disperazione che ancora mi tiene legata a lui, scivoli via dai
miei
occhi tremanti.
-Mi
ha detto di dirle…- ripete
lui –che gli dispiaceva-
Mi
porto una mano alla bocca,
per trattenere le urla di orrore che sento voler uscire. Non sono
pronta a
lasciar andar via questo dolore, non posso accettare il fatto che sia
finita.
Sento
i passi di qualcuno
avvicinarsi a me e alzo la mano nella sua direzione per fermarlo, per
pregarlo
di lasciarmi sola.
La
mano mi trema e la serro a
pungo conficcandomi le unghie nella carne, ferendomi.
Ma
quel dolore mi serve, mi dà
la forza di alzarmi e raggiungere la stanza testimone del nostro ultimo
attimo
insieme.
Resto
in piedi nella stanza
vuota, dove poco prima c’era il letto le piastrelle sono
più chiare, ed io
resto a fissarle inebetita.
Quando la porta si apre annunciando il cigolio del letto che ospita il suo corpo non mi muovo di un millimetro.
Il
suo volto è coperto da un
lenzuolo bianco, una delle infermiere mi guarda dispiaciuta e con
lentezza lo
abbassa, forse timorosa di una mia reazione, ma io non mi muovo.
Stringo i
pugni e aspetto che lei esca senza distogliere lo sguardo dalle
mattonelle ai
miei piedi.
Tutto
è stranamente immobile
nella stanza, sapevo che le persone da morte non si muovevano
più, ma
constatare l’immobilità della sua figura mi
sconvolge.
Come
si può dare per scontato
il rassicurante respiro che ci fa sollevare e abbassare la gabbia
toracica?
Come ritenere irrilevante il battito del cuore che pulsa sotto la pelle?
Come
può essere così fermo?
Chiudo
gli occhi e mi porto le
mani al viso prima di trovare il coraggio di guardare il suo viso.
Mi
meraviglio dell’effetto che
mi fa: non riesco a provare niente…
Non
trovo il coraggio di
toccarlo, so che la sua pelle sarà fredda in confronto al
calore che lo
riscaldava mentre mi toccava.
Il
suo viso non rimanda alcuna
espressione, se non quella di abbandono sul bianco cuscino che sembra
enfatizzare il suo pallore con le palpebre chiuse su quegli occhi
magnetici che
tanto erano capaci di farmi perdere la cognizione della
realtà.
Delicatamente,
come se potesse
spezzarsi ad un mio movimento più brusco, poggio una mano
sul materasso morbido
e mi distendo al suo fianco senza toccarlo.
Il
profilo sensuale della sua
bocca, sembra aver perso tutto il fascino di cui era intriso.
Con
mano tremante mi ritrovo a
sfiorarlo trattenendo un gemito nel sentire le labbra troppo cedevoli
al mio
tocco; faccio scendere la mano fino al collo e poi al petto immobile
prima di
posarmi sul suo cuore fermo.
Come
a deridermi, il mio
sembra battere sufficientemente per entrambi per quanto lo senta
rimbombare
dolorosamente nel mio torace e stringo la mano a pugno prima di
poggiare la
guancia sulla sua rigida spalla.
Non
una lacrima lascia i miei
occhi, mi limito a fissare il suo profilo.
Quando
un secolo dopo lo
portano via da me, sento la stretta di qualcuno che mi solleva
delicatamente
dal letto, il profumo dolciastro di Ron mi invade le narici, ma non ho
niente
da dirgli mentre mi porta via da quella stanza.
Il
silenzio in macchina sembra
cullarmi, ho le spalle poggiate contro lo sportello e Ginny accanto a
me si
sforza di guardare fuori dal suo finestrino per non girarsi ed essere
costretta
a guardarmi.
Quando
mi lasciano sotto casa,
scalza e con in mano uno scatolo di compresse per dormire datogli dal
medico e
una busta, si raccomandano di prendermi cura di me.
Li
fisso inespressiva e dopo
un lungo istante di imbarazzo, mi sorridono e corrono via verso le loro
vite.
Hanno
fatto il loro dovere,
hanno sprecato già troppo del loro tempo prezioso.
Mi
volto e inizio a salire le
scale per il mio appartamento, gli scalini sono freddi e le calze
chiare che
porto devono essersi ormai sporcate irreparabilmente, ma non me ne curo.
Arrivata
davanti alla porta mi
rendo conto che non posso entrare ed apro la busta che mi hanno dato.
Il rumore
mi stupisce… non sento niente.
Ci
sono le mie scarpe, la
borsetta e un biglietto.
Prendo
il foglio e inizio a
scorgerlo mentre un sorriso triste mi allarga le labbra.
Il
medico di Draco raccomanda
ai miei amici di non lasciarmi sola in questo momento e di controllare
l’uso
degli antidepressivi e dei sonniferi che mi ha prescritto.
Non
l’avranno neanche letto…
Apro
la borsa e ne sfilo le
chiavi ritrovandomi nel caos che abbiamo lasciato solo il giorno prima,
indaffarati dal nostro amplesso che ci ha fatto arrivare in ritardo
alla cena.
Inspiro
ed espiro
profondamente, rilassata e in pace finalmente.
Per
una volta sono felice che
non abbiamo adempiuto ai loro doveri.
Stringo
il tubetto di pillole
in una mano, mentre la busta scivola ai miei piedi cospargendo il
pavimento con
il suo contenuto, ma non vi bado.
Mi
dirigo verso il letto
ancora sfatto. Lo osservo per qualche istante prima di stendermi nella
solita
posizione, poggiando una mano sul punto che occupava lui, freddo.
Una
lacrima scivola sul
cuscino e penso che forse ora i miei amici mi crederebbero,
considererebbero
normale il mio dolore, ma ormai non importa più. Ci sono
tipi di sofferenza che
lasciano stravolti… questo loro non lo sanno.
Chiudo
gli occhi e mi copro
con le lenzuola, nel movimento la confezione di medicinali rotola vuota
sul
pavimento.
Sorrido.
Sono
pronta ad amarti Draco,
come non ho avuto il coraggio di fare in vita, il mio stupido orgoglio
non mi
fermerà stavolta.
E
staremo insieme… per sempre.
Spazio Autrice:
Finalmente
l’ho finita!!!
Che fatica terminare questa fic, scrivo cose troppo malinconiche! L
Ammetto
che la mancanza di
commenti mi ha un po’ delusa e invogliata a non continuare,
ma è più forte di
me: non riesco a lasciare le cose incompiute! Ringrazio tanto chi ha
letto la
storia e un particolare grazie a Valengel,
l’unica anima pia che mi abbia degnato di considerazione *-*
Alla
prossima!!!